Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11879 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11879 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18922/2024 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante NOME COGNOME; rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura in calce al ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura in atti;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza n. 3959/2024 della CORTE d ‘ APPELLO di ROMA, depositata il 4 giugno 2024, notificata il 6 giugno 2024; udìta la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato il 10 agosto 2017 la società RAGIONE_SOCIALE citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il notaio NOME COGNOME esponendo che:
con atto rogato dalla convenuta il 26 gennaio 2015, essa società aveva acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE un credito IVA di Euro 1.400.000,00 verso un corrispettivo di Euro 560.000,00;
successivamente , a seguito di interlocuzione con l’ Agenzia delle Entrate, aveva appreso che la RAGIONE_SOCIALE non aveva formulato istanza di rimborso del credito IVA ceduto;
in mancanza della preventiva richiesta di rimborso da parte del titolare, il credito doveva reputarsi incedibile, con conseguente invalidità della relativa cessione;
in conseguenza della stipulazione della cessione invalida, essa società aveva subìto un danno pari al corrispettivo pagato alla cedente (Euro 560.000,00) e al compenso versato alla professionista (Euro 10.660,00);
questo danno era imputabile alla condotta colpevole del notaio, il quale non aveva esattamente adempiuto alla propria obbligazione professionale, omettendo di compiere la dovuta verifica se la RAGIONE_SOCIALE avesse chiesto il rimborso del credito IVA oggetto di cessione.
Sulla base di queste deduzioni, la RAGIONE_SOCIALE domandò che NOME COGNOME fosse condanna al risarcimento del detto pregiudizio, da quantificarsi nell’importo di Euro 570.600,00 o nella diversa somma (maggiore o minore) che fosse risultata di giustizia.
La convenuta, costituitasi in giudizio, resistette alla domanda, deducendo, tra l’altro, che l’incarico professionale conferitole concerneva la stipula dell’atto di cessione del credito e gli adempimenti
ad esso prodromici, ma non si estendeva alla verifica della circostanza se la società cedente avesse o meno depositato istanza di rimborso del credito medesimo; inoltre, l’esistenza del credito IVA della società RAGIONE_SOCIALE, per l’importo di Euro 2.365.987 (persino maggiore di quello che aveva formato oggetto di cessione), era attestata da una certificazione dell’Agenzia dell e Entrate allegata all’atto.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n.21746/2019, rigettò la domanda, sui rilievi: che la cessione del credito IVA è ammessa dalla legge (art.5, comma 4ter , del decreto-legge n.70/1988, convertito nella legge n.154/1988); che, anzi, avuto riguardo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la cessione del credito di imposta, oltre alle peculiari disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, segue le ordinarie regole del codice civile, sicché è ammessa anche la cessione di un credito non ancora chiesto a rimborso nella dichiarazione annuale al momento della cessione, con l’unica peculiarità che il contratto ha efficacia obbligatoria, verificandosi l’effetto reale del trasferimento del credito al momento in cui esso si cristallizza in conformità alle norme tributarie; che, pertanto, attesa la piena cedibilità del credito IVA quantunque non ancora chiesto a rimborso, nella fattispecie esulava dalle obbligazioni del notaio chiamato a rogare l’atto di cessione quella avente ad oggetto la verifica preliminare dell’ avvenuta presentazione dell’istanza di rimborso da parte della società cedente, non incidendo l’eventuale omissione di tale istanza sulla validità ed efficacia dell’atto.
Avverso la sentenza del Tribunale di Roma, la RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello dinanzi alla Corte territoriale di Roma, censurando la pronuncia di primo grado per non aver considerato che, nella dichiarazione dei redditi presentata prima della cessione (luglio
2013), l’RAGIONE_SOCIALE, non solo aveva omesso di formulare la richiesta di rimborso del cre dito, ma l’aveva pure portato in compensazione dei suoi debiti fiscali; indebitamente il giudice di primo grado non aveva considerato tale circostanza, che effettivamente rendeva il credito incedibile e dalla quale avrebbe quindi dovuto inferire la sussistenza della responsabilità del notaio per avere omesso di verificare una circostanza di fatto da cui effettivamente discendeva il carattere di incedibilità del credito, così omettendo di informare la cliente di una causa di invalidità del negozio giuridico rogando.
Con sentenza 4 giugno 2024, n. 3959, la Corte d’ appello di Roma ha rigettato l’ impugnazione e condannato l’appellante alle spese del grado.
La Corte territoriale, per un verso, quanto alla deduzione circa l’ inadempimento, da parte del notaio, dell’obbligazione avente ad oggetto la verifica della preventiva richiesta di rimborso del credito da parte della società cedente, ha integralmente confermato la statuizione resa dal giudice di primo grado, reputando insussistente tale obbligazione alla luce dell ‘ orientamento di legittimità che esclude la non cedibilità dei crediti di imposta per cui non sia stata formulata la detta richiesta, la quale resta quindi irrilevante in funzione della validità ed efficacia del negozio di cessione.
Per altro verso, quanto alla d eduzione circa l’i nadempimento, da parte del notaio, della diversa obbligazione avente ad oggetto la verifica della circostanza se il credito ceduto fosse già stato portato in compensazione di debiti fiscali della cedente, ne ha escluso l’ammissibilità all a luce del divieto di nova di cui all’art. 345 cod. proc. civ..
Propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi.
Risponde con controricorso NOME COGNOME la quale, prima di invocare la declaratoria di inammissibilità e di resistere nel merito al ricorso, ne eccepisce l’ improcedibilità per violazione dell’art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ., « non risultando dall’elenco degli allegati indicati a pag. 20-21-22 la copia notificata con la relativa relata avvenuta a mezzo pec e conseguente asseverazione » (pag.4 del controricorso).
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’ eccezione preliminare di improcedibilità sollevata dalla controricorrente è infondata, in quanto la società ricorrente, che ha notificato il ricorso per cassazione in data 5 settembre 2024, nel termine breve di sessanta giorni dalla notifica della sentenza d’appello (avvenuta il 6 giugno 2024), ha assolto l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n.2, cod. proc. civ., depositando telematicamente la pec (in formato .eml ) mediante la quale la controparte le aveva notificato la sentenza presso la casella di posta elettronica certificata del difensore, contenente sia la sentenza medesima che la relata di notifica.
2.1. Con il primo motivo viene denunciato , ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’ ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘.
La sentenza impugnata è censurata perché « non prende in considerazione il fatto che la cedente RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato -in sede di dichiarazione IVA presentata prima della stipula dell ‘ atto -di volere utilizzare il credito IVA in questione per compensarlo con i propri debiti fiscali presenti e futuri » (pag.8 del ricorso); fatto da cui sarebbe derivata la sicura incedibilità del credito e che avrebbe quindi dovuto essere verificato dal notaio al fine di evitare al cliente una stipulazione nulla, con conseguente responsabilità del professionista per avere omesso tale verifica.
2.2. Con il secondo motivo vengono denunciati, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., ‘ Violazione ed errata applicazione art. 345 c.p.c. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti sotto diverso profilo rispetto a quanto eccepito nel motivo n. 1 ‘ .
La ricorrente osserva che l ‘art. 345 , primo comma, cod. proc. civ., pone il divieto di proposizione di nuove domande, e deduce che, invece, nella fattispecie, essa non aveva proposto alcuna nuova domanda in grado d’appello , avendo « sin dall’atto di citazione in primo grado … ritenuto il notaio COGNOME professionalmente responsabile nei suoi confronti per avere stipulato un atto avente ad oggetto la cessione di un credito IVA che non avrebbe potuto essere ceduto » (pagg.11-12 del ricorso).
2.3. Con il terzo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la ‘Violazione o falsa applicazione dell’ art.1260 c.c. e dell’art.5, comma 4 ter del d.l. n.70/1988. Violazione o falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 1223 e 2236 c.c.’ .
La sentenza impugnata è censurata per avere « di fatto ritenuto cedibile un credito IVA per il quale il cedente già aveva chiesto la
compensazione e di cui non aveva chiesto il rimborso, come accaduto nel caso di specie, mandando conseguentemente assolto il notaio COGNOME da ogni responsabilità e negando così qualsivoglia risarcimento all’odierna ricorrente » (pag.13 del ricorso).
RAGIONE_SOCIALE reputa che il giudizio circa l’ irresponsabilità del notaio NOME COGNOME espresso dalla Corte d’ appello sia fondato sul l’as sunto, reputato erroneo in iure , secondo cui sarebbe perfettamente cedibile un credito IVA di cui il cedente non abbia chiesto il rimborso e che abbia portato in compensazione dei suoi debiti fiscali.
Sostiene che in senso contrario si sarebbe espressa questa Corte nella pronuncia n. 9675 del 12 aprile 2023, in cui, « nel giudicare su un caso analogo al presente giudizio », sarebbe « stata sancita la responsabilità professionale del notaio nell’ipotesi in cui quest’ultimo abbia omesso di segnalare l’incedibilità del credito IVA portato dalla cedente in compensazione e non chiesto a rimborso » (pag.13 del ricorso).
I primi tre motivi di ricorso -da esaminarsi congiuntamente per evidenti ragioni di connessione -sono in parte inammissibili e in parte infondati.
3.a. Sono inammissibili nella parte in cui deducono omesso esame di fatto decisivo e controverso con riguardo alla circostanza che la cedente aveva dichiarato, nella dichiarazione IVA presentata prima della stipula della cessione, di voler portare il credito d’imposta in compensazione dei propri debiti fiscali presenti e futuri; circostanza, alla luce della quale il credito avrebbe senz’altro dovuto reputarsi incedibile e che quindi avrebbe dovuto essere debitamente accertata
dal notaio al fine di adempiere al proprio obbligo di informazione funzionale ad evitare alla cliente la conclusione di un negozio invalido.
Al riguardo, trova applicazione la norma -già contenuta nel l’art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ. e ora ne ll’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., introdotto dal d.lgs. n.149 del 2022 -secondo cui non è possibile ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360 dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’); in proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità di questa preclusione risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c od. proc. civ. , ha l’onere nella specie non assolto -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994).
3.b. Giova comunque evidenziare che, se l’illustrata ragione di inammissibilità non ne avesse precluso l’esame nel merito, la censura di omesso esame sarebbe stata anche infondata, poiché la Corte territoriale non ha affatto omesso di esaminare la predetta circostanza, ma ha correttamente ritenuto che la stessa non fosse stata tempestivamente allegata in primo grado, né nell’atto introduttivo né nelle memorie integrative ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. ( ratione temporis applicabile), e che pertanto ne fosse ormai preclusa (non la delibazione del giudice, bensì ) l’ allegazione della parte nel giudizio d’appello.
La correttezza di tale statuizione emerge dalle stesse trascrizioni degli stralci dei propri atti processuali effettuata dalla ricorrente in sede di illustrazione del primo motivo di ricorso.
Infatti, sia dallo stralcio trascritto dell’atto di citazione di primo grado (pagg. 8-9 del ricorso) sia da quello della comparsa conclusionale depositata nel grado medesimo (pag.9 del ricorso) emerge che in tali atti la RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto soltanto la circostanza relativa all ‘ omessa richiesta di rimborso del credito da parte della RAGIONE_SOCIALE ed aveva conseguentemente posto a fondamento della propria domanda risarcitoria l’ inosservanza da parte del notaio dell’obbligo di verificare e segnalare tale circostanza, sull’erroneo presupposto che la stessa incidesse , escludendola, sulla cedibilità del credito e quindi sulla validità della relativa cessione.
Non rileva poi che unitamente o successivamente all’atto di citazione fossero stati depositati documenti (la dichiarazione IVA presentata dall’RAGIONE_SOCIALE il 30 luglio 2013; la nota dell’ Agenzia delle Entrate sulle dichiarazioni IVA presentate negli anni 2012 e 2013) da cui emergeva anche la circostanza relativa all’utilizzazione del credito fiscale in sede di compensazione ; ai fini dell’assoluzione dell’onere di allegazione degli elementi costitutivi della domanda (quali elementi dell’ edictio actionis : art. 163, nn.3 e 4 cod. proc. civ.), è necessario che tali elementi siano ritualmente dedotti nell’ambito degli atti processuali di parte nei termini per le preclusioni assertive, non potendo essi desumersi dai documenti depositati in funzione dell’assoluzione del diverso onere della prova.
Ebbene, soltanto in appello RAGIONE_SOCIALE ha dedotto l’ ulteriore circostanza che la cedente, oltre a non chiedere il rimborso del credito, lo aveva altresì portato in compensazione dei propri debiti,
sicché la Corte territoriale , lungi dall’omettere l’esame di tale fatto, correttamente ha reputato tardiva e, come tale inammissibile, la deduzione di esso.
3.c. F erma l’ inammissibilità dei motivi in esame nella parte in cui denunciano omesso esame di fatto decisivo e controverso, essi sono invece infondati nella parte in cui -specificamente con il secondo motivo – denunciano la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. .
Invero, nel momento in cui, solo in appello, la RAGIONE_SOCIALE ha aggiunto alla originaria allegazione della circostanza negativa riguardante l’o messa richiesta di rimborso del credito da parte della RAGIONE_SOCIALE (e alla susseguente individuazione della condotta inadempiente del notaio nell’omessa verifica e nell’ omessa segnalazione di tale circostanza, sul presupposto che la mancata richiesta di rimborso rendeva incedibile il credito e conseguentemente invalida la relativa cessione) la diversa e ulteriore circostanza, positiva, concernente l’utilizzazione del credito in compensazione (e la susseguente individuazione del fondamento della propria domanda risarcitoria nel l’ inosservanza da parte del notaio della diversa obbligazione di verificare e segnalare tale circostanza, sul presupposto che da essa -e non invece da quella meramente negativa della semplice mancanza della richiesta di rimborso -derivasse il carattere di incedibilità del credito e conseguentemente la nullità della relativa cessione), è stata effettivamente proposta una domanda diversa da quella formulata in primo grado, poiché fondata su una distinta causa petendi in fatto.
Correttamente, pertanto, il giudice di secondo grado, ha ritenuto soggiacente a divieto di nova la deduzione relativa al « diverso fatto
della non cedibilità del credito in quanto già richiesto in compensazione » (pag. 9 della sentenza impugnata).
3.d. inammissibile è, infine, la censura, formulata in particolare con il terzo motivo, con cui si critica il giudizio di irresponsabilità del notaio espresso dalla Corte d’ appello in quanto asseritamente basato sull’assunto, e rroneo in iure , secondo cui sarebbe cedibile un credito IVA che non solo non abbia formato oggetto di istanza di rimborso ma sia stato anche portato in compensazione dei propri debiti fiscali dal cedente.
Questa censura è inammissibile perché non si confronta con la ratio della statuizione impugnata.
Quest’ultima infatti, non ha affatto affermato, in contrasto con l’ orientamento di legittimità desumibile dalla pronuncia n. 9675/2023 di questa Corte, che il credito IVA portato dalla società cedente in compensazione non fosse incedibile, ma, tutt’al contrario, in conformità con il consolidato orientamento della Sezione tributaria di questa Corte (cfr. già Cass. n.12455/2001 e, più recentemente, Cass. 24710/2019, n.27278), ha ritenuto, confermando la decisione di primo grado, che non fosse incedibile il credito d’imposta non ancora richiesto a rimborso (conseguentemente reputando non inadempiente il notaio per avere omesso di verificare tale circostanza, ininfluente ai fini della validità dell’atto di cessione), mentre, invece, non ha esaminato nel merito, dichiarandola inammissibile in quanto tardiva, la doglianza relativa al presunto inadempimento del diverso obbligo di verificare e segnalare l ‘eventuale utilizzazione del credito in compensazione, senza prendere quindi posizione sugli effetti di tale utilizzazione in ordine alla cedibilità dello stesso.
Risulta pertanto evidente il difetto di specificità della censura in esame in relazione al tenore della decisione impugnata.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure non pertinenti rispetto al decisum della sentenza impugnata, comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass. 03/08/2007, n. 17125; Cass. 18/02/2011, n. 4036).
L’esigenza di specificità del motivo di ricorso esige, infatti, la sua riferibilità alla decisione di cui si chiede la cassazione, non essendo ammissibili nel giudizio di legittimità doglianze non aventi specifica attinenza alle ragioni che sostengono la sentenza sottoposta ad impugnazione (cfr., in tema, Cass. 31/08/2015, n. 17330 e Cass. 24/09/2018, n. 22478).
Resta da esaminare il quarto motivo di ricorso con il quale, viene denunciata , ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la ‘ Violazione o falsa applicazione dell’art.1367 c.c., del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4 e 5 e delle relative tabelle allegate ‘ .
È criticata la statuizione accessoria di condanna della ricorrente (già appellante) al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio, liquidate dalla Corte di me rito nell’importo di Euro 18.896,90 per compensi, « oltre spese generali, IVA e CPA » (cfr. il dispositivo della sentenza impugnata).
RAGIONE_SOCIALE articola due censure.
4.a. Reputa, in primo luogo, che l’importo liquidato sia eccessivo per erronea individuazione dello scaglione di riferimento in relazione al valore della controversia, che non avrebbe dovuto essere ritenuta di valore pari ad Euro 570.600,00, bensì di valore ‘indeterminabile’,
avuto riguardo alla circostanza che nel petitum formulato con l’atto introduttivo del giudizio, dopo la richiesta di condanna alla somma determinata di Euro 570.600,00, era stata aggiunta la formula ‘o quella diversa somma maggiore o minore che parrà di giustizia’.
4.b. Si duole, in secondo luogo, del fatto che sia stato liquidato anche il compenso per la fase istruttoria/di trattazione, sebbene ridotto ai minimi; osserva che l’art. 4, comma 5 , del D.M. n. 55/2014, anche in seguito alle modifiche apportate con DM n.147/2022, prevede che tale fase rileva ai fini della liquidazione del compenso quando effettivamente svolta; deduce, allegando i verbali della prima udienza e della udienza di precisazione della conclusioni in appello, che nella fattispecie alla udienza di trattazione in appello aveva avuto luogo esclusivamente e direttamente la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni , poi tenutasi ai sensi dell’art. 28 1sexies cod. proc. civ..
4.1. La prima censura è infondata mentre è fondata la seconda.
4.1.a. l’ arresto di questa Corte citato dalla ricorrente che attribuisce rilievo, ai fini della qualificabilità della causa come di valore ‘indeterminabile’ , alla circostanza che il petitum avente ad oggetto la condanna ad una somma specifica sia integrato dall’ espressione ‘o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia ‘ (Cass. 26/04/2021, n. 10984) appare isolato dinanzi ai diversi arresti, precedenti e successivi, i quali, in tema di liquidazione dell ‘ onorario spettante all’avvocato, hanno condivisibilmente affermato il principio secondo cui per domanda di valore ‘ indeterminabile ‘ , con applicazione del conseguente scaglione tariffario, deve intendersi la domanda il cui valore non può essere determinato, non anche quella di valore indeterminato e da accertarsi nel corso dell ‘ istruttoria, il cui ammontare
può essere fissato fino al momento della precisazione delle conclusioni (Cass. 15/02/2007, n.3372; Cass. 22/01/2018, n. 1499; Cass. 10/05/2023, n.12531).
Pertanto, deve reputarsi corretto il giudizio della Corte di merito che, sulla base del valore della somma specifica invocata nella domanda di condanna al risarcimento del danno, ha ricondotto la causa allo scaglione tariffario corrispondente.
4.1.b. Va invece reputata non corretta in iure la scelta di liquidare, sia pure con riduzione ai minimi, il compenso per la fase istruttoria e/o di trattazione.
Nel l’illustrare il motivo di ricorso, la ricorrente ha debitamente dedotto -ed ha comprovato tale deduzione con il deposito del verbale della prima udienza in grado d’ appello e dell’udienza di precisazione delle conclusioni e discussione orale ex art. 281sexies cod. proc. civ. (doc. n.13) -che, nel giudizio di merito di secondo grado, alla prima udienza del 22 dicembre 2020 era stato disposto rinvio per la precisazione delle conclusioni e che la Corte d ‘ appello aveva rinviato, all’uopo, all’udienza del 2 6 settembre 2023, poi procrastinata al 4 giugno 2024, senza svolgere alcuna delle attività contemplate nell’art.350 cod. proc. civ. (verifiche attinenti alla costituzione delle parti, alla regolarità delle notifiche, alla necessità di integrare il contraddittorio; declaratoria di contumacia di eventuali appellati non costituiti; riunione di più atti di impugnazione; espletamento del tentativo di conciliazione) o nell’art. 4, comma 5, lett. c) , del D.M. n. 55 del 2014, (richieste di prova; memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande o dei motivi d’impugnazione, eccezioni e conclusioni; esame di scritti, di documenti e di provvedimenti giudiziali; atti funzionali alla formazione di prove; partecipazioni e assistenze
relative ad attività istruttorie; esame di relazioni peritali o di consulenze di parte; notificazione di domande nuove o di altri atti; richieste di copie al cancelliere, istanze al giudice; dichiarazioni nei casi previsti dalla legge; deduzioni a verbale; intimazioni ai testimoni, introduzione di procedimenti incidentali).
Ciò posto, va al riguardo ribadito il principio secondo il quale la fase di istruttoria e/o di trattazione, in riferimento al giudizio di appello, può dare luogo al riconoscimento della relativa voce di tariffa unicamente qualora sia effettivamente posta in essere, nel corso della prima udienza di trattazione, una o più delle specifiche attività sopra richiamate, ovvero sia fissata un’udienza a tal fine o, comunque, allo scopo di svolgere altre attività istruttorie e/o di trattazione, ma non nel caso in cui alla prima udienza di trattazione sia esclusivamente e direttamente fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni, senza il compimento di nessuna ulteriore attività (Cass. 16/04/2021, n. 10206). Questo principio non è in contrasto con quello -anch’ esso più volte affermato da questa Corte -secondo cui «va, comunque, riconosciuto il compenso per la fase di istruttoria/trattazione, atteso che la fase di trattazione della causa è in ogni caso ineludibile» (cfr., ad es., Cass. 05/01/2022, n. 164). Tale affermazione, infatti, trova fondamento nel rilievo che, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per la predetta fase, ai sensi del citato art. 4, quinto comma, lett. c) , del D.M. n. 55 del 2014, rileva, oltre al compimento di attività istruttoria in senso stretto (benché, ad es., limitata all’esame di documenti e non estesa all’esperimento di prove costituende: Cass. 07/10/2021, n. 27304), anche il compimento di attività non aventi tale specifico carattere, quali, di volta in volta, l’esame dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione
dell’istruzione, compresi quelli da cui può desumersi la non necessità di procedere all’istruzione stessa (Cass. 05/01/2022, n. 164, cit. ; Cass. 06/12/2021, n. 38509), oppure l’esame degli scritti difensivi di controparte, sebbene essi non prefigurino la necessità di procedere all’istruzione (Cass.30/05/2022, n. 17387). Quando, invece, non venga svolta alcuna delle attività indicate dalla citata disposizione regolamentare, deve escludersi che possa procedersi a liquidazione, poiché, ai sensi dell’ultimo per iodo della richiamata lett. c) del quinto comma dell’art. 4 del D.M. n. 55 del 2014, la fase istruttoria e/o di trattazione rileva ai fini della liquidazione del compenso solo quando effettivamente svolta (Cass. 30/05/2022, n. 17387, cit. ; Cass. 12/12/2022, n. 36182).
Nel caso di specie, l’evidenziata circostanza debitamente allegata in ricorso e provata -che nessuna attività di trattazione era stata compiuta all’udienza del 22 dicembre 2020, di mero rinvio a quella di precisazione delle conclusioni e discussione ex art. 281sexies cod. proc. civ., (rientrante nella successiva fase decisionale) impone che dall’importo complessivo delle spese processuali, oggetto della condanna irrogata a carico della ricorrente (già appellante), venga detratta la somma di Euro 6.767,00, quale compenso liquidato, sia pure in misura minima, in relazione ad una fase che non si è effettivamente svolta.
Va, pertanto, accolta la seconda censura articolata con il quarto motivo di ricorso, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ad essa.
Poiché, inoltre, al riguardo non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere la causa nel merito (art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.).
L ‘importo delle spese processuali del grado d’appello, oggetto della condanna irrogata nei confronti della ricorrente va, dunque, ridotto alla somma di Euro 12.129.90 (18.896,90 -6.767,00) in favore della controricorrente. A tale importo devono proporzionalmente aggiungersi le spese forfetarie e gli accessori, già riconosciuti dalla Corte territoriale.
La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie la seconda censura articolata con il quarto motivo di ricorso, rigettata la prima e gli altri motivi.
Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, riduce l’importo oggetto della condanna nelle spese del grado d ‘ appello, irrogata nei confronti della RAGIONE_SOCIALE s.p.a., alla somma di Euro 12.129,90, in favore di NOME COGNOME oltre al rimborso delle spese generali e agli accessori di legge.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione