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Responsabilità professionale avvocato: cosa succede?

La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla responsabilità professionale di un avvocato citato in giudizio da una società sua cliente. Il legale, all’insaputa della cliente, aveva concluso una transazione per una somma inferiore a quella dovuta e aveva trattenuto l’importo a titolo di compensi. La Corte ha rigettato il ricorso del professionista, confermando la sua condanna al pagamento dell’intera somma originariamente dovuta. La sentenza ribadisce che il mandato a transigere non consente all’avvocato di agire contro gli interessi del cliente né di auto-liquidarsi i compensi trattenendo somme ottenute dalla controparte, sottolineando l’importanza di un’autorizzazione esplicita.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Responsabilità professionale dell’avvocato: il caso del legale che transige senza autorizzazione

La fiducia tra cliente e avvocato è il pilastro su cui si fonda il mandato difensivo. Ma cosa succede quando questo legame viene meno a causa di iniziative del professionista non concordate? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di responsabilità professionale dell’avvocato, condannando un legale per aver concluso una transazione all’insaputa del proprio cliente e aver trattenuto le somme a titolo di compensi.

I fatti di causa

Una società edile aveva ottenuto, in seguito a un lodo arbitrale, un credito di circa 12.755 euro nei confronti di un’altra azienda. Il legale incaricato dalla società creditrice, tuttavia, invece di procedere al recupero dell’intera somma, concludeva una transazione con la parte debitrice per un importo notevolmente inferiore (4.000 euro), trattenendo interamente tale somma a titolo di competenze legali. Il tutto, secondo la società cliente, sarebbe avvenuto a sua totale insaputa.

Di conseguenza, la società citava in giudizio il proprio avvocato per sentirne accertare la responsabilità professionale e ottenere la condanna al pagamento della somma originariamente dovuta. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello davano ragione alla società, condannando il legale al risarcimento del danno, quantificato nell’intero importo del credito iniziale di 12.755 euro, oltre alle spese legali.

L’analisi della Corte d’Appello sulla responsabilità professionale dell’avvocato

La Corte d’Appello, pur dichiarando la nullità della sentenza di primo grado per un vizio procedurale (mancato rispetto dei termini per il deposito delle comparse conclusionali), decideva la causa nel merito. I giudici di secondo grado hanno ritenuto fondata la domanda della società, confermando la condanna del professionista. La Corte ha stabilito che l’avvocato aveva agito senza un’adeguata procura che lo autorizzasse a transigere la lite per un importo così ridotto e, soprattutto, senza il consenso informato del cliente.

I motivi del ricorso in Cassazione

L’avvocato ricorreva in Cassazione affidandosi a quattro principali motivi:
1. Violazione delle norme sulla motivazione della sentenza: Sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel motivare la sua decisione per relationem, cioè richiamando la sentenza di primo grado che essa stessa aveva dichiarato nulla.
2. Errata interpretazione dei poteri del difensore: Riteneva che la Corte avesse erroneamente negato che la sua procura includesse il potere di transigere la controversia.
3. Mancata prova del danno: Lamentava che la società non avesse adeguatamente provato né l’esistenza (an) né l’ammontare (quantum) del danno subito.
4. Diritto a trattenere le somme: Affermava di avere il diritto di trattenere le somme incassate a titolo di compensazione per le proprie prestazioni professionali.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, dichiarando alcuni motivi inammissibili e altri infondati.

In primo luogo, i giudici hanno chiarito che la Corte d’Appello non si era limitata a un mero richiamo della sentenza di primo grado. Al contrario, aveva condotto un’autonoma e completa rivalutazione del merito della causa, fornendo una motivazione propria, chiara e sufficiente. Il riferimento alla decisione precedente, in questo contesto, non costituiva un vizio.

Successivamente, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: la valutazione dell’estensione dei poteri conferiti all’avvocato, inclusa la facoltà di transigere, costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito. La Cassazione non può riesaminare tale valutazione, se congruamente motivata, come avvenuto nel caso di specie. Il professionista non era riuscito a dimostrare di avere ricevuto un mandato specifico per accettare una transazione così svantaggiosa per il cliente.

Infine, la Corte ha qualificato come inammissibili i motivi relativi alla prova del danno e al diritto di trattenere le somme. Tali censure, infatti, miravano a ottenere una nuova valutazione delle prove e dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità. I giudici di merito avevano correttamente accertato l’inadempimento del legale e liquidato il danno, e non era emersa alcuna prova di un’autorizzazione del cliente a trattenere le somme a titolo di compenso.

Le conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza principi cruciali in materia di responsabilità professionale dell’avvocato. Il legale ha il dovere di agire sempre nel migliore interesse del cliente e sulla base di un mandato chiaro e specifico, specialmente quando si tratta di atti dispositivi del diritto in contesa, come una transazione. La decisione di accettare un accordo e, a maggior ragione, di trattenere somme a titolo di compensi, non può prescindere da una comunicazione trasparente e da un’esplicita autorizzazione del cliente. In assenza di ciò, il professionista rischia di essere chiamato a rispondere personalmente del danno causato.

Un avvocato può transigere una causa e trattenere le somme a titolo di compenso senza un’autorizzazione esplicita del cliente?
No. La sentenza chiarisce che la valutazione sull’estensione del potere di transigere è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito. In questo caso, è stato accertato che il professionista non aveva ricevuto l’autorizzazione a concludere la transazione né a trattenere le somme a titolo di compenso, configurando un inadempimento professionale.

Se una Corte d’Appello dichiara nulla la sentenza di primo grado, può decidere nel merito richiamando le motivazioni della sentenza annullata?
Sì, ma a condizione che la Corte d’Appello svolga una propria autonoma e completa rivalutazione dei fatti e delle questioni giuridiche. Un richiamo alla sentenza di primo grado è ammissibile solo se integrato da argomentazioni proprie e autonome che rendano la decisione chiara e autosufficiente, come avvenuto nel caso esaminato.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito?
No. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione, ma non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione dei fatti a quella compiuta nei gradi precedenti, se questa è adeguatamente motivata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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