Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4199 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4199 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 461/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 230/2020 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TATANTO, depositata il 3/08/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/01/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 3/08/2020, la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME per la condanna di NOME COGNOME al risarcimento dei danni asseritamente subiti dagli attori in conseguenza degli inadempimenti di cui il COGNOME si era reso responsabile nell’esecuzione del proprio mandato professionale di avvocato svolto nell’interesse degli attori;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, dopo aver evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva escluso il ricorso di alcuna sottrazione del COGNOME ai propri obblighi professionali, ha in ogni caso sottolineato come gli originari attori non avessero comprovato la concreta sussistenza di alcuna significativa probabilità dell’eventuale esito favorevole della lite per la quale il COGNOME aveva assunto la relativa difesa;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2054, 2697 e 2700 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato, sulla base degli elementi istruttori complessivamente acquisiti il giudizio, che il COGNOME non avesse eseguito in modo infedele i propri impegni professionali di difesa degli attori, tanto essendo palesemente emerso dall’inopportuno riferimento, negli atti introduttivi del giudizio a quo , ai
contenuti del rapporto dei Carabinieri intervenuti sul luogo del sinistro dedotto in giudizio, dai quali, senza alcuna certezza probatoria e, dunque, senza alcuna necessità, erano emersi profili di prospettabile responsabilità nel condotta di guida del COGNOME, con la conseguente erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha escluso che l’eventuale dimostrazione degli inadempimenti professionale del COGNOME non avrebbe comunque comprovato il ricorso di significative probabilità di esito favorevole della lite per gli originari attori;
con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 2232, 2236 e 2697 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che la sistematica sostituzione del COGNOME in occasione delle udienze alle quali lo stesso avrebbe dovuto presenziare personalmente non avesse concretato alcun inadempimento degli obblighi professionali dallo stesso assunti nei confronti degli attori, e che tale eventuale inadempimento non avrebbe in ogni caso determinato alcun pregiudizio ai danni degli stessi, nonché per avere erroneamente escluso la responsabilità del COGNOME nel non aver proposto la domanda di risarcimento dei danni anche nell’interesse dei figli degli odierni ricorrenti;
entrambi i motivi -congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione -sono inammissibili;
osserva il Collegio come entrambi i giudici del merito abbiano evidenziato -al di là della rilevata insussistenza di alcun profilo di rimproverabilità nella condotta professionale del COGNOME -il carattere comunque decisivo della circostanza costituita dalla mancata dimostrazione, da parte degli originari attori, di aver subito alcun danno a seguito degli eventuali inadempimenti della controparte, non
avendo fornito la prova che, nel caso in cui il proprio difensore avesse correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni, gli stessi avrebbero avuto una qualche significativa probabilità di vittoria della causa degli stessi introdotta;
da questa prospettiva, ogni questione riferita al punto concernente la valutazione della diligenza professionale del convenuto deve ritenersi destituita di alcuna rilevanza, siccome condizionata, in ogni caso, alla verifica dell’effettiva sussistenza di conseguenze pregiudizievoli concretamente ed effettivamente sofferte dai ricorrenti per effetto del comportamento del COGNOME;
ciò posto, con riguardo a tale decisivo aspetto, le censure in questa sede avanzate dai ricorrenti (espressamente prospettate sotto il profilo della violazione di legge), lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate, risultano limitate all’allegazione di un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo ;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate
dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
quanto, infine, alla prospettata violazione dell’art. 115 c.p.c., varrà richiamare in questa sede il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, ai sensi del quale per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, ossia abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove
non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” ((cfr. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892 – 01);
sulla base di tali premesse, dev’essere dato atto dell’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 9.600,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione