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Responsabilità precontrattuale: risarcimento e danno

La Corte di Cassazione conferma la decisione della Corte d’Appello, che aveva ridotto il risarcimento a una lavoratrice per la mancata conclusione di un contratto di lavoro. Il caso chiarisce i limiti del risarcimento per responsabilità precontrattuale, circoscrivendolo all’interesse negativo (spese sostenute e occasioni perse) e non al mancato guadagno derivante dal contratto non stipulato (interesse positivo). La liquidazione equitativa del danno è legittima quando la parte lesa non fornisce prove precise del pregiudizio subito.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Responsabilità precontrattuale: quando la promessa di lavoro non si avvera

Nel mondo del lavoro, una promessa di assunzione che non viene mantenuta può generare non solo delusione, ma anche un danno economico concreto. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a fare chiarezza sui confini del risarcimento in caso di responsabilità precontrattuale, delineando nettamente la differenza tra il guadagno sperato e le effettive perdite risarcibili.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla vicenda di una lavoratrice che aveva citato in giudizio un potenziale datore di lavoro per non aver dato seguito a un’offerta di arruolamento per un contratto marittimo. Il Tribunale di primo grado aveva accolto parzialmente la sua richiesta, riconoscendole un risarcimento per la ‘perdita di chance’, quantificato sulla base delle retribuzioni che avrebbe percepito.

Successivamente, la Corte d’Appello ha riformato la decisione. Pur confermando la responsabilità del datore di lavoro, ha ricondotto il caso nell’ambito della responsabilità precontrattuale (ex art. 1337 c.c.) e ha ridotto significativamente l’importo del risarcimento, liquidandolo in via equitativa. La Corte territoriale ha specificato che il danno risarcibile non poteva coincidere con le mancate retribuzioni (interesse positivo), ma doveva limitarsi al cosiddetto ‘interesse negativo’, ovvero il pregiudizio derivante dall’aver fatto affidamento sulla conclusione del contratto.

La lavoratrice ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, un’errata valutazione del danno e sostenendo che questo fosse facilmente quantificabile nelle retribuzioni perse.

La Decisione della Corte di Cassazione e il calcolo del danno

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la correttezza della sentenza d’appello. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale: la responsabilità precontrattuale tutela l’interesse a non essere lesi nell’esercizio della propria libertà negoziale. Il risarcimento, pertanto, deve coprire il danno derivante dall’aver confidato inutilmente nella stipula del contratto, e non il profitto che si sarebbe ottenuto dall’esecuzione dello stesso.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che il danno da ‘interesse negativo’ si compone di due voci: le spese inutilmente sostenute in previsione del contratto (danno emergente) e la perdita di occasioni contrattuali alternative e favorevoli (lucro cessante). Nel caso di specie, la lavoratrice non aveva dimostrato di aver sostenuto spese specifiche. Aveva, sì, affermato di aver rinunciato a un’altra offerta di imbarco, ma non aveva fornito elementi sufficienti per quantificare il guadagno che ne sarebbe derivato.

Di fronte a questa carenza probatoria, la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto di non poter commisurare il risarcimento alle retribuzioni del contratto mai concluso, poiché ciò equivarrebbe a risarcire l’interesse positivo, tipico della responsabilità contrattuale. La decisione di procedere a una liquidazione equitativa del danno (ex art. 1226 c.c.) è stata quindi giudicata legittima. In sostanza, in mancanza di prove precise sul danno effettivamente subito (la perdita economica legata alla rinuncia all’altra opportunità), il giudice può stabilire una somma che ritiene giusta in base alle circostanze.

Le Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un importante principio: chi subisce un danno per la rottura ingiustificata delle trattative ha l’onere di provare concretamente il pregiudizio subito. Non è sufficiente reclamare il mancato guadagno del contratto sfumato. È necessario dimostrare le spese sostenute o, in caso di perdita di altre opportunità, fornire la prova del loro valore economico. In assenza di tali prove, il risarcimento sarà determinato dal giudice secondo equità, con un importo che potrebbe essere inferiore alle aspettative della parte lesa. La decisione sottolinea l’importanza di documentare ogni passaggio e ogni alternativa scartata durante una trattativa contrattuale.

Qual è la differenza tra interesse negativo e interesse positivo nel risarcimento del danno?
L’interesse negativo copre i danni derivanti dall’aver confidato in una trattativa poi fallita, come le spese sostenute e le altre occasioni perse. L’interesse positivo, invece, rappresenta il guadagno che si sarebbe ottenuto se il contratto fosse stato concluso ed eseguito, e viene risarcito solo in caso di inadempimento di un contratto già valido.

Perché il risarcimento non è stato calcolato sulla base degli stipendi non percepiti?
Perché il caso rientra nella responsabilità precontrattuale, non in quella contrattuale. Il risarcimento non può eguagliare i benefici del contratto non concluso (interesse positivo), ma deve solo compensare il danno per aver confidato inutilmente nella sua stipula (interesse negativo).

Quando un giudice può liquidare il danno in via equitativa?
Un giudice può liquidare il danno in via equitativa quando la parte che lo richiede non fornisce prove sufficienti per quantificarne con precisione l’ammontare. In questo caso, la lavoratrice non ha dimostrato il valore economico dell’opportunità di lavoro alternativa che avrebbe perso, giustificando così una valutazione basata su un criterio di giustizia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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