Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3898 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3898 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27050/2017 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (-) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente incidentale-
avverso SENTENZA CORTE D’APPELLO MILANO n. 1645/2017 depositata il 14/04/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere NOME AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti e ragioni della decisione
La società RAGIONE_SOCIALE, chiedeva al -ed otteneva dal -Tribunale di Pavia un decreto ingiuntivo per il pagamento di euro 168.084 dovuti dal comune di Lardirago per il mancato pagamento delle fatture relative al noleggio di apparecchiature per il rilevamento della velocità denominata Autovelox. Il comune di Lardirago, in data 25.10.2011, proponeva opposizione, sostenendo l’invalidità degli accordi nel tempo intercorsi con la società per violazione di norme imperative e chiedendo, in via riconvenzionale, la restituzione delle somme percepite dalla detta società in forza di tali accordi.
La società opposta, costituitasi in giudizio, chiedeva il rigetto dell’opposizione in relazione alla piena validità degli accordi conclusi con il C omune ed in ogni caso la condanna dell’opponente al pagamento delle somme ingiunte a titolo risarcitorio o di indebito arricchimento anche nel caso di ritenuta invalidità dei contratti in relazione all’affidamento ingenerato sulla regolarità tecnica e contabile degli accordi. Insisteva, infine, per la condanna del Comune al pagamento di somme ulteriori per le medesime causali indicate.
Il Tribunale di Pavia rigettava l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo opposto e disattendeva le ulteriori domande proposte dalle parti.
La Corte di appello di Milano, con la sentenza n.1645/2017, pubblicata il 14 aprile 2017, in parziale riforma della sentenza impugnata, revocava il decreto ingiuntivo ed in accoglimento delle domande della società RAGIONE_SOCIALE, condannava il Comune di Lardirago al pagamento della somma di euro 168.084 a titolo risarcitorio, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. La Corte di appello, dopo avere distinto tre fasi nei rapporti fra le parti- correlati alla fase anteriore al contratto ma successiva alla delibera di giunta n.70/22006, a quella regolata dal contratto concluso fra le parti ed a quella regolata dalla delibera di giunta n.46/2008, modificativa delle pattuizioni relative al corrispettivo
del noleggio -riteneva la nullità degli accordi negoziali delle fasi 1 e 3 connessi alle delibere di giunta, in quanto atti interni privi di efficacia negoziale. La Corte di appello dichiarava la nullità assoluta del contratto avente ad oggetto il noleggio dell’apparecchiatura con obbligo di gestione delle apparecchiature ad opera della società- in violazione degli artt.11 e 12 del codice della strada dell’art.345 del regolamento di attuazione del codice della stradad.P.R. n.495/1992-, che invece attribuiva la prevenzione e l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale alla competenza esclusiva della Polizia stradale e la gestione diretta delle apparecchiature dagli organi della polizia stradale. Prescrizioni che non erano state rispettate dall’art.4 del contratto, come era anche emerso dalle prove testimoniali raccolte, dalle quali era risultato che il comune aveva svolto unicamente un’attività di supervisione, nemmeno continuativa, sugli strumenti di rilevazione.
La Corte di appello, tuttavia, riteneva che fosse fondata la domanda risarcitoria proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE ai sensi degli artt.1337 e 1338 c.c. dovendo qualificare tale pretesa come domanda di accertamento di responsabilità da contatto sociale ex art.117, 1375 c.c. Il Comune di Lardirago, infatti, con il proprio comportamento consistito nelle richiamate attività estrinsecatesi sia nelle delibere di giunta comunale, non seguite dalla formalizzazione di validi contratti scritti, sia nella formalizzazione di un contratto del quale, era poi risultata la nullità, aveva violato i principi di buona fede, di protezione e di informazione al cui rispetto era obbligato per effetto del contatto sociale qualificato intervenuto con la società, determinando l’insorgere di una responsabilità di natura contrattuale. Ragion per cui il danno consisteva nella valorizzazione della prestazione resa negli anni dalla società, dal 2006 al 2009, sino al termine del rapporto. Da ciò conseguiva che le somme percepite fino a quel momento dalla società non potevano considerarsi prive di titolo, poiché ‘per la diversa qualificazione del rapporto giuridico fra le parti, esse sono state percepite a titolo risarcitorio’. Quanto alle fatture emesse dalla CI.TIRAGIONE_SOCIALE ed azionate con il decreto ingiuntivo, il danno doveva parimenti liquidarsi sulla base del criterio della valorizzazione della prestazione di fatto resa, da quantificare nell’importo di euro 168,084 già comprensivo di rivalutazione monetaria.
Il Comune di Lardirago ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la società RAGIONE_SOCIALE impugnando la sentenza della Corte di appello di Milano indicata in epigrafe, al quale ha resistito la parte intimata con controricorso e ricorso incidentale affidato a cinque motivi, al quale ha resistito la ricorrente principale con controricorso. La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
La causa è stata posta in decisione all’udienza camerale del 16 gennaio 2024.
Il ricorrente principale deduce con il primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1173, 1337, 1338, 1375 c.c. La Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto applicabile alla vicenda l’ipotesi di responsabilità c.d. da contatto del comune medesimo in relazione al noleggio delle apparecchiature Autovelox.
In particolare, il giudice di appello, dopo avere ritenuto che le delibere di giunta del C omune di affidamento del servizio di noleggio e l’accordo concluso fra le parti erano invalidi, in assenza di atti idonei ad impegnare l’ente perché provenienti, le prime, da organo non legittimato ed il secondo in quanto contenente clausole contrarie a norme imperative, aveva comunque accolto la domanda di pagamento delle somme ingiunte con il decreto ingiuntivo ricorrendo alla figura della c.d. responsabilità da contatto. Figura che secondo la ricorrente non sarebbe configurabile nel caso concreto, non potendosi ritenere l’esistenza di alcun legittimo affidamento in capo alla società. Non sarebbe nemmeno possibile ritenere ascrivibile al Comune la violazione dei precetti di buona fede, protezione ed informazione previsti dal quadro normativo di riferimento. Infatti, la Corte di appello avrebbe tralasciato di considerare le qualità professionali tecniche ed informatiche della società RAGIONE_SOCIALE, operatore specializzato nel settore del noleggio di apparecchiature per il controllo della circolazione stradale; qualità che avrebbero imposto alla società la conoscenza della normativa fondamentale in tema di contratti con la p.a. anche con riferimento alle prescrizioni relative alla gestione delle apparecchiature elettroniche da parte della polizia stradale. Aggiungeva, in ogni caso, che la società avrebbe potuto agire nei confronti dei funzionari del comune ai sensi dell’art.191 Tuel e non sarebbe stata quindi priva di tutela.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. art.112 e 101 c.p.c. 24 e 111 Cost. in relazione alla lesione dei principi di corrispondenza del chiesto e pronunziato e del contraddittorio processuale. La Corte di appello avrebbe deciso oltre i limiti della domanda ed in manifesta violazione del principio del contraddittorio processuale, non avendo reso palese alle parti il rilievo d’ufficio della diversa qualificazione della domanda proposta dalla società in termini di responsabilità contrattuale da contatto.
Il secondo motivo merita di essere esaminato con priorità ed è infondato.
Deve escludersi, anzitutto, che nel caso di specie vi sia stata da parte della Corte di appello una violazione del canone processuale di cui all’art.112 c.p.c. sia sotto il profilo della violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunziato che sotto il profilo dell’asserita lesione del principio del contraddittorio in relazione all’asserita rilevazione d’ufficio della domanda .
Giova sul punto evidenziare che questa Corte ha ormai chiarito, con orientamento consolidato, che:
la rilevazione e l’interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito, sicché non è deducibile la violazione dell’art. 112 c.p.c., quale errore procedurale rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., quando il predetto giudice abbia svolto una motivazione sul punto, dimostrando come la questione sia stata ricompresa tra quelle oggetto di decisione, attenendo, in tal caso, il dedotto errore al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte.cfr.Cass.n.27181/2023-;
il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte -Cass.n.118/2016- ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire
d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazionecfr.Cass.n.13602/2019-;
sussiste il vizio di “ultra” o “extra” petizione ex art. 112 cod. proc. civ. quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio:1) attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato-cfr.Cass. Cass.n.25140/2010-:2) interferendo nel potere dispositivo delle parti;3) alterando uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione ( petitum e causa petendi );4), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso – nemmeno implicitamente o virtualmente – nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti-cfr. (Cass. n. 17897/2019; Cass. n. 29200/2018; Cass. n. 22595/2009, Cass. n. 25094/2023;
non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice di merito, che abbia esercitato il doveroso compito di definire e qualificare la domanda proposta dalla parte – senza essere in ciò condizionato dalla formula adottata dalla parte medesima e tenuto conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate in corso di causa – e si sia, quindi, nel pronunciare su di essa, attenuto ai limiti della domanda come interpretata -cfr.Cass.n.27285/2006- essendo, in virtù del principio jura novit curia , sempre consentito al giudice – anche in sede di legittimità ‘valutare d’ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione’ della norma applicabile (Cass. n.6341 del 5.3.2019, Cass.31330/2023).
In definitiva, riassumendo la portata dei principi che si sono sedimentati nella giurisprudenza di questa Corte, può ritenersi che la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità
processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del ” petitum “, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di ” error in iudicando “, in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di ” error facti “, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.-cfr.Cass.n.11103/2020, Cass.n.21421/2014-
Fatte le superiori premesse in diritto, occorre muovere dal fatto per cui questa Corte con la sentenza n. 14188 del 12/07/2016, richiamata dalla Corte di appello, ha statuito che la responsabilità precontrattuale della P.A. avesse natura contrattuale , identificando la fattispecie come ‘contatto sociale qualificato’, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 e 1375 c.c.
Orbene, il giudice di appello, ha dapprima chiarito che la domanda proposta nel corso del giudizio di opposizione dalla società RAGIONE_SOCIALE aveva avuto ad oggetto la richiesta risarcitoria ‘ex artt.1337 e 1338 c.c.’ e ha poi qualificato tale domanda come fondata su una responsabilità ‘da contatto qualificato’ come tratteggiata da Cass.n.14188/2016 -diffusamente richiamata nella sentenza qui in esame- ritenendo che l’amministrazione comunale, nell’adottare atti non seguiti dalla formalizzazione di validi contratti scritti, aveva disatteso gli obblighi di buona fede, protezione ed informazione.
Così facendo il giudice di merito è rimasto ben all’interno del perimetro delle prerogative qualificatorie allo stesso riservate, individuando la pretesa azionata in via subordinata dalla società sulla base di una causa petendi assolutamente coerente con il fondo della domanda proposta dalla società. Domanda, quest’ultima, indiscutibilmente rivolta a
prospettare la violazione dei doveri di buona fede e di informazione da parte del comune per avere dato luogo ad un’attività negoziale illegittima che aveva prodotto effetti anche nei confronti della stessa e che la Corte ha ritenuto fondare la responsabilità, di natura contrattuale, riqualificando l’originaria richiesta di condanna fondata sulla violazione degli artt.1337 e 1338 c.c. alla luce della figura della responsabilità da contatto qualificato.
Ciò, peraltro, lasciando inalterato il petitum posto dalla società a base delle domande proposte per violazione degli obblighi di buona fede ed informazione.
In definitiva, la Corte di appello, una volta investita dell’impugnazione della sentenza che aveva ritenuto la validità degli atti comunali e la loro idoneità ad impegnare negozialmente l’ente locale nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, ha offerto una qualificazione delle domande azionate dalle parti attraverso un’indagine di fatto che si sottrae al sindacato di questa Corte, senza affatto esorbitare dai poteri alla stessa conferiti.
Per tali ragioni deve quindi escludersi in radice la violazione del principio di ultra petizione prospettata dal ricorrente.
Nemmeno fondata risulta la censura ove prospetta la violazione dell’art.101 , c.2, c.p.c.
Ed invero, la giurisprudenza di questa Corte ha già rilevato il preciso obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio su questioni di natura sostanziale, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.c., ha lo scopo di evitare le decisioni c.d. “a sorpresa” o “della terza via’ -cfr.Cass.n.29098/2017-
Esigenza che la disposizione processuale ha inteso salvaguardare in piena sintonia con la giurisprudenza della Corte EDU in tema di giusto processo recentemente ribaditi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Ben COGNOME c. Italia del 29 giugno 2023- ric.49058/2020divenuta definitiva.
In tale circostanza, la Corte EDU ha ritenuto che la nozione di processo equo comprenda il diritto a un processo in contraddittorio che implica il diritto per le parti non solo di far conoscere gli elementi necessari per il buon esito delle loro richieste, ma anche di prendere visione di ogni documento o osservazione presentata al giudice per influenzare la sua decisione, e di discuterla. Il giudice di Strasburgo ha poi aggiunto che il
giudice stesso deve rispettare il principio del contraddittorio, soprattutto quando si pronuncia su una controversia sulla base di un motivo invocato d’ufficio o di un’eccezione sollevata d’ufficio. Occorre dunque verificare, per garantire un’interpretazione convenzionalmente orientata delle regole processuali interne, se una parte sia stata «presa alla sprovvista» dal fatto che il tribunale ha fondato la sua decisione su un motivo sollevato d’ufficio. Ragion per cui il giudice è tenuto ad osservare un grado di particolare diligenza quando la controversia prende una piega inattesa, tanto più se si tratta di una questione lasciata alla discrezione del tribunale. Il principio del contraddittorio, prosegue la Corte EDU, impone che i tribunali, nelle loro decisioni, non si basino su elementi di fatto o di diritto che non sono stati discussi durante il procedimento e che danno alla controversia una svolta che nemmeno una parte diligente sarebbe stata in grado di prevedere in anticipo.
La sentenza COGNOME ha infine ricordato che nella causa Alexe -Corte edu, 3 novembre 2022 , Alexe c. Romania , n. 66522/09, §§ 39, 42 e 44essa ha ritenuto che i tribunali interni abbiano l’obbligo di sottoporre al dibattito in contraddittorio la questione relativa all’interpretazione di una norma di diritto interno che viene modificata nel corso del procedimento, quando tale modifica si presta a controversia. E questo anche se la suddetta norma era stata invocata dalla ricorrente fin dal giudizio di primo grado.
I principi della Corte EDU sono stati di recente ricordati dalle Sezioni Unite di questa Corte, ove si è affermato che per verificare la decisione del principio del contraddittorio ‘ è “determinante” “se una parte sia stata “colta di sorpresa” ( prise au depourvu ) dal fatto che il tribunale ha fondato la sua decisione su una questione rilevata d’ufficio” (Corte EDU, 29/06/2023, COGNOME contro Italia, n. 49058/20, p. 49; Corte EDU 10/11/2022, RAGIONE_SOCIALE, n. 49812/09, p. 87; Corte EDU 06/05/2016, Alexe c. Roumanie, n. 66522/09, pp. 33-37; Corte EDU 17/05/2016, RAGIONE_SOCIALE c. Portogallo, p. 59; Corte EDU 05/09/2013, Cepek c. Republique Tcheque, n. 9815/10, pp. 45-48)-cfr. Cass. S.U. n.32091/2023-. Si è pure aggiunto che particolare diligenza è richiesta al tribunale quando la controversia prende una piega inaspettata, soprattutto se si tratta di una
questione lasciata alla discrezione del tribunale’ e che “il principio del contraddittorio impone che i tribunali non basino le loro decisioni su elementi di fatto o di diritto che non sono stati discussi nel corso del procedimento e che danno alla controversia una piega che nemmeno una parte diligente sarebbe stata in grado di prevedere” (Corte EDU 10/11/2022, RAGIONE_SOCIALE, sopra citata, p. 88; Corte EDU 06/05/2016, Alexe, p. 37; Corte EDU 05/09/2013, Cepek, sopra citata, p. 48).
Orbene, nel solco dei superiori principi occorre rammentare che nel caso di specie la società RAGIONE_SOCIALE aveva ipotizzato, fin dall’atto introduttivo del giudizio, la responsabilità precontrattuale della p.a. per avere dato luogo alla adozione di atti (delibere di giunta e contratto) in violazione delle regole previste in tema di forma dei contratti della p.a., invocando espressamente gli artt.1338 e 1337 c.c.
Ora, la circostanza che la Corte di appello abbia sussunto la vicenda nella ipotesi di responsabilità c.d. da contatto qualificato non ha in alcun modo immutato i temi in discussione nella vicenda processuale come specificati fin dall’inizio dalle parti. Ed infatti, la circostanza che la Corte abbia fatto riferimento alla responsabilità da contatto qualificato ed all’indirizzo espresso da Cass.n.14188/2016successiva all’inizio del procedimento civile iniziato con la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo (25.11.2011) non ha determinato alcuna immutazione del quadro ipotizzato dalla parte opposta, ove appunto si consideri che la sentenza appena ricordata fece riferimento alle ipotesi della responsabilità da contatto sociale qualificato per inquadrare l’eventuale responsabilità dell’amministrazione aggiudicataria in pendenza dell’approvazione ministeriale, come responsabilità precontrattuale, ai sensi degli artt.1337 e 1338 c.c..
Una qualificazione che, ai fini del presente giudizio, non ha dunque determinato alcun ‘effetto a sorpresa’ e che è in grado di escludere che vi sia stata da parte della Corte di appello una modifica sostanziale della causa petendi posta a sostegno delle domande proposte dalla società RAGIONE_SOCIALE, appunto correlate alla prospettata violazione degli artt.1337 e 1338 c.c.
Né può diversamente opinarsi in relazione all’ambito di maggiore operatività, in astratto, della responsabilità da contatto, rispetto a quella regolata dagli artt.1337 e 1338 c.c. (limitata al ristoro del solo interesse contrattuale negativo Cass.n.6294/1992, Cass.24625/2015, Cass.n.11243/2003) non avendo subìto l’amministrazione comunale -destinataria di una pretesa risarcitoria del medesimo importo rispetto alla domanda ‘contrattuale’ – alcun pregiudizio effettivo al proprio diritto di difesa.
In conclusione deve ritenersi che l’attività posta in essere dalla Corte di appello, ben al di fuori delle ipotesi di rilevabilità d’ufficio di una questione o di una norma sopravvenuta, non abbia in alcun modo vulnerato il principio del contraddittorio del comune di Lardirago, fin dall’inizio del processo ben consapevole che l’azione giudiziaria intrapresa dalla società nei di lui confronti ponesse in discussione la condotta (asseritamente contraria agli obblighi di buona fede) dallo stesso posta in essere per effetto delle delibere di giunta e dell’accordo concluso con la società anzidetta.
Passando all’esame del primo motivo, lo stesso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
Ed invero, la Corte di appello, prendendo come già ricordato le mosse da Cass. n.14188/2016, ha ritenuto che la responsabilità precontrattuale della P.A. non aveva natura extracontrattuale, dovendo inquadrarsi nella responsabilità di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 c.c., ; una forma di responsabilità che si colloca “ai confini tra contratto e torto”, in quanto radicata in un “contatto sociale” tra le parti che, in quanto dà adito ad un reciproco affidamento dei contraenti, è “qualificata” dall’obbligo di “buona fede” e dai correlati “obblighi di informazione e di protezione”.
Successivamente, questa Sezione ha precisato che la responsabilità per il danno cagionato, da una parte all’altra, nel corso delle trattative, ha la sua derivazione nella violazione di specifici obblighi (buona fede, protezione, informazione) che precedono quelli che deriveranno dal contratto, e che non si identificano con il generico dovere del neminem
laedere . Pertanto tale responsabilità va qualificata come responsabilità contrattuale- anche se non in senso proprio – conseguendo al “contatto” tra le parti nella fase procedimentale anteriore alla stipula del contratto, cfr. Cass. n.19775/2018, conf. Cass. n.25644/2017. Nell’esaminare il pregiudizio derivante all’appaltatore in ragione dell’annullamento di un’aggiudicazione di un appalto Cass.n.19775/2018 ha quindi ritenuto che ‘il risarcimento del danno dovuto all’appaltatore nel caso di annullamento dell’aggiudicazione va parametrato non già alla conclusione del contratto, bensì al c.d. interesse contrattuale negativo che copre sia il danno emergente, ovvero le spese sostenute, che il lucro cessante, da intendersi non come mancato guadagno rispetto al contratto non eseguito ma in riferimento ad altre occasioni di contratto che la parte allega di avere perso.’
Peraltro, questa Corte ha ritenuto che in caso di nullità del contratto derivante dalla violazione di una norma imperativa, quale quella della necessaria forma scritta “ad substantiam” per i contratti della pubblica amministrazione deve ritenersi, secondo un criterio di ordinaria diligenza, la conoscenza di tali modalità di contrattazione con la p.RAGIONE_SOCIALE. in capo al soggetto privato che contratta, allorché questi eserciti la propria attività nel settore degli appalti, con ciò escludendosi ogni responsabilità dell’ente pubblico sotto il profilo del contatto sociale o della responsabilità contrattuale. Ragione per cui se la causa di invalidità del negozio deriva da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali – cioè – da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini e – comunque – tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa a carico dell’altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l’esistenza delle norme stesse. Alla stregua di tale principio, qualora detta responsabilità venga invocata verso una P.A., in relazione a causa di invalidità per difetto di forma scritta “ad substantiam”, deve escludersi la configurabilità della mala fede della P.A. ai fini della sussistenza di detta responsabilità-cfr.Cass.n.4635/2006-.
In particolare, Cass.n.9636/2015 ha ritenuto che accertare se un contraente abbia confidato colpevolmente o incolpevolmente nella validità ed efficacia del contratto (concluso o da concludere) con la pubblica amministrazione -al fine di escludere o affermare la responsabilità di quest’ultima, a norma dell’art. 1338 cod. civ. integra una valutazione riservata al giudice di merito, il quale è tenuto a valutare in concreto se la norma violata sia conosciuta o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto, tenuto conto della univocità dell’interpretazione della norma e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità. Quando la pRAGIONE_SOCIALE. è tenuta istituzionalmente a conoscere ed applicare le disposizioni che riguardano il suo agire con i terzi, la stessa deve rispettare l’obbligo di informare il privato delle circostanze che potrebbero determinare la invalidità o inefficacia dell’attività o comunque ad incidere negativamente sulla eseguibilità del contratto, incorrendo altrimenti in responsabilità per culpa in contrahendo , salva la possibilità di dimostrare in concreto che l’affidamento del contraente sia irragionevole, in presenza di fatti e circostanze specifiche.
Sicché la Pubblica Amministrazione può andare esente dalla responsabilità che deriva dal non avere reso edotta la controparte della causa di invalidità del negozio se quest’ultima è determinata dalla violazione di una norma imperativa o proibitiva di legge che, per presunzione assoluta, debba essere conosciuta dalla generalità dei cittadini (Cass. n. 10156/2016), ma sempre a condizione che le circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità fossero conosciute o conoscibili dal soggetto “mediamente avveduto” (Cass. n. 9636/2015, Cass. n.2316&2020-.
Analoghi principi sono stati espressi in materia lavoristica allorché questa Corte ha ritenuto che “nell’impiego pubblico contrattualizzato, qualora il contratto di lavoro sia nullo per violazione di norma imperativa, il dipendente non può fare valere l’affidamento riposto sulla legittimità dell’assunzione per fondare una domanda di reintegrazione o di risarcimento del danno per la perdita del posto di lavoro oggetto del contratto nullo; in tal caso è esperibile l’azione risarcitoria disciplinata
dall’art. 1338 c.c., ed il lavoratore, sul quale grava l’onere della prova quanto al pregiudizio subito, può ottenere il risarcimento del danno rappresentato, oltre che dalle spese sostenute, dal mancato guadagno derivato dalla perdita di altra occupazione o di altre occasioni di lavoro; la Pubblica Amministrazione va esente dalla responsabilità ex art. 1338 c.c., nei casi in cui la nullità del contratto di impiego dipenda dalla violazione di norme imperative concernenti i requisiti di validità delle assunzioni, che si presumono conosciute dalla generalità dei cittadini, ma a condizione che le circostanze di fatto dalle quali dipende l’invalidità dell’assunzione fossero conosciute o conoscibili attraverso l’uso della normale diligenza” Cass. n.2316/2020-.
In sintonia con i precedenti appena ricordati si è poi posta Cass., 13/05/2009, n. 11135, nel ritenere che l’approvazione ministeriale del contratto stipulato con la P.A., prevista dagli artt. 19 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e 337 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, costituisce “condicio iuris”, che incide non sulla formazione ma sulla efficacia del contratto, ed il suo diniego non consente di ravvisare una responsabilità precontrattuale della P.A., qualora la mancata approvazione derivi dalla violazione di norme di carattere generale, di cui può presumersi la conoscenza e la cui ignoranza avrebbe potuto essere superata attraverso l’uso della normale diligenza, non essendo in tal caso configurabile un affidamento incolpevole del privato.
Orbene, la Corte di appello non si è conformata ai principi sopra ricordati, allorché ha ritenuto che l’assenza di forma scritta correlata alle delibere di giunte prive di contratto ed al contratto concluso in violazione di norma imperativa potesse comunque profilare una violazione degli obblighi di correttezza ed informazione a carico del Comune e nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, tralasciando appunto di prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti ai fini della configurabilità della responsabilità da contatto qualificato e, primariamente, quello che la società RAGIONE_SOCIALE fosse operante nel rapporti con la pubblica amministrazione e nel campo del noleggio di apparecchiature Autovelox proprio perché risultava per sua stessa ammissione essere ‘l’unico soggetto sul mercato che commercializzava quelle apparecchiature di
rilevamento della velocità’ -cfr.pag.5 sent. Corte di appello impugnata’. Ciò, appunto, per verificare il grado di conoscenza che dovrebbe presumersi in capo a tale soggetto qualificato in ordine alle modalità di contrattazione, anche se specifiche rispetto all’altro contraente pubblico, con la p.a. ed alla conoscibilità delle disposizioni del codice della strada concernenti le modalità di uso delle apparecchiature- così argomentando da Cass.n.9636/2015, cit.-.
Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo si deduce la violazione degli artt.91 e 92 c.p.c. in relazione alla compensazione delle spese del giudizio operata dalla Corte di appello, in spregio alla soccombenza del comune di Lardirago e della mancanza di gravi ed eccezionali ragioni.
Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt.1325 e 1350 c.c., 16 e 17 r.d.n.2440/1923 e 1 Prot.n.1 annesso alla CEDU. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere le delibere di giunta comunali e l’accordo contrattuale concluso fra le parti inidonei ad impegnare l’ente comunale per assenza della forma legale prevista ad substantiam , contestando la natura di atto interno delle delibere di Giunta ed assumendo che ai fini del rispetto della forma prevista dagli artt.16 e 17 R.G. cit. fosse sufficiente, nelle contrattazioni con soggetti commerciali, l’invio della proposta contrattuale alla quale faccia seguito l’atto riferibile all’ente pubblico anche se non contestuale. E poiché sarebbe pacifico -pag.32 primo cpv., ricorso incidentale CI.TI.RAGIONE_SOCIALE– che vi era stata una proposta contrattuale della società RAGIONE_SOCIALE, alla quale avevano fatto seguito altre missive della società la sentenza impugnata sarebbe errata.
Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.1325 e 1350 c.c., 16 e 17 r.d.n.2440/1923, 11 e 12 del codice della strada e 345 del Regolamento di attuazione del codice della strada. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere il contratto concluso fra le parti affetto da nullità per violazione di norme imperative, in quanto la previsione contrattuale richiamata dalla Corte di appello-art.4riguarderebbe solo il funzionamento dell’impianto di autovelox a cura
della società, non potendosi dunque ritenere provata la contrarietà del contratto alle disposizioni del codice della strada.
Con il quarto motivo si è poi dedotta la violazione degli artt.1325 e 1350 c.c., 16 e 17 r.d.n.2440/1923 e dell’art.1 Prot.n.1 annesso alla CEDU e dell’art.3 Cost., prospettando la medesima censura esposta nel primo motivo con riguardo alla delibera di giunta n.70/2006.
Con il quinto motivo si è poi evidenziato che, in caso di accoglimento totale o parziale del ricorso principale, la Corte di appello non avrebbe esaminato la domanda di indebito arricchimento pure formulata nel corso del giudizio.
Il primo motivo di ricorso incidentale è assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso principale.
Vanno esaminati congiuntamente il secondo ed il quarto motivo per ragioni di connessione. Le censure sono infondate.
Ed invero, giova ricordare che il Regio Decreto 18 novembre 1923, n. 2440 recante ‘ Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato ‘ dispone al comma 1 dell’articolo 16 che ‘I contratti sono stipulati da un pubblico ufficiale delegato a rappresentare l’amministrazione e ricevuti da un funzionario designato quale ufficiale rogante, con le norme stabilite dal regolamento’. Il successivo comma 3 afferma che ‘I contratti ed i verbali anzidetti hanno forza di titolo autentico’. Il successivo art. 17 al comma 1 dispone che: ‘I contratti a trattativa privata, oltre che in forma pubblica amministrativa nel modo indicato al precedente articolo 16, possono anche stipularsi: per mezzo di scrittura privata firmata dall’offerente e dal funzionario rappresentante l’amministrazione’.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte ‘ la forma scritta ad substantiam, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, è espressione dei principi d’imparzialità e
buon andamento della pubblica amministrazione posti dall’art. 97 Cost . ‘ -Cass. n. 14570/2004, Cass. n. 17695 e n. 7962/2003 e n. 2619/2000.
Peraltro, è costante l’affermazione secondo la quale i contratti stipulati dalla P.A. a trattativa privata ai sensi dell’art. 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, pur richiedendo in ogni caso la forma scritta “ad substantiam”, possono anche non risultare da un unico documento, ove siano stipulati secondo l’uso del commercio e riguardino ditte commerciali. Peraltro, occorre in ogni caso che il perfezionamento del contratto risulti dallo scambio di proposta e accettazione, non potendo ritenersi sufficiente che la forma scritta investa la sola dichiarazione negoziale della Amministrazione, né che la conclusione del contratto avvenga per “facta concludentia”, con l’inizio dell’esecuzione della prestazione da parte del privato attraverso l’invio della merce e delle fatture, secondo il modello dell’accettazione tacita previsto dall’art. 1327 cod. civ. -cfr. Cass.12316/2015-.
Questa Corte è poi ferma nel ritenere che le delibere della giunta comunale integrano, come ritenuto correttamente dalla Corte di appello, meri atti provenienti da un organo interno della stessa P.A. inidonei a manifestare la volontà della amministrazione di contrarre, in ciò non essendo ravvisabile alcun accordo fra le parti ex art. 1325 cod. civ., dovendo invece ricorrere, a pena di nullità ed improduttività di effetti, un atto promanante dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, il solo abilitato a stipulare in nome e per conto di esso-cfr.Cass.n.10663/2011-
Orbene, le censure, per un verso, non tengono in minima considerazione e dunque non aggrediscono la ratio decidendi della sentenza impugnata laddove si è ritenuta la delibera di giunta quale atto interno inidoneo ad impegnare l’ente comunale, determinandone conseguentemente l’inammissibilità per omessa impugnazione di ratio idonea a sostenere la decisione di rigetto della domanda su base contrattuale.
Per il resto, le doglianze sono infondate alla luce della giurisprudenza di questa Corte sopra ricordata che è dal Collegio pienamente condivisa.
Il terzo motivo è inammissibile.
La ricorrente incidentale prospetta in realtà una censura inammissibile in questo giudizio perché attinente alla valutazione di merito svolta dalla Corte di appello circa i contenuti dell’accordo e il quadro probatorio raccolto nel corso del processo. La censura sfugge all’esame di questa Corte, non ponendo in discussione l’applicazione errata della legge e nemmeno la sussunzione dell’accordo in quanto erroneamente operata dalla Corte di merito. Sussunzione che, tuttavia, è collegata alla valutazione contenutistica dell’accordo concluso tra le parti, del ruolo marginale degli organi di polizia stradale nella taratura degli strumenti di rilevazione della velocità e della delega alla società noleggiatrice che, ponendosi in contrasto con le previsioni del codice della strada, ha integrato una violazione di norme imperative, refluendo negativamente sulla validità dell’accordo. Valutazioni della Corte di appello, da considerarsi propriamente meritali e che si sottraggono al riesame da parte di questa Corte di legittimità.
Il quinto motivo è assorbito, attenendo a questione che sarà demandata al giudice del rinvio.
Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del primo motivo per quanto di ragione, rigettato il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo ed il quinto motivo, infondati il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Milano che, in diversa composizione, provvederà anche sul regime delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della insussistenza, in relazione al disposto rinvio della causa al giudice di merito anche per ciò che concerne i motivi primo e quinto del ricorso incidentale, dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di doppio contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
PQM
Accoglie il primo motivo del ricorso principale, per quanto di ragione, e rigetta il secondo motivo. Rigetta il secondo ed il quarto motivo del ricorso incidentale, e ne dichiara inammissibile il terzo e assorbiti il primo e il quinto motivo.
Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano che, in diversa composizione, provvederà anche sul regime delle spese.
Così deciso il 16 gennaio 2024 nella camera di consiglio della prima