Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17128 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17128 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18415/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliato per legge;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e COGNOME presso l’indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliato per legge;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 280/2023 depositata il 07/02/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2019 NOME COGNOME conveniva davanti al Tribunale di Padova NOME COGNOME per ottenere il pagamento della somma di € 8.725,00, quale residuo di un debito riconosciuto con scrittura del 21.12.2009, originato da forniture di materiale sportivo all’Associazione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘), di cui il COGNOME era presidente.
Il COGNOME si costituiva in causa, negando di avere mai riconosciuto il debito in questione, né di avere assunto l’impegno ad estinguerlo. Dava atto che egli, fin dal 2010, non era più presidente della ASD Unione Sportiva Selvazzano 2000, peraltro cessata nel 2013. Quanto alla asserita ricognizione di debito datata 21.12.2009, affermava che si trattava di un mero conteggio redatto dal COGNOME, da lui sottoscritto solo per ricevuta.
Il Tribunale di Padova, istruita la causa mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, con sentenza n. 753/2021, condannava il convenuto a pagare al convenuto la somma di € 8.725,00, oltre agli interessi legali dal 18.4.2018 (data della mesa in mora) al saldo. Il giudice di primo grado riteneva la scrittura del 21.12.2009 quale valido riconoscimento di debito ex art. 1988 c.c. e la responsabilità del COGNOME ex art. 38 c.c.
Avverso la sentenza del Tribunale di Padova proponeva appello il COGNOME chiedendo il rigetto delle domande avversarie e lamentando che il giudice di primo grado non aveva tenuto in adeguato conto i fatti, le difese, i documenti in atti ed il quadro normativo, pervenendo a conclusioni erronee.
Il COGNOME benché regolarmente notificato, non si costituiva e veniva dichiarato contumace.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza pronunciata il 31 gennaio 2023, in accoglimento dell’appello, rigettava la domanda
proposta in primo grado dal COGNOME che condannava alla rifusione delle spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il COGNOME.
Ha resistito con controricorso il COGNOME.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
I Difensori di entrambe le parti hanno depositato memorie
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Nella impugnata sentenza la corte di merito – dopo aver rilevato che: l’appellato era rimasto contumace, per cui i documenti da lui prodotti in primo grado (e in particolare la asserita ricognizione di debito, di cui al documento n. 3, nonché il documento n. 6), non essendo stati dimessi dalla controparte appellante, non erano utilizzabili per la decisione; ma <<la descrizione del documento contenuta nella sentenza impugnata sia pienamente idonea, coincidendo con quanto dedotto dalle parti nei propri atti (in primo grado) a consentire una compiuta valutazione dei citati documenti nn. 3 e 6 – andando di contrario avviso rispetto al giudice di primo grado, ha ritenuto:
– da un lato, che il documento n. 3, in sé considerato, non aveva un contenuto tale da poter fondare l'applicazione dell'art. 1988 c.c. e quindi da potersi qualificare come ricognizione di debito; d'altronde, la qualificazione del documento n. 3 come ricognizione di debito non trovava riscontro in nessun ulteriore elemento acquisito agli atti (e, in particolare, nel documento n. 6, che la corte di merito ha considerato un mero conteggio sottoscritto dal solo COGNOME, peraltro contestato dal COGNOME); con la conseguenza che, non operando il beneficio dell'astrazione processuale, previsto dall'art. 1988 c.c., sarebbe stato
onere del COGNOME dare la prova dell'esistenza del proprio credito, prova che invece non era stata data;
dall'altro, che nel caso di specie non era applicabile neppure la previsione di cui all'art. 38 c.c., in quanto la mera detenzione di una carica associativa non determina, in capo a colui che riveste tale carica, la responsabilità solidare per le obbligazioni gravanti sull'associazione; tanto più che il COGNOME non aveva provato che il COGNOME aveva operato come referente e diretto responsabile dell'associazione ed aveva provveduto direttamente al pagamento delle forniture.
NOME COGNOME articola in ricorso tre motivi.
2.1. Con il primo motivo egli denuncia <> nella parte in cui la corte di merito – da un lato – ha posto alla base della sua decisione dei documenti facenti parte del suo fascicolo di primo grado, ma non prodotti in secondo grado (benché l’appellante COGNOME avesse la possibilità e comunque l’onere di estrarne copia) e pertanto non utilizzabili ai fini della decisione e – dall’altro lato – ha omesso di tenere in debito conto i riconoscimenti effettuati dal medesimo appellante COGNOME a seguito di non tempestiva contestazione.
In sintesi, secondo il ricorrente, la corte di merito, in assenza dei documenti su cui si fondavano le censure dell’appellante COGNOME avrebbe dovuto rigettare il gravame per difetto di prova dei motivi di appello. La corte avrebbe dunque errato nel procedere ad una ‘ rivalutazione ‘ sulla base di una descrizione (peraltro non completa) contenuta in altra sentenza, per di più giungendo a conclusioni diametralmente opposte a quelle del Giudice di prime cure.
2.2. Con il secondo motivo, strettamente connesso al precedente, il ricorrente denuncia <> nella parte in cui la corte di merito non ha ritenuto la scrittura datata 21.12.2009, di cui al doc. 3 delle sue produzioni in primo grado, qualificabile come dichiarazione di debito e
quindi prova della sua pretesa creditoria, così come invece aveva fatto il giudice di primo grado.
In sintesi, secondo il ricorrente, la corte di merito ha errato nell’applicazione dei criteri legali per l’identificazione di un atto ricognitivo, svalutando elementi testuali e comportamentali decisivi e ignorando l’effetto di relevatio ab onere probandi che ne sarebbe dovuto conseguire a favore di esso ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia <> nella parte in cui la corte di merito non ha ritenuto sussistenti i presupposti per applicare nei confronti del COGNOME l’art. 38 c.c. e quindi che egli potesse dirsi tenuto al pagamento per avere agito in nome e per conto della Associazione RAGIONE_SOCIALE Selvazzano 2000.
In sintesi, secondo il ricorrente, il COGNOME era (non un mero prestanome, ma) il Presidente, il referente e il diretto responsabile dell’RAGIONE_SOCIALE; dalla acquisita documentazione era risultato provato che era lo stesso COGNOME a svolgere attività negoziale in nome e per conto dell’associazione; la corte di merito è incorsa nel vizio denunciato nella parte in cui, nonostante la provata attività gestoria e negoziale, non ha riconosciuto la responsabilità personale del COGNOME.
Preliminarmente va dato atto che né il ricorrente, né il controricorrente hanno depositato la copia della sentenza impugnata munita dell’attestazione di cancelleria e degli altri dati autentici, ma che, in conformità di quanto statuito da Cass. n. 12971/2024, non può aversi sanzione in rito del ricorso, in quanto il fatto che la sentenza impugnata sia stata pubblicata il 7 febbraio 2023 trova conferma nel fascicolo d’ufficio del merito, consultabile dal Desk.
Tanto premesso, il ricorso non è fondato.
4.1. Non fondato è il primo motivo.
Come è noto, le Sezioni Unite di questa Corte, già con sentenze nn. 28498/2005 e 3033/2013, avevano precisato che è onere
dell’appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame o comunque attivarsi, anche avvalendosi della facoltà, ex art. 76 disp. att. c.p.c., di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, perché questi documenti possano essere sottoposti all’esame del giudice di appello, per cui egli subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte (sia questa costituita o sia invece rimasta contumace) quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare .
Sulla prova documentale nel giudizio di appello nel nuovo contesto del processo civile telematico le Sezioni Unite sono tornate con la più recente sentenza n. 4835/2023, che, nel solco delle suddette menzionate pronunce, ha affermato che:
il principio di ‘non dispersione (o di acquisizione) della prova’, operante anche per i documenti (prodotti sia con modalità̀ telematiche sia in formato cartaceo), comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un’efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, né può̀ dipendere dalle successive scelte difensive della parte che li abbia inizialmente offerti in comunicazione;
il giudice d’appello ha, dunque, il potere-dovere di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi, mediante richiamo di esso nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte, illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto del documento acquisito giustifichi le rispettive deduzioni;
affinché il giudice d’appello possa procedere all’autonomo e diretto esame del documento già̀ prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, onde dare risposta ai motivi di impugnazione o alle domande ed eccezioni riproposte su di esso fondati, il documento può̀ essere sottoposto alla sua attenzione, ove non più̀ disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perché ritirato e non restituito, o perché questa è rimasta contumace in secondo grado), mediante deposito della copia rilasciata alle altre parti a norma dell’art. 76 disp. att. c.p.c.;
il giudice d’appello può̀, inoltre, porre a fondamento della propria decisione il documento prodotto in formato cartaceo non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto che sia trascritto o indicato nella decisione impugnata, o in altro provvedimento o atto del processo, ovvero, se lo ritiene necessario, può̀ ordinare alla parte interessata di produrre, in copia o in originale, determinati documenti acquisiti in primo grado;
allorché la parte abbia ottemperato all’onere processuale di compiere nell’atto d’appello o nella comparsa di costituzione una puntuale allegazione del fatto rappresentato dal documento cartaceo prodotto in primo grado, del quale invochi il riesame in sede di gravame, e la controparte neppure abbia provveduto ad offrire in comunicazione lo stesso nel giudizio di secondo grado, sarà̀ quest’ultima a subire le conseguenze di tale comportamento processuale, potendo il giudice, il quale ha comunque il dovere di ricomporre il contenuto di una rappresentazione già̀ stabilmente acquisita al processo, ritenere provato il fatto storico rappresentato dal documento nei termini specificamente allegati nell’atto difensivo.
In conformità di detti principi, il contenuto dei documenti nn. 3 e 6 (prodotti in primo grado dal COGNOME e non riprodotti nel giudizio di appello dal COGNOME) è stato correttamente ricostruito dalla corte di merito sulla base della descrizione offerta dalla sentenza di primo grado
e, d’altra parte, il contenuto di tale ricostruzione non ha formato oggetto di censura.
In definitiva ed in estrema sintesi – fermo restando che: a) l’appellante ha la veste formale di attore ed ha perciò l’onere di provare i fatti che deduce; b) i documenti prodotti, una volta acquisiti, restano tali per tutta la durata del processo (in base al principio di non dispersione), con la conseguenza che un documento, già ritualmente acquisito, non può essere sottratto alla valutazione del giudice di appello per effetto di una scelta della parte (quale quella di non costituirsi ovvero di non produrlo nuovamente) – il motivo viene deciso sulla base del seguente principio di diritto:
<>.
4.2. Il motivo secondo ed il motivo terzo sono inammissibili.
Inammissibile è il secondo motivo, in quanto la corte di merito ha ritenuto che il documento sub 3 non fosse configurabile come riconoscimento di debito (e, quindi, fosse inidoneo agli effetti di cui all’art. 1988 c.c.), non contenendo una <> da parte del COGNOME: una tale interpretazione, data dalla corte di merito della dichiarazione del 21.12.2019, non essendo affatto implausibile dinanzi all’obiettiva non univocità del testo, sfugge al sindacato di legittimità demandato a questa Corte.
Inammissibile è anche il terzo motivo: sia perché gli ulteriori documenti richiamati non sono stati riprodotti in ricorso, come sarebbe stato necessario ai fini della sua specificità; sia perché la valutazione, che di essi dà la corte di merito, costituisce l’esito di un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità. Peraltro, tale giudizio neppure può dirsi implausibile, in quanto i documenti richiamati al più attestano, nella parte in cui non sarebbero stati tempestivamente disconosciuti, il ricevimento di merce, ma non anche l’avere agito per conto dell’associazione.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 3.100 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente in favore del competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2025, nella camera di consiglio