Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34414 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34414 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
Oggetto
Responsabilità professionale – Notaio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29651/2022 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL) e NOME COGNOME (p.e.c. indicata:
EMAIL), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Plessi NOME Mario, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL, con domicilio eletto presso (pec: EMAIL) in Roma, INDIRIZZO
lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL) con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente -avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 1519/2022, depositata il 5 luglio 2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2024
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne davanti al Tribunale di Ravenna il Notaio NOME COGNOME chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da responsabilità professionale.
Espose a fondamento che:
─ con atto in data 30 maggio 2011, a rogito d el convenuto, aveva ceduto la propria azienda di commercio a NOME COGNOME per il prezzo di € 150.000,00 , di cui € 140.000,00 si era convenuto sarebbero stati corrisposti in n. 50 rate mensili consecutive dell’importo di € 2.800,00 cadauna, con decorrenza dal 30 giugno 2011, con garanzia di fideiussione bancaria;
─ al momento del rogito venne consegnato al notaio la copia di atto di fideiussione emesso quello stesso giorno dalla Istituto Finanziario Privato S.p.a.;
─ il n otaio predispose l’atto, scrivendo a penna gli estremi della fideiussione stessa, e, dopo averne dato lettura integrale, autenticò le firme delle parti;
─ a seguito del mancato pagamento delle rate scadute dal mese di gennaio 2012 fu escussa la garanzia fideiussoria, per la somma residua di € 121.800,00, ma l’Istituto che aveva emesso la fideiussione rispose, con
fax del 31 gennaio 2012, che « da un controllo amministrativo » era emerso che il suddetto atto di fideiussione risultava annullato e, perciò, privo di alcun effetto giuridico e che « nessun premio era stato corrisposto ».
L’attrice d edusse che di tale mancato incasso dovesse rispondere il notaio per avere omesso ogni controllo sulla validità della garanzia fideiussoria e, in particolare, per non essersi accorto che mancava la prova dell’avvenuto pagamento del premio della fideiussione, da effettuare tramite assegno circolare o bonifico.
Esteso il contraddittorio nei confronti degli RAGIONE_SOCIALE chiamati in garanzia dal convenuto , l’adito Tribunale, con sentenza n. 797 del 2016, rigettò la domanda, compensando le spese.
Con sentenza n. 1519/2022, resa pubblica il 5 luglio 2022, la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’appello principale interposto dalla Bassi e, in accoglimento di quello incidentale del Plessi, ha condannato la prima alla rifusione, in favore del secondo, delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito. Ha inoltre condannato l’appellante principale a rifondere ai Lloyd’S di Londra le spese del giudizio di appello.
In motivazione ha rilevato, per quanto ancora interessa, che nel fax del 31 gennaio 2012 inviato dall’Istituto Finanziario in riscontro alla richiesta della odierna ricorrente si legge che l’atto di fideiussione era stato « annullato e, perciò, privo di alcun effetto giuridico e nessun premio stato corrisposto » e subito dopo che « il contratto, infatti, rientra tra quelli oggetto della dichiarazione di smarrimento presentata in data 21.12.2011 dalla sig.ra NOME COGNOME dipendente della Prestifin Milano RAGIONE_SOCIALE
Ha rilevato che « come già correttamente osservato dal Tribunale (pag. 5 sentenza), dalla lettura di tale documento non si comprende chiaramente quale sarebbe stato il motivo dell’annullamento della fideiussione (se il mancato pagamento del premio o l’avvenuto smarrimento nella successiva data del 21.12.2011) e tale fatto, del tutto determinante ai fini del presente giudizio, è rimasto sfornito di prova (sarebbe stato utile, ad esempio, sentire sul punto detta NOME COGNOME o il legale rapp.te dell’Istitut o Finanziario o ancora NOME) ».
Da ciò ha tratto la conclusione che « indipendentemente dai mutati doveri del notaio in tema di scrittura privata autenticata, pur tuttavia l’odierna appellante non ha provato il fatto costitutivo della propria domanda, ovvero il motivo e la data di annullamento della fideiussione (se consegue nte al mancato pagamento del premio o all’avvenuto smarrimento dell’atto) ».
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione articolando quattro motivi, cui resistono entrambi gli intimati, depositando controricorsi.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Entrambi i controricorrenti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., « violazione degli artt. 1218 c.c. e 2697 c.c., co. 1, e 2726 c.c. ».
Lamenta che la Corte d’appello, individuando erroneamente il fatto costitutivo della domanda risarcitoria nel motivo e nella data della inefficacia della fideiussione, abbia invertito conseguentemente gli oneri probatori delle parti.
Sostiene che, essendo la domanda risarcitoria fondata sull’inadempimento dell’obbligo di verificare l’efficacia della fideiussione (segnatamente controllando se fosse o meno presente la quietanza di pagamento del premio al momento della cessione d’azienda) era il notaio a dover provare che « l’inadempimento della fideiussione » (così in ricorso) non era a lui imputabile.
Con il secondo motivo ─ rubricato « violazione dell’art. 132, co. 1, n. 5) c.p.c. per contraddittorietà della motivazione e dell’art. 2697 c.c., co. 2, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c . » ─ deduce la violazione dell’art. 1218 cod. civ. per avere la Corte d’appello ritenuto che
il fatto costituivo della domanda risarcitoria fosse rappresentato non dal l’omessa verifica da parte del notaio Plessi della validità della fideiussione, tramite la quietanza di pagamento del premio, ma dal motivo e dalla data di annullamento della stessa.
Afferma che la prova dell’omesso pagamento del premio della debitrice sig.ra COGNOME era in atti, essendo rappresentato dal fax della società che aveva emesso la fideiussione nel quale si leggeva essere emerso da un controllo amministrativo che l’atto di fideiussione risultava annullato e, perciò, privo di alcun effetto giuridico, non essendo stato corrisposto nessun premio.
Rileva che, contraddittoriamente, la Corte d’appello pur avendo posto a fondamento della sentenza il fax indicato, ha tuttavia implicitamente escluso che lo stesso costituisse la prova dell’inadempimento del premio della fideiussione.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 2697, secondo comma, cod. civ..
Sostiene che, essendo pacifica l’esistenza di un documento che la Corte territoriale riconosce integro al punto da ritenerlo indispensabile ai fini del giudizio, l’attestazione del mancato pagamento del premio in ess o contenuta avrebbe almeno imposto di ritenere che spettasse al notaio eccepire l’inefficacia dello stesso.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, infine, « violazione dell’art. 1199 c.c. e degli artt. 2726, 2729 e 2721 c.c. »
Lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente negato rilevanza all’assenza della quietanza di pagamento del premio, sebbene quest’ultima dovesse necessariamente provarsi per iscritto, ai sensi dell’art. 1199 c.c. , per ciò stesso dovendosi anche escludere la rilevanza della prova per testi.
5. Il primo motivo è inammissibile, poiché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Da essa si trae che:
─ causa petendi della pretesa azionata era l’inadempimento del notaio all’incarico affidato in quanto causa del danno rappresentato dal mancato incasso di parte del prezzo rateizzato della cessione d’azienda;
─ la Corte d’appello ha ritenuto tale pretesa infondata per ragioni non legate alla sussistenza o meno del dedotto inadempimento (questione rimasta sullo sfondo in quanto sostanzialmente assorbita da una ragione più liquida di rigetto) bensì per essere rimasto incerto se la causa del danno lamentato fosse ascrivibile a tale inadempimento (e segnatamente alla mancata verifica del pagamento del premio previsto dalla polizza fideiussoria allegata al contratto) o non piuttosto ad altro fattore e, segnatamente, allo smarrimento del contratto di fideiussione; fattore, questo, del tutto estraneo e sottratto ai compiti di verifica e vigilanza affidati al notaio, anche perché emerso successivamente alla stipula dell’atto di cessione, e dotato di propria indipendente e piena efficacia causale rispetto all’evento, atteso che, quand’anche quei compiti fossero stati correttamente adempiuti, nondimeno avrebbe di per sé impedito l’escussione della garanzia fideiussoria.
Non pertinente, dunque, è la critica mossa con il motivo in esame.
Diversamente da quanto postulato in ricorso la Corte d’appello non ha affatto esonerato il professionista dalla prova di aver correttamente adempiuto l’obbligo di prestazione professionale, ma ha ben diversamente collocato la propria valutazione sul diverso piano della prova del nesso causale tra il dedotto inadempimento e il danno lamentato, prova incombente sulla parte attrice.
È bene peraltro precisare che il criterio di riparto dell’onere probatorio a tal fine implicitamente adottato in sentenza risponde al principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte in tema di prova del nesso causale tra inadempimento e danno nelle obbligazioni di facere professionale.
Come ancora di recente evidenziato (v. Cass. 27/07/2024, n. 21045), l’inadempimento è infatti solo uno degli elementi che compongono il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno. Esso connota la condotta
inadempiente in termini di disvalore, in quanto violativa dell’obbligo contrattualmente assunto, e dunque idonea a costituire criterio di imputazione soggettiva del danno che eventualmente ne consegua, ma non coincide certo con il danno risarcibile (danno conseguenza), e ancor prima non vale di per sé a dimostrare nemmeno l’esistenza di un evento di danno, ossia della lesione dell’interesse presupposto a quello contrattualmente regolato: evento legato alla condotta da nesso di causalità materiale ma da essa naturalisticamente distinto, come dimostra l’art. 1227 c.c., primo comma, che disciplina proprio il fenomeno della causalità materiale rispetto al danno evento sotto il profilo del concorso del fatto colposo del creditore.
Se nelle obbligazioni di dare o facere non professionale il danno evento può considerarsi provato già dall’inadempimento, poiché quest’ultimo corrisponde alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto (si parla in tal caso di «assorbimento pratico» della causalità materiale nell’inadempimento, ma sarebbe più appropriato parlare di «prova evidenziale», poiché quel che accade in questi casi è che la stessa fattispecie legale sta a dimostrare ex se il nesso causale, senza però che per tal motivo si possa negare, concettualmente e naturalisticamente, la relazione tra due fatti che restano distinti), nelle obbligazioni di diligenza professionale (qual è quella per cui è causa), dove l’interesse corrispondente alla prestazione (vigilanza sulla regolarità formale e sostanziale dell’atto alla cui stipula il notaio è chiamato a presiedere) è solo strumentale all’interesse primario del creditore (concreta azionabilità di tutti i diritti nascenti dall’atto), causalità ed imputazione per inadempimento tornano a distinguersi anche sul piano funzionale, ossia della prova, e non solo su quello strutturale, perché il danno evento consta non della lesione dell’interesse alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, ma della lesione dell’interesse presupposto a quello contrattualmente regolato (v. Cass. 11/11/2019, nn. 28991-28992).
Il diritto al risarcimento sorge poi – va ribadito – solo in presenza di un danno conseguenza, distinto a sua volta dal danno evento e ad esso
legato da un nesso di causalità giuridica (art. 1223 cod. civ.), da verificare secondo i medesimi criteri probabilistici (Cass. 24/10/2017, n. 25112; 26/06/2018, n. 16803; 14/11/2022, n. 33466).
6. Il secondo motivo è inammissibile.
Ribadito quanto sopra esposto quanto alla ripetuta denuncia di violazione dell’art. 1218 cod. civ., nella restante parte, là dove più propriamente si intende illustrare il vizio indicato in rubrica di violazione dell’art. 132, comma secondo, num. 4, cod. p roc. civ. per contraddittorietà della motivazione, va parimenti rilevata l’inammissibilità della censura .
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, « la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione » (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti.
Alla luce di quanto sopra esposto nessuna intrinseca e irrisolvibile contraddittorietà emerge nel ragionamento della Corte d’appello, sufficientemente chiaro nell’ evidenziare che la ragione del rigetto della pretesa risarcitoria risiede nella incertezza circa il nesso causale tra inadempimento e danno.
Piuttosto, è la censura a porsi chiaramente al di fuori del paradigma tracciato dalle Sezioni Unite nella misura in cui pretende di ricavare un siffatto radicale vizio della sentenza da elementi estranei alla motivazione stessa (segnatamente sollecitandosi con essa una diversa lettura del fax della società che aveva prestato la fideiussione).
Il terzo e il quarto motivo sono altresì inammissibili, essendo diretti a criticare affermazioni che non trovano riscontro nella motivazione della sentenza impugnata.
In relazione a entrambi è sufficiente rilevare che la Corte non ha affatto negato attendibilità alla affermazione, contenuta nel menzionato fax, del mancato pagamento del premio, ma ha ben diversamente evidenziato che non si trae affatto dal fax che sia stata tale circostanza a rendere non attivabile la garanzia e non piuttosto lo smarrimento del contratto.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente procedimento, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano, per ciascuno, nella somma di Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228,
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza