Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14261 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14261 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2024
Oggetto
Responsabilità
professionale
–
Avvocato
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4081/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrenti –
contro
INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in RomaINDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5982/2020 depositata in data 30 novembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Gli AVV_NOTAIO convennero in giudizio, nel 2009, davanti al Tribunale di Roma, il Condominio di INDIRIZZO, chiedendone la condanna al pagamento dei compensi relativi all’attività professionale svolta, in favore del Condominio, per il recupero di somme nei confronti di terzi, attraverso l’instaurazione di procedimento monitorio, la difesa nel susseguente giudizio di opposizione ed in una procedura esecutiva; precisarono che per tale attività non avevano ricevuto neppure le somme liquidate in loro favore come antistatari.
Il Condominio resistette alla domanda e chiese in via riconvenzionale la condanna degli attori al pagamento della somma di Euro 5.660,60 a titolo di risarcimento del danno subito a causa della condotta tenuta dai professionisti in violazione del dovere di diligenza professionale.
Con sentenza n. 22015 del 2013 il Tribunale rigettò la domanda degli attori e, in accoglimento di quella riconvenzionale, condannò questi ultimi al pagamento in favore del condominio della somma di Euro 5.600,60, oltre che alla rifusione delle spese processuali . Decisione confermata dalla Corte d’appello di Roma che, con sentenza n. 5982/2020, resa pubblica il 30 novembre 2020, ha rigettato il gravame interposto dai detti professionisti, condannandoli alle spese del grado.
Avverso la sentenza d’appello i predetti propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste il Condominio depositando controricorso, con il quale chiede anche la cancellazione
di alcune frasi contenute in ricorso, reputate sconvenienti e offensive.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve essere preli minarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso opposta in memoria dal controricorrente sul rilievo che la procura depositata unitamente ad esso dovrebbe considerarsi nulla poiché non riporta l’indicazione delle parti che l’hanno conferita, né la loro identità può evincersi dalle sottoscrizioni, indecifrabili, o da altri dati.
Occorre al riguardo ribadire, in premessa, che la certificazione del difensore nel mandato alle liti in calce o a margine di atto processuale riguarda solo l’autografia della sottoscrizione della persona che, conferendo la procura, si fa attrice o della persona che nell’atto si dichiara rappresentante della persona fisica o giuridica che agisce in giudizio, e non altro, con la conseguenza che deve considerarsi essenziale, ai fini della validità della procura stessa, che in essa, o nell’atto processuale al quale accede, risulti indicato il nominativo di colui che ha rilasciato la procura, facendosi attore nel nome proprio o altrui, in modo da rendere possibile alle altre parti e al giudice l’accertamento della sua legittimazione e dello ius postulandi del difensore; in difetto di queste indicazioni, la procura, ove la firma apposta sia illeggibile, deve considerarsi priva di effetti tutte le volte che il vizio formale abbia determinato l’impossibilità di individuazione della sua provenienza e, perciò, di controllo (anche aliunde ) dell’effettiva titolarità dei poteri spesi (Cass. 18/03/2021, n. 7765, Rv. 660751; 31/05/2006, n. 13018, Rv. 590635; 23/05/1998, n. 5154, Rv. 515750; 23/04/2001, n. 5963, Rv. 546248).
Nel caso di specie, se è vero che la procura depositata in atti unitamente al ricorso non reca l’indicazione dei soggetti che l’hanno conferita e che questa non è nemmeno ricavabile dalle sottoscrizioni autografe che vi sono apposte in calce, in quanto illeggibili, è anche vero, tuttavia, che è possibile ricavare tale dato dall’atto cui la procura accede, circostanza quest’ultima che consente certamente di riferire ai soggetti che ivi sono indicati come ricorrenti assistiti dall’avvocato cui è conferita la procura la sottoscrizione apposta in calce e ritenere, pertanto, soddisfatto il requisito predetto.
Con il primo motivo ─ rubricato « violazione e falsa applicazione degli artt. 88 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.: la Corte di Appello si è pronunciata su documenti nuovi non prodotti in primo grado inseriti nel fascicolo di parte senza alcuna istanza di ammissione ai sensi del novellato art. 345 c.p.c. » ─ i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia ritenuto provata la corresponsione in loro favore, a titolo di compensi professionali, della somma di Euro 4.295,90 portata da assegno circolare, sebbene tale assegno fosse stato prodotto, per la prima volta, inammissibilmente, nel giudizio di appello, come -assumono- dimostra il raffronto tra i documenti presenti nel fascicolo di primo grado e quelli invece prodotti in appello.
3. Il motivo è inammissibile.
L ‘eccezione di novità della produzione documentale non risulta essere stata fatta nel giudizio di appello, con la conseguenza che i ricorrenti non hanno la possibilità di prospettarla come motivo di ricorso per cassazione, giacché, pur essendo l’ipotetica violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. questione rilevabile d’ufficio e, dunque, anche dalla parte per tutta la durata del grado di appello, fino alla conclusionale, il non averla rilevata nemmeno con essa, in mancanza di previsione della rilevabilità in ogni stato e grado del processo, ha consumato il potere di farla valere.
Ciò alla stregua dell’esegesi dell’art. 157, terzo comma, cod. proc. civ. proposta da Cass. 30/08/2018, n. 21381, e qui condivisa, alla stregua della quale « la regola dettata dall’art. 157, terzo comma, c.p.c., secondo cui la parte che ha determinato la nullità non può rilevarla, non opera quando si tratti di una nullità rilevabile anche d’ufficio, ma tale inoperatività è correlata alla durata del potere ufficioso del giudice, sicché una volta che quest’ultimo abbia deciso la causa omettendo di rilevare la nullità, la regola si riespande, con la conseguenza che la parte che vi ha dato causa con il suo comportamento, ed anche quella che, omettendo di rilevarla, abbia contribuito al permanere della stessa, non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza, a meno che si tratti di una nullità per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo » (v. anche tra le numerose succ. conff. Cass. n. 34543 del 2023; n. 30289 del 2023; n. 14392 del 2023; n. 5815 del 2023; n. 40996 del 2021; n. 26310 del 29/09/2021; n. 25743 del 22/09/2021; n. 21529 del 27/07/2021).
4. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano « violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 295 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c. » per avere la Corte d’appello rigettato l’istanza di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. in attesa della definizione del separato giudizio sulla querela di falso proposta in via principale con riferimento all’avviso di ricevimento postale della busta contenente l’assegno di €. 4.295,90 asseritamente inviato dal condominio.
5. La censura è infondata.
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, richiamato anche in ricorso, ai fini della sospensione necessaria del processo, nel quale sia stato prodotto il medesimo documento, impugnato con querela di falso in via principale in altro giudizio, occorre stabilire se l’eventuale dichiarazione di falsità del documento
costituisca non già soltanto uno dei tanti elementi di valutazione, dei quali il giudice della causa asseritamente pregiudicata deve tenere conto nella formazione del proprio convincimento (ciò che implicherebbe, tutt’al più, un rapporto di pregiudizialità logica, ma non giuridica), bensì se tale dichiarazione costituisca il passaggio necessario della decisione in ordine ad un elemento costitutivo della pretesa dell’attore o di un’eccezione decisiva del convenuto in tale causa (Cass. 04/07/2011, n. 14578, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Come ulteriormente chiarito nella motivazione del citato arresto, il principio è una diretta ricaduta della interpretazione restrittiva dell’istituto della sospensione necessaria affermatasi almeno a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 14670 del 2003.
Secondo tale consolidato indirizzo « l’art. 295 c.p.c., interpretato in modo conforme ai principi di uguaglianza dei cittadini in rapporto alla tutela giurisdizionale e di ragionevole durata del processo, non lascia spazio non sindacabile per una discrezionale e facoltà di sospensione del processo, esercitabile al di fuori dai casi tassativi di sospensione necessaria, la quale può essere disposta quando la decisione del processo medesimo dipenda dall’esito di altra causa: cioè quando la pronuncia da prendersi in detta altra causa abbia portata pregiudiziale in senso stretto, ossia portata vincolante, con effetto di giudicato, all’interno della causa pregiudicata; ed, a tal fine, la nozione di pregiudizialità ricorre solo quando una situazione sostanziale rappresenti un fatto costitutivo о comunque un elemento della fattispecie di un’altra situazione sostanziale sicché occorre garantire uniformità di giudicati » (cfr., tra le tante, Cass. n. 27426 del 2009).
Una tale condizione non può ritenersi ricorrere:
anzitutto, tra cause pendenti fra soggetti diversi, in quanto la parte rimasta estranea ad uno di essi può sempre eccepire l’inopponibilità, nei propri confronti, della relativa decisione ( ex
multis : Cass. n. 6554 del 2009): al qual riguardo deve rilevarsi, con riferimento al caso di specie, che non è dato sapere nei confronti di chi la querela di falso in via principale sia stata proposta, avendo i ricorrenti omesso alcuna allegazione al riguardo e anche di indicare se e dove la querela sia reperibile nel fascicolo di causa, in violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.;
b) quando l’eventuale dichiarazione di falsità del documento costituisca soltanto uno dei tanti elementi di valutazione dei quali il giudice della causa (asseritamente) pregiudicata deve tener conto nella formazione delle proprie convinzioni al fine di decidere detta causa, dal momento che ciò implicherebbe, tutt’al più, un rapporto di pregiudizialità logica, ma non anche giuridica.
Ebbene, proprio questo è il rilievo (solo logico, non anche giuridico nel senso presupposto dall’art. 295 cod. proc. civ.) che avrebbe potuto assegnarsi all’accertamento della falsità della sottoscrizione apposta sull’avviso di ricevimento della raccomandata in questione, incidendo tale accertamento solo sull’efficacia probatoria da assegnare ad un elemento di prova, come tale rimesso al prudente apprezzamento del giudice.
In tal modo la decisione sulla querela non avrebbe inciso su un elemento costitutivo della pretesa dell’attore o di un’eccezione decisiva del convenuto e non si sarebbe determinata, dunque, una dipendenza necessaria dell’una decisione rispetto all’altra.
6. Con il terzo motivo ─ rubricato « violazione e falsa applicazione degli artt. 2736 e ss. c.c., 233 e ss. c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3; abnormità della dichiarata subordinazione del giuramento decisorio ad una “possibile” consulenza tecnica che gli appellanti avrebbero avuto onere di proporre nonostante la disponibilità d’ufficio della stessa e la assenza in capo ad essa della qualifica di mezzo istruttorio; violazione dell’art. 61 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 » -─ i ricorrenti si dolgono della mancata ammissione del giuramento
decisorio deferito all’amministratore del condominio , secondo le formule qui di seguito trascritte, per contestare l’efficacia della copia dell’assegno circolare prodotta in giudizio al fine di dimostrare l’avvenuto pagamento dei compensi professionali : « Giuro e giurando affermo o nego che gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME sono risultati destinatari di un assegno per Euro 4.295,00 da me spedito a loro »; « Giuro e giurando affermo o nego che gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME abbiano incassato il suddetto assegno per €. 4.295,00 »; « Giuro e giurando affermo o nego che dell’incasso da parte degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO ho conoscenza legale per cognizione diretta degli estratti bancari del condominio ».
7. Il motivo è inammissibile.
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, evocato anche in ricorso, « la formula del giuramento decisorio – attese le finalità di questo speciale mezzo di prova – deve essere tale che, a seguito della prestazione del giuramento stesso, altro non resta al giudice che verificare l’ an iuratum sit , onde accogliere o respingere la domanda sul punto che ne ha formato oggetto, con la conseguenza che detto mezzo probatorio non può servire per l’acquisizione di elementi presuntivi, da valutarsi in concorso ed in relazione con gli elementi istruttori già raccolti; la valutazione (positiva o negativa) della decisorietà della formula del giuramento è, poi, rimessa all’apprezzamento del giudice del merito, il cui giudizio circa l’idoneità della formula a definire la lite è sindacabile in sede di legittimità con esclusivo riferimento alla sussistenza di vizi logici o giuridici attinenti all’apprezzamento da quegli espresso » (Cass. 07/05/2014, n. 9831; 13/11/2009, n. 24025; n. 4001 del 23/02/2006; 22/02/2001, n. 2601).
Nel caso di specie la Corte d ‘appello ha giustificato il proprio apprezzamento negativo circa la decisorietà delle riportate formule con motivazione congrua che si sottrae al sindacato di questa Corte,
avendo tra l’altro osservato che (v. sentenza, pag. 10) « sul primo capitolo non potrebbe rispondere il Condominio, mentre i successivi due sono superati dal meccanismo che governa l’emissione dell’assegno circolare (comunque intervenuta), per il quale la provvista viene prelevata … al momento della sua emissione ».
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano, infine, « travisamento del fatto documentale eccepibile, ex Cass., sez. I, 25 maggio 2015, n. 10749, sub specie di vizio motivazionale ex art. 360 n. 5 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1181, 1218, 1223, 1227, 2697 e 2704 c.c., artt. 96, comma III, 306, 496, 615, 616, 619 c.p.c. in merito alla risarcibilità del danno ed alla quantificazione dello stesso in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ».
L’illustrazione del motivo è affidata alle considerazioni qui di seguito sintetizzate:
─ la riduzione del pignoramento, disposta dal giudice dell’esecuzione quando ancora gli odierni ricorrenti assistevano il condominio, non determina di per sé alcun tipo di sanzione nei confronti del creditore;
─ s uccessivamente alla revoca del mandato conferito ai ricorrenti, il Condominio valutò opportuno rinunciare all’esecuzione ed il G.E., presone atto, emise un’ordinanza nella quale, nel dichiarare cessata la materia del contendere in ordine alla opposizione, dava espressamente atto che « la prossimità fra i bonifici » eseguiti dai debitori esecutati « e la data della notifica potrebbe indurre a ritenere che il condominio abbia agito in buona fede »;
─ la procedura era stata attivata legittimamente, in quanto il pagamento non era pervenuto per l’intero;
─ nel riconoscere quale danno risarcibile l’importo di € 2.151,44, a titolo di spese liquidate in favore del debitore esecutato con l’ordinanza di estinzione della procedura esecutiva, i giudici di merito hanno male applicato il principio di cui all’art. 1227 c.c., non avendo
verificato che il danno lamentato era stato, in realtà, cagionato a sé stesso dal danneggiato, atteso che il presunto danno trova collocazione temporale in un momento successivo alla revoca del mandato;
─ la sentenza basa il giudizio probabilistico, circa il danno che le scelte operate dagli odierni ricorrenti avrebbero arrecato sul piano dei supposti esiti negativi del giudizio di opposizione all’esecuzione, su elementi privi di consistenza; ciò in quanto il fatto che il creditore avesse, con il patrocinio degli odierni ricorrenti, pignorato beni di valore sproporzionato rispetto al credito, abilitava il debitore alla riduzione del pignoramento (che peraltro ricade in un potere officioso del Giudice con conseguente sostanziale inutilità della eccezione di parte) ma in nessun modo poteva essere interpretata quale possibile presupposto per una futura azione risarcitoria nei confronti del creditore; il danno si è, dunque, verificato unicamente per la scelta processuale del Condominio di rinunciare alla procedura esecutiva senza coltivare le proprie ragioni nella minacciata opposizione;
─ il Condominio deve inoltre imputare a se stesso di non aver contestato l’illegittima condanna alle spese; questa , infatti, sarebbe stata consentita all’interno del giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c. ove la rinuncia della parte opposta avrebbe confermato la fondatezza della opposizione; nella specie, invece, la rinuncia dell’esecutante ha portato alla estinzione della procedura esecutiva con una illegittima condanna alle spese per una procedura di opposizione mai instaurata ma unicamente minacciata;
─ erroneamente la Corte d’appello ha poi ritenuto costituire voce di danno risarcibile l’importo corrisposto dal Condominio al nuovo difensore, la cui nomina è riferibile a sua libera scelta; importo peraltro quantificato sulla base di documenti privi di data certa (preavvisi di parcella, transazione non firmata).
Il motivo è inammissibile.
In disparte la sovrapposta indicazione, in rubrica, di tipologie di vizio cassatorio eterogenee e incompatibili, gli argomenti di critica proposti, sostanzialmente ripetitivi di quelli già dedotti in appello e compiutamente esaminati in sentenza, mirano in sostanza a contestare la ricognizione del fatto quale operata in termini conformi nei due gradi del giudizio di merito ed a sollecitare un riesame delle risultanze probatorie, e comunque del merito della causa, precluso in questa sede di legittimità (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054); ciò, peraltro, attraverso l’evocazione di atti e documenti palesemente inosservante dell’onere di specifica indicazione degli stessi ex art. 366 n. 6 cod. proc. civ., omettendo i ricorrenti sia di riportarne il contenuto, sia di indicare in quale sede essi furono prodotti nel giudizio di merito e la loro localizzazione nel fascicolo di causa.
10. La denuncia del vizio di «travisamento del fatto documentale» non trova, poi, alcuna pertinente declinazione nella illustrazione del motivo, non essendo in alcun modo indicata la fonte di prova il cui contenuto sia stato travisato, né tanto meno come e perché la si debba ritenere travisata, così da potersene predicare la sindacabilità nel giudizio di cassazione nei termini indicati da Cass. Sez. U. 05/03/2024, n. 5792.
Ricondotta al paradigma del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti la denuncia si appalesa inammissibile per la preclusione che deriva -ai sensi dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. -dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo i ricorrenti assolto l’onere in tal caso su di essi gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a
fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320).
11. Non emerge, dal ricorso in esame, la specifica indicazione delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata che si assumono essere in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con la loro interpretazione, come stabilito da consolidato orientamento di questa Corte (Cass., 02/03/2018, n. 5001; Cass., 12/01/2016, n. 287; Cass., 20/08/2015, n. 17060).
Anche in punto di nesso di causa tra condotta professionale e danni subiti dal cliente, le censure pongono una quaestio facti sottratta al sindacato di legittimità e ciò fanno, peraltro, in termini del tutto apodittici, sottratti ad un adeguato confronto con la più ampia motivazione sul punto resa dalla Corte d’appello , oltre che inosservanti, come detto, dell’onere di specifica indicazione degli atti o documenti richiamati.
Varrà comunque rammentare che quello sul detto nesso causale è giudizio ─ da compiere sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica ─ che è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile da questa Corte se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ratione temporis vigente.
È vero, infatti, che, nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale è una valutazione connotata da un contenuto giuridico, fondata cioè su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico, ma nel giudizio di responsabilità professionale dell’avvocato tale valutazione, ancorché in diritto, assume i connotati di un giudizio di merito, il che esclude che questa Corte possa essere chiamata a controllarne l’esattezza in termini giuridici (in tal senso, Cass. 13/02/2014, n. 3355, secondo cui « nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la valutazione prognostica
compiuta dal giudice di merito circa il probabile esito dell’azione giudiziale malamente intrapresa o proseguita, sebbene abbia contenuto tecnico-giuridico, costituisce comunque valutazione di un fatto, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione »; v. anche, in senso conforme, Cass. 20/08/2015, n. 17016; 28/06/2016, n. 13292; 08/11/2016, n. 22606; 26/09/2017, n. 22420; 20/03/2018, n. 6862; 26/06/2018, n. 16803; 12/07/2018, n. 18455; 14/11/2022, n. 33466; 25/07/2023, n. NUMERO_DOCUMENTO;
Per le considerazioni che precedono deve pertanto pervenirsi al rigetto del ricorso, con la condanna dei ricorrenti alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.
Non si ravvisano i presupposti dell’illecito endoprocessuale ex art. 89, secondo comma, cod. proc. civ., dedotto dal controricorrente con riferimento ad alcune espressioni contenute in ricorso.
Si tratta invero di locuzioni (« imperizia da parte della difesa tecnica del Condominio », « scelte processuali operate dal cliente in chiaro atteggiamento autolesionistico », « aver redatto una dannosa istanza di rinuncia ad una esecuzione legittima », « aver negoziato una transazione totalmente inutile ») che -benché espressive di una valutazione negativa circa le scelte operate dal condominio in accordo con il nuovo difensore -non possono considerarsi disgiunte dalle tesi difensive svolte in giudizio e presentano attinenza con l’oggetto della controversia.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza