Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17365 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17365 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/06/2025
composta dai signori magistrati:
Oggetto:
dott. NOME COGNOME
Presidente
RESPONSABILITÀ CIVILE GENERALE
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
Ad. 24/04/2025 C.C.
dott. NOME COGNOME
Consigliere
R.G. n. 1714/2023
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 1714 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto
da
DE TROVATO NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO DE TROVATO NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO DE TROVATO NOME (C.F.: DTR SFN 73S22 E542N)
rappresentati e difesi dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: TARGA_VEICOLO
-ricorrenti-
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: SPD CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Genova n. 1097/2022, pubblicata in data 20 ottobre 2022; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
24 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Fatti di causa
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (eredi di NOME COGNOME) e NOME COGNOMEquest’ultima deceduta nel corso del giudizio di merito, proseguito dagli altri attori, quali suoi eredi), tutti eredi beneficiati del defunto NOME COGNOME hanno agito in giudizio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni che assumono subiti a seguito del sequestro giudiziario, in danno del loro dante causa, di alcuni macchinari di cui la società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si era assunta proprietaria, chiedendone la restituzione, unitamente al risarcimento dei danni conseguenti alla relativa omissione (e ottenendo, in tale ottica, anche un sequestro conservativo nei confronti del convenuto, attuato su un bene immobile di sua proprietà), e che, dopo il definitivo rigetto delle domande di quest’ultima, erano risultati gravemente danneggiati, asseritamente per responsabilità di NOME COGNOMEperaltro anche legale rappresentante della predetta società), che ne aveva assunto la custodia.
La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Massa.
La Corte d’a ppello di Genova ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorrono NOME, NOME e NOME COGNOME sulla base di quattro motivi.
Resistono, con distinti controricorsi, RAGIONE_SOCIALE ed NOME COGNOME.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Le parti controricorrenti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione art. 112 cpc in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. ».
I ricorrenti contestano la qualificazione delle domande da loro proposte nell’ambito del paradigma di cui all’art. 96 c.p.c., da cui la C orte d’appello ha fatto discendere la loro inammissibilità al di fuori del giudizio nell’ambito del quale erano state definite le azioni giudiziarie avanzate dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOMEcon il rigetto delle relative domande e la revoca dei sequestri disposti).
Il motivo è infondato.
1.1 Le domande risarcitorie proposte nei confronti della RAGIONE_SOCIALE sono state correttamente qualificate dalla Corte d’appello come domande di risarcimento danni per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96, commi 1 e 2, c.p.c..
La loro effettiva e sostanziale causa petendi è, infatti, certamente da individuare nella denuncia, quale condotta illecita causativa di danno, della avvenuta promozione, da parte della predetta società, di azioni giudiziarie poi rivelatesi infondate e, soprattutto, nella attuazione di misure cautelari (sequestro giudiziario e sequestro conservativo), in mala fede o con colpa grave e, in ogni caso, senza la dovuta prudenza (in relazione alle azioni cautelari), nei confronti di NOME COGNOME.
Il fatto che, secondo la prospettazione dei ricorrenti, la proposizione delle predette domande avesse lo scopo di paralizzare l’attività commerciale del convenuto NOME COGNOME può esclusivamente connotare l’eventuale sussistenza dell’illecito dedotto, sott o il profilo dell’elemento soggettivo (quale mala fede, colpa grave, ovvero mancanza della normale prudenza nell’attuazione di misure cautelari), ma non può assumere alcun rilievo con riguardo alla oggettiva qualificazione dell’azione risarcitoria avanzata , dal momento che, al di là dell’intento perseguito dalla pretesa danneggiante, le condotte lesive poste in essere ed indicate dagli attori come illecite si sono comunque concretizzate in attività di natura processuale.
Nella sentenza impugnata si afferma, del tutto correttamente, d’altra parte, che « parte attrice ha lamentato una serie di abusi di parte convenuta nel formulare domande innanzi al Giudice, consistenti nell’aver richiesto decreti ingiuntivi e provvedimenti cautelari, con l’intento di strumentalizzare il processo non per ottenere la difesa dei propri diritti, ma per nuocere alle ragioni della controparte »: l’abuso dello strumento processuale è proprio l’oggetto delle domande risarcitorie previste dall’art. 96 c.p.c., in tutte le sue articolazioni.
Sotto tale aspetto, la decisione impugnata risulta, quindi, conforme al consolidato indirizzo di questa Corte (che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare), secondo il quale « l’art. 96 c.p.c., che disciplina tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 2043 c.c., di modo che la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando concettualmente nel genere della responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la disciplina del citato art. 96, senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità » (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5069 del 3/03/2010, Rv. 611867 -01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 12029 del 16/05/2017, Rv. 644286 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 36593 del 30/12/2023, Rv. 669750 -01), onde essa « non può, di regola, esercitarsi in un giudizio separato ed autonomo rispetto a quello da cui la responsabilità stessa ha origine, salvo che la sua proposizione sia stata preclusa per l ‘ evoluzione propria dello specifico processo da cui detta responsabilità è scaturita, ovvero per ragioni non dipendenti dalla inerzia della parte » (ai precedenti già richiamati, adde, ex multis : Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10518 del 20/05/2016, Rv. 639812 -01; Sez. 1, Ordinanza n. 32029 del 9/12/2019, Rv. 655961 -01; Sez. U, Sentenza n. 25478 del 21/09/2021, Rv. 662368 -02;
Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 42119 del 31/12/2021, Rv. 663459 -01).
In definitiva, con riguardo alla responsabilità della società RAGIONE_SOCIALE, essendo le ragioni della domanda risarcitoria proposta nei confronti di quest’ultima fondate sull’esperimento, da parte sua, di determinate azioni giudiziarie, poi rivelatesi infondate, non vi è dubbio che la qualificazione di tale domanda nel paradigma dell’art. 96 c.p.c. sia da ritenere corretta, non potendo attribuirsi rilievo, sotto tale profilo, alle ragioni (anche se strumentali) alla base della condotta illecita dedotta, trattandosi comunque di condotta di natura processuale.
Diversa, ovviamente, la natura delle domande proposte personalmente nei confronti di NOME COGNOME che peraltro non sono state qualificate dalla C orte d’appello come domande ai sensi dell’art. 96 c.p.c. e sono state rigettate per altre ragioni.
1.2 Neanche l’eventuale collegamento tra le condotte illecite attribuite alla società, di natura processuale, e quelle attribuite al COGNOME personalmente, potrebbe consentire di escludere la indicata qualificazione delle domande proposte contro la società, avendo sotto tale profilo esclusivo rilievo la natura oggettiva (di carattere innegabilmente processuale) delle condotte illecite imputate alla società ed essendo stato, d’altra parte, correttamente affermato dalla C orte d’appello che l’eventuale responsabilità del COGNOME per le azioni giudiziarie poste in essere dalla società da lui rappresentata avrebbero comunque dovuto essere fatte valere anch’esse nel giudizio di merito, anche ai sensi dell’art. 94 c.p.c. (con statuizione, peraltro, non specificamente c ensurata nell’ambito del motivo di ricorso in esame).
Tanto meno, potrebbe avere rilievo il fatto che NOME COGNOME fosse l’amministratore ed il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, ed avesse lo scopo di danneggiare il padre NOME COGNOME, quale concorrente commerciale della sua società: le condotte illecite poste in essere in tale ottica in nome e per conto della
società, quale imprenditrice in concorrenza con NOME COGNOME, sarebbero comunque da attribuire a quest’ultima, e resterebbero in ogni caso di natura processuale, mentre solo le condotte poste in essere personalmente da NOME COGNOME (in primo luogo quale custode giudiziario dei beni sequestrati) potrebbero essere a questi imputate a titolo di generica responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., non ave ndo egli agito in giudizio in proprio contro il padre.
Deve, quindi, ritenersi infondato in diritto (almeno in relazione alle domande proposte contro la società RAGIONE_SOCIALE) anche l’assunto posto dai ricorrenti a fondamento del motivo di ricorso in esame secondo cui « qualora venga dedotta la sussistenza di un comportamento illecito espletato da parte di un soggetto mediante iniziative giudiziarie inoltrate mediante società di cui è legale rappresentante, la fattispecie è inquadrabile nell’ambito dell’art. 2043 e non pu ò essere limitata alla ipotesi di c ui all’art. 96 cpc ».
1.3 Sotto altro profilo, i ricorrenti sostengono che « non sarebbe stato in alcun modo possibile promuovere nel giudizio inerente la proprietà dei beni in questione, la domanda attinente un presupposto in fatto totalmente avulso da tale questione, ovvero la perdita ed il danno conseguente all’indisponibilità d ei beni stessi e ai costi necessari alla loro conservazione ».
Anche tale assunto è infondato.
Poiché nel giudizio promosso dalla società RAGIONE_SOCIALE, che aveva rivendicato di essere proprietaria dei macchinari detenuti da NOME COGNOME l’attrice aveva anche chiesto il risarcimento dei danni per la mancata restituzione di quei beni e aveva ottenuto sia un sequestro giudiziario degli stessi che un sequestro conservativo nei confronti del COGNOME (poi attuato su un immobile di sua proprietà), è evidente che i danni conseguenti alla mancata disponibilità dei beni oggetto di sequestro (e, per questo aspetto, anche ai costi per la loro conservazione nonché
quelli relativi all’impossibilità di liquidare il bene ereditario sequestrato) ben potevano essere oggetto di una richiesta risarcitoria promossa in quello stesso giudizio, sull’assunto della strumentalità e dell’abuso commesso dalla parte attrice mediante le iniziative giudiziarie in questione.
D’altra parte, con riguardo al danno effettivamente successivo al giudizio di merito (correttamente individuato dalla Corte d’appello in quello « derivante dalla mancata cancellazione del sequestro conservativo sull’immobile di Viareggio successivamente alla pronuncia della sentenza della Corte di Appello, nonostante questa l’avesse revocato »), la ratio decidendi alla base della statuizione impugnata non è connessa alla qualificazione della domanda, ma alla mancata prova dello stesso danno (cfr. a pag. 18 della sentenza impugnata).
1.4 Quanto sin qui evidenziato è sufficiente per escludere sia la dedotta violazione degli artt. 96 e 112 c.p.c. sia quella dell’art. 2043 c.c., con conseguente infondatezza del motivo di ricorso in esame.
Con il secondo motivo si denunzia « (art. 360 c. 1 n. 3) -Violazione e falsa applicazione artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2697 ».
Secondo i ricorrenti, la C orte d’appello non avrebbe correttamente applicato i principi di diritto « in tema di dimostrazione e liquidazione del danno », con riguardo ai danni allegati come derivanti dall’attuazione del sequestro conservativo su un immobile di NOME COGNOME caduto in successione.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
La C orte d’appello, premesso che tutti i danni conseguenti all’attuazione dei sequestri , e in ipotesi maturati fino all’esito del giudizio di merito, avrebbero dovuto essere fatti valere in tale ultimo giudizio, ai sensi dell’art. 96 c.p.c. (sulla questione è, del resto, sufficiente rinviare a quanto esposto in relazione al primo motivo del ricorso), con riguardo ai danni successivi
ha accertato, in fatto, sulla base di una insindacabile valutazione delle prove, che l’immobile su cui era stato attuato il sequestro conservativo era sempre rimasto, in tale periodo, nella concreta disponibilità dei suoi proprietari e che non era stato dimostrato che fossero state perdute più favorevoli occasioni di vendita a causa del permanere della trascrizione del sequestro, dopo la sua revoca.
Ha, di conseguenza, escluso che vi fosse sufficiente prova di tali danni successivi.
D’altra parte, è appena il caso di osservare che il permanere della trascrizione del sequestro, anche dopo la sua revoca, certamente non avrebbe potuto impedire né l’utilizzazione del bene rimasto nella disponibilità dei suoi proprietari (anche mediante l’eventuale sua locazione a terzi), né l’eventuale scioglimento della comunione avente ad oggetto lo stesso.
Tanto chiarito, le censure formulate con il ricorso devono ritenersi infondate in diritto, con riguardo alla pretesa violazione delle norme richiamate in tema di accertamento e liquidazione del danno, mentre si risolvono, per ogni altro profilo, in una inammissibile contestazione di accertamenti di fatto fondati sulla prudente valutazione degli elementi istruttori da parte dei giudici di merito e sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
Con il terzo motivo si denunzia « Violazione e falsa applicazione art. 2935 cc ».
La censura ha ad oggetto la dichiarazione di prescrizione dell’azione risarcitoria proposta personalmente nei confronti di NOME COGNOME quale custode dei beni oggetto del sequestro giudiziario.
3.1 I ricorrenti ribadiscono, in primo luogo, in proposito, le censure di cui al primo motivo del ricorso, con riguardo alla pretesa « violazione dell’art. 2043 e falsa applicazione dell’art. 96 cpc (illustrata con il primo motivo per quanto attiene la posizione della IGLOM), nella parte in cui oblitera la deduzione dei ricorrenti secondo cui in realtà ad NOME COGNOME non fosse imputabile solo l’aver proposto azioni imprudenti, ma un vero e proprio comportamento diretto a distrarre illecitamente i beni dell ‘azienda concorrente paterna ».
Orbene, per quanto riguarda la pretesa ‘ distrazione ‘ di tali beni, operata per mezzo delle azioni giudiziarie promosse dalla RAGIONE_SOCIALE valgono le considerazioni esposte in relazione al primo motivo del ricorso, cui è sufficiente fare rinvio. In ogni caso, una siffatta pretesa non è oggetto della statuiorte d’appello, espressamente limitata alla sola responsabilità per la custodia dei beni oggetto del sequestro giudiziario, imputabile esclusivamente ad zione di prescrizione operata dalla C NOME COGNOME.
Per i profili indicati, le censure di cui al motivo di ricorso in esame risultano, quindi, in parte infondate ed in parte inammissibili.
3.2 Con riguardo all’azione risarcitoria relativa alla custodia dei beni oggetto del sequestro giudiziario, poi, risulta infondato l’assunto dei ricorrenti secondo il quale essi « non avrebbero giuridicamente potuto agire nei confronti del custode se non solo al momento del passaggio in giudicato della sentenza che, revocando il sequestro, ha comportato anche il venir meno della menzionata carica ».
In realtà, l’azione in questione ben avrebbe potuto essere proposta direttamente nei confronti del custode, anche anteriormente alla cessazione del suo incarico, nel momento stesso in cui la sua assunta negligente attività di custodia aveva determinato i danni dedotti ai beni sequestrati e tali danni fossero
stati noti agli interessati, trattandosi di un’azione risarcitoria derivante da condotta illecita, di regola proponibile nel momento stesso in cui il danno si verifica, non di un’azione di rendiconto.
D’altra parte, i ricorrenti non chiariscono adeguatamente, nell’illustrare il motivo di ricorso in esame, per quali ragioni e in base a quali norme di diritto (in assunto violate dalla Corte d’appello) l’azione volta a far valere i danni arrecati dal custode ai beni sequestrati non sarebbe proponibile prima della cessazione dello stesso dalla sua carica, limitandosi ad affermarlo in modo del tutto apodittico e, in tal modo, incorrendo, altresì, nella violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c..
Né essi hanno invocato una espressa causa legale di sospensione del corso della prescrizione (cause, peraltro, connotate dal carattere della stretta tassatività), eventualmente applicabile alla fattispecie in esame.
Con il quarto motivo si denunzia « (art. 360 c. 1 n. 3) -Violazione art. 752 cc -94 cpc ».
I ricorrenti contestano « la condanna alle spese pronunciata nei loro personali confronti, sebbene gli stessi avessero agito in qualità di eredi beneficiati del COGNOME NOME facendo valere diritti spettanti al de cuius ».
Il motivo di ricorso in esame non può trovare accoglimento, pur richiedendo la motivazione della decisione impugnata, sul punto, una integrazione correttiva, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c..
La C orte d’appello, nello statuire sul motivo di appello avente ad oggetto la contestazione, sollevata dagli appellanti odierni ricorrenti, della loro personale condanna alle spese processuali da parte del giudice di primo grado (anziché nei limiti derivanti dalla loro qualità di eredi beneficiati di NOME COGNOME, in violazione dell’art. 94 c.p.c., ha ritenuto che tale ultima disposizione sia riferibile alla sola ipotesi in cui gli eredi con beneficio di
inventario proseguano un processo iniziato dal de cuius o nei suoi confronti e vi sia, pertanto, una successione nel processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c.. Secondo la Corte territoriale, solo in questo caso, in base alla norma appena indicata, la responsabilità per le spese processuali nei confronti della controparte vittoriosa, che dovrebbe ricadere sulla parte che ha in origine dato luogo al processo o che vi ha resistito (quindi, il de cuius ), potrebbe, sulla base di gravi motivi, essere fatta ricadere (anche) sugli eredi beneficiati personalmente (quindi ultra vires ), cioè sui soggetti che hanno solo proseguito il processo (o nei cui confronti lo stesso è stato proseguito), in rappresentanza del de cuius stesso (evidentemente sulla base di una valutazione del loro contributo causale agli oneri di difesa cui è stata esposta la controparte in virtù della loro condotta di insistenza nelle posizioni processuali del loro dante causa). Al contrario, se l’azione giudiziaria sia stata promossa direttamente dagli stessi eredi (sia pure accettanti con beneficio di inventario), dopo la morte del de cuius , non vi è successione nel processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c. e, di conseguenza, la norma non avrebbe modo di operare, in quanto la responsabilità processuale ordinaria di cui all’art. 91 c.p.c. per l’azione giudiziaria infondata (o l’infondata resiste nza in giudizio) sarebbe imputabile ab origine esclusivamente agli eredi personalmente, che non stanno in giudizio quali rappresentanti del de cuius , ovvero (sia pur e in senso lato) dell’eredità beneficiata, onde non opererebbe la limitazione della responsabilità intra vires .
La C orte d’appello richiama, a soste gno di tali assunti, la massima tratta da un remoto precedente di questa Corte (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3713 del l’ 11/08/1977, Rv. 387369 -01) in cui si fa esplicito riferimento, nel precisare che la condanna alle spese dell’erede beneficiato opera entro il valore dei beni ereditari, al « successore universale nel processo (art. 110 c.p.c.) ».
Va, peraltro, considerato, in proposito, che successive decisioni sembrano affermare principi differenti (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9350 del 12/04/2017, Rv. 643999 -02, in cui, sebbene come obiter dictum , la limitazione della condanna nei limiti del valore dei beni ereditari è ricollegata genericamente all’ipotesi in cui « la parte si sia costituita in giudizio come erede accettante con beneficio di inventario e tale qualità non sia stata contestata », senza riferimento alla successione nel processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1712 del 24/03/1981, Rv. 412391 -01, in cui non vi è riferimento alla successione nel processo ma solo, genericamente, ai « giudizi promossi con riferimento a rapporti già facenti capo al de cuius »).
Se, dunque, rileva la qualità spesa nel processo, potrebbe ben ritenersi che, quanto meno nel caso in cui il credito fatto valere dagli eredi beneficiati, anche in caso di azione proposta dopo l’apertura della successione, sia già sorto nel patrimonio del de cuius , operi la disciplina di cui all’art. 94 c.p.c., mentre ciò andrebbe escluso nel caso in cui il credito fatto valere sia sorto successivamente, poiché in tale ipotesi gli eredi fanno valere un diritto proprio (elementi in tal senso sono ravvisabili nella motivazione di Cass., Sez. 2, Sentenza n. 13711 del 31/07/2012). In realtà, l’indicata questione di diritto finisce per non assumere determinante rilievo nella presente fattispecie.
Le argomentazioni esposte dalla C orte d’appello, nel caso di specie, a sostegno della statuizione di conferma della condanna personale (senza limitazione intra vires ) degli eredi beneficiati alle spese di lite risultano, infatti, di per sé idonee ad esprimere ed integrare i gravi motivi che, ai sensi dell’art. 94 c.p.c., giustificano in ogni caso detta condanna.
Il dispositivo di condanna personale degli eredi, proprio ai sensi dell’art. 94 c.p.c., deve, pertanto ritenersi senz’altro conforme a diritto: anche a ritenere, infatti, tale disposizione applicabile
nella fattispecie, almeno in parte (cioè con riguardo al credito risarcitorio per i pretesi danni verificatisi prima della morte di NOME COGNOME), la C orte d’appello ha esplicitato gravi motivi che, in tale situazione, risultano certamente idonei a giustificare, comunque, la condanna personale degli eredi beneficiati, ultra vires .
In particolare, va riconosciuto il rilievo, in tal senso, della considerazione per cui le domande risarcitorie avanzate nel presente giudizio integrano un’iniziativa posta in essere dagli eredi successivamente al decesso del de cuius , con una condotta esclusivamente a loro imputabile, che non solo ha determinato un debito (per le spese legali dovute alle controparti) sorto certamente dopo l’apertura della successione, ma che , del resto, trova causa in un’azione proposta a tutela di pretesi crediti risarcitori che solo in minima parte possono dirsi, in origine, riconducibili alla sfera patrimoniale del de cuius , essendo in gran parte sorti -nella stessa prospettazione di essi attori -direttamente nella loro sfera patrimoniale, atteso che la vicenda giudiziaria iniziata nel 1992 e su cui si fondano le domande, si è conclusa solo nel 2012, mentre NOME COGNOME risulta deceduto nel 1993 e i danni allegati si collocano in tutto il periodo in cui è durata la lite e, addirittura, anche in quello successivo.
Ne consegue che, essendo il dispositivo della statuizione impugnata conforme a diritto, pur essendo necessaria la correzione integrativa della relativa motivazione, nel senso appena esposto, il motivo di ricorso in esame va rigettato, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c..
5. Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione, oltre che della peculiarità delle vicende di fatto che hanno dato luogo alla controversia, soprattutto, della circostanza che la decisione impugnata, quanto
meno in relazione ad uno dei motivi del presente ricorso, risulta confermata sulla base di una correzione della relativa motivazione, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c. .
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-