Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9407 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9407 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3916/2024 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in GENOVA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in GENOVA INDIRIZZO. SIN., presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA
INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 1420/2023 depositata il 21/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso ai sensi dell’articolo 702 bis c.p.c. del 9 settembre 2019 NOME COGNOME chiedeva al Tribunale di Genova l’accertamento della responsabilità professionale dell’avvocato NOME COGNOME e la sua condanna al risarcimento dei danni, quantificati in euro 5.597 ,” oltre rivalutazione e interessi pari all’importo maturato dal ricorrente a titolo di TFR mai percepito, a suo dire, per la responsabilità del professionista.
Secondo il ricorrente la professionista avrebbe omesso di aderire alla richiesta dell’Inps che aveva chiesto di produrre il provvedimento decisorio sull’istanza di fallimento del datore di lavoro e, successivamente, ottenuto il provvedimento in questione, avrebbe presentato una nuova istanza all’Inps, invece di introdurre una domanda giudiziale di accertamento dell’obbligo gravante sul fondo di garanzia.
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME contestando la pretesa, chiedendo la trasformazione del rito da sommario in ordinario e spiegando domanda riconvenzionale per il pagamento delle proprie competenze e chiamando in garanzia il proprio assicuratore, Generali Italia S.p.A.
Il Tribunale mutava il rito, disponeva la separazione della domanda riconvenzionale e la prosecuzione del giudizio davanti al Tribunale in composizione collegiale e con sentenza n. 1015 del 4 maggio 2021,
decidendo sulla domanda di danni, rigettava le richieste del ricorrente NOME COGNOME condannandolo alle spese di lite in favore della convenuta e della terza chiamata.
Avverso tale decisione proponeva appello COGNOME sulla base di sette motivi e si costituivano in giudizio sia all’avvocato COGNOME che Generali Italia chiedendo il rigetto della impugnativa.
La Corte d’appello di Genova con sentenza del 21 dicembre 2023 rigettava l’impugnazione condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi a tre motivi. Resistono con separati controricorsi NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE
Motivi della decisione
Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 111 Cost . e 132, n. 4 c.p.c. ritenendo la motivazione incomprensibile. In particolare, con riferimento ai primi cinque motivi, la motivazione sarebbe lapidaria ritenendoli irrilevanti. La ragione più liquida rappresentata dalla mancanza del nesso causale sarebbe ancorata ad un fatto verificatosi successivamente all’inadempimento del professionista che va riferito al 14 dicembre 2013 e cioè alla scadenza del termine per l’azione giurisdizionale ai sensi del d.p.r. n. 639 del 1970. Pertanto, l’esistenza di un inadempimento precedente la data del 14 maggio 2014 non può costituire un fatto assorbito dalla ragione più liquida. In secondo luogo, la Corte non avrebbe preso in esame il dovere di precauzione, che avrebbe dovuto imporre al difensore di scegliere la soluzione processuale di maggiore tutela per il cliente nell’ipotesi di orientamento divergente del giudice di legittimità. Il motivo è infondato. La decisione impugnata è stata adottata sulla base di una argomentazione coerente e giuridicamente corretta.
Per quello che è dato leggere nella sentenza impugnata, il primo motivo di appello atteneva alle competenze spettanti al difensore in
ordine alle quali la decisione sarebbe stata adottata dal collegio con il rito previsto dalla legge, all’esito della separazione della domanda principale da quella riconvenzionale. Con il secondo motivo si prospettava una colpa del difensore riguardo alla valutazione della necessità o meno del deposito dell’istanza di fallimento, quale requisito essenziale per l’intervento dell’Inps. Il terzo motivo riguardava il profilo della colpa del professionista che avrebbe dovuto tenere una condotta di maggiore tutel a dell’interesse del cliente. Il quarto motivo richiamava il profilo della colpa del difensore per quanto già detto con riferimento al secondo motivo. Il quinto motivo prospettava la mancanza di diligenza del professionista nella gestione della decisione d i rigetto adottata dall’Inps. Secondo l’appellante, il difensore avrebbe dovuto replicare depositando una nuova domanda e non impugnando il provvedimento reiettivo.
Orbene, i primi cinque motivi sono stati correttamente ritenuti assorbiti secondo il criterio della ragione più liquida poiché indagano la colpa del professionista e costituiscono un profilo successivo ed irrilevante nell’ipotesi di mancata dimostrazione d el nesso causale. Circostanza questa che si è verificata nel caso in esame.
Come noto qualora si deduca la responsabilità civile delle difensore il cliente è tenuto a dimostrare oltre al pregiudizio subito, il nesso causale tra la condotta del professionista e il danno. Correttamente la Corte territoriale ha richiamato il criterio del ‘più probabile che non’ applicabile anche i casi responsabilità professionale per la condotta inadempiente del professionista.
Il giudice di merito deve effettuare un giudizio probabilistico rispetto al quale non è sufficiente la prova dell’inadempimento degli oneri professionali in quanto è necessario dimostrare che, alla stregua dei criteri probabilistici, il giudizio avrebbe avuto un esito diverso per il cliente se il legale non avesse commesso gli errori lamentati.
L’accertamento attraverso il sistema del ‘processo nel processo’ si svolge in termini di giudizio controfattuale per verificare quale
sarebbe stato l’esito della causa se non ci fosse stata negligenza difensiva e ripercorrendo astrattamente il processo mancato o quello in cui si è manifestata la negligenza del difensore (Cass, 28 giugno 2019, n. 17414).
Sotto tale profilo correttamente la Corte territoriale ha ritenuto assorbiti i motivi riguardanti la presunta colpa professionale poiché l’onere gravante sull’attore deve riguardare gli elementi necessari per compiere il giudizio prognostico.
Va ricordato che nella responsabilità extracontrattuale e contrattuale il giudizio causale (causalità materiale) è il criterio di imputazione oggettiva (del danno), il dolo o la colpa costituiscono il criterio di imputazione soggettiva.
In tema di responsabilità professionale contrattuale il giudizio causale è allo stesso modo criterio di imputazione oggettiva, mentre l’inadempimento lo è di imputazione soggettiva.
Il nesso causale esprime il collegamento naturalistico fra fatti accertato sulla base delle cognizioni scientifiche del tempo ovvero su basi logico-inferenziali.
Attiene alla relazione probabilistica (svincolata da ogni riferimento alla prevedibilità soggettiva) tra condotta ed evento di danno (e fra quest’ultimo e le conseguenze risarcibili), da ricostruirsi secondo un criterio di regolarità causale.
È evidente, pertanto, che tale giudizio deve precedere quello relativo al profilo soggettivo della colpa e, la mancata dimostrazione del nesso causale, rende inutile (assorbimento) l’indagine sul profilo soggettivo della colpa professionale.
La dimensione soggettiva dell’imputazione, infatti, corrisponde all’effetto giuridico che la norma collega ad un determinato comportamento sulla base di un criterio di valore, che è rappresentato dall’inadempienza nella responsabilità contrattuale e dalla colpa o il dolo in quell’aquiliana.
Nel caso di specie l’argomentazione centrale riguarda l’assenza del nesso causale tra la presunta condotta inadempiente del legale e l’evento pregiudizievole rappresentato dal mancato intervento del fondo di garanzia dell’Inps a copertura del TFR richiesto da NOME.
Tale censura del nesso causale deriva dall’argomentazione secondo cui fu proprio il cliente che decise di non iniziare l’azione. ‘È stato lo stesso appellante a provocare l’estinzione del diritto decidendo di non procedere giudizialmente nei confronti dell ‘Inps, come dallo stesso ammesso’.
Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 e n. 4 c.p.c., la violazione degli articoli 115 c.p.c. e 2697 c.c. Sarebbe errata l’affermazione di non contestazione e sostanziale riconoscimento del fatto che ‘l’attore fu impedito a prose guire l’azione’. Al contrario, l’appellante ha contestato di avere sostenuto una siffatta posizione processuale. ‘L’equivoco in cui è caduto il giudice di prime cure è sorto, all’evidenza, dall’erronea comprensione di quello che era un mero commento del sottoscritto difensore e non certo una deduzione in fatto’. Inoltre, la circostanza secondo la quale nel mese di maggio 2014 l’avvocato avrebbe chiesto al cliente se fosse intenzionato ad intentare un’azione giurisdizionale, ricevendone un rifiuto, sarebbe stata contestata nella comparsa di costituzione di primo grado e nelle memorie ai sensi dell’articolo 183 c.p.c.
Il motivo è inammissibile. Per censurare l’errata applicazione del principio di non contestazione ai sensi dell’articolo 115 c.p.c. parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere i passaggi degli atti difensivi contenenti la contestazione delle allegazioni specifiche di controparte. Nel caso di specie a pagina 17 del ricorso si deduce che, la tesi secondo cui fu il cliente a rifiutare per motivi economici di intentare un’azione giurisdizionale, sarebbe stata contestata in una serie di scritti.
Ma il rinvio operato attraverso il link navigabile contenuto nell’atto fa riferimento agli scritti dell’avvocato COGNOME sotto tale profilo inconferenti.
A ciò occorre aggiungere che la censura non coglie nel segno poiché è irrilevante il motivo (economico o meno) per il quale COGNOME il mandato professionale ad l dato decisivo è il fatto oggettivo del mancato conferimento del mandato.
avrebbe deciso di non conferire interporre il ricorso avverso il diniego dell’Inps, poiché i Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione di articoli 1176 c.c. e 47 del d.p.r. n. 639 del 1970 come modificato nel 1992. In particolare, la Corte d’appello non avrebbe valutato che la pretesa interruzione del rapporto di causalità sarebbe giunta quando il difensore aveva già lasciato scadere il termine di decadenza dall’azione giudiziaria, essendo decorsi sei mesi per fatto imputabile al difensore.
Il motivo è inammissibile in quanto nuovo. Parte ricorrente avrebbe dovuto allegarne l’avvenuta deduzione della questione davanti al giudice di appello, trascrivendo i passaggi essenziali del documento di riferimento e individuando l’atto specifico del giu dizio nel quale la questione sarebbe stata sottoposta all’esame del giudicante nel rispetto dei termini processuali.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di ciascuna delle parti controricorrenti e declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento del cd doppio contributo.
PTM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, Generali Italia S.p.A., liquidandole in € 1.800,00 per compensi, ivi comprese spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ivi compresi esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge ed in favore della
contro
ricorrente, NOME COGNOME liquidandole in € 1.500,00 per compensi, ivi comprese spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ivi compresi esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte