Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8996 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8996 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
ORDINANZA
n. 14133/2019 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 19 settembre 2024
Oggetto: Contratto d’opera – Adempimento – Opposizione a decreto ingiuntivo.
sul ricorso (iscritto al n. 14133/2019 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALEc. di COGNOME RAGIONE_SOCIALE , con sede in Massa (MS), al INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore sig. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio de ll’ avv. NOME COGNOME che, congiuntamente e disgiuntamente all’avv. NOME COGNOME del foro di Massa e Carrara, rappresenta e difende la società stessa, giusta procura speciale allegata al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzi p.e.c. dei difensori:
‘ NOMEEMAIL ‘
e
‘ EMAIL ‘ );
-ricorrente –
contro
COMUNE DI LA SPEZIA , con sede in La Spezia, alla INDIRIZZO presso la Casa Comunale (Codice FiscaleCODICE_FISCALE, in persona del Sindaco e legale rappresentante pro tempore sig. NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che, congiuntamente agli avv. ti NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
dell’avvocatura dell’ente , rappresenta e difende la Pubblica Amministrazione locale stessa, giusta procura speciale allegata al controricorso (indirizzi p.e.c. dei difensori:
‘ EMAIL ,
‘ EMAIL ‘, ‘ EMAIL ‘, ‘ EMAIL ‘ e ‘ EMAIL ‘ );
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova n. 350/2019, pubblicata l’11 marzo 2019;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 19 settembre 2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse della ricorrente e del controricorrente (e ricorrente incidentale) , ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c..
FATTI DI CAUSA
1.- Il Comune di La Spezia, con atto di citazione notificato in data 6 aprile 2009, proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 45/2009 con cui il Tribunale di Massa aveva ingiunto a tale amministrazione locale di pagare, alla società RAGIONE_SOCIALE a titolo di corrispettivo del lavaggio di alcuni tendaggi, la somma di €. 2.811,64 (euro duemilaottocentoundici/64), oltre interessi e spese. L’opponente, ammessa la sussistenza del rapporto obbligatorio, eccepiva l’inesatto adempimento dell’opera e chiedeva di essere risarcito di danni quantificati complessivamente in €. 115.668,56 (euro centoquindicimilaseicentosessantotto/56), deducendo che, dopo la riconsegna da parte della società opposta, i tendaggi si erano presentati più corti di cinquanta centimetri ciascuno e più sottili.
In particolare, il Comune sosteneva che il titolare della RAGIONE_SOCIALE, in data 17 novembre 2007, aveva effettuato un sopralluogo asserendo che tutto il materiale era stato lavato a secco, circostanza contestata dall’ente locale per non avere la Lavanderia di non aver fornito la prova di aver impiegato tutta la possibile diligenza per evitare le alterazioni.
RAGIONE_SOCIALE costituitasi in giudizio, eccepiva l’infondatezza dell’opposizione; deduceva e documentava di essere
impresa artigiana iscritta all’Albo delle Imprese Artigiane di Massa Carrara; precisato, quindi, che quello concluso fra le parti era un contratto di prestazione d’opera, eccepiva la tardività dell’eccezione di inesatto adempimento e della richiesta di risarcimento danni proposte dall’opponente e la prescrizione dell’azione per i vizi dell’opera, oltre che la mancanza di prova del danno e, soprattutto, delle sue cause.
L’opposta deduceva, altresì, che l’opera commissionata era stata eseguita in conformità alle istruzioni impartite dal Teatro Civico del Comune di La Spezia con comunicazione del 28 luglio 2007. Poiché, dunque, il richiesto lavaggio a secco era stato eseguito secondo le regole della migliore tecnica ed esperienza, le alterazioni lamentate non erano attribuibili ad un comportamento inadempiente della lavanderia ma erano piuttosto conseguenza della composizione del tessuto, oltre che del degrado per vetustà dei tendaggi. Infine, per escludere qualsiasi profilo di responsabilità, la lavanderia richiamava il disposto della l. n. 84 del 2006, per la quale in materia di attività di lavanderia deve farsi « applicazione degli usi accertati e raccolti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ». Gli Usi della Provincia di Massa Carrara, nel testo della Raccolta approvata dalla Giunta Camerale con deliberazione n. 87 dell’11 ottobre 2007, definivano espressamente i limiti della responsabilità delle imprese di tinto-lavanderia, escludendola in relazione agli « articoli deteriorati dal sole, dalla polvere, dal fumo, ecc., come tende … », e ad « eventuali accorciamenti, pieghe, decolorazioni, deformazioni che si verificano … per la natura del tessuto o per difetto dell’oggetto ». Infine, con riferimento alla verifica dell’opera, prevedevano che « non sono ammessi reclami entro le quarantotto ore successive alla riconsegna … ed il reclamo non esonera dal pagamento del lavoro ».
In relazione alla domanda risarcitoria proposta dal Comune di La Spezia, la lavanderia eccepiva che, in violazione dell’art. 2226, ultimo comma, c.c. e dell’art. 1668 c.c. da questo richiamato, che consentiva di optare alternativamente fra riduzione del prezzo, eliminazione dei vizi a spese del prestatore d’opera e risoluzione del contratto, l’opponente aveva cumulato tutti detti rimedi predisposti dalla normativa codicistica così contraddicendo la ratio stessa dell’art. 1668 c.c. che, al fine di evitare un’illegittima duplicazione della tutela dei diritti del committente,
contempla le tre azioni in via alternativa tra loro. Con particolare riferimento alla domanda risarcitoria del complessivo importo di € 115.668,56 (euro centoquindicimilaseicentosessantotto/56), ne eccepiva l’assoluta sproporzione rispetto all’oggetto del contratto. La società opposta chiedeva quindi, in via preliminare, dichiararsi, ex art. 2226 c.c., l’intervenuta decadenza dalla garanzia per i vizi dell’opera, la prescrizione della relativa azione e conseguentemente confermarsi il decreto ingiuntivo opposto; nel merito, rigettarsi perché infondata l’opposizione al decreto ingiuntivo e confermarsi integralmente quest’ultimo , con condanna dell’opponente al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c. e con vittoria di spese.
Veniva ammessa ed esperita prova testimoniale, all’esito della quale era disposta consulenza tecnica d’ufficio, con l’incarico di accertare « se il riferito accorciamento del tessuto sia in nesso causale con eventuali errori di trattamento nel lavaggio effettuato dalla ditta RAGIONE_SOCIALE così come emergente dagli atti di causa e tenuto conto della composizione del tessuto e di eventuali additivi chimici ignifughi ». All’esito della consulenza ed a seguito di chiarimenti forniti verbalmente dal l’ausiliario, con la sentenza di primo grado, il Tribunale rigettava sia l’opposizione che le domande risarcitorie proposte da ambedue le parti e condannava l’opponente alle spese di lite e di consulenza tecnica d’ufficio.
2.- Avverso tale sentenza il Comune di La Spezia proponeva appello chiedendo l’accoglimento dell’opposizione con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto , nonché la condanna dell’appellata società RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni già quantificato nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado.
La società appellata resisteva chiedendo il rigetto dell’appello e di tutte le domande del Comune di La Spezia, con vittoria delle spese del grado.
Con sentenza n. 350/2019, pubblicata l’11 marzo 2019 , la Corte d ‘ Appello di Genova accoglieva l’impugnazione e, in parziale riforma della sentenza impugnata, revocava il decreto ingiuntivo opposto, confermandola nel resto e rigettando la domanda proposta dall’appellata ex art. 96 c.p.c. Compensava, inoltre, per metà le spese di lite del doppio grado del giudizio e condannava l ‘ appellata al pagamento della rimanente
metà, con spese della consulenza tecnica d’ufficio a carico di entrambe le parti in eguale misura.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava, per quanto di interesse in questa sede: a ) che doveva trovare applicazione l’art. 2226, comma 2, c.c., che prevede rispettivamente il termine di decadenza per la denuncia dei vizi (otto giorni dalla scoperta) e quello di prescrizione dell’azione (un anno dalla consegna), profilo che il Tribunale non aveva preso in esame; b) che i tendaggi erano stati consegnati al Comune il 15 novembre 2007 e che la prima lettera di contestazione era stata inviata solo il 19 dicembre 2008, quindi oltre il termine di otto giorni suindicato, essendo il difetto, consistente nell’accorciamento di ben 50 cm. sia del sipario che dei tendaggi, immediatamente percepibile; c) che, tuttavia, come chiarito dalla deposizione fornita dalla teste COGNOME, Direttrice del Teatro, il titolare della lavanderia aveva effettuato un sopralluogo per constatare i danni, così elidendo il pregiudizio derivante dalla mancata tempestiva denuncia dei vizi da parte del committente; d) che, dunque, la società opposta aveva tenuto una condotta costituente tacito riconoscimento di quei vizi; e) che era fondato il motivo di appello con riguardo alla responsabilità della RAGIONE_SOCIALE nell’esecuzione della prestazione posto che, pur prendendosi in considerazione il fatto che i tendaggi erano privi di etichettatura, non erano mai stati lavati ed erano vetusti, non v ‘era dubbio che proprio per questi motivi, la società odierna ricorrente avrebbe dovuto agire con maggiore cautela, informando il Comune dei rischi insiti nel lavaggio e nella successiva asciugatura, avendo il consulente d’ufficio individuato la causa dell’accorciamento nella mancata resistenza del tessuto alla fonte di calore, e provando detta procedura di pulitura ed asciugatura su un campione di tessuto; f) che infatti era da ritenersi a carico dell’esercente l’attività professionale l’ apprezzamento del rischio del servizio richiesto, nonché informarne il committente ed eseguire la prestazione che questi comunque avesse richiesto con l’adozione delle cautele necessarie, la cui adeguatezza doveva essere valutata alla stregua del criterio di diligenza qualificata posto che l’art. 1176, comma 2, c.c., costituisce regola di valutazione del comportamento del debitore; g) che tale principio è richiamato dalla stessa normativa citata dall’appellata (l. n. 84 del 2006 sulla responsabilità professionale della tinto-lavanderia), il cui
art. 9 fa salvo appunto l’uso della diligenza specifica ex art. 1176, comma 2, c.c.; h) che stante la gravità dell’inadempimento del prestatore d’opera, posto che i tendaggi ed in particolare il sipario, più corti di mezzo metro, erano praticamente inutilizzabili, nulla doveva essere riconosciuto all’appellata a titolo di corrispettivo con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto; i) che non poteva invece essere accolta la domanda proposta dall’appellante per il risarcimento dei danni non essendo stato articolato alcuno specifico motivo di impugnazione sul punto, essendo stato genericamente indicato nell’atto di appello il solo danno all’immagine delle proprie istituzioni culturali di cui comunque non era stata fornita prova; j) che nemmeno vi erano gli estremi per la condanna di parte appellante al risarcimento del danno ex art. 96, comma 1, c.p.c., così come richiesto dalla pubblica amministrazione locale appellante, in quanto una tale pronuncia richiede venga dedotta e dimostrata l’effettiva e concreta esistenza di un danno, in conseguenza del comportamento processuale dell’avversario, nonché la ricorrenza, in detto comportamento, del dolo o della colpa grave, cioè della consapevolezza o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle proprie tesi, ovvero del carattere irrituale o fraudolento dei mezzi adoperati per agire o resistere in giudizio.
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , la società RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
4.- Ha resistito, con controricorso, il Comune di La Spezia, proponendo altresì ricorso incidentale affidato a due motivi.
5.- Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, la ricorrente società denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., l’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di valutazione tra le parti, nonché il travisamento della consulenza tecnica d’ufficio formata dalla relazione del 14 aprile 2015 e dai chiarimenti forniti nel verbale d’udienza del 5 ottobre 2015 che, avendo individuato la causa dell’accorciamento dei tendaggi nella mancata resistenza del tessuto alla fonte di calore, ha escluso la
responsabilità della RAGIONE_SOCIALE riconoscendo che il lavaggio era stato effettuato secondo le istruzioni impartite dal cliente ed utilizzando la tecnica corretta.
Dopo aver premesso, infatti, come, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il mancato esame delle complete risultanze della consulenza tecnica d’ufficio integri un vizio della sentenza suscettibile di essere fatto valere ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), in termini di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sostiene che la Corte territoriale si sarebbe avvalsa del contributo conoscitivo apportato dagli accertamenti compiuti dal l’ausiliario, limitandosi a menzionare come questi abbia « individuato la causa dell’accorciamento nella mancata resistenza del tessuto alla fonte di calore ». Tale unico dato sarebbe stato utilizzato dalla Corte di merito per farne discendere ed affermare la responsabilità della Lavanderia, la quale, secondo la sentenza impugnata « avrebbe dovuto agire con maggiore cautela informando il Comune dei rischi insiti nel lavaggio e nella successiva asciugatura e provando detta procedura di pulitura ed asciugatura su un campione di tessuto. » (cfr., all’uopo, la sentenza impugnata, a pag. 5).
La Corte d’Appello avrebbe così del tutto omesso di riportare e considerare gli aspetti salienti delle valutazioni operate dal consulente e contenute sia nella relazione del 26 novembre 2012 che nei chiarimenti documentati dal verbale di udienza del 22 gennaio 2013, riportati testualmente alle pagg. 9 – 10 della comparsa conclusionale in appello dell’odierna ricorrente .
In particolare, la ricorrente deduce che, nella relazione l’ ausiliario (al quale era stato sottoposto il quesito « se il riferito accorciamento del tessuto sia in nesso causale con eventuali errori di trattamento del lavaggio effettuato dalla ditta lavanderia La Svizzera ») aveva risposto negativamente, affermando che « le operazioni di manutenzione sono solo il veicolo che ha posto in essere il problema riscontrato che va ricercato nella probabile non stabilizzazione delle fibre e/o del filato, prima della fase di tessitura e di confezione. ».
Inoltre, fornendo i chiarimenti richiesti all’udienza del 22 gennaio 2013, il consulente aveva evidenziato che: « L’accorciamento del tessuto
è avvenuto certamente non durante il lavaggio che viene fatto a freddo, mentre è certamente avvenuto durante l’asciugamento nella macchina del lavaggio che è a duplice funzione, oppure se hanno stirato i tendaggi, durante la fase di stiro. È stata sufficiente una fonte di calore tra i 60 e gli 80 gradi che sicuramente è stata necessaria per l’asciugatura. nel caso che ci occupa, trattandosi di peso e dimensioni notevoli, per l’asciugatura era necessaria una temperatura più alta, altrimenti non avviene l’evaporazione del solvente e i tessuti, ancora bagnati, non possono essere estratti dalla macchina perché cancerogeni. Preciso che un tessuto normalmente prodotto dovrebbe sopportare temperature anche di molto più elevate di 80 gradi. Nel caso di specie, trattandosi di acrilico ignifugo, avrebbe dovuto essere stabilizzato dal produttore a circa 150 gradi, operazione che certamente non era stata fatta in sede di produzione (le analisi parlano chiaro) altrimenti non si sarebbe verificato il restringimento. Aggiungo che si trattava di un filato che aveva almeno 20 anni ed inoltre che era privo di etichettatura sulla manutenzione e composizione del tessuto e di cui la RAGIONE_SOCIALE non ha potuto prendere visione. A mio avviso si tratta di difetto di produzione di cui la RAGIONE_SOCIALE non poteva avere conoscenza. ADR La prova al vapore libero ha dimostrato che il tessuto si restringe con una fonte di calore, in questo caso umida, mentre se fosse stato stabilizzato non si sarebbe ristretto. In ogni caso bastava una fonte di calore, sia umida che secca. ».
2.- La predetta censura è infondata.
Ed invero, dalla motivazione della sentenza impugnata può serenamente desumersi come la corte territoriale abbia senz’altro esaminato le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio , pervenendo tuttavia, in punto di responsabilità, a conclusione diverse rispetto a quelle adombrate dall’ausiliario . In particolare, a pag. 5 della predetta pronuncia, si legge testualmente « il motivo di appello è fondato con riguardo alla responsabilità della Lavanderia nell’esecuzione della prestazione posto che, pur prendendosi in considerazione il fatto che i tendaggi di cui si discute erano privi di etichettatura, non erano mai stati lavati ed erano vetusti, non vi è dubbio che proprio per questi motivi la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto agire con maggiore cautela, informando il Comune dei rischi insiti nel lavaggio e nella successiva asciugatura, avendo il C.T.U. individuato la
causa dell’accorciamento nella mancata resistenza del tessuto alla fonte di calore, e provando detta procedura di pulitura ed asciugatura su un campione di tessuto. ». In altri termini, la Corte di merito, pur concordando con l’ausiliario circa la causa prossima dell’accorciamento dei tendaggi, suscettibile di essere rinvenuta nella mancata resistenza dei tessuti alle fanti di calore, ha ritenuto di non poter escludere la responsabilità contrattuale dell’odierna ricorrente in ragione della condotta omissiva di cautela da quest’ultima tenuta e consistita nel non aver fornito, alla pubblica amministrazione locale committente, le informazioni necessarie a renderla edotta dei rischi correlati alle operazioni di lavaggio ed asciugatura dei tendaggi. Si è trattato, in altri termini di valutazioni di fatti in termini di qualificazioni eminentemente giuridiche che, come noto, esulano dalle funzioni proprie della consulenza tecnica d’ufficio e sono, invece, riservate, in via esclusiva, al giudice del merito (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. L, sentenza n. 1186 del 22 gennaio 2016, Rv. 638390-01, secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio è funzionale alla sola risoluzione di questioni di fatto che presuppongano cognizioni di ordine tecnico e non giuridico, sicché i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti, né, ove una tale inammissibile valutazione sia stata comunque effettuata, di essa si deve tenere conto, a meno che non venga vagliata criticamente e sottoposta al dibattito processuale delle parti).
In tal senso, dunque, la sentenza impugnata si sottrae senza dubbio alcuno alla censura prospettata dalla società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE con il primo motivo di ricorso.
3.- Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., l’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dalla esecuzione del lavaggio secondo le precise istruzioni fornite dal committente, di cui è prova documentale in atti.
Sostiene, al riguardo, di aver documentato di aver ricevuto dal committente la precisa richiesta che i tendaggi fossero sottoposti al lavaggio a secco e che, alla stregua degli accertamenti peritali, sarebbe
provato che essa ne abbia eseguito il lavaggio a secco secondo la migliore tecnica.
In particolare, la ricorrente deduce essere rimasto incontestato che il richiedente il lavaggio non avrebbe in alcun modo esplicitato la circostanza – nota al committente ma non dichiarata all’esecutore del servizio – che i vetusti tendaggi non fossero mai stati lavati. Si sarebbe trattato di una informazione significativa, in quanto solo in caso di primo lavaggio il tessuto potrebbe subire restringimenti. Tanto meno la ricorrente poteva, in base alla prospettazione sviluppata nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, ipotizzare il difetto di produzione del tessuto poi accertato dal consulente e costituito dalla non stabilizzazione delle fibre e/o del filato prima della fase di tessitura e confezione.
In altri termini, come la ricorrente aveva rappresentato nelle proprie difese conclusive in appello, in forza delle caratteristiche del tessuto non esisteva tecnica di lavaggio che non ne comportasse il restringimento: l’alternativa che si poneva era, dunque, fra il sottoporli a lavaggio o smaltirli come rifiuto, non potendosi mantenere in opera tendaggi impregnati della polvere di almeno quattro lustri.
Infine, in una situazione siffatta, non sarebbe stato possibile per la RAGIONE_SOCIALE operare come indicato dalla Corte territoriale, ossia « provando detta procedura di pulitura ed asciugatura su un campione di tessuto », giacché tale operazione avrebbe richiesto il taglio di una porzione del prezioso tendaggio e sarebbe stata, quindi, inattuabile.
4.- Anche tale censura è infondata.
Ed invero, essa non si confronta, in modo alcuno, con la motivazione della sentenza impugnata, secondo cui la responsabilità contrattuale della società ricorrente non è derivata da un errore commesso in fase di lavaggio o di asciugatura dei tendaggi, ma piuttosto dall’omissione di cautela consistita nel non aver fornito, alla pubblica amministrazione locale committente, tutte le informazioni valevoli a renderla edotta dei rischi potenzialmente suscettibili di derivare dalle operazioni di lavaggio ed asciugatura dei tendaggi. E ciò vieppiù in ragione del fatto che questi ultimi erano – come espressamente chiarito dalla Corte distrettuale e riconosciuto dalla stessa ricorrente – privi di etichettatura e vetusti, cosicché non vi erano elementi che potessero permettere di escludere il
rischio che il tessuto da cui essi erano composti subisse alterazioni per effetto delle attività di lavaggio e di asciugatura.
Deve infatti ritenersi che anche al contratto d’opera trovi applicazione il principio secondo cui il dovere di diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c., comporta, a carico dell’esercente l’attività , l’obbligo di apprezzare i rischi connessi alla prestazione richiesta ed informarne il committente (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 11382 del 31 luglio 2002, Rv. 556479-01, citata, del resto, dalla stessa sentenza impugnata e secondo cui « Compete all’esercente l’attività professionale della cui prestazione lo stesso sia richiesto, apprezzare il rischio del servizio domandatogli, informarne il committente ed eseguire la prestazione che questi comunque richieda con l’adozione delle cautele necessarie, la cui adeguatezza va valutata alla stregua del criterio della diligenza qualificata posto dall’art. 1176, secondo comma, cod. civ., costituente regola di valutazione del comportamento del debitore e, dunque, di apprezzamento dell’esattezza della prestazione dovuta ai fini di cui all’art. 1218 cod. civ. »).
Dalle considerazioni finora sviluppate deriva, dunque, l’infondatezza della censura sollevata con il secondo motivo di ricorso.
5.- Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto di cui all’art. 8 delle disposizioni preliminari sulla legge in generale e dalla l. n. 84 del 2006 in materia di attività professionale di tintolavanderia, vigente all’epoca del contratto fra le parti, il cui art. 3, lett. e), richiama gli usi negoziali accertati e raccolti dalle camere di commercio e nello specifico gli Usi della Provincia di Massa Carrara nel testo della Raccolta approvata dalla Giunta Camerale con deliberazione n. 87 dell’11 ottobre 2007 per il quinquennio 2007 – 2012.
In particolare, la ricorrente evidenzia come la disposizione normativa sopra menzionata reciti: « ferma restando l’applicazione degli usi accertati e raccolti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, con particolare riferimento agli usi negoziali o interpretativi. ».
Per effetto di tale richiamo ed a norma del disposto dell’art. 8 disp. prel. sulla legge in generale, in materia di attività professionale di tinto-
lavanderia occorrerebbe far riferimento, secondo la prospettazione della ricorrente, agli Usi della Provincia di Massa Carrara, nel testo della Raccolta approvata dalla Giunta Camerale con deliberazione n. 87 dell’11 ottobre 2007, « a valere dalla data di approvazione per il quinquennio 2007-2012 ».
In tale testo si trova regolata la responsabilità delle imprese di tintolavanderia; in particolare l’art. 129 (Responsabilità della ditta) dispone che: « La ditta si impegna di compiere le operazioni ad essa affidate a perfetta regola d’arte e con la massima cura, ma declina ogni responsabilità nei riguardi sia della pulitura che della riuscita dei lavori, quando si tratta di articoli deteriorati dal sole, dalla polvere, dal fumo, ecc., come tende, stoffe per arredamento, ecc., Le seterie caricate, le sete all’acetato, la seta artificiale, i cuoi, le stoffe, la fibra sintetica, si tingono, si puliscono, ecc. soltanto a rischio e pericolo del Cliente. … La ditta non risponde di eventuali accorciamenti, pieghe, decolorazioni, deformazioni che si verificano su oggetti tinti o lavati per la natura del tessuto o per difetto dell’oggetto o per vizi di confezione. »
La ricorrente, dunque, censura la sentenza impugnata, in quanto non avrebbe esaminato affatto la normativa citata, né avrebbe considerato le ipotesi di esclusione della responsabilità previste dalla legge con il richiamo agli usi, limitandosi a dichiarare che la fonte primaria farebbe salvo « l’uso della diligenza specifica ex art. 1176, 2, c.c. » (cfr., all’uopo, la pag. 5 della sentenza impugnata), così violando o comunque facendo falsa applicazione della normativa.
6.- Anche tale censura risulta destituita di fondamento, poiché non risulta confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata dalla lettura e disamina della quale – secondo quanto già sopra chiarito – può agevolmente desumersi come la responsabilità contrattuale della società ricorrente non è stata affermata, dalla Corte di merito, a seguito dell’accertamento di un errore concernente l’esecuzione della prestazione di lavaggio o di asciugatura dei tendaggi, ma piuttosto in ragione de ll’acclarata condotta omissiva consistita nel non aver fornito, alla pubblica amministrazione locale committente, tutte le informazioni valevoli a renderla edotta dei rischi suscettibili di derivare dalle operazioni di lavaggio ed asciugatura dei tendaggi.
Del resto, proprio dall’art. 129 degli Usi della Provincia di Massa Carrara, invocato dalla ricorrente a sostegno dei propri assunti (e il cui testo è stato sopra riportato) si desume come l’attività di lavaggio di articoli deteriorati dal sole, dalla polvere, dal fumo, ecc., come tende e stoffe per arredamento, fosse connotata da particolare rischio e come quest’ultimo risultasse agevolmente percepibile da parte della Lavanderia mediante l’utilizzo della diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c., trattandosi di tendaggi che – per stessa ammissione della ricorrente – si presentavano « impregnati della polvere di almeno quattro lustri » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, alla pag. 9, nella parte che richiama quanto evidenziato, dalla difesa dell’odierna ricorrente, alla pag. 10 della comparsa conclusionale depositata nel giudizio d’appello). Pertanto, a carico della sentenza impugnata, non può essere ascritta alcuna violazione e/o falsa applicazione degli usi sopra menzionati, non avendo tale pronuncia affermato la sussistenza di un’ipotesi di inesatto adempimento della ricorrente nella realizzazione delle operazioni di lavaggio ed asciugatura dei tendaggi in sé considerate – e con riguardo alle quali gli usi di cui si tratta contemplano, secondo la prospettazione della ricorrente, un ‘ esclusione da responsabilità – ma solo ed esclusivamente con riguardo all’omessa informazione dei rischi suscettibili di derivare da tali operazioni.
7.- In conclusione, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso principale deve essere respinto.
8.- Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Comune di La Spezia denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c.
Sostiene, al riguardo che la sentenza impugnata, dopo aver esaurientemente valutato i motivi di appello per i vizi, logici e giuridici, denunziati dal Comune in ordine alla statuizione del primo giudice sulla domanda principale del Comune, affermando l’esistenza di un inadempimento della lavanderia e conseguentemente riformando il capo della sentenza impugnata che aveva rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo, avrebbe poi « inspiegabilmente » ritenuto che le critiche esposte dall’appellante in merito al mancato riconoscimento dell’inadempimento della lavanderia in primo grado, non fossero sufficienti, una volta accolte,
a fondare, conseguentemente, la richiesta di risarcimento dell’Amministrazione.
Invero il Comune di La Spezia evidenzia che, nel proprio atto d ‘ appello, dopo aver denunziato i vizi della sentenza di primo grado che avevano impedito di riconoscere l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, aveva chiesto sia l’annullamento del decreto ingiuntivo opposto che – sulla base dell’accertato inadempimento – la condanna della società appellata al risarcimento del danno come già quantificato nel precedente grado di giudizio.
La Corte di merito avrebbe dunque ritenuto che tutte le censure del provvedimento impugnato relative al mancato accertamento dell’inadempimento della società incaricata (che pure l’avevano condotta alla revoca del decreto ingiuntivo opposto) non potessero essere utilizzate per affermare la conseguente responsabilità della RAGIONE_SOCIALE per i danni cagionati da tale inadempimento. Ciò, in quanto tali censure avrebbero dovuto esser riprese dal Comune per formulare ulteriori (ma identici) motivi di doglianza nei confronti del capo della sentenza del Tribunale di Massa che aveva respinto la domanda (riconvenzionale) di risarcimento.
Invero tale decisione contraddirebbe l ‘art. 342 c.p.c. che non pone alcun altro onere all’appellante – anche successivamente alla riforma del 2012 – se non quello di indicare « le parti del provvedimento che si intende appellare e le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado nonché l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. ».
Con il proprio atto d’appello, infatti, il Comune di La Spezia, secondo la prospettazione contenuta nel ricorso incidentale, avrebbe esaustivamente indicato le parti del provvedimento che intendeva fossero riformate con riguardo sia alla statuizione circa l’inadempimento dell ‘impresa incaricata sia, conseguentemente, a quella concernente l’ obbligo di risarcimento del danno patito dalla pubblica amministrazione locale committente. Né altro onere di puntualizzazione o esplicitazione ricorreva nel caso concreto, avendo la sentenza di primo grado fatto evidentemente e, a suo modo, logicamente discendere il rigetto della domanda risarcitoria (riconvenzionale) del Comune dal pregiudiziale rigetto della domanda di revoca del decreto ingiuntivo opposto sulla base
di un inadempimento che il tribunale aveva ritenuto erroneamente insussistente, senza fornire – ragionevolmente – motivazioni ulteriori rispetto a quelle che avevano condotto al rigetto dell’opposizione pura e semplice. Conseguente a ciò sarebbe la circostanza che l’appello del Comune si è esplicato nella puntuale denuncia dei vizi della prima pronuncia relativi alla pretesa insussistenza di un inadempimento da parte della società odierna ricorrente, poiché il riconoscimento della fondatezza di tali motivi di appello avrebbe, per necessaria conseguenza, il riconoscimento dell’inadempimento della lavanderia, e ciò sarebbe sufficiente a far derivare sul piano logico e giuridico la condanna della società al risarcimento del danno, senza necessità di ulteriori argomentazioni logico-giuridiche.
9.- Con il secondo motivo del ricorso incidentale, il Comune di La Spezia denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., in relazione agli artt. 132, comma 1, n. 4) e 112 c.p.c., « l’inosservanza dell’obbligo di motivazione, integrante violazione della legge processuale, con riferimento all’accertata responsabilità della società incaricata ex artt. 1218 e 1223 c.c.. ».
In particolare, il Comune di La Spezia deduce che il capo della sentenza impugnata oggetto del ricorso incidentale esporrebbe una motivazione meramente apparente, dal momento che le ragioni della decisione in ordine al rigetto della domanda riconvenzionale del Comune si estrinsecherebbero in argomentazioni logicamente e giuridicamente inconciliabili con altro capo della sentenza in modo tale da porre nel nulla l ‘ affermata responsabilità per inadempimento e rendere insussistente la motivazione stessa.
Pur formalmente esistente, quindi, la motivazione su tale capo sarebbe obbiettivamente contraddittoria con altro capo della sentenza ed inidonea a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, avendo inspiegabilmente omesso di trarre le necessarie conseguenze dall’accertato inadempimento di parte appellata, che avrebbe invece logicamente dovuto condurre alla statuizione sulla responsabilità della medesima.
10.Anche tali censure, senz’altro suscettibili di disamina congiunta, sono infondate e non meritevoli di accoglimento.
Ed invero, con la sentenza appellata, la Corte di merito ha ben chiarito – sia pure con motivazione sintetica – che, nell’atto di appello, la Pubblica Amministrazione locale committente aveva circoscritto il pregiudizio subito per effetto della responsabilità contrattuale della lavanderia, al solo danno all’immagine relativa alle proprie istituzioni culturali di cui, tuttavia, alcuna prova era stata fornita.
In tal modo, dunque, la sentenza impugnata si sottrae senz’altro sia alla censura secondo cui il riconoscimento dell’inadempimento della lavanderia sarebbe sufficiente a far derivare sul piano logico e giuridico la condanna della società al risarcimento del danno, senza necessità di ulteriori argomentazioni logico-giuridiche, sia a quella secondo la quale le ragioni della decisione in ordine al rigetto della domanda riconvenzionale del Comune si estrinsecherebbero in argomentazioni logicamente e giuridicamente inconciliabili con altro capo della sentenza in modo tale da porre nel nulla l ‘ affermata responsabilità per inadempimento e rendere insussistente la motivazione stessa.
Al riguardo, deve, infatti, rammentarsi come questa Corte regolatrice abbia più volte chiarito che « In materia di responsabilità civile, anche nei confronti delle persone giuridiche ed in genere degli enti collettivi è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, da identificare con qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione – compatibile con l’assenza di fisicità del titolare – di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine, il cui pregiudizio, non costituendo un mero danno-evento, e cioè “in re ipsa”, deve essere oggetto di allegazione e di prova, anche tramite presunzioni semplici. » (Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 20643 del 13 ottobre 2016, Rv. 642923-02).
Alla stregua di tale principio in punto di onere probatorio, affermato con riguardo alla responsabilità di tipo aquiliano ma senz’altro suscettibile di estendersi anche a quella di tipo contrattuale ( com’è possibile argomentare da Cass. civ., Sez. 1, sentenza n. 17441 del 31 agosto 2016, Rv. 641164-01), può, dunque, escludersi l’esistenza dell’ automatismo tra inadempimento contrattuale (o inesatto adempimento) e danno, preteso dal ricorrente incidentale e della conseguente inconciliabilità tra l’affermazione della responsabilità contrattuale della società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE e quella dell’assenza di prova de l danno all’immagine asseritamente subito dal Comune di La Spezia , non senza considerare, peraltro, che in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante -costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C., cosicché, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito, restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 37382 del 21 dicembre 2022, Rv. 666679-05).
Del resto, come chiarito sempre da questa Corte regolatrice, « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. » [Cass., Sez. 1, ordinanza n. 7090 del 3 marzo 2022, Rv. 664120-01; cfr., altresì, in senso sostanzialmente conforme Cass., Sez. 6-3, ordinanza n. 22598 del 25 settembre 2018, Rv. 65088001, secondo cui « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti
giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. »].
In particolare, giova rammentare che questa Corte, a sezioni unite, ha precisato che, dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., operata dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01).
Nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale – in termini di affermazioni inconciliabili, come dedotte nel ricorso incidentale – non esiste, perché, alla stregua delle considerazioni già sopra sviluppate, deve ritenersi che la Corte d’Appello abbia congruamente motivato in relazione alle ragioni per le quali ha ritenuto infondata la domanda di risarcimento del danno all’immagine proposta dal Comune di La Spezia, odierno ricorrente incidentale , ponendo in rilievo l’assenza di elementi di prova valevoli a dimostrare l’esistenza di tale pregiudizio , pur in presenza di un inesatto adempimento contrattuale della società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, per inosservanza della diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c., in relazione all’obbligo di
informare la Pubblica Amministrazione locale committente circa i rischi insiti nelle operazioni di lavaggio e asciugatura dei tendaggi.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, anche il ricorso incidentale deve essere senz’altro rigettato.
11.- La reciproca soccombenza delle parti costituisce, ex art. 92, comma 2, c.p.c., motivo idoneo a giustificare l’integrale compensazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità.
12.- Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte sia della ricorrente principale che del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ciascuna impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; dichiara interamente compensate, tra le parti, le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, rispettivamente, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione