Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20873 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20873 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12143/2023 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliata digitalmente come per legge
– ricorrente –
contro
SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliata in ROMA al INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende, domiciliata digitalmente come per legge
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME rappresentato e difen so dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliato digitalmente come per legge
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di BOLOGNA n. 661/2023 depositata il 24/03/2023.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 15/05/2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con contratto di cessione di ramo d’azienda registrato il 23/12/1998 NOME COGNOME cedette a NOME COGNOME un’attività di forno, in Ravenna, con pattuizione di pagamento di complessivi centrotrenta milioni di lire in quattro rate l’ultima delle quali avrebbe dovuto essere saldata il 15/01/2002 ma venne, invece, anticipatamente corrisposta.
La COGNOME subì in data 12/11/2002 pignoramento presso terzi da parte dell’ente della riscossione Sorit Ravenna, poi Equitalia s.p.a. e la terza pignorata COGNOME rendeva dichiarazione negativa, a seguito della quale venne instaurato procedimento di accertamento dell’obbligo del terzo nel quale sia la COGNOME che la COGNOME vennero difese dall’avvocato NOME COGNOME.
Il procedimento si concluse con la sentenza n. 232 del 2008 di accertamento dell’obbligo della COGNOME e la conseguente riassunzione del processo esecutivo, con ordinanza di assegnazione della somma di oltre sessanta settemila euro all’Equitalia S.p.a. e a carico della COGNOME, e la Corte d’appello di Bologna confermò detta statuizione del Tribunale di Ravenna, con la sentenza n. 1610 del 2014. La COGNOME oppose anche il precetto notificatole per oltre settanta duemila euro da Equitalia S.p.a. e chiese di chiamare in causa l’avvocato COGNOME
Il Tribunale di Ravenna rigettò l’istanza di chiamata in causa e, con la sentenza n. 1145 del 2014, rigettò l’opposizione a precetto e affermò che la domanda nei confronti dell’avvocato COGNOME doveva essere proposta in un separato giudizio.
NOME COGNOME instaurò un autonomo giudizio al fine di ottenere la condanna al risarcimento dei danni nei confronti dell’avvocato COGNOME che si costituì in causa e chiese l’autorizzazione a chiamare in giudizio la Cattolica di Assicurazione e contestò la domanda.
Il Tribunale di Ravenna con sentenza n. 649 del 5/07/2017 accolse parzialmente la domanda e condannò l’avvocato COGNOME al risarcimento dei danni, che liquidò in complessivi euro 92.554,29 oltre interessi, con manleva a carico della cattolica di Assicurazione.
La compagnia assicuratrice e l’avvocato COGNOME propo sero separati appelli, che veniva riuniti e, nel contraddittorio con la COGNOME, la Corte d’appello di Bologna, con la sentenza n. 661 del 24/03/2023 ha accolto le impugnazioni e ha rigettato la domanda proposta in primo grado dalla COGNOME.
COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, avverso la detta sentenza della Corte territoriale, affidato a due motivi.
Rispondono con separati controricorsi la compagnia assicuratrice e NOME COGNOME
Il ricorso è stato avviato a trattazione con proposta di decisione accelerata.
NOME COGNOME ha chiesto la trattazione collegiale.
Il ricorso è stato, quindi, chiamato all’adunanza camerale del 15/05/2025, per la quale NOME COGNOME e la Cattolica di Assicurazioni S.p.a. hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso sono i seguenti:
I) vi olazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., degli artt. 1218 e 1237, primo comma, c.c.; il motivo si incentra sull’affermazione, letta a contrario, del Tribunale di Ravenna, nella sentenza n. 232 del 2008, di accertamento dell’obbligo del terzo, secondo la quale ‘né può operare la presunzione di liberazione connessa alla volontaria restituzione del titolo originale del credito al debitore (art. 1237, comma 1, c.c.), poiché anche tale restituzione è rimasta indimostrata (la produzione in giudizio dei titoli, infatti, è stata effettuata dal creditore, e non dal debitore) ‘ . Il motivo contesta la ricostruzione del nesso di causa operata dalla Corte d’appe llo e, in particolare, afferma che la
produzione dei titoli da parte dell’avvocato COGNOME nel detto giudizio ma per conto della COGNOME, invece che per la COGNOME, avrebbe sovvertito l’esito del giudizio nella causa presupposta a quella di accertamento della responsabilità professionale dell’avvocato COGNOME, conclusa in senso sfavorevole per questo con sentenza del Tribunale di Ravenna n. 649 del 5/07/2017;
II) violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., degli artt. 2721, 2724 e 2726 c.c.; il motivo si incentra sulla mancata ammissione della prova testimoniale riguardante l’imputazione dei titoli di credito alle varie rate nelle quali era frazionato il pagamento della cessione del rapo d’azienda.
La proposta di definizione accelerata era del seguente testuale tenore:
«Entrambi i motivi di ricorso sono inammissibili perché, sotto l’apparente veste della denuncia di violazione di norma di diritto, refluiscono in realtà nel giudizio di fatto relativo al nesso eziologico, che il giudice del merito ha negato sulla base di una valutazione a lui riservata.»
Il primo motivo è inammissibile in quanto contesta, in punto di fatto e non di diritto, una valutazione propria dei giudici di merito e che questi hanno effettuato, giusta o sbagliata che fosse, in senso difforme da quanto auspicato dalla difesa della COGNOME, ma non muove specifiche e conferenti censure in diritto, in quanto si incentra unicamente su di una valutazione di fatto degli eventi compiuta dal giudice di merito e relativa alla circostanza dell’essere intercorsi tra la COGNOME e la COGNOME numerosi rapporti di dare e avere cosicché era precluso accertare che i titoli di credito fossero imputabili al pagamento del prezzo della cessione del ramo d’azienda. La valutazione della Corte territoriale, resa alla pag. 9 della sentenza, è una tipica valutazione di fatto, suffragata sulla base di adeguate circostanze fattuali emergenti dalle risultanze istruttorie ed espressamente richiamate dalla Corte territoriale, quali la pacifica
esistenza di numerosi rapporti commerciali tra la COGNOME e la COGNOME, già richiamata, le divergenze dei titoli rispetto alle previsioni contrattuali e il fatto che come beneficiario di un assegno compariva anche il marito della COGNOME, al quale non poteva essere ascritta la qualità di parte cedente del ramo d’azienda. Il motivo all’esame radica censure sul detto apprezzamento di fatto ed è, pertanto, inammissibile.
Il secondo motivo è del pari inammissibile, sebbene per una ragione diversa da quella indicata in sede di proposta di decisione accelerata in quanto, a tutto voler concedere, in ogni caso la prova per testi non ammessa non atteneva a circostanza decisiva, poiché comunque non idonea a mutare la prima parte dell’affermazione decisoria della Corte d’appello che di per sé già escludeva che i detti titoli potessero essere riferiti al pagamento della cessione dell’azienda forno e in quanto il capitolo, per come formulato, implica la richiesta al teste di una valutazione ossia di un giudizio e inoltre, in quanto costituisce affermazione giurisprudenziale costante (Cass. n. 11011 del 19/0/08/2000 Rv. 539695 – 01) quella secondo cui il giudice di merito non è tenuto ad ammettere ulteriori mezzi di prova richiesti dalle parti allorché, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite al processo, sia già in grado di formarsi un convincimento.
Il ricorso, in conclusione, è inammissibile con riferimento a tutte le censure.
Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e tenuto conto dell’attività processuale espletata , in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo in favore delle controparti costituite Cattolica di Assicurazioni S.p.a. NOME COGNOME
Il Collegio non ritiene che in relazione alle connotazioni del caso concreto sottoposto a giudizio della Corte, sussistano i presupposti per l’applicazione dell’art. 96, commi terzo e quarto c.p.c. (Sez. U n. 36069 del 27/12/2023 Rv. 670580 – 01) in quanto l’art. 380bis ,
comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 10/10/2022), nel richiamare, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. codifica, attraverso una valutazione legale tipica, un’ipotesi di abuso del processo, ma non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, che resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base a un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto. Nella specie non vi sono evidenze connotanti una condotta abusiva della parte ricorrente, che ha agito in giudizio al fine di tutelare le proprie ragioni vedendole anche riconosciute nella prima fase del giudizio e va, altresì, tenuto conto che la declaratoria di inammissibilità del ricorso viene adottata sulla base di argomentazioni non del tutto conformi alla proposta di decisione.
La decisione di inammissibilità del ricorso comporta che deve attestarsi, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di