Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 247 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 247 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29162/2021 R.G. proposto da :
COGNOME in qualità di procuratore generale della RAGIONE_SOCIALE COGNOME Achille RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE, nonché in qualità di procuratore generale di COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME e NOME COGNOME;
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME RAGIONE_SOCIALE -intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 1302/2021 depositata il 23/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME:
Rilevato che:
Nel 2010 NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE COGNOME e NOME RAGIONE_SOCIALE, conveniva in giudizio il ragioniere NOME COGNOME al fine di ottenerne il risarcimento di danni da responsabilità professionale, per l’attività da quest’ult imo svolta a favore della società RAGIONE_SOCIALE
Il COGNOME, costituitosi, resisteva, proponeva domanda riconvenzionale quanto alla sua parcella e chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa la sua assicurazione per essere tenuto indenne da qualunque rischio relativo alla sua attività professionale. Nel giudizio interveniva anche l’ulteriore socio NOME COGNOME chiedendo a sua volta risarcimento.
Il Tribunale di Arezzo, con sentenza n. 173/2018, accertata la responsabilità del Senzi in danno della società RAGIONE_SOCIALE e dei soci per la violazione di norme di legge e dei patti sociali quanto alla distribuzione degli utili in spregio al mandato conferito da questi, lo condannava al pagamento alla società suddetta dell’importo di €
149.691, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; rigettava le ulteriori domande di risarcimento presentate dai soci; rigettava la domanda riconvenzionale del Senzi sui compensi, e, infine, condannava la Fondiaria a tenere indenne il COGNOME dalla sua condanna fino al concorso di 20.278,11 euro.
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 1302/2021, in accoglimento dell’appello proposto dal Senzi, riformando la sentenza impugnata rigettava la domanda di responsabilità professionale e la conseguente domanda risarcitoria.
Riteneva il secondo giudice che non fosse stato provato né il danno subito dalla società né il nesso causale tra la condotta del professionista e il presunto pregiudizio, né tantomeno che la scelta del criterio dei pagamenti da parte della società, senza l’errore del COGNOME o senza una sua presunta ingerenza nelle decisioni societarie, sarebbe stata diversa. Non avendo il COGNOME la gestione della società, escludeva poi che il mero riempimento degli assegni su indicazione dei soci potesse costituire una fonte di responsabilità a suo carico, l’attività del Senzi dovendosi configurare come quella di un nudus minister , avendo egli eseguito le direttive impartite dai soci senza mai assumere, appunto, il ruolo di gestore o amministratore della società.
Avverso tale sentenza propone ricorso, sulla base di due motivi illustrati anche con memoria, NOME COGNOME in qualità di procuratore generale della RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE, nonché in qualità di procuratore generale di NOME COGNOME. Il Senzi si è difeso con controricorso.
Ritenuto che:
4.1. Con il primo motivo, articolato in due censure, si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 132, co. 2, n. 4 c.p.c. per totale carenza e/o comunque ‘mera apparenza’ della motivazione (art. 360 co. 1, n. 4 c.p.c.) in ordine all’avere disatteso i risultati
della C.T.U. disposta in primo grado, nonché si denuncia omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto di discussione ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.
Parte ricorrente adduce che la Corte territoriale, nel motivare la decisione, avrebbe omesso qualsiasi riferimento alla consulenza tecnica espletata in primo grado e ai risultati da essa raggiunti, non fornendo alcuna spiegazione sul perché le conclusioni del CTU relative alla responsabilità del Senzi per negligenza professionale e al danno emergente sarebbero da ritenersi errate.
Si denunciano anche violazione o falsa applicazione dell’art. 132 co. 2, n. 4 c.p.c. e violazione degli artt. 2229 e ss., 1976 e 1218 c.c. per totale carenza della motivazione (art. 360 co. 1, n. 4 c.p.c.) riguardo alla pretesa mancata analisi di tutti i profili di responsabilità ascritti dalla sentenza di primo grado al Senzi e/o quantomeno al l’erronea compilazione del modello unico 2005.
4.2. Con il secondo motivo, si censura la sentenza di appello per ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto, violazione art. 360 co. 1, n. 3, c.p.c.: violazione ed errata applicazione e/o interpretazione degli artt. 2229 e ss. c.c., 1176 c.c. e 1218 cc.’, da cui deriverebbe illogicità della sentenza quanto al mancato riconoscimento di responsabilità del Senzi per violazione del mandato di gestione finanziaria.
Si osserva che, considerata l’impossibilità di qualificare il COGNOME socio occulto della società, come emerso dalla sentenza di primo grado, il rapporto tra il COGNOME e la società dovrebbe essere ricondotto nell’ambito di un contratto di prestazione d’opera intellettuale. Tale circostanza, peraltro, non sarebbe mai stata contestata dalla controparte, onde dovrebbe ritenersi provata.
Nel caso di specie, la sentenza di secondo grado avrebbe ritenuto che il COGNOME si fosse limitato ad eseguire quanto richiesto dal cliente, senza alcun margine di discrezionalità o autonomia. Tale interpretazione, tuttavia, parrebbe più riconducibile ad un rapporto
di lavoro subordinato piuttosto che alla posizione di un professionista qualificato come il COGNOME, incaricato della gestione globale delle attività di consulenza contabile e tributaria amministrativa, oltre che della cura e gestione dei rapporti con vari istituti di credito. Essendo allora configurabile un rapporto di prestazione d’opera intellettuale, il COGNOME, a prescindere dalla volontà dei soci, sarebbe stato tenuto a svolgere la propria attività con la diligenza richiesta dalla natura e complessità della prestazione, in conformità alla normativa vigente.
I due motivi di ricorso, congiuntamente esaminati per la loro connessione -in effetti l’uno è lo specchio dell’altro -, sono inammissibili.
Innanzitutto, non può parte ricorrente invocare una lettura delle risultanze probatorie difforme da quella operata dalla corte territoriale, essendo la valutazione di queste – al pari della scelta di quelle, tra esse, ritenute più idonee a sorreggere la motivazione un tipico apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, e quindi nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza peraltro essere tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva.
Invero, l’opzione tra i possibili risultati del compendio probatorio spetta, come valutazione di fatto, al giudice di merito, il quale non è neppure tenuto ad esternare nella motivazione la valutazione di tutti gli elementi che lo compongono (v. p. es. Cass. sez. 6-3, ord.
4 luglio 2017 n.16467, Cass. sez. 1, 23 maggio 2014 n. 11511, Cass. sez. L, 15 luglio 2009 n. 16499, Cass. sez. L, 7 gennaio 2009 n. 42, Cass. sez. 3, 16 gennaio 2007 n. 828, Cass. sez. 3, 24
maggio 2006 n. 12362, Cass. sez. L, 1 settembre 2003 n. 12747 e Cass. sez. 3, 11 agosto 2000 n. 10719). E sulla condivisibilità o meno delle valutazioni di fatto il giudice di legittimità non ha cognizione.
L’evidente natura fattuale delle valutazioni -tutte scevre, d’altronde, d i vizi logici che ne inficino la motivazione, bensì imperniate sulla identificazione di plurimi elementi di mero fatto via via presi in considerazione, e con meticoloso approfondimento sull’insussistenza di una preponderanza di attendibilità dell’una piuttosto che dell’altra tra le ipotesi ricostruttive sottrae quindi la conclusione della corte territoriale a qualsiasi censura nella presente sede di legittimità.
Il ricorso risulta pertanto inammissibile, le spese del giudizio di legittimità -liquidate come da dispositivo -seguendo la soccombenza, condannando a rifonderle in solido per il comune interesse i ricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rifondere al controricorrente le spese processuali, che liquida in complessivi Euro 8.500 oltre a Euro 200 per esborsi, nonché gli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei
ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza