Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2460 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2460 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/01/2024
Oggetto
Responsabilità professionale – Avvocato
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 370/2021 R.G. proposto da NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL);
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL);
-controricorrente – e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE;
avverso la sentenza del Tribunale di Treviso, n. 275/2020 depositata il 14 febbraio 2020 e avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Venezia depositata in data 9 ottobre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
AVV_NOTAIO, avendo prestato la propria opera professionale in favore di NOME COGNOME , quale difensore d’ufficio in un giudizio penale conclusosi con l’assoluzione dello stesso dalle imputazioni di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali (perché il fatto non costituisce reato) e da quella di rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale (perché il fatto non sussiste), lo convenne in giudizio davanti al Tribunale di Treviso per ottenerne la condanna al pagamento dei dovuti compensi.
Il convenuto resistette opponendo eccezione di inadempimento e instando, in via riconvenzionale, per la condanna della parte attrice al risarcimento dei danni.
Lamentò infatti, da un lato, che, pur avendo egli fornito documenti ed informazioni per la propria difesa, l’AVV_NOTAIO non avesse assunto alcuna correlata iniziativa processuale, rifiutando il confronto con il proprio assistito ed assumendo un atteggiamento di vera e propria contrapposizione quanto alla scelta della linea difensiva, così pregiudicando la difesa; dall’altro, che il legale ave sse omesso di informarlo circa la possibilità di proporre appello avverso la pronuncia assolutoria non pienamente favorevole.
Esteso il contraddittorio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, chiamata in causa dall’AVV_NOTAIO per esserne eventualmente manlevata, con sentenza n. 275/2020, depositata il 14 febbraio 2020, il Tribunale ─ rigettate l’eccezione di inadempimento e la domanda
riconvenzionale, sul rilievo della mancanza di una specifica argomentazione, oltre che di prova, a supporto dell’assunto che diverse scelte processuali e l’omessa informazione circa il possibile gravame avrebbero potuto portare ad un esito più favorevole del giudizio ─ ha condannato il COGNOME al pagamento in favore dell’AVV_NOTAIO, della somma di Euro 4.500,00, oltre accessori, in tale misura, superiore agli importi medi tariffati, liquidando i compensi «considerato il pregio dell’opera prestata e il risultato (sentenza di assoluzione) cui ha condotto l’operato del legale».
Con ordinanza in data 9 ottobre 2020 la Corte d’appello di Venezia ha dichiarato inammissibile, ex art. 348bis cod. proc. civ., il gravame interposto dal NOME.
Avverso l’uno e l’altro provvedimento quest’ultimo propone ricorso per cassazione articolando quindici motivi, cui resiste, depositando controricorso, l’AVV_NOTAIO.
L’altra intimata non svolge difese in questa sede.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I primi otto motivi di ricorso censurano sotto vari profili l’ordinanza della Corte d’appello .
In particolare, il primo di essi denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., « violazione dell’art. 348ter c.p.c., in relazione all’art. 111, settimo comma, Cost. … per avere la Corte di appello, omettendo la relazione del presidente o del giudice relatore, pronunciato l’ordinanza d’inammissibilità una volta già iniziata la trattazione della causa ».
Rileva il ricorrente che, in violazione di quanto previsto all’art. 348ter c.p.c., non vi è stata alcuna relazione da parte del consigliere relatore nel senso della inammissibilità dell’appello per manifesta infondatezza e che, come risulta dal verbale d’udienza ,
si è discusso dell’ammissibilità dell’appello, dopo l’annotazione della presenza delle parti, dopo la verifica della costituzione delle parti e dopo la discussione sulla sospensione della provvisoria esecutività della sentenza impugnata.
I motivi dal secondo all’ottavo denunciano , in relazione all’art. 111 Cost., una serie di errores in iudicando e/o in procedendo che inficerebbero l’ordinanza dichiarativa della inammissibilità dell’appello per violazione degli artt. 348bis , 348ter , 112, 132 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale:
─ pronunciato detta ordinanza, dopo sedici giorni dalla riserva, in assenza del requisito della ‘manifesta infondatezza’ (secondo motivo);
─ omesso di pronunciarsi, immotivatamente, sulla tardività delle argomentazioni dell’ AVV_NOTAIO (terzo motivo);
─ fornito una motivazione perplessa ed oggettivamente incomprensibile in ordine alla carenza di argomentazioni in merito all’idoneità di una diversa condotta rispetto ad un differente esito processuale di primo grado (quarto motivo);
─ non considerato, nella sua interezza, l’atto di appello (quinto motivo);
─ riprendendo il ragionamento del giudice di primo grado, considerato di pregio l’attività dell’ AVV_NOTAIO, senza considerare l’assenza di prova fornita dal professionista circa la propria diligenza (sesto motivo);
─ definito di pregio, con motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, l’attività del professionista (settimo motivo);
─ reso una motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile a proposito della mancata prospettazione di un nesso causale tra inadempimento e danno e la mancanza di prova che, con l ‘appello , avrebbe potuto ottenersi un risultato diverso (ottavo motivo).
I restanti motivi, dal nono al quindicesimo, riguardano invece la sentenza di primo grado (ma il dodicesimo e il tredicesimo sono ancora riferiti anche all’ordinanza della Corte d’appello) .
Secondo la sintesi che ne è proposta alle pagg. 4 -6 del ricorso essi rispettivamente denunciano (tutti con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., tranne il tredicesimo e il quindicesimo che vengono invece riferiti al num. 4 dell’art. 360) :
─ violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’ art. 112 c.p.c., in relazione all’ art. 1460 cod. civ. ed al combinato disposto degli artt. 1176 e 1218 cod. civ., per avere il Tribunale accomunato, dal punto di vista probatorio, l’eccezione di inadempimento e la domanda di risarcimento del danno, addossando sia nel primo che nel secondo caso l’onere probatorio sul convenuto/attore in via riconvenzionale, e sollevando l’AVV_NOTAIO da ogni onere (nono motivo);
─ violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., per avere il Tribunale ignorato le prove documentali e presuntive dimesse, in primo grado, circa le gravi e ripetute violazioni degli obblighi da parte del professionista, anche in relazione alla domanda riconvenzionale (decimo motivo);
─ violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., per motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, per avere il Tribunale prima affermato che non sarebbe stato assolto l’ onere probatorio gravante sul convenuto in merito all’eccezione di inadempimento, poi dato atto dell’elencazione delle diciassette mancanze dell’AVV_NOTAIO (undicesimo motivo);
─ violazione degli artt. 1136 e 2036 c.c., dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 4 d.m. n. 55 del 2014, per avere il Tribunale e la Corte
d’appello omesso di considerare che la diligenza professionale è diversa e maggiore rispetto alla diligenza del buon padre di famiglia (dodicesimo motivo);
─ violazione degli artt. 132 c.p.c. e 2697 c.c.: nullità della sentenza del Tribunale di Treviso e dell’ordinanza della Corte di Appello di Venezia, sotto il profilo di motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, avendo definito di pregio l’attività dell’AVV_NOTAIO (tredicesimo motivo);
─ violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1218 c.c. e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., per non avere il Tribunale considerato le allegazioni e le prove offerte in ordine al nesso causale tra le condotte addebitate all’AVV_NOTAIO e la richiesta di risarcimento (quattordicesimo motivo);
─ violazione degli artt. 132 c.p.c., per avere il Tribunale affermato, con motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, che non sarebbero state indicate, con riferimento alla mancata comunicazione dell’appello, le possibilità che l’impugnazione, ove proposta, avrebbe potuto essere accolta (quindicesimo motivo).
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Come evidenziato dallo stesso ricorrente, il verbale della prima e unica udienza di trattazione del 23 settembre 2020 dà atto dei soli fatti e attività seguenti: « È presente, personalmente, la parte appellata AVV_NOTAIO. L’AVV_NOTAIO insiste per l’accoglimento della sospensiva. Le parti appellate si oppongono all’accoglimento dell’inibitoria. L’AVV_NOTAIO, a cui si associa parte appellata, insiste per l’eccezione di inammissibilità dell’appello. L’AVV_NOTAIO si oppone. La Corte preso atto si riserva ».
Non risulta, dunque, che si sia dato corso ad alcuna attività propriamente riconducibile alla trattazione dell ‘appello nel merito: la verbalizzazione della presenza delle parti vale ad attestare
l’ instaurazione del contraddittorio rispetto ai temi discussi in quella udienza (come era necessario che avvenisse anche ai fini della preliminare valutazione dell’ammissibilità dell’appello ex art. 348bis cod. proc. civ., secondo il chiaro disposto dell’art. 348 -ter , primo comma, che richiede che siano «sentite le parti»), ma non implica lo svolgimento di alcuna delle attività previste dai commi secondo e terzo dell’art. 350 cod. proc. civ.; essa piuttosto si arresta ad una fase ancora preliminare funzionale alla discussione dei soli temi della chiesta inibitoria e, per l’appunto, della preliminare valutazione dell’ammissibilità dell’appello, gli unici del resto sui quali le parti esprimono le rispettive deduzioni e istanze.
Non è previsto poi da alcuna norma, tanto meno a pena di nullità, che la decisione sull’ammissibilità dell’appello ex art. 348bis cod. proc. civ. debba essere preceduta dalla relazione del consigliere relatore.
5. I motivi dal secondo all’ottavo, nonché i motivi dodicesimo e tredicesimo in quanto riferiti anche all’ordinanza della Corte d’appello, risultano parimenti infondati.
Giova rammentare che, secondo il principio enunciato da Cass. Sez. U. n. 1914 del 02/02/2016, cui va qui data continuità, «avverso l’ordinanza pronunciata dal giudice d’appello ai sensi dell’art. 348ter c.p.c. è sempre ammissibile ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 comma 7 Cost. limitatamente ai vizi propri della medesima costituenti violazioni della legge processuale che risultino compatibili con la logica (e la struttura) del giudizio sotteso all’ordinanza in questione, dovendo in particolare escludersi tale compatibilità in relazione alla denuncia di omessa pronuncia su di un motivo di appello, attesa la natura “complessiva” del giudizio prognostico, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza nonché a tutti i motivi di ciascuna impugnazione, e potendo, in relazione al
silenzio serbato in sentenza su di un motivo di censura, eventualmente porsi (nei termini e nei limiti in cui possa rilevare sul piano impugnatorio) soltanto un problema di motivazione».
In rapporto all’esposto paradigma l’unico vizio che, tra quelli dedotti, potrebbe in astratto considerarsi pertinentemente riferito all’ordinanza ex art. 348ter cod. proc. civ. è quello di motivazione apparente o oggettivamente incomprensibile in quanto anch’esso configurabile quale vizio proprio dell’ordinanza costituente violazione della legge processuale che la governa compatibilmente con la sua logica.
Al riguardo occorre però anche rammentare che, secondo altrettanto pacifica acquisizione, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 -8054).
Alla stregua degli esposti principi deve affermarsi l’infondatezza dei motivi di ricorso in esame, in quanto nella specie oggettivamente sussiste, dal punto di vista materiale e grafico, una motivazione della ordinanza impugnata, e tale motivazione -benché sintetica, in
rapporto alle caratteristiche di un provvedimento come l’ordinanza ed in relazione alle precipuità di un giudizio complessivo di tipo prognostico quale quello disciplinato dagli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.- non risulta di per sé (perciò prescindendo dal raffronto con la sentenza di primo grado e l’atto d’appello) illogica, contraddittoria o perplessa al punto di renderla incomprensibile.
Nella restante parte, riferita alla sentenza del Tribunale, il ricorso si espone a un preliminare e assorbente rilievo di inammissibilità, per violazione dell’art. 366, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., in quanto non indica nell’esposizione del fatto il motivo o i motivi dell’appello .
Occorre al riguardo rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, «il ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 348ter , quarto comma, cod. proc. civ., ha natura di ricorso ordinario, regolato dall’art. 366 cod. proc. civ. quanto ai requisiti di contenuto-forma, e deve contenere, in relazione al num. 3 di detta norma, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, da intendersi come fatti sostanziali e processuali relativi sia al giudizio di primo grado che a quello di appello; ne consegue che nel ricorso la parte è tenuta ad esporre, oltre agli elementi che evidenzino la tempestività dell’appello e ai motivi su cui esso era fondato, le domande e le eccezioni proposte innanzi al giudice di prime cure e non accolte, o rimaste assorbite, trovando applicazione, rispetto al giudizio per cassazione instaurato ai sensi dell’art. 348ter cod. proc. civ., le previsioni di cui agli artt. 329 e 346 del medesimo codice, nella misura in cui esse avevano inciso sull’oggetto della devoluzione al giudice di appello» (Cass. 17/04/2014, nn. 8940-8943; cui adde conff. e pluribus Cass. Sez. U. 27/05/2015, n. 10876; 23/12/2016, n. 26936; n. 18623 del 2016; n. 2784 del 2015; n. 26928 del 2018).
Se ne può comunque incidentalmente rilevare, ad abundantiam , l’inammissibilità sotto vari ulteriori profili.
Con il nono motivo si sostiene che erroneamente il Tribunale ha affermato che incombe sul cliente l’onere di provare la negligente gestione della difesa penale opposta a fondamento dell’eccezione di inadempimento.
La censura è inammissibile perché non coglie l ‘effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale non è rappresentata dal rilievo della mancata prova dell’esistenza di profili di negligente gestione della difesa ─ tema esplicitamente considerato irrilevante dal primo giudice (v. sentenza, pag. 8), come ricorda lo stesso ricorrente a pag. 78 del ricorso ─ ma, ben diversamente, dalla constatazione della mancanza di alcuna argomentazione, prima ancora della prova, circa il nesso causale tra le pretese negligenze e il pregiudizio dedotto (in termini di perdita di chance di un possibile esito ancora più favorevole del giudizio).
Sul punto, peraltro, il Tribunale si conforma a principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui «la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente» (Cass. n. 10966 del 2004; n. 34787 del 2022), con la conseguenza che «la mancanza di elementi probatori, atti a giustificare una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito dell’attività del prestatore d’opera, induce ad escludere l’affermazione della responsabilità del legale, in quanto, la responsabilità dell’esercente la professione forense non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se, qualora l’avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova
del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale ed il risultato derivatone» (v., ex multis , Cass. n. 11901 del 2002, citata in sentenza; n. 9917 del 2010; n. 22376 del 2012; n. 2638 del 2013; n. 1984 del 2016; n. 25112 del 2017; n. 13873 del 2020; n. 4655 del 2021; n. 33466 del 2022).
Analogo difetto di specificità dei motivi di critica rispetto alla esposta effettiva ragione giustificativa della decisione caratterizza quasi tutti i restanti motivi.
È appena il caso di aggiungere, con riferimento ad essi, che:
─ inammissibilmente si evoca , con il decimo motivo, la violazione del principio di non contestazione (art. 115 cod. proc. civ.) con riferimento non a fatti ma agli effetti che da tali fatti si pretende far derivare e senza comunque riportare, come sarebbe stato necessario, il contenuto delle difese della controparte da cui dovrebbe ricavarsi la mancata contestazione (v. Cass. n. 12840 del 22/05/2017); in cosa poi sia consistita la pure dedotta violazione degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ. non è neppure spiegato;
─ la denuncia, con i l motivo undicesimo, di vizio di motivazione incomprensibile, i n violazione dell’art. 132, comma secondo, num. 4, cod. proc. civ., è manifestamente infondata, risultando ben chiara la ratio decidendi della sentenza impugnata, nei termini già sopra evidenziati a proposito del nono motivo;
─ il dodicesimo e il tredicesimo motivo, oltre a riguardare tema (la quantificazione dei compensi) che non è specificamente indicato se fosse stato posto ad oggetto di motivo d ‘appello (in violazione come detto dell’onere imposto dall’art. 366 n. 3 cod. proc. civ.), impingono comunque in una valutazione discrezionale del giudice di merito, come tale insindacabile in cassazione se, come nella specie, congruamente motivata;
─ il quattordicesimo motivo lungi dal far emergere una
erronea qualificazione giuridica della fattispecie, in relazione al disposto degli evocati articoli, impinge esclusivamente nella ricognizione della stessa, in astratto sindacabile solo sul piano della motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.;
─ il vizio di motivazione apparente o incomprensibile è infine inammissibilmente dedotto, con il quindicesimo motivo, con riferimento ad elementi esterni al testo della sentenza stessa, in palese difformità del paradigma per tale censura indicato da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014, già sopra ricordato.
In ragione delle considerazioni che precedono il ricorso deve dunque essere rigettato in quanto proposto, ex art. 111, comma settimo, Cost., avverso l’ordinanza della Corte d’appello e dichiarato inammissibile in quanto proposto, ex art. 348ter cod. proc. civ., avverso la sentenza di primo grado.
Ne discende la condanna del ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso in quanto proposto avverso l’ordinanza della Corte d’appello depositata in data 9 ottobre 2020; lo dichiara inammissibile in quanto proposto avverso la sentenza del Tribunale di Treviso, n. 275/2020, depositata il 14 febbraio 2020.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate in Euro 5.600 per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza