Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19693 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19693 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
Oggetto:
composta dai signori magistrati:
dott. NOME COGNOME
Presidente
RESPONSABILITÀ CIVILE
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
Ad. 22/05/2025 C.C.
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
R.G. n. 27927/2020
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 27927 del ruolo generale dell’anno 2020, proposto
da
COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO B656E)
rappresentato e difeso dall’avvoca to NOME COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE
-ricorrente-
nei confronti di
DI NOME (C.F.: CODICE_FISCALE
rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: CRP CST CODICE_FISCALE
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di L’Aquila n. 243/2020, pubblicata in data 12 febbraio 2020; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
22 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti del fratello NOME COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni che assume di avere subito a causa della ingiustificata revoca
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
dell’autorizzazione che questi aveva rilasciato in suo favore ad edificare alcuni manufatti sul confine delle rispettive proprietà. Il convenuto, oltre a contestare le domande avanzate nei suoi confronti, ha chiesto, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice ad arretrare o demolire una serie di manufatti realizzati in violazione delle distanze legali , nonché l’eliminazione di uno scarico fognario che attraversava la sua proprietà. Nel corso del giudizio, l’attrice, a parziale modifica delle proprie domande, ha chiesto, altresì, il ripristino della linea di confine tra le due proprietà e la condanna del convenuto alla demolizione di un cavedio interrato realizzato a distanza inferiore di quella legale.
Il Tribunale di Avezzano, respinte tutte le altre domande, ha accolto quella del convenuto di arretramento o demolizione dei fabbricati realizzati dall’attrice in violazione delle distanze legali, nonché quelle della stessa attrice di arretramento o demolizione del cavedio realizzato dal convenuto e di ripristino del confine catastale derivante dall’atto di donazione degli immobili, mediante la demolizione del muro di confine eretto dal medesimo convenuto.
La Corte d’appello di L’Aquila ha, in primo luogo , dichiarato la nullità del giudizio di primo grado in relazione alla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto NOME COGNOME per difetto di integrità del contraddittorio ed ha, quindi, rimesso le parti davanti al giudice di primo grado, con riguardo a tale domanda, disponendone la separazione; in relazione alla domanda risarcitoria avanzata dall’attrice NOME COGNOME in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato il convenuto NOME COGNOME al pagamento in favore della stessa della somma di € 4.203,96 oltre accessori.
Ricorre NOME COGNOME sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Parte ricorrente ha depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso (indicato come ‘ motivo preliminare di impugnazione ‘) si denunzia « Art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c: violazione dell’articolo 158 c.p.c. – nullità della sentenza per vizio di regolare costituzione del giudice -conflitto degli artt. 62-72 della L. 9 agosto 2013 n. 98 (di conversione del d.1. 21.6.2013 n. 69) con l’art. 1 06, comma secondo, della Carta Costituzionale ».
Il ricorrente, premesso che la « sentenza gravata è stata redatta e firmata, quale estensore, da un giudice ausiliario di Corte d ‘ Appello, membro del collegio giudicante », sostiene che « la legge istitutiva dei giudici ausiliari in Corte d’appello (artt. 62 ss. d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98) appare in contrasto con l’art. 106, comma 2, Cost. (‘La legge sull’ ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni att ribuite a giudici singoli.’) nella parte in cui prevede l’ assegnazione di tali giudici onorari all ‘ esercizio di funzioni giurisdizionali in organi collegiali ».
Il motivo è infondato.
Si premette che la Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 41 del 17 marzo 2021, ha dichiarato « l’illegittimità costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai
magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57) ».
Lo stesso ricorrente riconosce che tale sentenza « … ha lasciato al legislatore un sufficiente lasso di tempo che ‘assicuri la necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale’, fino alla data del 31 ottobre 2025, quando si dovrà pervenire ad una riforma complessiva della magistratura onoraria, nel rispetto dei principi costituzionali ».
Dunque, al momento in cui la decisione impugnata è stata adottata e pubblicata (cioè, nel 2020) la partecipazione del giudice onorario al collegio decidente, anche quale relatore ed estensore del relativo provvedimento, deve ritenersi legittima.
2. Con il secondo motivo del ricorso (indicato come ‘ motivo 1 ‘) si denunzia « Violazione e falsa applicazione dell’art. 348ter c.p.c. in relazione all’art. 342 (Forma dell’appello), ex art. 360, n. 4 e n. 5, c.p.c., per nullità del procedimento di appello, introdotto in modo non conforme alla legge processuale, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e in ogni caso per motivazione incongrua, inidonea a giustificare la decisione, priva di correttezza giuridica e di coerenza logico-formale ».
Secondo il ricorrente , l’atto di appello avversario era privo dell’indicazione delle « parti del provvedimento che si intende appellare », delle « modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado », delle « circostanze da cui deriva la violazione della legge » e della « loro rilevanza ai fini della decisione impugnata », in violazione dell’art. 342 c.p.c., onde lo stesso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.
Il motivo è inammissibile.
La C orte d’appello ha espressamente escluso la violazione dell’art. 342 c.p.c. affermando, in proposito, che « l’appellante, seppure con formula non propriamente identificativa dello specifico punto della sentenza impugnata, ne trascrive i passaggi
contestati e le ragioni delle sue doglianze affermando che il giudice di primo grado sarebbe giunto ad una decisione completamente opposta se avesse valutato diversamente il comportamento delle parti e i documenti prodotti in atti in via istruttoria, consentendo in tal modo sia al Collegio che all’appellato di prendere posizione sui singoli motivi di appello ».
Il ricorrente, nel contestare tale statuizione, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non richiama adeguatamente il contenuto dell’atto di appello, come sarebbe stato necessario per consentire a questa Corte di valutare l’eventuale fondatezza delle sue censure sulla valutazione compiuta della corte territoriale in ordine alla sufficiente specificità dello stesso; neanche indica con precisione, nel ricorso, quali sarebbero i passaggi dell’atto rilevanti a tal fine.
Egli si limita ad affermare, in modo del tutto generico, quanto segue: « … a causa del fatto che questa impugnazione deve rimanere nei limiti stabiliti dal vigente Protocollo per i ricorsi per cassazione, si deve qui omettere la riproduzione integrale dell’atto di appello di controparte: ma la sua assoluta irregolarità e contrarietà a legge è evidente già semplicemente a sfogliare il voluminoso e confuso atto difensivo ».
La censura avanzata è evidentemente priva del necessario requisito della specificità: viene, cioè, rimesso a questa stessa Corte di individuare ed accertare l’oggetto effettivo e le specifiche ragioni delle censure genericamente formulate, sulla base dell’esame degli atti di causa, il che no n è ammissibile nel giudizio di legittimità, in considerazione del necessario carattere specifico dei motivi del ricorso per cassazione, sancito proprio dalla disposizione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., sopra richiamata.
Con il terzo motivo del ricorso (indicato come ‘ motivo 2 ‘) si denunzia « Violazione e falsa applicazione dell’art. 113 (Pronuncia secondo diritto), 115 (Disponibilità delle prove), 116
(Valutazione delle prove) c.p.c., in relazione all’art. 1350 cod.civile (Atti che devono farsi per iscritto), ex art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e in ogni caso per motivazione incongrua, inidonea a giustificare la decisione, priva di correttezza giuridica e di coerenza logicoformale ».
Con il quarto motivo del ricorso (indicato come ‘ motivo 3 ‘) si denunzia « Violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. (Eccezione di inadempimento) in relazione all’art. 2697 c.c. (Onere della prova), e agli artt. 113 (Pronuncia secondo diritto), 115 (Disponibilità delle prove), 116 (Valutazione delle prove) c.p.c., ex art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e in ogni caso per motivazione incongrua, inidonea a giustificare la decisione, priva di correttezza giuridica e di coerenza logico-formale ».
Il terzo e il quarto motivo sono logicamente e giuridicamente connessi e possono, pertanto, essere esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati, benché la motivazione posta a base della decisione impugnata, corretta nel suo dispositivo finale, debba essere oggetto di una correzione in diritto , ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c..
3.1 Il ricorrente sostiene, in primo luogo (in particolare, con il terzo motivo), che l’accordo con il quale si era impegnato a prestare la propria autorizzazione alla realizzazione dei manufatti della sorella sul confine delle rispettive proprietà e in aderenza ai propri, avrebbe dovuto essere ritenuto nullo per difetto di forma scritta ad substatiam , avendo ad oggetto diritti immobiliari: tale accordo, pertanto, non poteva considerarsi giuridicamente vincolante, a differenza di quanto ritenuto dalla corte d’appello sulla base di una motivazione non conforme a diritto
e contraddittoria sul piano logico, onde la revoca della suddetta autorizzazione doveva considerarsi esercizio di una propria legittima facoltà.
Sostiene, inoltre (in particolare, con il quarto motivo), che, secondo le risultanze delle prove, contrariamente a quanto affermato nella decisione impugnata, egli « … aveva adempiuto la propria obbligazione (mediante la dichiarazione del 21.2.2007, rivolta al Comune di Capistrello, con la quale autorizzava la realizzazione dei manufatti della Di COGNOME COGNOME, così come dal progetto del Geom. COGNOME), al contrario la stessa Di NOME non aveva adempiuto alla propria obbligazione (sottoscrivere il frazionamento che avrebbe dovuto formalizzare, nel modo stabilito dalle parti, la modifica del confine fra le rispettive proprietà, e redigere il necessario atto notarile occorrente per perfezionare le modifiche nelle rispettive proprietà immobiliari) », onde la revoca dell’autorizzazione doveva ritenersi in ogni caso legittima.
3.2 Si premette che, come chiarito nella stessa sentenza impugnata, l’intesa raggiunta dai fratelli COGNOME per regolare i propri rapporti aveva il seguente contenuto: « NOME COGNOME … avrebbe dovuto concedere l’autorizzazione a costruire in favore della sorella NOME sul confine con il suo terreno, delle nuove costruzioni che altrimenti non avrebbero potuto essere legittimamente edificate; di contro NOME COGNOME avrebbe dovuto sottoscrivere una domanda di frazionamento comportante la modifica catastale del confine tra i due terreni ».
La Corte d’appello ha accertato, in fatto, che « COGNOME NOME deve ritenersi responsabile per aver revocato l ‘ autorizzazione previamente concessa, in considerazione del fatto che COGNOME NOME, come risulta dagli atti e dalla testimonianza del geom. COGNOME e dalla stessa CTU, ha rispettato il suo impegno di sottoscrivere l ‘ atto di frazionamento necessario alla modificazione catastale del confine. Né è possibile parlare di tardività di detto
adempimento posto che non risulta dagli atti che le parti avessero indicato un termine perentorio per lo stesso ».
I giudici di secondo grado hanno, di conseguenza, condannato NOME COGNOME a risarcire alla sorella il danno patrimoniale consistente negli oneri economici sostenuti in vista del rilascio del titolo amministrativo che l’avrebbe abilitata a mantenere le proprie costruzioni sul confine con la proprietà del fratello, confidando nell’autorizzazione di questi, poi revocata (e, precisamente, gli oneri « costituiti dalle spese sostenute prima della revoca dell’autorizzazione », cioè, come precisa lo stesso ricorrente: « … complessivi € 4.203,96 di cui € 1.193,51 per somme versate al Comune a titolo di oneri di urbanizzazione, € 655,85 per somme versate alle Ferrovie dello Stato, € 1497,60 per competenze del tecnico geom. NOME COGNOME, € 357,00 per competenze del geol ogo NOME COGNOME, € 500,00 per versamenti diretti di segreteria, bolli e documenti vari »).
3.3 Per quanto riguarda la ricostruzione dei fatti, secondo il ricorrente, le prove acquisite, diversamente da quanto affermato dalla C orte d’appello, avrebbero dovuto portare a ritenere che la responsabilità della mancata formalizzazione dell’intesa raggiunta con la sorella non sarebbe a lui imputabile ma a quest’ultima , che non avrebbe rispettato il suo impegno di sottoscrivere l’atto di frazionamento necessario alla modificazione catastale del confine.
Sotto tale aspetto, le censure formulate con il ricorso (in particolare, con il quarto motivo dello stesso), si risolvono, nella sostanza, in una contestazione della valutazione delle prove, che risulta invero operata prudentemente dalla C orte d’appello e sostenuta da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.
La C orte d’appello , sulla base delle prove acquisite, ha accertato, in fatto, che NOME COGNOME non si era affatto rifiutata di
sottoscrivere l’atto di frazionamento necessario alla modificazione catastale del confine, osservando che, del resto, non era stato fissato un termine ‘ perentorio ‘ a tal fine (ed è appena il caso di osservare, in proposito, a soli fini di completezza di esposizione, che dalla stessa trascrizione del contenuto dei verbali delle deposizioni testimoniali contenuta nel ricorso, effettivamente, pare emergere che la Di Felice non si fosse mai dichiarata indisponibile a farlo, una volta ottenuta la concessione in sanatoria per le sue costruzioni).
Nella sostanza, dunque, la Corte territoriale ha -in parte anche implicitamente, ma inequivocabilmente -accertato, valutando le prove, che non poteva ritenersi contraria a buona fede la condotta dell’attrice , la quale intendeva procedere alla formalizzazione di quell’accordo (ai fini della modificazione catastale del confine) una volta ottenuta la concessione in sanatoria, e che era stata, invece, contraria a buona fede la condotta del convenuto che aveva revocato l’autorizzazione già data, ai fini dell’ottenimento della concessione da parte della sorella, prima che questa fosse effettivamente rilasciata, impedendo definitivamente la realizzazione dello scopo finale dell’intesa.
Rispetto a tale complessiva ricostruzione in fatto della vicenda che ha dato luogo alla controversia, le censure formulate dal ricorrente si risolvono nella contestazione di accertamenti di fatto sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
Tali censure sono, pertanto, inammissibili.
3.4 Per quanto riguarda, invece, la qualificazione dei fatti, la decisione impugnata contiene delle evidenti inesattezze di carattere giuridico che, però, non incidono sulla conformità a diritto della decisione finale, la quale, pertanto, può essere
confermata, con correzione della sua motivazione, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c..
3.4.1 N on è revocabile in dubbio che l’accordo contrattuale tra le parti per l’autorizzazione alla costruzione in violazione delle distanze e, in corrispettivo, la modifica dei confini tra le rispettive proprietà, avrebbe dovuto essere concluso in forma scritta ad substatiam , ai sensi dell’art. 1350 c.c., per essere giuridicamente vincolante.
L’oggetto di un siffatto regolamento contrattuale incide certamente su diritti di natura immobiliare e, di conseguenza, il contratto avrebbe, effettivamente, dovuto essere concluso in forma scritta ( ad substantiam ) a pena di nullità (per il diritto di edificare a distanza inferiore di quella legale, cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 3684 del 12/02/2021; Sez. 3, Sentenza n. 577 del 29/01/1982; Sez. 2, Sentenza n. 6712 del 18/07/1994; Sez. 2, Sentenza n. 4353 del 29/04/1998; Sez. 2, Sentenza n. 9576 del 26/04/2006; Sez. 2, Ordinanza n. 20958 del 22/08/2018 ; altrettanto è a dirsi per la modifica dell’originario confine tra fondi contigui, che implica una cessione, eventualmente reciproca, di parte delle proprietà immobiliari).
La questione della forma del suddetto accordo non è stata, peraltro, presa espressamente in considerazione, né dalla Corte d’appello, né dal Tribunale.
Il Tribunale, in proposito, si è limitato ad affermare che « non risulta che le parti abbiano inteso attribuire a tale accordo carattere giuridico e vincolante e, pertanto, non sono eseguibili in questa sede i reciproci ‘obblighi’ informalmente assunti dalle parti ».
Neanche la C orte d’appello, in effetti, ha attribuito rilievo alla questione dei requisiti di forma del l’ intesa tra le parti, per quanto, a differenza del Tribunale, ne abbia affermato il rilievo giuridico ed il carattere vincolante e abbia ritenuto sussistere la responsabilità risarcitoria del convenuto, per avere egli dato
causa alla sua mancata piena attuazione nelle forme necessarie, considerando tale condotta contraria a buona fede.
3.4.2 La fattispecie alla base della responsabilità del convenuto allegata dall’attrice è stata espressamente qualificata dal Tribunale in termini di responsabilità aquiliana, ai sensi dell’art. 2043 c.c. (per quanto il giudice di primo grado abbia poi escluso in concreto la sussistenza di siffatta responsabilità).
La C orte d’appello non ha né confermato, né espressamente smentito, tale qualificazione, pur giungendo a riconoscere sussistente la responsabilità del convenuto, nei termini già esposti. La motivazione della sentenza impugnata, sul punto, risulta letteralmente formulata sulla base dei seguenti passaggi logici e giuridici:
« L’accordo suggellato ed ammesso da entrambi i fratelli COGNOME, non può considerarsi come privo di carattere giuridico e vincolante come affermato dal Tribunale; invero l’accordo prevedeva per entrambe le parti l’esecuzione di un atto rilevante da un punto di vista giuridico e pertanto capace di infondere in ciascuna delle parti una legittima aspettativa »; « l ‘ accordo in parola ad avviso di questa Corte deve qualificarsi come un negozio capace di generare un vincolo giuridico tra le parti in ragione della volontà espressa dalle stesse e dell ‘ affidamento che una parte aveva riguardo alla prestazione promessa dall ‘ altra »; « inquadrato quindi il rapporto tra le parti come generatore di un vincolo giuridico, ne deriva che COGNOME NOME deve ritenersi responsabile per aver revocato l’autorizzazione previamente concessa, in considerazione del fatto che COGNOME NOME, come risulta dagli atti e dalla testimonianza del geom. COGNOME e dalla stessa CTU, ha rispettato il suo impegno di sottoscrivere l ‘ atto di frazionamento necessario alla modificazione catastale del confine. Né è possibile parlare di tardività di detto adempimento posto che non risulta dagli atti che le parti avessero indicato un termine perentorio per lo stesso ».
Orbene, tale motivazione è certamente da ritenere erronea in diritto.
I termini utilizzati per qualificare l’intesa in termini di ‘ negozio ‘ , ‘ vincolante ‘, idoneo a generare un ‘ vincolo giuridico ‘, sono, infatti, senz’altro incompatibili e contraddittori, sul piano giuridico, rispetto ai termini utilizzati per indicare gli effetti derivanti dalla stessa intesa in termini di ‘ legittima aspettativa ‘ e di ‘ affidamento ‘ per le parti.
I primi presuppongono, infatti, la sussistenza di un valido accordo contrattuale, rimasto inadempiuto. I secondi, invece, limitano la rilevanza della condotta delle parti al piano della mera lesione de ll’affidamento e delle legittime aspettative nascenti dalle trattative intercorse tra di esse , sfociate in un’intesa sui termini dell’accordo da formalizzare, ma non (ancora) consacrate in un vero e proprio valido accordo contrattuale scritto: cioè, attribuiscono rilevanza giuridica alla vicenda esclusivamente sul piano delle trattative precontrattuali e della relativa responsabilità.
Deve, peraltro, senz’altro escludersi, per le ragioni già viste, che si possa parlare di un valido accordo negoziale tra le parti, anche in considerazione della natura dei diritti oggetto dello stesso.
Sotto tale profilo, quindi, la motivazione della decisione impugnata è certamente erronea in diritto, per quanto riguarda i riferimenti alla rilevanza giuridica vincolante dell’accordo tra le parti, quale valido contratto tra le stesse stipulato e, quindi, alla rilevanza della condotta del convenuto sul piano dell’inadempimento alle obbligazioni derivanti da un siffatto contratto.
3.4.3 Tanto premesso, i chiari ed espressi riferimenti operati dalla C orte d’appello alla « legittima aspettativa » che le trattative tra le parti avevano determinato in ciascuna di esse, nonché all’« affidamento che una parte aveva riguardo alla prestazione promessa dall ‘ altra », unitamente al l’accertamento di
fatto in ordine al carattere contrario a buona fede della condotta di NOME COGNOME per avere questi determinato l’interruzione di tali trattative, avendo revocato l’autorizzazione concessa ai fini dell’ottenimento del titolo edilizio richiesto dalla sorella, senza alcuna responsabilità di quest’ultima, devono ritenersi , comunque, idonei a giustificare la responsabilità riconosciuta a carico del convenuto, sotto il profilo della responsabilità precontrattuale, ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c., sussistendone tutti i presupposti (cfr., in proposito, per tutte, Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 34510 del 16/11/2021: « per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l ‘ altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell ‘ ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; la verifica della ricorrenza di tutti tali elementi si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, ove non inficiato da omesso esame circa un fat o decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti »; conf.: Sez. 2, Sentenza n. 7545 del 15/04/2016; Sez. 3, Sentenza n. 7768 del 29/03/2007; Sez. L, Sentenza n. 8723 del 7/05/2004).
Sotto il profilo indicato, il dispositivo finale della decisione impugnata risulta, quindi, conforme a diritto.
La C orte d’appello ha, in fatti, sostanzialmente accertato che NOME (e non NOME COGNOME NOME si è reso responsabile di un ingiustificato recesso dalle trattative in corso con la sorella e, comunque, ha tenuto un comportamento sleale e contrario a buona fede, revocando la propria autorizzazione all’edificazione
dei manufatti della sorella sul confine delle rispettive proprietà, così impedendo la realizzazione dell’intesa verbale , che avrebbe dovuto essere perfezionata nelle forme necessarie, ed in relazione alla quale NOME aveva maturato un legittimo affidamento ed una ragionevole aspettativa, non essendo del resto quest’ultima venuta meno in alcun modo agli impegni assunti nel corso delle suddette trattative e non avendo essa, quindi, tenuto affatto un comportamento contrario a buona fede.
3.4.4 Le conclusioni sin qui esposte trovano ulteriore conferma anche nel rilievo che la C orte d’appello ha riconosciuto il danno conseguente alla responsabilità del convenuto nei limiti dell’interesse negativo, cioè esclusivamente nei limiti coerenti proprio con la natura precontrattuale di tale responsabilità.
Non è stata, infatti, riconosciuta la responsabilità di NOME COGNOME per i danni conseguenti al mancato conseguimento, da parte della sorella, dei vantaggi riconducibili alla integrale attuazione dell’accordo , ma solo di quelli « costituiti dalle spese sostenute prima della revoca dell’autorizzazione », vale a dire per le spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative, che è proprio il danno risarcibile in caso di responsabilità precontrattuale, ovvero il cd. interesse negativo (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 24625 del 3/12/2015: « in tema di responsabilità precontrattuale, il pregiudizio risarcibile è circoscritto al solo interesse negativo, costituito sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative ed in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di altre occasioni di stipulazione contrattuale, pregiudizio liquidabile anche in via equitativa »; giurisprudenza consolidata di questa Corte; ex multis : Sez. 1, Sentenza n. 9157 del 30/08/1995; Sez. 1, Sentenza n. 7997 del 26/08/1997; Sez. 1, Sentenza n. 146 del 10/01/1998; Sez. 3, Sentenza n. 15172 del 10/10/2003; Sez. 3, Sentenza n. 12313 del 10/06/2005; Sez. 2, Sentenza n. 4718 del 10/03/2016; Sez. 3, Ordinanza n. 19202 del 6/07/2023).
Anche sotto tale profilo, pertanto, il dispositivo finale della decisione impugnata deve ritenersi conforme a diritto, salva la correzione della sua motivazione, nei sensi sin qui esposti, con conseguente rigetto dei motivi di ricorso in esame.
Il ricorso è rigettato, con correzione della motivazione della decisione impugnata, nei sensi precisati in parte motiva, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c. .
Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, sia in considerazione dell’alterno andamento del giudizio nelle fasi di merito, sia in considerazione dell’erroneità in diritto della motivazione della decisione impugnata, in parte colta dai motivi del ricorso, che ne ha reso necessaria la sua correzione.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-