Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1033 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1033 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24916/2022 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in Aosta regione INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO NOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 265/2022 depositata il 09/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il il 9 ottobre 2022, illustrato da memoria, NOME COGNOME ricorre per cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino del 9/3/2022 confermativa della ordinanza ex 702 bis c.p.c. , pronunciata in un giudizio avviato da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della ricorrente. Quest’ultima ha notificato controricorso, illustrato da successiva memoria.
La società RAGIONE_SOCIALE in persona dei soci amministratori, adiva il Tribunale di Torino convenendo in giudizio l’Avv. NOME COGNOME al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di inadempimento colpevole di tutti i mandati professionali (stragiudiziali e giudiziali) conferiti al suddetto difensore in relazione alle controversie intercorse con COGNOME NOME, nonché al fine di fare accertare e dichiarare la congruità dei compensi dalla società ricorrente versati per l’assistenza stragiudiziale relativa alla pratica GP Piola / Cozoserno. Costituitasi la convenuta, il Tribunale, in accoglimento della domanda, risolveva per inadempimento imputabile all’avv. NOME COGNOME i mandati professionali conferiti per il precetto e il giudizio di opposizione a precetto (RG 28185/2014), la procedura di esecuzione immobiliare e opposizione (RG 2114/2014), la fase di reclamo (RG 5624/2015) e per l’effetto accertava che nulla è dovuto a titolo di compensi professionali da parte della attrice.
Proposto appello da parte della odierna ricorrente avverso la ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., ne veniva chiesta la parziale riforma esclusivamente per i punti relativi all’accertamento della
responsabilità professionale e la condanna al risarcimento del danno per l’attività svolta in esecuzione di mandati professionali conferiti dalla RAGIONE_SOCIALE Veniva dedotto dall’appellante, in fatto, l’errata ricostruzione operata dal Giudice di primo grado dell’attività professionale svolta per l’intimazione dell’atto di precetto, avendo egli omesso di valutare alcune circostanze di particolare rilevanza e precisamente che: A) le contestazioni all’atto di precetto contenute nella lettera 23.9.2014 attengono al fatto che la RAGIONE_SOCIALE che rilasciato la polizza fideiussoria risultava cancellata in data 15/09/2014; siffatta circostanza non escludeva, di per sé, la validità della fideiussione che era stata concessa dalla medesima in data anteriore alla cancellazione e cioè il 10/09/2014 e sulla base del quale era stata concessa la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo. Ed in effetti lo stesso legale di controparte con la precitata lettera non aveva eccepito l’invalidità della fideiussione, lamentando esclusivamente una mancanza di serietà della Banca che rilasciava fideiussioni soltanto cinque giorni prima della cancellazione; B) Le contestazioni di cui alla lettera dell’Avv. COGNOME ( della controparte che si opponeva al precetto il cui titolo faceva riferimento alla predetta fideiussione) del 23/09/2014 non erano, dunque, così puntuali e specifiche, come ritenuto dal Tribunale, ma andavano esaminate ed approfondite; C) l’Avv. COGNOME aveva, quindi, informato i clienti degli esiti della ricerca dottrinale e giurisprudenziale sul punto illustrando le suddette ragioni degne di considerazione (fermo rimanendo quel margine di aleatorietà peraltro esistente in tutte le vertenze); D)Il Tribunale di Torino ha ritenuto ‘tout court’ invalida la fideiussione senza che vi fosse stato un previo accertamento giudiziale in proposito.
In diritto, l’appellante deduceva l’omessa valutazione del contegno delle parti nel processo di primo grado e l’errata applicazione dell’art. 116 2° co. c.p.c. nell’assumere che la fideiussione fosse invalida, posto che all’epoca la società stipulante la cauzione risultava solo cancellata; censurava quindi la sentenza di prime cure per avere, di conseguenza, ritenuto imprudente l’intimazione del precetto e la notifica del pegno immobiliare che era stata richiesta e fermamente voluta dai clienti per garantire il proprio credito. Quanto ai rapporti intrattenuti con la cliente evidenziava che aveva adempiuto al dovere di consiglio e che in atti vi fosse prova dell’accettazione e apprezzamento della prestazione professionale, valevole come confessione, e ciò a dimostrazione dell’adempimento del mandato professionale
La Corte di merito rigettava l’appello, confermando la sentenza di primo grado, assumendo che l’avvocato procedente non avesse -negligentemente- tenuto conto della invalidità della cauzione prestata per essere stata emessa da una società non abilitata a stipularla, per quanto effettivamente cancellata; assumeva che la missiva di apprezzamento dell’opera svolta dall’avvocato non potesse valere come confessione di un fatto, avendo carattere valutativo, né come accettazione dell’opera professionale, confermando la sentenza del giudice di prime cure.
Motivi della decisione
Il ricorso è affidato a quattro motivi di seguito partitamente considerati.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘omessa valutazione unitaria dei fatti dedotti ed accertati in giudizio -omesso esame di circostanze rilevanti -esclusione di responsabilita’ nella redazione dell’atto di precetto –
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 1° comma c.p.c. in relazione all’art. 360 1° comma n. 3 c.p.c.’ La ricorrente censura la sentenza oggetto di gravame ove a pag. 31 testualmente dispone:’ Partendo dalla constatazione che il primo Giudice abbia, con ampia, convincente e condivisibile motivazione, ritenuto sussistere inadempimento della legale in relazione alle sole attività di assistenza della cliente successive alla presentazione della cauzione e, segnatamente, della coltivazione del procedimento esecutivo, nei termini già esposti precedentemente, questa Corte ritiene che le argomentazioni dell’Avv. COGNOME non colgano nel segno, laddove paiono indirizzate a ridurre il proprio ruolo di avvocato difensore della parte a quello di una sorta di ‘nudus minister’ esecutore della volontà della cliente che, in tesi, per il solo fatto che in allora aveva anche manifestato elogi o approvato talune scelte della propria legale, diverrebbe esclusiva responsabile della fallimentare sequela di azioni conseguenti alla prestazione della cauzione invalida ‘. La ricorrente assume che il capo/punto della sentenza conterrebbe una serie di affermazioni spesso senza alcun riferimento ai fatti di causa, riportando fatti non correttamente ricostruiti o erroneamente interpretati dai giudici di merito.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. Osserva preliminarmente questo Collegio, prima di affrontare i fatti oggetto di discussione in tesi omessi, ed aventi rilevanza ai fini decisori, che il motivo è inammissibile per come formulato. Difatti con tale mezzo la ricorrente contesta l’esito di un’attività di valutazione dei fatti di causa che ha condotto i giudici di merito ad affermare la negligenza dell’avvocato nei procedimenti seguiti (quale quella di non avere valutato la invalidità della cauzione azionata in via
esecutiva nei confronti della controparte che si è opposta all’esecuzione), e comunque denuncia una serie di omissioni di fatti e circostanze, per indurre la Corte a riesaminare la tenuta della motivazione resa sotto il profilo della sua interna logicità e completezza. Tuttavia la possibilità di scrutinio della motivazione della sentenza sotto il profilo del vizio di motivazione di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. risiede nella assenza di una ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere nella specie non assolto -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 8/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. 28/02/2023, n. 5947).
1.3. Sotto il profilo della denunciata violazione della norma di cui all’art. 116 c.p.c. , inoltre, va rammentato che il sindacato di questa Corte sull’attività valutativa delle prove svolta dal giudice del merito è configurabile, invece, solo nei casi in cui si applichi il libero apprezzamento in riferimento a una prova che per legge sia vincolata a determinati criteri di valutazione, ovvero si dichiari di applicare un parametro legale ad una prova invece liberamente apprezzabile, non potendo comportare una diversa valutazione della prova da parte del giudice di legittimità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016)’
Con il secondo motivo la ricorrente deduce tali punti di censura: ‘ la responsabilita’ professionale esclusione -la confessione della cliente -omesso esame di un fatto decisivo -violazione e/o errata applicazione degli artt. 2730 – 2732 c.c. in relazione all’art. 360 1° comma n. 3 c.p.c.’
2.1. Il motivo inerisce alla motivazione con cui la sentenza impugnata, in riferimento alle dichiarazioni di apprezzamento per il lavoro dell’avvocato, ha indicato che ‘ Innanzitutto, va chiarito che non è pertinente la giurisprudenza in tema di confessione (stragiudiziale) che riguarda il riconoscimento di fatti e non certo l’espressione di apprezzamenti e valutazioni… ‘ Deduce che, al contrario, la società RAGIONE_SOCIALE aveva reso dichiarazioni di natura confessoria manifestando di aver accettato l’attività svolta dal professionista, di averne condiviso i risultati e di essere riconoscente proprio per i risultati conseguiti. Per valutare il contenuto oggettivo il giudice avrebbe dovuto fare riferimento alle norme sull’interpretazione dei contratti, ed in particolare alla regola contenuta nell’art. 1362 c.c. che al 2° comma indica, quale parametro, il comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto. Il capo sopra trascritto sub 1) della sentenza qui impugnata viene censurato per una serie di motivi qui brevemente riassunti:
il primo motivo attiene alla omessa valutazione di tutta una serie di circostanze (accertate dal Giudice e documentalmente provate) rilevanti: da ciò è derivata una errata valutazione delle prove senza quel prudente apprezzamento richiesto dall’art. 116 c.p.c.;
Il secondo motivo attiene all’omesso esame di fatti che hanno tutti il carattere della decisività: in particolare l’accettazione della scelta (notificare l’atto di precetto) e del risultato conseguito (bloccare il bene immobile mediante pignoramento e trascrizione al fine di garantire il credito);
Il terzo motivo attiene alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2730 -2732 c.c circa gli effetti della confessione stragiudiziale.
2.2. La sentenza della Corte d’Appello viene quindi censurata nella parte in cui attribuisce al comportamento di natura confessoria sopra decritto una semplice manifestazione di elogi o di approvazione di talune scelte del legale. Il motivo è inammissibile non solo per le ragioni già sopra esposte di incensurabilità della valutazione di fatti e prove, ma soprattutto perché non critica adeguatamente la ratio decidendi, là dove la sentenza impugnata ha negato ogni valore confessorio alle affermazioni o apprezzamenti di tipo valutativo espressi dalla cliente sulla attività svolta dalla legale nelle missive considerate, sull’assunto che un tale valore può assumersi solo allorché le dichiarazioni di parte abbiano ad oggetto fatti o accadimenti a sé “sfavorevoli”. Sicché, non apparendo i motivi correlati ad essa impingono nella ragione di inammissibilità espressa dal principio di diritto recentemente rinverdito da Cass. SU n. 7074 del 2017, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ..
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia l’ omesso esame di circostanze rilevanti ai fini della sua esclusione della sua responsabilità professionale, quali l’accettazione da parte del cliente dell’ attività svolta dalla professionista e la violazione dell’art. 2226 c.c. in relazione all’art. 360 1° comma n. 3 c.p.c. Deduce che se gli errori come sopra evidenziati non fossero già sufficienti per cassare la sentenza qui impugnata, è tuttavia doveroso censurare il seguente capo/punto della sentenza : ‘ Dimentica, in realtà, l’appellante che, per costante orientamento giurisprudenziale, l’obbligo di diligenza da osservare da parte del legale ai sensi del combinato disposto degli art. 1176 comma 2 c.c. e 2236 c.c. impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato sia successivamente nello svolgimento del rapporto, anche ‘ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole’, con onere della prova a suo carico (crf. ex multis, Cass. Civ. Sez. VI -2 Ord. 17.11.2021 n34993)’.
3.1. Deduce, in particolare, la ricorrente che ‘l’ordinanza n. 34993 del 17.11.2021’ di primo grado che riporta i doveri dell’avvocato non sarebbe pertinente in quanto se la Corte d’Appello avesse effettuato la valutazione delle prove con prudente apprezzamento (come richiesto dall’art. 116 c.p.c.) avrebbe rilevato che tali doveri erano stati tutti rigorosamente osservati.
3.2. Il motivo è assorbito da quanto sopra osservato in riferimento al secondo e terzo motivo e, comunque, si
prospetta con un motivo non incentrato sulla denunciata violazione di diritto, e dunque inammissibile.
3.3. Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, 1° comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., Sez un., 05/05/2006, n. 10313), giacché non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 -2729 c.c. in relazione all’art. 360 1° comma n. 3 c.p.c.’ . La sentenza in esame è censurata dove afferma: ‘ A tale onere non ha sufficientemente assolto l’Avv. COGNOME che anzi ammette di non avere nemmeno tentato di dissuadere la cliente dall’intraprendere e coltivare la fase esecutiva e di avere al contrario perorato, così come persiste a fare in questo giudizio, la tesi (palesemente erronea) della risolvibilità delle oggettive ed evidenti criticità della cauzione prestata, sulla scorta del richiamo alla giurisprudenza in tema di
inopponibilità ai terzi in buona fede delle limitazioni dei poteri degli amministratori delle società che risultino dallo statuto o da una decisione degli organi competenti, anche se pubblicate (art. 2384 c.c.), senza avvedersi che tale tematica esula completamente dal thema dedidendum demandato ai giudici competenti in materia di opposizione al precetto e opposizione all’esecuzione, per i quali non poteva che rilevare il profilo della oggettiva inidoneità della garanzia prestata a favore del creditore a sostegno della richiesta di provvisoria esecutorietà del titolo (decreto ingiuntivo), ed a tutela delle debitrice COGNOME, che costituiva la condizione a cui era subordinata la concessione dell’esecutività, venuta meno la quale, tale attribuzione non poteva che essere caducata ‘. Con tale mezzo la ricorrente denuncia che le norme giuridiche sono soggette ad interpretazione e che, nonostante i canoni fissati dalla preleggi, si possono avere interpretazioni diametralmente opposte ma in ogni caso degne di considerazione : nel caso in esame, dunque, diverse erano le argomentazioni a sostegno della validità della fideiussione benché emessa da un istituto non ritenuto idoneo e precisamente: a) il contenuto della fideiussione corrispondeva integralmente a quanto disposto dal Giudice che, sulla base di essa, aveva concesso la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo: ed è proprio lo stesso Giudice che dopo aver verificato la sussistenza nella fideiussione di tutti i requisiti richiesti ha concesso la provvisoria esecutorietà; b) la società che ha concesso la fideiussione (scelta da un broker competente nella materia) operava già da tempo nel campo delle fideiussioni ed era riconosciuta da tempo come soggetto idoneo; c) la società che ha emesso la fideiussione è stata cancellata dall’Albo successivamente, a seguito di richiesta presentata dalla società medesima.
4.1. Osserva la Corte che la censura è inammissibile sotto il profilo dell’art. 366 numero 4 cod.proc.civ. poiché la sua illustrazione evidenzia come tenda a contrapporre argomentazioni difensive già valutate ma non considerate rilevanti ai fini del decidere, e non a indicare in quali termini sia stata male applicata la norma in tema di ragionamento presuntivo, per quanto detto sopra relativamente al precedente motivo in relazione alla dedotta violazioni in iure .
Conclusivamente il ricorso è inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese , che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente. Ricorrono i presupposti per condannare la ricorrente ex art. 96, co. 3, c.p.c., rilevato il carattere pretestuoso e inconferente delle censure.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente alle spese , liquidate in € 3.000,00, oltre € 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge e in € 3.000,00 ex art. 96, co. 3, c.p.c., oltre alla sanzione di € 1000,00 a favore della Cassa Ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del/la ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 22/11/2024.