Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22759 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22759 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1159/2022 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, con domiciliazione digitale ex lege
-ricorrenti- contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende, con domiciliazione digitale ex lege
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 1494/2021 depositata il 22/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 10 aprile 2013, NOME COGNOME evocava in giudizio davanti al Tribunale di Vibo Valentia, NOME e NOME NOME COGNOME per sentirli condannare al risarcimento dei danni determinati in euro 250.000.
Lamentava di avere conferito al commercialista NOME COGNOME e all’avvocato NOME NOME COGNOME mandato per impugnare quattro avvisi di accertamento notificatigli dalla Agenzia delle Entrate di Vibo Valentia. Esponeva che i professionisti avevano predisposto tre ricorsi, rigettati dalla Commissione Tributaria Provinciale e che, due delle tre decisioni impugnate in appello erano state annullate, mentre per la terza sentenza di rigetto non era stato interposto il gravame perché, secondo i professionisti, non sarebbe stata notificata la sentenza; gli era stata quindi notificata la cartella esecutiva n. NUMERO_CARTA Alle rimostranze del Riga era stata data assicurazione dallo studio Lubiana che vi era stato un errore dell’Agenzia delle Entrate e l’avv. Lubiana aveva proposto istanza di sgravio. Ciò nonostante, era stata notificata al Riga l’intimazione di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO e l’impugnazione avverso tale intimazione, proposta dai predetti Lubiana, era stata rigettata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Vibo Valentia. Pertanto, il Riga era stato costretto a rateizzare quanto dovuto (euro 120.0011,27; importo rateizzato pari ad euro 128.972,80) e aveva dovuto subire l’accensione di ipoteca sui propr i beni.
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME contestando la pretesa, ribadendo di non aver mai ricevuto dal proprio cliente mandato per impugnare la sentenza in questione e precisando che il ricorso avverso l’avviso di intimazione di pagamento era stato proposto per
omessa notifica della cartella di pagamento, del cui ricevimento il Riga non l’aveva informato .
NOME COGNOME si costituiva contestando di aver avuto rapporti professionali con l’attore e disconoscendo la sottoscrizione degli atti relativi alle impugnazioni.
Il Tribunale di Vibo Valentia, con sentenza del 7 dicembre 2018, accertava la responsabilità professionale dei convenuti che condannava al pagamento della somma di euro 75.721,39, oltre interessi, con compensazione delle spese di lite.
Avverso tale decisione NOME e NOME NOME COGNOME proponevano impugnazione davanti alla Corte d’appello di Catanzaro, con atto notificato il 28 dicembre 2018, contestando la ricostruzione operata dal Tribunale e deducendo l’omessa valutazione del comportamento del cliente che non avrebbe manifestato l’intenzione di impugnare la sentenza del giudice tributario. A loro avviso, difettava, inoltre, la prova del mandato conferito per tale attività. In ogni caso il pregiudizio non sarebbe dipeso dalla mancata impugnazione della sentenza di primo grado del giudice tributario, quanto piuttosto dalla definitività della cartella di pagamento emessa sulla base dell’avviso di accertamento, la quale non avrebbe potuto essere impugnata, perché il cliente non aveva prodotto in giudizio la cartella, né dimostrato di averla consegnata allo studio legale né di aver conferito loro l’incarico di proporre opposizione avverso la stessa. Lamentavano, altresì, che erroneamente era stata individuato come controparte lo ‘s tudio Lubiana’ , che in realtà non esisteva come associazione tra il commercialista e l’avvocato. Sotto altro profilo NOME COGNOME ribadiva di non avere ricevuto alcun incarico per l’impugnazione . NOME NOME COGNOME insisteva per la mancanza del contratto di mandato tra cliente e professionista; deduceva di aver disconosciuto tutte le firme a suo nome risultanti dagli atti prodotti in giudizio da controparte; sosteneva che il Tribunale avesse errato
nel non prendere in considerazione, in difetto di alcuna istanza di verificazione da parte del Riga, siffatto disconoscimento ai fini dell’inutilizzabilità probatoria di tali atti. Gli appellanti contestavano anche la correttezza della decisione di primo grado alla base dell’avvenuto riconoscimento a loro carico della responsabilità professionale nella vicenda in ordine alla prognosi di favorevole esito per il Riga. Infine, gli appellanti censuravano anche la quantificazione del danno.
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME eccependo l’inammissibilità della impugnazione e, comunque, la sua infondatezza.
Con sentenza del 22 novembre 2021 la Corte d’appello di Catanzaro rigettava l’impugnazione condannando gli appellanti al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione NOME e NOME COGNOME affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME Le parti depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c.
Motivi della decisione
Va preliminarmente disattesa l’eccezio ne di ‘ inammissibilità e/o improcedibilità’ del ricorso , formulata dal controricorrente nella memoria, per aver i ricorrenti omesso di depositare la sentenza impugnata con la relazione di notificazione. Ed invero non avendo i ricorrenti allegato che tale sentenza sia stata notificata , l’onere di tale produzione non era posto a carico degli stessi, bensì della controparte che l’ha allegata (v. p. 19 del controricorso) (Cass. 27833/2024); inoltre, e tale rilievo è assorbente, l’improcedibilità non sussiste quando il ricorso è, come nel caso all’esame (sentenza impugnata pubblicata in data 22/11/2021, ricorso presentato per la notifica all’Ufficiale giudiziario in data 21/12/2021 e consegnato al destinatario in data 23/12/2021), notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza, perdendo rilievo
in questo caso la data della notifica del provvedimento impugnato (Cass. 28781/2024).
2. Con il primo motivo si deduce, ai sensi l’articolo 360, n. 3 c.p.c. la violazione dell’articolo 214 c.p.c. in relazione alla ritenuta non applicazione di tale norma al disconoscimento della firma del legale di certificazione dell’autografia della sottoscri zione della procura alle liti e degli articoli 115 e 116, in relazione alla considerazione di elementi probatori non acquisiti al processo.
In particolare, l’avvocato NOME Francesco COGNOME venuto a conoscenza della esistenza dei procedimenti definiti dalla Commissione tributaria, aveva disconosciuto tutte le firme a suo nome relative a tali giudizi e il cliente, NOME COGNOME non aveva proposto istanza di verificazione. Conseguentemente i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere tali documenti non utilizzabili come prova. Al contrario la Corte territoriale con una doppia motivazione ha ritenuto, da un lato tale disconoscimento del tutto incompatibile con il comportamento tenuto dal professionista che, una volta venuto a lato alcuna contestazione, dall’altro, avrebbe argomentato che la certificazione dell’autografia della sottoscrizione della procura alle liti, quale atto conoscenza dell’esistenza degli atti non avrebbe formu privilegiato, avrebbe richiesto la querela di falso.
Secondo i ricorrenti, l’assunto sarebbe infondato difettando la prova della comunicazione al professionista della esistenza dei giudizi tributari. Sotto altro profilo sarebbe inconferente il richiamo alla querela di falso poiché tale strumento sarebbe stato necessario nel caso di disconoscimento della firma da parte del cliente e non del difensore. In ogni caso, si propone querela di falso avverso tali documenti.
Quanto alla posizione di NOME COGNOME secondo la Corte territoriale lo stesso, negli scritti di primo grado, avrebbe riconosciuto l’esistenza del rapporto di prestazione d’opera professionale anche con riferimento alla proposizione dei ricorsi,
avendo agito quale coadiutore dell’avvocato NOME COGNOME. La ricostruzione sarebbe errata difettando il riscontro documentale di un incarico professionale rispetto al quale, al più, il prestatore d’opera professionale risponderebbe ai sensi dell’artic olo 1228 c.c. dell’attività del commercialista, inteso quale sostituto o ausiliario.
Con il secondo motivo si deduce la violazione, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., degli articoli 115 e 116 e degli articoli 2230, 1228 e 2232 c.p.c. per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto sussistente una responsabilità professionale per omessa impugnazione della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale e per la supposta mancata comunicazione delle conseguenze derivanti dall’omessa impugnazione al cliente.
La Corte territoriale dopo avere precisato i compiti gravanti sul professionista incaricato della difesa tecnica, ha evidenziato che lo stesso potrebbe beneficiarsi di esonero da responsabilità nel caso di mancata impugnazione di un provvedimento sfavorevole al cliente, solo dimostrando il contegno inerte di quest’ultimo, nonostante la previa informazione fornita in ordine alla opportunità o meno di proporre appello, con riferimento alle potenziali conseguenze derivanti dalle due opzioni. Secondo parte ricorrente, il conferimento del mandato alle liti non consentirebbe di ritenere sussistente un contratto di prestazione di opera professionale e che le ulteriori argomentazioni della Corte di merito si porrebbero in contrasto con il già richiamato disconoscimento delle firme e con l’assenza di rapporto professionale con il Riga.
I motivi vanno trattati congiuntamente poiché strettamente connessi e sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
La prima censura è inammissibile per violazione dell’articolo 366, n. 6 c.p.c. poiché il ricorso, facendo riferimento specifico a singoli atti processuali, avrebbe dovuto riportare, nella formulazione del motivo non solo gli estremi dell’atto ma anche il contenuto dello stesso, attraverso la trascrizione, al fine di consentire a questa Corte di
verificare l’esistenza di un valido e tempestivo disconoscimento degli atti menzionati nel primo motivo.
Quando il ricorso si fonda su documenti, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).
“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:
(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;
(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;
(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 5/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 7/02/2011).
Principio ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite secondo cui sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019, Rv. 656488 – 01).
Di questi tre oneri, il ricorrente ha compiutamente assolto solo il terzo.
A prescindere da ciò la censura è infondata trovando applicazione il principio secondo cui la funzione del difensore di certificare l’autografia della parte, effettuata dal procuratore ai sensi dell’art. 83 e dell’art. 125 cod. proc. civ., ha natura essenzialmente
pubblicistica; ne consegue che il difensore, con la sottoscrizione dell’atto processuale e dell’autentica della procura riferita allo stesso, compie un negozio di diritto pubblico e riveste la qualità di pubblico ufficiale, la cui sottoscrizione può essere contestata ed impugnata esclusivamente attraverso la querela di falso (Cass. Sez. L, n. 6047 del 16/04/2003 e succ. conf. Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 15170 del 02/07/2014, Rv. 631574 – 01 e Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17473 del 02/09/2015)
Va poi rilevato che non può essere proposta in questa sede querela di falso, in via incidentale, nel caso in cui tale querela riguardi -come nella specie -documenti posti a fondamento della decisione impugnata.
Trova, infatti, applicazione il principio secondo cui ‘Nel giudizio di cassazione, la querela di falso è proponibile limitatamente ad atti del relativo procedimento, come il ricorso o il controricorso, ovvero a documenti producibili ai sensi dell’art. 372 c.p.c., mentre non può riguardare atti e documenti che il giudice di merito abbia posto a fondamento della sentenza impugnata, in quanto la loro eventuale falsità, se definitivamente accertata nella sede competente, può essere fatta valere come motivo di revocazione. Pertanto, essa può riguardare anche la nullità della sentenza impugnata, con riferimento ai soli vizi della sentenza stessa per mancanza dei suoi requisiti essenziali, di sostanza o di forma, e non anche ove essa sia originata, in via mediata e riflessa, da vizi del procedimento, ovvero dalla eventuale falsità dei documenti posti a base della decisione del giudice di merito’ (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 2343 del 29/01/2019, Rv. 652660 – 01).
Quanto alla successiva censura secondo cui dalle risultanze processuali non sarebbe emersa la comunicazione degli atti non contestati rispetto ai quali il professionista avrebbe offerto il proprio supporto, anche per l’impugnazione dell’ultima cartella esa ttoriale,
la doglianza è inammissibile perché formulata in maniera sostanzialmente generica.
In ogni caso, le valutazioni espresse dal giudice con riferimento agli elementi probatori non sono sindacabili in sede di legittimità trattandosi di attività di esclusiva pertinenza del giudice di merito.
Quanto alla posizione del commercialista le censure sono inammissibili perché non specifiche, non confrontandosi con la decisione di merito che, sulla base di un accertameno in fatto, non sindacabile in questa sede, ha ritenuto l’esistenza di un rapporto di prestazione d’opera professionale tra NOME COGNOME e il proprio cliente, evincibile dagli scritti difensivi di primo grado. Sulla base di tali considerazioni la Corte territoriale ha correttamente ritenuto irrilevante la mancanza di un incarico professionale scritto, individuando la funzione del commercialista come quella di supporto qualificato alla attività del legale, atteso che il cliente aveva investito entrambi della questione relativa all’assistenza fiscale, contabile e giudiziaria.
La censura, in definitiva, non si confronta con la sentenza impugnata, poiché a fronte della corretta enucleazione dell’insieme di attività gravanti sull’avvocato incaricato di assicurare lo svolgimento del processo, soprattutto sotto il profilo della previa informazione delle conseguenze derivanti dalla scelta, da parte del cliente, di impugnare o meno i provvedimenti della commissione tributaria, e a fronte di quanto precisato a p. 10 della medesima sentenza in relazione ai rapporti tra il Riga e NOME COGNOME parte ricorrente ribadisce la tesi della mancanza del conferimento di un incarico professionale e dell’insussistenza di elementi probatori in tal senso.
5. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3 e n. 5 c.p.c, la violazione degli articoli 214 c.p.c. e 115 e 116 c.p.c. e l’omesso esame dell’assenza di prova riguardo alla mancata informazione da parte del professionista, nei confronti del cliente,
del deposito della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Vibo Valentia. In particolare, nella sentenza impugnata la Corte territoriale talvolta farebbe riferimento alla posizione del solo avvocato, altre volte al solo commercialista e altre volte ad entrambi i professionisti, con ciò violando l’articolo 112 c.p.c. che impone al giudice di pronunziarsi su tutta la domanda. Sotto tale profilo non sussisterebbe una responsabilità del consulente fiscale, poiché lo stesso avrebbe agito quale ausil iario del legale. Quest’ultimo non sarebbe responsabile per l’intervenuto disconoscimento degli atti.
5.1. Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni.
In primo luogo, non vi è alcun collegamento tra la violazione delle norme dedotte in rubrica e il contenuto del motivo che, per le censure riguardanti l’articolo 112 c.p.c. avrebbe dovuto essere evocato con riferimento all’articolo 360, n. 4 c.p.c.
In secondo luogo, le doglianze formulate sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. sono inammissibili perché non consentite nel caso, ricorrente nella fattispecie in esame, di doppia conforme in quanto ciò è inibito all’articolo 348 ter, quarto comma c.p.c.
In ipotesi di cosiddetta. “doppia conforme” in fatto a cognizione sommaria, ex art. 348 ter, quarto comma, cod. proc. civ., è escluso il controllo sulla ricostruzione di fatto operata dai giudici di merito, sicché il sindacato di legittimità del provvedimento di primo grado è possibile soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili. (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 26097 del 11/12/2014, Rv. 633883)
Nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello,
dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014, Rv. 630359). Tali deduzioni difettano del tutto nel motivo in esame.
Quanto alle violazioni di legge le censure sono ripetitive di quanto già oggetto del primo e del secondo motivo riguardo al ruolo svolto dal dottore commercialista e al disconoscimento delle firme apposte sugli atti processuali.
Inoltre, le censure proposte con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c. sono inammissibili alla luce dei principi affermati da Cass., sez. un. n. 20867/2020 e delle successive pronunce conformi.
Per il resto le doglianze sono assolutamente generiche e prive di specificità, anche con riferimento al criterio del ‘più probabile che non’, opportunamente richiamato dal giudice di primo grado e confermato dalla Corte d’appello.
Quest’ultima scrive che correttamente il Tribunale ha ritenuto ‘sussistente nella vicenda una prognosi favorevole circa l’esito dell’impugnazione colposamente omessa dei professionisti incaricati… Risultando siffatta valutazione saldamente ancorata gli elementi documentati agli atti del giudizio, in merito alla comunanza dei motivi addotti a sostegno dei ricorsi proposti nell’interesse del contribuente nella vicenda, avverso i vari avvisi di accertamento fiscale, siccome involgendoti la correttezza dei criteri di accertamento dei maggiori ricavi a carico del medesimo’.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore del controricorrente in € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, oltre esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte