Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25395 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25395 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25503/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE IN PERSONA DEL AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO RAGIONE_SOCIALE n. 810/2022 depositata il 07/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
1. -La RAGIONE_SOCIALE ha effettuato prestazioni specialistiche a favore della RAGIONE_SOCIALE di Catanzaro.
Ha agito in giudizio per vedersi riconosciuto il corrispettivo pari a 20.759.058,00 euro.
In quel giudizio, davanti al Tribunale di Catanzaro, la RAGIONE_SOCIALE si è costituita, ha eccepito che il contratto prevedeva un limite massimo di spesa, pari a circa 9 milioni, ed ha chiamato in causa la Regione Calabria.
Il giudice ha ritenuto inammissibile, perché tardiva, la chiamata, ed ha riconosciuto alla clinica il diritto ad un corrispettivo pari a 12.165.559,24 euro.
La tesi della società era che, sebbene nel contratto fosse stato indicato un tetto massimo di remunerazione, la relativa clausola era stata da lei sottoscritta con riserva. Infatti, era la legge stessa a prevedere che per le prestazioni di alta specializzazione non poteva fissarsi un tetto massimo, e dunque la clausola doveva dirsi nulla, ma, nel contempo, la società aveva necessità finanziarie e dunque aveva necessità di stipulare il contratto: da qui la firma con riserva.
La Corte di appello di Catanzaro ha fatto applicazione della clausola, riformando dunque la decisione di primo grado, relativamente alla somma spettante alla società di cura.
Ma questa decisione è stata poi annullata da questa Corte (con ordinanza n. 20828/ 2018), la quale ha rilevato un vizio di omesso esame: la RAGIONE_SOCIALE di cura aveva, come si è detto, sostenuto che era stato violato l’affidamento riposto sulla remunerazione ed aveva
eccepito di aver sottoscritto la clausola che invece prevedeva un tetto massimo di remunerazione per via dello stato di bisogno in cui versava. Vi era dunque una domanda sul vizio del consenso, proposta in via subordinata, che non era stata esaminata.
3. -La causa è stata dunque riassunta presso la Corte di Appello di Catanzaro, la quale, a seguito del predetto annullamento, doveva esaminare due domande, non decise dal precedente giudice: quella relativa allo stato di bisogno, quella relativa alla responsabilità precontrattuale.
Il giudice del rinvio le ha entrambe rigettate. Ha ritenuto non provato lo stato di necessità: la società aveva eccepito di avere sottoscritto il contratto (che conteneva la clausola di spesa) solo perché spinta dalla necessità di avere liquidità, e di averlo fatto tuttavia con riserva.
La Corte di appello ha escluso altresì che vi fosse prova dello stato di bisogno, quale presupposto della rescissione.
Ha inoltre escluso che la RAGIONE_SOCIALE, nelle trattative, fosse incorsa in responsabilità precontrattuale ed ha ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE non avesse taciuto alla società alcuna circostanza rilevante ai fini della determinazione del compenso, in quanto aveva fatto inserire nel contratto la clausola che introduceva il tetto di spesa, non appena venuta a conoscenza della determinazione regionale che quel tetto di spesa imponeva.
4. -Questa decisione è stata nuovamente impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE con due motivi di censura, di cui ha chiesto il rigetto la RAGIONE_SOCIALE con controricorso e memoria.
Ragioni della decisione
-L’oggetto di questo giudizio è ovviamente segnato dalla decisione impugnata, la quale, come si è detto, è stata emessa a seguito dell’annullamento con rinvio, ed aveva dunque limitato oggetto di indagine, nel quale non era più da ricomprendersi la
questione della legittimità della clausola del tetto massimo per asserito contrasto con la legge, contrasto dovuto al fatto che le prestazioni di cui si discute erano di alta specializzazione: questione dunque, quest’ultima, che è fuori dal presente giudizio, che invece attiene ai punti su cui vi è stato annullamento.
1.1 -Con il primo motivo si prospetta omessa motivazione, o insufficiente motivazione, su un fatto controverso e rilevante.
La censura è rivolta verso quella parte della decisione che ha escluso la prova dello stato di necessità o dello stato di bisogno.
Secondo la ricorrente, la Corte di appello non ha motivato adeguatamente, e tale insufficienza di motivazione è il frutto dell’omessa considerazione di alcune circostanze che invece erano chiaramente emerse, come, in particolare, lo squilibrio evidente del contratto, che, di per sé, manifestava lo stato di bisogno che aveva indotto la ricorrente a stipularlo.
La tesi della ricorrente è in sostanza che: ‘ La dimostrazione che quanto appena esposto risulta già di per sé essere provato in re ipsa, non necessitando, dunque, di alcun ulteriore compendio probatorio, emerge ancor di più ove si tenga debitamente conto del fatto che l’odierna ricorrente alcuna concreta alternativa avrebbe avuto rispetto alla obbligata firma del contratto del 12.11.2003, reggendosi l’intero complesso delle propria produzione sanitaria di eccellenza unicamente sul rapporto unilaterale con RAGIONE_SOCIALE‘ (p. 11 del ricorso).
Dunque, alcuna prova era necessaria, risultando essa dalle cose stesse, dalle stesse condizioni a cui era stato stipulato il contratto, che consentiva alla RAGIONE_SOCIALE di avere prestazioni di alta specializzazione praticamente gratis.
Il motivo è inammissibile.
Intanto, formalmente denuncia una motivazione insufficiente.
Giova ricordare che ‘ è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione ‘ (Cass. sez., un. 8053/ 2014).
Se questa è la censura essa è infondata in quanto la motivazione è resa, ed è chiara: che lo stato di bisogno allegato dalla società non è stato provato.
In realtà, il motivo più che censurare l’insufficiente motivazione, censura l’accertamento in fatto, ossia contesta la ratio decidendi , opponendo ad essa un accertamento diverso. Sostiene la ricorrente che la prova era in atti, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito.
E questa censura mira, dunque, a proporre un accertamento dei fatti (se lo stato di bisogno emergesse o meno dalla istruttoria) che non è prospettabile in questa sede.
Né può ipotizzarsi di intendere la censura come violazione del ragionamento probatorio e presuntivo in particolare: sembrerebbe infatti che si dica che un indizio vi era (lo squilibrio contrattuale stesso) e che da esso poteva trarsi la prova dello stato di bisogno.
Anche ad ammettere che la censura si possa intendere come rivolta all’uso delle presunzioni, non è detto in che termini è stato violato il ragionamento presuntivo sulla prova, ed in particolare alcunché è detto sulla rilevanza indiziaria di quel fatto (gravità, precisione dell’indizio), rilevanza non tenuta in conto dalla Corte di appello. La ricorrente piuttosto si limita ad asserire apoditticamente che da quello squilibrio contrattuale (e non è detto perché di squilibrio si sia trattato) si dovesse indurre lo stato di bisogno.
-Con il secondo motivo si prospetta violazione dell’articolo 1337 c.c.
L’altra questione oggetto del giudizio di rinvio era quella della responsabilità precontrattuale della RAGIONE_SOCIALE: la ricorrente si doleva del fatto che quest’ultima, pur essendo intervenuti accordi sul compenso, aveva poi introdotto in contratto la clausola che lo limitava, e che la società era stata costretta a sottoscrivere per lo stato di bisogno in cui si trovava.
La Corte di Appello ha osservato che non vi era stata condotta scorretta in violazione degli obblighi inerenti alle trattative, in quanto la RAGIONE_SOCIALE aveva introdotto la clausola subito dopo aver appreso della determinazione regionale di fissare il tetto massimo.
La ricorrente censura questo accertamento ribadendo che ‘ L’RAGIONE_SOCIALE che ha arbitrariamente diminuito i tetti di spesa (illegittimi) facendo confluire il nuovo ammontare nel contratto definitivo sottoscritto con riserva, è dunque, macroscopicamente incorsa in una responsabilità extracontrattuale, di tipo ‘precontrattuale ” (p. 14 del ricorso).
E sostiene che il tetto massimo era illegittimo.
Il motivo è inammissibile.
Ripropone la questione già rigettata, ed in termini apodittici.
Dunque, non si confronta con la ratio decidendi , la quale è nel senso che alcuna responsabilità precontrattuale può affermarsi in quanto il comportamento della RAGIONE_SOCIALE è stato corretto: l’azienda ha inserito la clausola dopo aver appreso della decisione regionale, e non ha dunque taciuto alcunché alla controparte.
Questo accertamento non è minimamente contestato. Né lo è ribadendo che la RAGIONE_SOCIALE durante le trattative era disposta ad un prezzo maggiore, poiché la ratio della decisione impugnata è che, pur avendo la RAGIONE_SOCIALE effettivamente indicato un iniziale prezzo maggiore, ha dovuto poi inserire in contratto la clausola di
contenimento del prezzo, dopo avere appreso della determinazione regionale in tal senso.
Ed è questa seconda situazione che, in base all’accertamento, dei giudici di merito esclude la responsabilità.
Né la aspettativa è una situazione tutelabile a prescindere dalla liceità della condotta che la lede.
La ricorrente, infatti suppone che, anche ad ammettere che la RAGIONE_SOCIALE ha incolpevolmente inserito la clausola all’ultimo istante, comunque ne è derivata lesione dell’affidamento, poiché la ricorrente si è determinata a stipulare sulla base degli accordi presi (p.17 del ricorso).
Ma la lesione dell’affidamento comporta risarcimento se illecita, e la Corte di merito, con accertamento in fatto (inserimento della clausola dovuta alla sopraggiunta delibera regionale) ha escluso tale illiceità.
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese, atteso l’esito alterno del giudizio (si consideri l’annullamento della precedente sentenza), possono compensarsi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 19/05/2025.
Il Presidente NOME COGNOME