Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3775 Anno 2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3775 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
composta dai signori magistrati:
Oggetto:
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente
RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE AVVOCATI
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere relatore
Ad. 15/01/2024 C.C.
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
R.G. n. 6953/2021
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sui ricorsi iscritti al numero NUMERO_DOCUMENTO del ruolo generale dell’anno 2021, proposti
da
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
AVV_NOTAIO costituito personalmente in giudizio, ai sensi dell’art. 86 c.p.c.
-ricorrente principale-
e da
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
AVV_NOTAIO costituito personalmente in giudizio, ai sensi dell’art. 86 c.p.c., altresì rappresentato e difeso, giusta procura deposi- tata in atti, dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO (C.F.: CODICE_FISCALE)
-ricorrente successivo (incidentale)-
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
nei confronti di
RAGGIO NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentati e difesi, giusta procura allegata al controricorso, dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Cagliari
-Sezione distaccata di Sassari n. 412/2020, pubblicata in data
23 dicembre 2020 (che si assume notificata in data 28 dicembre 2020);
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 15 gennaio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
NOME COGNOME, nonché NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, hanno agito in giudizio nei confronti degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, per ottenere la restituzione di alcune somme di danaro (con i relativi accessori), che assumono da questi ultimi indebitamente trattenute sugli importi versati in loro favore da terzi, all’esito di un giudizio risarcitorio oggetto di incarico professionale di patrocinio conferito ai convenuti.
La domanda è stata parzialmente accolta dal Tribunale di Nuoro, che ha condannato i convenuti, in solido, a pagare agli attori la somma di € 119.298,07, oltre accessori, quale quota del corrispettivo professionale indebitamente percepito, nonché il solo COGNOME a restituire, in favore dei medesimi attori, le ulteriori somme di € 200.000,00 e di € 1.461,54, oltre accessori, indebitamente trattenute sugli importi versati dai terzi, a seguito della sentenza di primo grado oggetto dell’incarico di patrocinio.
La Corte d’a ppello di Cagliari -Sezione distaccata di Sassari ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre la COGNOME, in via principale, sulla base di quattro motivi. Ricorre altresì il COGNOME, con successivo autonomo ricorso (da qualificarsi come ricorso incidentale), sulla base di due motivi. Resistono ai due ricorsi, con due distinti controricorsi, la COGNOME e i COGNOME.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Va, in primo luogo, esaminata l’eccezione dei controricorrenti, di improcedibilità del ricorso della AVV_NOTAIO per omessa produzione della relazione di notificazione della sentenza impugnata (cfr. paragrafo 1 del controricorso; pag. 5), ai sensi dell’art. 369 c.p.c..
A tale eccezione la Corte ritiene non potersi dare seguito. La sentenza impugnata è stata pubblicata il 23 dicembre 2020. Nello stesso ricorso, la ricorrente principale (COGNOME) afferma che tale sentenza le è stata notificata in data 28 dicembre 2020. Il ricorso della COGNOME è stato notificato mercoledì 24 febbraio 2021 (sia ai COGNOME–COGNOME che al COGNOME), quindi oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione, ma entro i sessanta giorni dalla data della deAVV_NOTAIOa notificazione, di tale sentenza.
La COGNOME ha fatto presente di aver depositato la copia della sentenza notificata « all’atto del deposito del ricorso e degli allegati ex art. 369 Cpc (deposito avvenuto con plico raccomandato spedito il 16/03/2021, ex art. 134, disp. att. Cpc) », come risultante dal « frontespizio del fascicolo di parte contenente l’Indice delle produzioni di parte ricorrente nonché i documenti informatici trasmessi via Pec il 9/11/2023 »
Effettivamente, in base all’esame del fascicolo di ufficio cartaceo, risulta proAVV_NOTAIOa una copia della sentenza impugnata, denominata ‘ copia notificata ‘ , che reca un timbro del 19 marzo 2021 e alla quale è allegata la copia della relazione di notificazione, nonché del relativo messaggio di P.E.C..
I controricorrenti, nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c., insistono nel sostenere il « mancato tempestivo deposito della prova della notifica della sentenza impugnata, secondo le modalità di legge (deposito ‘tradizionale’ della copia cartacea del messaggio p.e.c. di notifica e di tutti i suoi allegati,
munita di attestazione di conformità, oppure deposito telematico del relativo file in formato .eml) ».
Non vi è però, a giudizio della Corte, alcuna prova che la ‘ copia notificata ‘ della sentenza impugnata, corredata di relazione di notificazione e di copia del messaggio P.E.C. di tale notificazione (ricevuto in data 28 dicembre 2020), contenuta nel fascicolo di parte cartaceo, non fosse presente in detto fascicolo al momento del deposito del ricorso (avvenuto a mezzo posta e ricevuto il 19 marzo 2021, come da attestazione di Cancelleria).
Dunque, il ricorso principale, proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, deve essere esaminato nel merito.
Sempre in via pregiudiziale, va, invece, rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto dal COGNOME.
Il ricorso di quest’ultimo è stato notificato lunedì 21 giugno 2021, quindi nei sei mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata.
Poiché, però, il COGNOME aveva ricevuto la notificazione del ricorso principale della COGNOME in data 24 febbraio 2021, egli aveva l’onere di proporre il suo ricorso in via incidentale, entro il termine di cui all’art. 370 c.p.c., ai sensi dell’art. 371 c.p.c. (nella formulazione all’epoca vigente), cioè nei quaranta giorni dal 24 febbraio 2021 , in quanto, secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, « il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni -venti più venti -risultante dal combinato
disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini, l’abbreviato e l’ordinario, di impugnazione in astratto operativi; tale principio non trova deroghe riguardo all’impugnazione di tipo adesivo che venga proposta dal litisconsorte dell’im pugnante principale e persegue il medesimo intento di rimuovere il capo della sentenza sfavorevole ad entrambi, né nell’ipotesi in cui si intenda proporre impugnazione contro una parte non impugnante o avverso capi della sentenza diversi da quelli oggetto della già proposta impugnazione » (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 36057 del 23/11/2021, Rv. 663183 -01; Sez. 2, Sentenza n. 448 del 14/01/2020, Rv. 656830 -01; Sez. 3, Sentenza n. 2516 del 09/02/2016, Rv. 638617 -01; Sez. L, Sentenza n. 5695 del 20/03/2015, Rv. 634799 – 01)
Il ricorso del COGNOME è, pertanto, irrimediabilmente tardivo e, come tale, inammissibile, anche a prescindere dalla sorte del ricorso principale.
Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia « Nullità della sentenza per motivazione meramente apparente e comunque al di sotto del cd ‘minimo costituzionale’, in violazione degli artt. 132, co. I, n.4 c.p.c., 156, co. II, c.p.c. e 111, co. II e VI Cost. in relazione all’ art. 360, n.4, c.p.c. ».
La ricorrente « segnala il macroscopico disorientamento dei Giudici del primo e secondo grado laddove dichiarano l’esistenza di un contratto di patrocinio tra le parti in causa senza, tuttavia, argomentare sul punto ».
Con il secondo motivo si denunzia « Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’ art. 360, numeri 3 e 4, c.p.c. ».
La ricorrente deduce che « alla luce di quanto argomentato nel punto precedente, emerge altresì l’illegittimità della sentenza oggi impugnata per omesso e/o insufficiente e/o apparente esame di documenti fondamentali ritualmente proAVV_NOTAIOi in
giudizio (Cassazione 29.04.1993, n. 5077; 18.02.1995, n. 1791) e della prova testimoniale espletata ».
I primi due motivi del ricorso principale hanno entrambi ad oggetto la medesima questione, cioè la sussistenza di un diretto rapporto contrattuale professionale di patrocinio anche con la AVV_NOTAIO, oltre che con il COGNOME: ne è, pertanto, possibile l’esame congiunto.
Tali motivi sono in parte inammissibili ed in parte manifestamente infondati.
3.1 Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, sulla questione di fatto in contestazione, la sentenza impugnata contiene una motivazione ampia e del tutto adeguata (che si sviluppa da pag. 6 a pag. 9 del provvedimento): la corte d’appello ha preso in considerazione in modo esaustivo e specifico tutte le ragioni poste dal giudice di primo grado a fondamento della sua decisione (di pieno riconoscimento del rapporto contrattuale diretto negato dalla AVV_NOTAIO), nonché tutte le censure formulate con l’appello dalle parti soccombenti, e ha giudicato queste ultime infondate, sulla base di argomentazioni del tutto condivisibili, sia in fatto che in diritto.
In particolare, la corte territoriale, in diritto, ha richiamato l’indirizzo di questa Corte secondo il quale la procura alle liti (nella specie pacificamente conferita anche alla AVV_NOTAIO) è, di per sé, un indice presuntivo della sussistenza tra le parti dell’autonomo rapporto di patrocinio (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 6905 del 11/03/2019, Rv. 652939 -01; Sez. 2, Sentenza n. 26060 del 20/11/2013, Rv. 628919 -01; Sez. 2, Sentenza n. 24010 del 27/12/2004, Rv. 578511 – 01) e ha affermato che, nella specie, era condivisibile la valutazione del giudice di primo grado, il quale aveva ritenuto sussistere anche ulteriori elementi presuntivi, idonei a confermare la sussistenza di tale rapporto di patrocinio (tra i quali, il fatto che la COGNOME avesse sottoscritto diversi atti del giudizio, che avesse partecipato a diverse
udienze del giudizio e che le somme della cui restituzione si controverte fossero affluite su un conto corrente bancario di cui ella stessa era cointestataria), indicando altresì, specificamente, le ragioni per cui non erano sufficienti a pervenire ad una diversa soluzione gli elementi adAVV_NOTAIOi in senso contrario dalla ricorrente.
3.2 Tanto premesso, pare evidente che i motivi di ricorso in esame si risolvono, in definitiva, nella contestazione di un accertamento di fatto, avente ad oggetto l’esistenza del diretto rapporto contrattuale professionale di patrocinio con la RAGIONE_SOCIALE, operato sulla base della prudente valutazione delle prove e sostenuto da adeguata motivazione, non apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
3.3 Le censure di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., inoltre, non sono formulate in modo ammissibile, in conformità ai canoni a tal fine individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 -01; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640192 -01, 640193 -01 e 640194 -01; Sez. U, Sentenza n. 1785 del 24/01/2018, Rv. 647010 -01, non massimata sul punto; da ultimo: Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -02: « in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria, come, ad esempio, valore di prova legale, oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica
regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione ») e di certo non sussistono i presupposti del preteso travisamento delle prove, che, come già visto, risultano correttamente valutate.
Con il terzo motivo del ricorso principale si denunzia « Violazione e falsa applicazione dell’ art. 1298 c.c. in relazione all’ art. 360, n.3, c.p.c. ».
Il motivo non è formulato in modo tale da consentire agevolmente di individuare il suo effettivo oggetto: la parte della decisione impugnata che viene censurata parrebbe, comunque, certamente quella in cui si conferma la condanna in solido dei due legali convenuti a restituire parte della somma trattenuta quale compenso professionale sulla base di un patto di quota lite.
La contestazione di tale statuizione risulta fondata sia sulla negazione del rapporto contrattuale di patrocinio con la RAGIONE_SOCIALE, sia sull’assunto che la cointestazione, tra i due legali convenuti, del conto corrente bancario sul quale erano affluite le somme di danaro in questione non avrebbe giustificato la conclusione per cui tali somme erano da ritenersi spettanti in pari quota a ciascuno di essi e avrebbero dovuto essere, quindi, restituite da entrambi, con obbligazione solidale.
Anche tale motivo è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato.
4.1 Per quanto riguarda la sussistenza del contratto di patrocinio con la RAGIONE_SOCIALE, è sufficiente rinviare a quanto esposto in relazione ai primi due motivi.
4.2 Per quanto riguarda la questione della natura solidale dell’obbligo di restituzione, la censura è manifestamente infondata.
Il rilievo per cui le somme da restituire sono affluite su conto corrente cointestato ai due legali convenuti e quello della mancanza di elementi sufficienti a superare la conseguente presunzione di titolarità comune e per quote uguali, tra i convenuti, di dette somme, costituiscono accertamenti di fatto sostenuti da adeguata motivazione, come tali non censurabili nella presente sede.
Deve, pertanto, ritenersi del tutto conforme a diritto la conclusione di comune titolarità della somma da restituire, in capo ai due intestatari del conto, nonché la conseguente applicazione del principio di solidarietà con riguardo all’obbligo di restituzione di detta somma.
Con il quarto motivo del ricorso principale si denunzia « Violazione e falsa applicazione dell’ art. 2233 c.c. in relazione all’ art. 360, n.3, c.p.c. ».
5.1 La corte d’appello ha ritenuto , in base alla ricostruzione della effettiva volontà negoziale delle parti, che, secondo gli accordi dalle stesse stipulati, il compenso in favore dei legali patrocinanti dovesse essere in un primo tempo corrisposto in proporzione all’importo ottenuto all’esito del giudizio di primo grado, ma dovesse poi essere definitivamente fissato in proporzione a quanto conseguito all’esito definitivo del giudizio stesso. Di conseguenza, ha ritenuto sussistere l’ obbligo di restituzione di parte delle somme trattenute dai legali su quanto ottenuto in virtù della sentenza di primo grado, a seguito della riforma di questa, avvenuta in secondo grado, con il dimezzamento del risarcimento spettante agli attori (per il riconoscimento di un concorso di colpa del 50% del loro dante causa).
5.2 La ricorrente (in via subordinata rispetto alle censure esposte con i primi tre motivi) contesta tale conclusione, censurando
l’interpretazione data dalla corte d’appello del patto di quota lite.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte manifestamente infondato.
5.3 L a ricostruzione dell’effettivo contenuto della volontà negoziale delle parti, espressa nel patto di quota lite dalle stesse concluso, è oggetto di un accertamento di fatto, sostenuto da adeguata motivazione, non apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede, nella quale, tra l’altro , si richiama espressamente (e del tutto correttamente), il canone interpretativo della buona fede di cui all’art. 1371 c.c..
La ricorrente, in sostanza, contesta tale accertamento di fatto, senza peraltro formulare una specifica censura con riguardo al l’applicazione dell’art. 1371 c.c. da parte della corte territoriale.
Essa propone, in sostanza, una interpretazione del contenuto della volontà negoziale a lei più gradita, il che certamente non è consentito in sede di legittimità.
5.4 D’altra parte, essendo stato accertato dalla corte d’appello che l’accordo negoziale dovesse essere interpretato nei termini indicati, la censura (l’unica formulata dalla COGNOME, in diritto) di violazione dell’art. 2233 c.c., sull’assunto per cui non sareb be stata rispettata la previsione del compenso stabilita nel contratto, risulta manifestamente infondata, in quanto la corte non ha affatto ritenuto dovuto un compenso diverso da quello stabilito dalle parti, ma ha ritenuto che fosse lo stesso contratto, correttamente interpretato, a prevedere che il compenso finale fosse parametrato all’esito definitivo del giudizio.
Il ricorso proposto, in via principale, dalla COGNOME è rigettato. Il ricorso proposto, in via incidentale, dal COGNOME è dichiarato inammissibile
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo (tenuto anche conto del diverso importo oggetto della condanna pronunciata nei confronti dei due ricorrenti).
Deve inoltre farsi luogo alla condanna prevista dalla disposizione di cui all’art. 96, comma 3, c.p.c., nei confronti della ricorrente principale.
Il ricorso della COGNOME è, infatti, in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile.
Ad avviso del Collegio, la proposizione di una siffatta impugnazione costituisce un evidente abuso dello strumento processuale da parte della ricorrente, dovendosi certamente ritenere percepibile dalla stessa, in quanto legale abilitato all’esercizio presso le giurisdizioni superiori, sulla base della diligenza cui è tenuto per la prestazione altamente professionale che fornisce, la circostanza di perorare tesi infondate, e comunque di avanzare una impugnazione di legittimità non suscettibile di accoglimento.
La Corte stima peraltro equo contenere tale condanna nella misura di € 2.500,00 (importo pari , all’incirca , alla metà di quello liquidato per le spese del giudizio di legittimità), in favore della parte controricorrente.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE;
-dichiara inammissibile il ricorso proposto dal COGNOME;
-condanna la ricorrente COGNOME a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti,
liquidandole in complessivi € 5.0 00,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge;
-condanna la ricorrente COGNOME a pagare, in favore dei controricorrenti, l’ulteriore somma di € 2.500,00, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.;
-condanna il ricorrente COGNOME a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole in complessivi € 7.5 00,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti (sia principale che incidentale) , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-