Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9406 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9406 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13876/2023 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in UDINE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso ORDINANZA del TRIBUNALE di UDINE n. 1478/2022 depositata il 24/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso del 23 febbraio 2022 l’avvocato NOME COGNOME chiedeva al Tribunale di Udine un decreto ingiuntivo per l’importo di euro 5.239,98 oltre interessi nei confronti della cliente NOME COGNOME assumendo di averla rappresentata in quattro procedimenti civili svolti davanti al Tribunale di Termini Imerese, che rappresentavano l’ultimo episodio di una controversia che opponeva la cliente alla sorella, NOME COGNOME da oltre quarant’anni. Il primo procedimento aveva ad oggetto l’accertamento dell’ usucapione di una servitù di passaggio, acquedotto ed elettrodotto; la seconda causa riguardava il sequestro giudiziario strumentale al giudizio di merito; la terza, il reclamo avverso l’ordinanza di inammissibilità del sequestro e la quarta, la richiesta ex articolo 700 c.p.c. accessoria alla causa di merito. Il primo ed il secondo incarico prevedevano un compenso preventivato per iscritto, mentre per gli altri procedimenti la professionista aveva chiesto la asseverazione della parcella da parte del Consig lio dell’Ordine.
Avverso il decreto ingiuntivo proponeva opposizione la COGNOME, con atto di citazione del 21 aprile 2022, eccependo l’improponibilità della domanda per abusivo frazionamento del credito, deducendo l’inadempimento professionale dell’avvocato trattandosi di g iudizi che non avevano alcuna possibilità di esito positivo. Eccepiva la remissione tacita del debito da parte del professionista; nel procedimento per sequestro giudiziario il ricorso era stato dichiarato inammissibile per errore tecnico del difensore, mentre nel procedimento di reclamo il difensore avrebbe dovuto informare la cliente del verosimile esito negativo del procedimento.
Si costituiva l’avvocato COGNOME eccependo la tardività dell’opposizione, la condivisione della strategia difensiva, la speciale difficoltà delle controversie, l’insussistenza di una remissione del debito e la ragionevolezza del sequestro giudiziario, del reclamo e del provvedimento di urgenza.
Il giudice disponeva il mutamento del rito in quello sommario di cognizione.
Con ordinanza del 24 marzo 2023 Tribunale di Udine accoglieva parzialmente l’opposizione, rideterminando i compensi e condannando la COGNOME al pagamento della somma di euro 4.200,00 oltre interessi e il 50% delle spese della fase monitoria e tutte quelle della causa di opposizione.
Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi a dieci motivi. Resiste con ricorso NOME COGNOME. Entrambe le parti depositano memorie ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 n. 3, la violazione di articoli 1175 e 2697 c.c.; 24 e 111 Cost, ai sensi dell’articolo 360, n. 4 e n. 5 c.p.c. la nullità della sentenza e la violazione dell’articolo 132, quarto comma c.p.c. poich é il Tribunale avrebbe rigettato l’opposizione con una motivazione solo apparente e, comunque, contraddittoria, omettendo di esaminare un fatto decisivo rappresentato dall’eccezione di improponibilità della domanda per abusivo frazionamento del credito. In particolare, in sede di opposizione la COGNOME aveva lamentato l’abusivo frazionamento del credito rispetto a due precedenti domande proposte dal medesimo avvocato COGNOME (decreto ingiuntivo del giudice di pace di Udine per l’importo di euro 3 .000,00 e decreto ingiuntivo dello stesso ufficio giudiziario per l’importo di euro 3.240,00).
Diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, dalla comparsa di costituzione di controparte e da una corrispondenza elettronica non emergerebbe la volontà della COGNOME di rifiutare la trattazione congiunta delle posizioni; sotto altro profilo sarebbe stato proprio la professionista a ritenere connesse tutte le cause promosse presso il Tribunale di Termini Imerese e quello di Palermo.
Il motivo è destituito di fondamento perché non coglie nel segno. L’argomentazione adottata dal Tribunale si fonda sul principio di non contestazione, riguardo alla affermazione secondo cui era stata la opponente, in sede di tentativo di conciliazione davanti al COA di Udine, a voler mantenere distinti i procedimenti relativi agli incarichi professionali. Con ciò richiamando l’orientamento di legittimità secondo cui il divieto di frazionamento del credito può essere derogato nel caso in cui il creditore sia titolare di un apprezzabile interesse alla tutela processuale frazionata. Rispetto a tale argomentazione non è pertinente la prospettata nuova lettura del documento numero nove del 25 gennaio 2022 poiché parte ricorrente avrebbe dovuto contestare l’esistenza di una dichiarazione da parte della opposta nei termini sopra riferiti e, soprattutto, la non contestazione di tale circostanza fattuale e ciò attraverso la trascrizione dei relativi atti.
Sotto altro profilo il motivo è inammissibile poiché consiste nella richiesta di nuova interpretazione dei documenti e tale censura può essere proposta in Cassazione esclusivamente individuando le specifiche disposizioni codicistiche previste dagli articoli 1362 e seguenti c.c. che riguardano l’interpretazione degli atti negoziali.
Al fine di far valere una violazione ermeneutica il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione (artt. 1362 e segg. c.c.) mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali
assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 09/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715).
Di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22/02/2007, n. 4178; Cass. 03/09/2010, n. 19044).
Per il resto il Tribunale ha chiaramente evidenziato la assoluta diversità di oggetto rispetto agli altri procedimenti.
Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione di articoli 1176 e 2236 c.c. e 112 c.p.c. poiché il Tribunale non avrebbe valutato la prestazione professionale dell’avvocato secondo i canoni della diligenza e della perizia attraverso una disamina specifica delle quattro prestazioni oggetto di causa, ma in modo unitario e generico, senza stabilire quale fosse il grado minimo di diligenza richiesto al professionista per ogni procedimento.
Il motivo è inammissibile perché del tutto generico. La censura tende ad una rivalutazione nel merito delle condotte del professionista sotto il profilo della adeguatezza della prestazione richiedendo alla Corte di legittimità di operare una valutazione del materiale probatorio che è di esclusiva pertinenza del giudice di merito, peraltro senza fornire indicazioni specifiche in ordine alla violazione delle disposizioni di legge richiamate nella rubrica del motivo.
Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione l’articolo 2697 c.c. e degli articoli 4 -14 del decreto legislativo n. 150 del 2011 e degli articoli 101,115,183 e 702 ter
c.p.c. e 24 e 111 della Costituzione perché il Tribunale avrebbe disatteso le norme sull’onere della prova nella trattazione del procedimento sommario e di contestazione sul rispetto del contraddittorio. Il Tribunale avrebbe aggravato l’onere della prova riferito alla posizione del cliente ritenendo necessaria la dimostrazione di un’opera di convincimento dell’avvocato. Al contrario, nel caso di ricorso oggettivamente errato, questo dato evidenzierebbe di per sé l’inadempimento del professionista. Sotto altro profilo il Tribunale avrebbe dovuto mutare il rito e consentire la trattazione ordinaria sensi dell’articolo 183 c.p.c.
Il motivo è infondato. Grava sull’attore che deduca l’inadempimento professionale l’onere di dimostrare gli elementi costitutivi della pretesa. Poiché l’esito negativo del giudizio non costituisce indice di responsabilità del difensore, correttamente Tribunale ha rilevato l’assenza di prova in ordine alle condotte poste a sostegno dell’opposizione rappresentat e dall’avere consigliato la proposizione di azioni infondate o temerarie. Il Tribunale aggiunge che dalle risultanze processuali era emerso che la COGNOME era stata informata delle strategie processuali e di un possibile esito non favorevole delle cause volte ad evitare l’esecuzione forzata attraverso l’istituto dell’usucapione. Le allegazioni svolte dalla convenuta opposta, relativamente alla comprensione delle questioni giuridiche da parte della COGNOME, alla sua condivisione con il difensore delle strategie difensive ed alla consapevolezza della difficoltà di raggiungere l’obiettivo valuto, non sono state contestate. Sotto tale profilo vanno ribadite le considerazioni già espresse con riferimento al primo motivo.
Infine, non è censurabile in Cassazione la scelta del Tribunale di non mutare il rito in quello ordinario trattandosi di soluzione discrezionale non sindacabile.
Con il quarto motivo si deduce la nullità della ordinanza del Tribunale per motivazione solo apparente che non avrebbe spiegato da quali
allegazioni sarebbe stata tratta la prova delle informazioni rese dall’avvocato alla cliente e della condivisione della strategia difensiva e della non contestazione.
Ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dall’onere di contestazione oltre che la circostanza secondo cui l’avvocato avrebbe consigliato alla cliente di promuovere due azioni cautelari definendo di bassa complessità quelle prestazioni. Contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, la COGNOME avrebbe specificamente lamentato di non essere stata informata sul rischio di una sostanzialmente certa soccombenza. Sotto altro aspetto, dal contenuto di una mail del 21 ottobre 2019 sarebbe possibile evincere che era stato il professionista a incoraggiare la cliente a promuovere due ricorsi procedendo ‘per tentativi’.
Inoltre, nel preventivo del 26 giugno 2019 e nella parcella riepilogativa del 18 novembre 2021 l’avvocato avrebbe qualificato quei procedimenti come di complessità bassa, salvo poi cambiare idea nella comparsa di costituzione, ritenendoli procedimenti che implicavano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.
Il motivo è inammissibile.
Il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione della non contestazione ovvero, come nel caso di specie, la insussistenza dei presupposti della non contestazione, richiede l’allegazione di due elementi: i fatt i che dovrebbero essere contestati e ciò attiene alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti e la prova dell’assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza attraverso la specifica indicazione del contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto.
Nel caso di specie il Tribunale, a pagina cinque, ha evidenziato che le specifiche allegazioni contenute nella comparsa di costituzione della opposta riguardanti proprio i profili oggetto del presente motivo non sarebbero stati contestati in maniera specifica dalla opponente. Rispetto a tale argomentazione la ricorrente deduce che nell’atto di opposizione (e cioè un atto precedente rispetto alla comparsa di costituzione dell’opposta) avrebbe genericamente allegato di non essere stata informata sui rischi di esito negativo delle diverse azioni giudiziarie intraprese. Le restanti deduzioni sono inammissibili poiché si richiede alla Corte di legittimità di riesaminare il materiale probatorio e il contenuto di documenti che neppure vengono trascritti nei passaggi essenziali.
Con il quinto motivo si deduce la nullità dell’ordinanza per motivazione solo apparente o comunque contraddittoria nella parte in cui il Tribunale avrebbe escluso l’ipotesi di rimessione del debito da parte dell’avvocato con riferimento al procedimento n. 2800 del 2019 in materia di usucapione. Non sarebbe condivisibile l’interpretazione adottata dal Tribunale poiché la remissione del debito ‘può risultare anche da un comportamento concludente’ e tale potrebbe consistere in un preavviso di fattura contenente una serie di crediti da saltare ad eccezione di quello relativo al procedimento per il quale vi sarebbe stata la remissione.
Il motivo è inammissibile poiché ha ad oggetto l’interpretazione di un documento senza alcun riferimento ai criteri ermeneutici previsti dagli articoli 1362 seguenti c.c. per cui vanno reiterate in questa sede le considerazioni oggetto del primo motivo.
Con il sesto motivo si deduce la nullità dell’ordinanza perché il Tribunale avrebbe ritenuto corretto lo svolgimento della prestazione da parte dell’avvocato nella causa relativa alla usucapione, con una motivazione apparente e, comunque, senza sospendere la causa in attesa della definizione del giudizio di merito.
Con il settimo motivo si lamenta la nullità dell’ordinanza per motivazione apparente riguardo al presunto corretto svolgimento della prestazione dell’avvocato nel giudizio di sequestro giudiziario Con l’ottavo motivo si deducono le medesime censure riguardo all’attività svolta dal professionista nel giudizio di reclamo, avverso la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per sequestro giudiziario e per l’omesso esame del dato fattuale, secondo c ui sarebbe stato l’avvocato a consigliare di promuovere tale reclamo.
Con il nono motivo si censura l’ordinanza perché con motivazione solo apparente avrebbe affermato il corretto svolgimento della prestazione dell’avvocato nel giudizio cautelare d’urgenza e per avere mancato di considerare che era stato l’avvocato a consigl iare di promuovere tale ricorso.
I quattro motivi vanno trattati congiuntamente perché strettamente connessi e sono infondati per le medesime argomentazioni espresse con riferimento al primo e terzo motivo. Per quanto già detto, la generica doglianza in ordine alla prevedibilità dell’esit o negativo dell’azione è superata dal fatto che la cliente aveva condiviso le strategie difensive, era stata informata dei rischi delle azioni e della possibilità di pervenire ad un risultato negativo.
Con l’ultimo motivo si deduce la nullità dell’ordinanza perché il Tribunale avrebbe riconosciuto all’avvocato il diritto alla maggiorazione del compenso per la redazione del ricorso per decreto ingiuntivo con speciali tecniche informatiche, sulla base di una motivazione solo apparente o comunque contraddittoria.
Il motivo è inammissibile. La ricorrente sostanzialmente lamenta che la maggiorazione prevista dall’articolo 4, comma 1 bis del decreto ministeriale n. 55 del 2014 riguarderebbe il deposito di atti con modalità telematiche redatti con tecniche informatiche che agevolano la consultazione e ‘in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché da navigazione all’interno dell’atto’.
Rispetto a tale questione il Tribunale ha osservato che utilizzando consolle ‘la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti prodotti si esegue senza alcun problema’. Rispetto a tale assunto si deduce in ricorso che i documenti prodotti da controparte sarebbero in buona parte in formato PDF o fotocopia scannerizzata di documenti non nativi digitali nei quali, pertanto, non sarebbe possibile navigare.
Il motivo è proposto in violazione dell’articolo 366, n. 6 c.p.c. poiché facendo riferimento a documenti la modalità di deduzione non consente alla Corte di legittimità di valutare i profili evidenziati in ricorso e questo a prescindere dal fatto che la maggiorazione prevista dalla norma citata riguarda gli atti depositati con modalità telematiche e redatti con tecniche inf ormatiche ‘idonee ad agevolare la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto’. Tali profili sono certamente sussistenti e ciò consente di ritenere anche infondato il motivo.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite e declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento del cd doppio contributo.
P.T.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in € 1.800,00 per compensi, ivi comprese spese forfettarie nella misura del 15 per cento, oltre esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte