Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26287 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 26287 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/09/2025
OGGETTO:
contratto d’opera professionale con l’avvocato
RG. 15640/2019
P.U. 11-9-2025
SENTENZA
sul ricorso n. 15640/2019 R.G. proposto da:
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME controricorrente
avverso la sentenza n. 1202/2019 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 20-2-2019
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 11-9-2025 dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha concluso per il rigetto del ricorso,
udito l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per il ricorrente
FATTI DI CAUSA
1. La sentenza impugnata n. 1202/2019 della Corte d’appello di Roma depositata il 20-22019 ha integralmente rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME alla sentenza n. 24053/2012 del Tribunale di Roma pubblicata il 7-12-2012 che, accertato il credito oggetto della domanda riconvenzionale dell’avvocato COGNOME nell’importo di Euro 3.748,00 a titolo di compensi professionali e il suo debito oggetto della domanda principale nell’importo di Euro 83.281,21 a titolo di risarcimento del danno per colpa professionale, lo ha condannato a pagare a favore di NOME COGNOME Euro 79.532,56, oltre le spese di lite.
Per quanto interessa in relazione ai motivi di ricorso proposti, la sentenza ha dichiarato che la prestazione professionale di cui l’attore COGNOME aveva lamentato l’inadempimento non era particolarmente complessa sul piano tecnico e l’inadempimento dell’avvocato era consistito nella violazione di regole processuali basilari, che non potevano essere ignorate; ciò in quanto vi era stata la scelta processuale errata di avviare un nuovo giudizio volto a ottenere la risoluzione di contratto preliminare quando era già maturata la prescrizione del diritto, per cui la mancata riassunzione del precedente giudizio interrotto aveva fatto venire meno la sospensione del termine per tutta la durata del processo non riassunto; ha dichiarato che era altamente probabile che la domanda di risoluzione del contratto preliminare sarebbe stata accolta e avrebbe comportato il riconoscimento al promissario acquirente COGNOME del diritto al pagamento del doppio della caparra versata; ha escluso che l’impossidenza del promittente venditore Corsi interrompesse il nesso di causa tra l’inadempimento professionale e i danni. Ha escluso nella sentenza di primo grado vizio di ultrapetizione e ha confermato la
pronuncia del Tribunale anche con riguardo alla liquidazione degli onorari.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
In data 28-4-2023 e in data 13-6-2023 il difensore del ricorrente ha depositato istanza volta a ottenere la dichiarazione di interruzione del processo in ragione del decesso del ricorrente intervenuto dopo la notifica del ricorso, producendo altresì in data 20-5-2025 documenti attestanti che tutti i chiamati avevano rinunciato all’eredità .
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del giorno 11-9-2025 e nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e ha depositato memoria illustrativa il controricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente si dà atto che non può essere accolta l’istanza volta a ottenere l’interruzione del processo per morte del ricorrente, depositata dal suo difensore.
E’ acquisito il principio secondo il quale nel giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che non assume alcun rilievo la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, anche se dichiarata dal difensore (Cass. Sez. L 29-1-2016 n. 1757 Rv. 638717-01, Cass. Sez. 3 3-12-2015 n. 24635 Rv. 638041-01, Cass. Sez. 1 31-10-2011 n. 22624 Rv. 620463-01, Cass. Sez. U 21-6-2007 n. 14385 Rv. 598042-01, per tutte).
2.Con il primo motivo, intitolato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 2236 c.c., 1218 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia’, il ricorrente sostiene vi fosse speciale difficoltà della questione, legata
anche alle condizioni concrete del debitore nullatenente, che il diritto era molto controverso, in relazione all’acquisto a non domino, alla mancanza di conferimento di procura da parte dei condomini all’amministratore e all’assoluta incapienza del patrimonio dell’obbligato; sostiene che la sentenza avrebbe dovuto considerare tali elementi per ritenere la necessità di risolvere problemi tecnici di speciale difficoltà, nel senso che anche una sentenza favorevole al cliente COGNOME non avrebbe portato ad alcun esito positivo; evidenzia che l’ obbligazione era di mezzi e il difensore non poteva ottenere più di ciò che la legge consentisse, in quanto il debitore era nullatenente e il creditore non aveva patrimonio sul quale rivalersi; quindi lamenta che la sentenza abbia trascurato che l’attività del difensore, anche se svolta diversamente, non avrebbe potuto consentire il raggiungimento di altro risultato.
2.1.Il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile ai sensi dell’art. 348 -ter co.5 cod. proc. civ. ratione temporis vigente, in ragione dell’introduzione del giudizio d’appello successivamente all’11 -92012 e all’introduzione del giudizio di cassazione prima del 28-2-2023, vertendosi in ipotesi di “doppia conforme”. In tale caso il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n.5 dell’art. 360 cod. proc. civ. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202 -01, Cass. Sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. 643244-03, per tutte). Nella fattispecie il ricorrente non deduce alcunché in tal senso e, al contrario, in modo ulteriormente inammissibile evoca il vizio ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. nella formulazione precedente all’art. 54 legge 83/2012 conv. in legge 134/2012 che non si applica alla
fattispecie, per cui neppure individua il fatto o i fatti decisivi dei quali sarebbe stato omesso l’esame.
Inoltre, nelle deduzioni del ricorrente non risulta enucleabile alcuna violazione o falsa applicazione delle disposizioni in tema di responsabilità professionale, perché la sentenza impugnata ha fatto piana applicazione dei principi consolidati in materia. Infatti, è acquisito che le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività professionale dell’avvocato s iano di mezzi e non di risultato e che, ai fini del giudizio di responsabilità, rilevi no le modalità di svolgimento dell’attività in relazione al parametro de lla diligenza fissato dall’art. 1176 co. 2 cod. civ., cioè il parametro della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione (Cass. Sez. 3 5-8-2013 n. 18612 Rv. 627537-01, Cass. Sez. 2 18-7-2002 n. 10454 Rv. 555923-01). In questa linea, è stato altresì enunciato il principio secondo il quale l’avvocato è tenuto a operare con diligenza e perizia adeguate alla contingenza, così da assicurare che la scelta professionale cada sulla soluzione che meglio tuteli il cliente (Cass. Sez. 3 21-7-2023 n. 21953 Rv. 668599-01, Cass. Sez. 6-3 28-2-2014 n. 4790 Rv. 630405-01). Nella fattispecie, nessuno degli argomenti svolti dal ricorrente è finalizzato a sostenere che, essendo nullatenente la controparte con riguardo alla quale l’avvocato era stato incaricato dal cliente di agire, le scelte professionali avrebbero dovuto essere diverse; quindi, sotto tale profilo non si pone alcuna questione da esaminare in questa sede. Ugualmente, nessuno degli argomenti del ricorrente è volto a sostenere che la sentenza impugnata abbia applicato erroneamente i parametri di valutazione della diligenza del professionista.
Diversamente, il ricorrente sostiene che, essendo il debitore nullatenente, qualsiasi tipo di attività difensiva non avrebbe conseguito esito positivo e, quindi, sotto questo profilo nega l’esistenza di un qualche danno derivato dall’attività professionale . Sul punto, la
sentenza ha dichiarato che l’impossidenza del debitore Corsi all’epoca dell’avvio delle azioni giudiziarie non poteva interrompere il nesso di causalità tra l’inadempimento professionale e la perdita d i denaro da parte del cliente, in quanto si dovevano considerare i diversi e possibili esiti di un titolo giudiziario esecutivo, che poteva essere azionato nel tempo, anche in relazione a eventuali mutamenti della situazione economica del debitore. Nessuna delle deduzioni del ricorrente è volta a censurare in termini ammissibili in questa sede tale pronuncia, che ha fatto corretta applicazione del principio secondo il quale, in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, ai fini dell’accertamento di un danno risarcibile, si applica la regola della preponderanza dell’evidenza o del ‘più probabile che non’ (Cass. Sez. 3 6-5-2020 n. 8516 Rv. 657777-01, Cass. Sez. 3 24-10-2017 n. 25112 Rv. 64645101).
3 .Con il secondo motivo, intitolato ‘ violazione art. 112 c.p.c., vizio di ultrapetizione -art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.’, il ricorrente sostiene che la sentenza di primo grado, pronunciando ultra petita, abbia riconosciuto illegittimamente al cliente Bernabei gli esborsi inutilmente sostenuti per un giudizio non coltivato ed estinto; sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, il giudice doveva pronunciare entro i limiti della domanda, non potendo modificare i termini della controversia.
3.1.Il motivo, a prescindere da ogni questione in ordine alle modalità con le quali è formulato e perciò esaminato come volto a censurare la sentenza di secondo grado per non avere accolto il motivo di appello con il quale era stata censurata la sentenza di primo grado per avere pronunciato in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. , è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata ha rigettato il motivo di appello con il quale l’appellante aveva dedotto il vizio di ultrapetizione commesso dal
Tribunale per avere riconosciuto al cliente le spese processuali pari a Euro 9.958,84 sostenute nel processo di primo grado, nonostante la somma non fosse stata richiesta nelle conclusioni della comparsa di costituzione e risposta. La sentenza ha dichiarato che l’i ndividuazione del petitum deve avvenire sulla base di un esame complessivo dell ‘atto, non limitato alla parte destinata a contenere le conclusioni ma anche alla parte espositiva; ha considerato che il convenuto COGNOME aveva specificamente indicato tali voci di danno, quali onorari versati all’avvocato per il giudizio estinto per mancata riassunzione , e ha dichiarato che era irrilevante che quella voce non fosse stata riportata nelle conclusioni, in quanto era evidente lo scopo perseguito dalla parte di ottenere il risarcimento integrale dei danni subiti.
La pronuncia si sottrae a ogni critica, perché l’interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito e nella fattispecie l’interpretazione è stata eseguita facendo applicazione del principio corretto, secondo il quale l’og getto della domanda deve essere individuato attraverso l’esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio, non limitato alla parte di esso destinata a contenere le conclusioni (Cass. Sez. 1 25-9-2014 n. 20294 Rv. 632291-01, Cass. Sez. 3 28-8-2009 n. 18783 Rv. 609210-01).
4 .Con il terzo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e falsa applicazione degli articoli 29, lettera l, L. 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) e art. 14, comma 1°, lett. d del D.P.R. 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), nonché dei parametri D.M. 5/10/1994 n. 585 pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 21-10-1994. N. 247 applicabile nella liquidazione dei compensi dovuti all’avv. NOME COGNOME dal sig. NOME COGNOME -art. 360 cpc n.3′; dichiara che la liquidazione del compenso a carico del cliente si debba basare unicamente sul valore originario della causa e che i nuovi parametri si
debbano applicare ogni volta la liquidazione giudiziale avvenga in data successiva all’entrata in vigore della nuova tariffa e si debba applicare a professionista che non abbia ancora completato la prestazione professionale; quindi lamenta che la sentenza abbia eseguito una illegittima decurtazione degli onorari, in contrasto con la disciplina valevole nel 2003, allorché era stata conclusa l’attività. Aggiunge che nella fattispecie le prestazioni rese dall’avvocato non erano state oggetto di contestazione, le prestazioni erano state eseguite per le pratiche per le quali era stato richiesto il pagamento e quindi il parere reso dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma doveva considerarsi pienamente valido e il giudice avrebbe dovuto tenerne conto nel parametrare la liquidazione.
4.1.Il motivo è inammissibile nella prima parte perché, nel dedurre che i compensi spettanti all’avvocato avrebbero dovuto essere parametrati al valore originario della domanda e avrebbero dovuto essere liquidati sulla base delle tariffe vigenti al momento della conclusione della prestazione, non contiene alcun riferimento agli atti processuali e ai documenti, imposto ex art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ. e necessario a indicare in quali termini e per quali voci la liquidazione dei compensi non sia avvenuta nel rispetto dei principi evocati. Esclusa, come evidenziato da Cass. Sez. U 18-3-2022 n. 8950 (Rv. 664409-01), una interpretazione formalistica tale da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, la previsione dell’art. 366 co. 1 n.6 cod. proc. civ. richiede che nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio; al contrario, nella fattispecie la doglianza è svolta del tutto genericamente.
Il motivo è manifestamente infondato laddove deduce che il giudicante avrebbe dovuto uniformarsi alla liquidazione della parcella
eseguita dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati in quanto è acquisito che, in materia di liquidazione delle competenze professionali dell’avvocato, il giudice non è vincolato al parere di congruità del Consiglio dell’Ordine, dal quale può discostarsi indicando, sia pure sommariamente, le voci per le quali ritiene il compenso non dovuto oppure dovuto in misura ridotta (Cass. Sez. 6-2 15-1-2018 n. 712 Rv. 647975-01, Cass. Sez. 3 26-9-2005 n. 18775 Rv. 584284-01).
5.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione il giorno 11-9-2025
Consigliere estensore Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME