Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3743 Anno 2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3743 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/02/2024
Oggetto:
composta dai signori magistrati:
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente
RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE AVVOCATO
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere relatore
Ad. 15/01/2024 C.C.
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
R.G. n. 21216/2021
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 21216 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto
da
COGNOME NOME NOMEC.F.: CODICE_FISCALE)
avvocato costituito personalmente in giudizio ai sensi dell’art. 86 c.p.c.
-ricorrente-
nei confronti di
COGNOME NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentato e difeso, giusta procura allegata al controricorso, dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonché RAGIONE_SOCIALE (P.I.: P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-intimati-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Lecce n. 599/2021, pubblicata in data 14 maggio 2021; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
15 gennaio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Fatti di causa
NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’inesatto adempimento, da parte di questi ultimi, di una prestazione professionale, avente ad oggetto il patrocinio in un giudizio civile diretto ad ottenere il pagamento di spettanze di lavoro. Il COGNOME ha chiamato in giudizio la propria compagnia assicuratrice della responsabilità civile professionale, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per essere garantito in caso di soccombenza.
La domanda è stata parzialmente accolta dal Tribunale di Lecce, il quale ha condannato i due professionisti convenuti, in solido, a pagare all’attore l’importo di € 15.000,00 oltre accessori, rigettando invece la domanda di garanzia del COGNOME nei con- fronti della RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’a ppello di Lecce ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre il COGNOME, sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso il COGNOME .
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « violazione dell’ art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. , in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. ».
Il ricorrente contesta la decisione impugnata in relazione al rigetto del secondo motivo del suo appello, con il quale egli aveva contestato la sussistenza dell’inesatto adempimento, da parte
sua, della prestazione professionale dovuta, per non avere diligentemente coltivato il giudizio instaurato ed averne determinato l’estinzione .
Sostiene che, sul punto, mancherebbe, nella sentenza di secondo grado, una effettiva motivazione, che non sia meramente apparente ovvero insanabilmente contraddittoria sul piano logico.
Il motivo è infondato.
1.1 La corte d’appello ha ritenuto che la mancata comparizione a ben tre consecutive udienze, da parte dei professionisti convenuti, con la conseguente dichiarazione del loro assistito di decadenza dalla prova per testi già ammessa e la cancellazione della causa dal ruolo, nonché la mancata riassunzione del giudizio nel termine di legge, senza adeguata informazione al cliente per un periodo di diversi anni, costituisse una grave negligenza degli stessi professionisti, dovendosi valutare la loro conAVV_NOTAIOa nel suo complesso.
In particolare, ha precisato che non poteva avere alcun rilievo, in proposito, la circostanza che -secondo l’appellante COGNOME -la cancellazione della causa del ruolo disposta dal giudice del lavoro ai sensi degli artt. 181 e 309 c.p.c., con conseguente successiva estinzione del giudizio per la sua mancata tempestiva riassunzione, fosse avvenuta in modo irregolare (in quanto non preceduta dalla fissazione di una seconda udienza e dalle necessarie comunicazioni), non avendo comunque i legali officiati e costituiti in giudizio verificato diligentemente l’andamento dello stesso, come era loro dovere professionale, e non avendo essi, comunque, posto in essere gli opportuni rimedi per far valere l’eventuale irregolarità processuale, senza neanche informare te mpestivamente e adeguatamente l’assistito e, in tal modo, certamente pregiudicando la possibilità di quest’ultimo di ottenere la decisione di merito in ordine alla sua pretesa, cui lo stesso aveva senz’altro interesse.
Si tratta di una motivazione che, per quanto riguarda l’oggetto delle censure di cui al motivo di ricorso in esame, risulta ampia ed adeguata, certamente non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale, non sarebbe neanche sindacabile nella presente sede.
1.2 Il ricorrente, con il motivo di ricorso in esame, in realtà, pare, nella sostanza, intendere ribadire il proprio assunto secondo il quale la cancellazione della causa dal ruolo era stata disposta in modo irregolare dal giudice del lavoro (per non essere stata fissata, a seguito di mancata comparizione delle parti, una seconda udienza, con relativa comunicazione alle parti, come sarebbe stato necessario ai sensi degli artt. 181 e 309 c.p.c.).
Sostiene, inoltre, che non vi sarebbe prova che dalla dichiarazione di decadenza dalla prova testimoniale e dalla stessa cancellazione della causa dal ruolo, anche in assenza di una formale dichiarazione di estinzione, sarebbe derivato un effettivo pregiudizio per l’attore e che questi avesse effettivo interesse alla definizione del giudizio, nonché che la mancata informazione sull’andamento del giudizio non er a a lui imputabile, ma esclusivamente all’altro professionista convenuto, cui spettava di intrattenere i rapporti diretti con il cliente.
Tali argomentazioni, oltre a non essere idonee a sostenere la censura alla base del motivo di ricorso in esame, di difetto assoluto di motivazione della decisione impugnata -il che sarebbe di per sé assorbente -in ogni caso: a) in parte, non colgono adeg uatamente l’effettiva ratio decidendi della pronuncia sul punto in contestazione, costituito dal rigetto del secondo motivo dell’appello, avente ad oggetto l’accertamento della sussistenza dell’inadempimento all’obbligazione professionale, con riguardo al quale la corte territoriale ha correttamente effettuato una valutazione complessiva della conAVV_NOTAIOa dei convenuti e ha, altrettanto correttamente, accertato che la medesima
fosse connotata da grave negligenza, tale da avere impedito la definizione nel merito del giudizio instaurato; b) per il resto, si risolvono nella contestazione di accertamenti di fatto sostenuti da motivazione non apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede.
Con il secondo motivo si denunzia « violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1366, 1367, 1369 e 1370, nonché 1892 cod. civ. , in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. ».
Il ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui ha negato l’operatività della sua polizza assicurativa della responsabilità professionale, in accoglimento dell’eccezione formulata dalla compagnia chiamata in causa, fondata sull’art. 1892, comma 1, c.c..
Il motivo è infondato.
2.1 La corte d’appello ha rilevato che nel contratto di assicurazione, stipulato nel giugno del 2009, era contenuta una clausola in base alla quale « l’assicurato dichiara e tale dichiarazione si considera essenziale per l’efficacia del contratto di non aver ricevuto alcuna richiesta di risarcimento e di non essere a conoscenza di circostanze e situazioni che possono determinare richieste di risarcimento indennizzabili con la presente polizza ». Ha quindi osservato che, poiché egli, al momento della stipulazione, era ben consapevole del proprio inadempimento all’obbligazione professionale nei confronti del COGNOME (concretizzatosi, al più, nel febbraio del 2007, con la scadenza del termine per la riassunzione del giudizio cancellato dal ruolo), che avrebbe potuto determinare la domanda di risarcimento di quest’ultimo, per quanto non avesse ancora ricevuto alcuna richiesta in tal senso, era comunque tenuto a comunicare tali circostanze alla compagnia e l’omissione aveva « impedito alla compagnia di valutare l’opportunità di concludere o meno il
contratto e, in caso positivo, di applicare un premio adeguato alla fattispecie ».
2.2 Il ricorrente sostiene che la clausola non sarebbe stata interpretata correttamente dalla corte d’appello, in violazione degli artt. 1366, 1367, 1369 e 1370 c.c., in quanto, di fronte ad un testo a suo dire oggettivamente vago, ambiguo e generico (nel suo riferimento alla « conoscenza di circostanze e situazioni che possono determinare richieste di risarcimento indennizzabili con la presente polizza » ) , la stessa sarebbe stata ritenuta operante anche in mancanza di elementi oggettivi esterni di riscontro di possibili contestazioni di una responsabilità professionale da parte del cliente o, almeno, sintomatici di una anomalia dell’attività difensiva idonea a sorreggere una possibile azione di responsabilità e, quindi, in definitiva, è stata ritenuta sostanzialmente riferibile anche all’omissione della comunicazione di meri sospetti o impression i soggettive dell’assicurato in ordine a possibili future azioni risarcitorie in alcun modo prospettabili al momento della stipulazione della polizza.
Tale interpretazione sarebbe -secondo il ricorrente -contraria alla buona fede contrattuale, al canone dell’ interpretatio contra stipulatorem ed al principio di conservazione, oltre che non coerente con la natura e l’oggetto del contratto.
Il ricorrente sostiene, inoltre, che non sarebbe stato adeguatamente valutato dalla corte d’appello il requisito soggettivo di cui all’art. 1892 c.c. e, in particolare, non sarebbe stato accertato il requisito del valore determinante della dichiarazione omessa, né quello della consapevolezza da parte dell’assicurato dell ‘ importanza dell ‘ informazione, inesatta o mancata, rispetto alla conclusione del contratto ed alle sue condizioni, quanto meno ai fini della ricorrenza del requisito del dolo o della colpa grave alla base dell’omissione informativa, come richiesto dall’art. 1892 c.c..
2.3 In realtà, a giudizio della Corte, tanto l’interpretazione dell’effettiva volontà negoziale emergente dalla clausola contrattuale controversa, nel senso che essa ricomprendesse, per volontà delle parti, quale omissione informativa sempre e comunque rilevante, anche la mancata comunicazione dei presupposti di fatto, noti all’assicurato, di azioni risarcitorie prospettate dai danneggiati solo successivamente, quanto la valutazione della consapevolezza del rilievo dell’informazione omessa, con riguardo a tali presupposti, almeno in termini di colpa grave dell’assicurato stesso -valutazione quest’ultima che emerge in modo implicito ma inequivocabile dalla complessiva motivazione della decisione impugnata -costituiscono accertamenti di fatto non sindacabili nella presente sede, in quanto sostenuti da adeguata motivazione, non apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede.
Sulla base dei predetti incensurabili accertamenti di fatto, d’altra parte, vanno certamente escluse le violazioni di norme di diritto deAVV_NOTAIOe dal ricorrente.
Con il terzo motivo si denunzia « violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. , in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. ».
Il ricorrente contesta la parziale compensazione delle spese del giudizio di appello, sostenendo che « tale statuizione va cassata in quanto, essendo stata aAVV_NOTAIOata all’esito di due cause d’appello riunite (la n. 307/2018 R.G. promossa da COGNOME NOME e la n. 355/2018 R.G. promossa dall’odierno ricorrente), non ha previsto la condanna -in favo re dell’appellato AVV_NOTAIO COGNOMEdell’altro appellante COGNOME NOME (il cui appello peraltro di valore superiore all’altro -è stato anche rigettato) ».
Il motivo è infondato.
Il giudizio di appello, in caso di più impugnazioni della medesima sentenza, è necessariamente unitario, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Di conseguenza, deve ritenersi corretta la complessiva ed unitaria liquidazione delle spese operata dalla corte d’appello, la quale ha comunque tenuto conto della parziale reciproca soccombenza delle parti nel giudizio di secondo grado (per essere stato rigettato anche l’appello dell’attore), considerando altresì la qualità di creditore del COGNOME e disponendo, quindi, la compensazione parziale delle spese del grado, per il 50%, con il residuo a carico dei convenuti soccombenti.
Tale statuizione non viola affatto, dunque, il disposto dell’art. 92 c.p.c..
4. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi € 4.500,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.
Ric. n. 21216/2021 – Sez. 3 – Ad. 15 gennaio 2024 – Ordinanza – Pagina 8 di 9 Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei
limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-