Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6531 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 6531 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 4538/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Comune di Nuoro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difes o dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, il quale chiede che le comunicazioni relativa al
processo gli siano effettuate sull’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari n. 1040/2018, depositata in data 30/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
udito, per il controricorrente Comune di Nuoro, l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con verbale n. 24 del 21/5/1984 veniva redatta relazione della Commissione del Comune di Nuoro, nominata per la valutazione delle offerte, per cui era idonea l’offerta della ACES ed inidonea l’offerta della RAGIONE_SOCIALE, con riferimento alla gara di appalto relativa al servizio di raccolta dei rifiuti.
Con delibera n. 121 del 26/7/1984 veniva reputata idonea l’offerta della ACES ed inidonea l’offerta delle altre due concorrenti.
La NOME notificava, allora, il ricorso al TAR alla ACES il 14/11/1984.
Successivamente venivano proposti altri ricorsi n. 196 del 1985 e n. 238 1985 con cui NOME impugnava la delibera di aggiudicazione dell’11/12/1984.
In data 11/12/1984 si procedeva alla aggiudicazione del contratto di appalto relativo alla «concessione della gestione dei servizi di nettezza urbana» del Comune di Nuoro, in favore di RAGIONE_SOCIALE,
poi incorporata per fusione da RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Cagliari dei 15/5/2001.
Con nota n. 76 dell’11/1/1985 il Comune, nel comunicare l’avvenuta aggiudicazione alla ACES, aggiungeva che «nelle more dell’aggiudicazione del contratto codesta impresa dia immediato corso all’appalto tenendo presente che l’1/4/1985 dovrà iniziare il servizio con tutti i mezzi, personale e tutti gli stabili previsti dal progetto offerta».
In data 24/1/1985 la ACES ed il Comune di Nuoro stipulavano il contratto d’appalto, per la durata di 12 anni, dal 1/4/1985 al 31/12/1996, per un corrispettivo annuo di lire 2.381.000.000.
Con nota del 28/1/1985 la ACES comunicava al Comune di aver approntato i mezzi necessari per il servizio ed il Comune, con nota del 22/2/985 dava atto dell’avvenuto posizionamento dei cassonetti e dell’avanzata fase di costruzione dello stabile destinato a deposito merci ed officina. Veniva realizzato anche un capannone, con la stipula di vari contratti con le imprese fornitrici.
Il Comune di Nuoro, con telegramma del 27/3/1985, comunicava alla ACES che il Tar Sardegna aveva sospeso l’aggiudicazione dell’appalto e che, quindi, il contratto non avrebbe avuto corso alla data prevista del 1/4/1985, mentre sarebbe stata prorogata la gestione del servizio di nettezza urbana per tre mesi da parte dell’azienda che già lo stava svolgendo.
Il Tar Sardegna, con sentenza n. 107 del 1986, annullava la gara, e tale sentenza veniva confermata dal Consiglio di Stato con la pronuncia n. 751 del 25/11/1988.
Il vizio rinvenuto era consistito nella «illegittimità di valutazione delle offerte delle imprese concorrenti, giacché i parametri di valutazione erano stati fissati quando si era già proceduto
all’apertura dei plichi contenenti le offerte e delle stesse si era già presa visione».
4.La SCA iniziava un giudizio arbitrale con domanda notificata il 18/6/1997.
4.1. Con lodo non definitivo del 12/12/1998 il collegio arbitrale aveva affermato la propria competenza, dichiarando l’ente territoriale tenuto ad indennizzare la società aggiudicatrice delle spese sostenute in forza del contratto di appalto, demandando alla successiva pronuncia la relativa liquidazione.
Tale lodo veniva impugnato dal Comune di Nuoro davanti alla Corte d’appello di Cagliari che, con sentenza n. 170 del 2/8/2000, annullava il lodo, in quanto l’annullamento da parte del giudice amministrativo dell’aggiudicazione, quale atto presupposto del contratto, aveva determinato l’automatica rimozione dell’atto consequenziale, e quindi del contratto di appalto, ove era contenuta la clausola compromissoria, senza necessità che tale atto dovesse formare oggetto di autonoma e specifica impugnazione.
4.2. Veniva poi emesso il lodo definitivo con cui era quantificato il risarcimento del danno dovuto al Comune; tale lodo veniva annullato, per le medesime argomentazioni di cui sopra, dalla Corte d’appello con sentenza n. 237 del 2000.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 2925 del 2005 confermava la declaratoria di nullità del contratto d’appalto e dei lodi arbitrali.
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE chiedeva al Tribunale di Cagliari, in via principale, «l’accertamento della responsabilità precontrattuale del Comune di Nuoro, per violazione degli articoli 1337 e 1338 c.c., e in subordine, la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno».
il Comune di Nuoro si costituiva in giudizio evidenziando che la ACES era stata edotta dei vizi della procedura fin dal 14/11/1984,
allorché le era stato notificato il ricorso n. 1161 del 1984 proposto dalla NOMECOGNOME altra concorrente esclusa, avverso la deliberazione del consiglio comunale di Nuoro del 27/7/1984 e la allegata relazione finale della Commissione nominata per l’esame delle offerte di cui al verbale n. 24 del 21/5/1984, «con la quale era stata dichiarata la inidoneità dell’offerta della ricorrente e, viceversa, l’idoneità di quella presentata la ACES».
Con ulteriori e distinti ricorsi n. 196 del 1985 e n. 238 del 1985, poi riuniti al primo n. 1161 del 1184, la COGNOME aveva impugnato dinanzi al Tar Sardegna anche «la delibera dell’11/12/1984, con la quale il consiglio comunale di Nuoro aveva aggiudicato l’appalto alla ACES».
8. Con la sentenza non definitiva n. 21 del 5/1/2011 il tribunale rigettava l’eccezione di difetto di giurisdizione e di incompetenza territoriale.
Con successiva sentenza n. 42 del 2017, dopo l’espletamento della prova testimoniale e la redazione della CTU, il tribunale rigettava l’eccezione di prescrizione, reputava che il rapporto instauratosi tra la società e l’amministrazione potrà essere incasellato quale «contatto sociale qualificato», con conseguente applicazione delle norme contrattuali, in ordine alla prescrizione, all’onere della prova ed al perimetro del danno risarcibile.
Nel merito, il tribunale accoglieva la domanda del fallimento, in quanto i criteri di valutazione delle offerte erano stati elaborati «quando già era avvenuta l’apertura dei plichi contenenti le offerte e si era già presa visione delle medesime».
Tale illegittimità era «palesemente dipendente dalla condotta dell’amministrazione», che, anche successivamente, non solo aveva proceduto all’aggiudicazione definitiva, ma aveva anche stipulato con la ACES il contratto di appalto, «sollecitando l’impresa ad approntare
i mezzi per l’esecuzione». Ciò, nonostante «fossero state presentate nelle more ulteriori impugnazioni degli atti della procedura, con istanza di sospensione».
Vi era stata dunque violazione degli obblighi di protezione e informazione che gravano sull’amministrazione, «concretizzanti il dovere di buona fede nelle trattative sancito dall’art. 1337 c.c., nonché dell’obbligo di comunicare alla controparte contrattuale eventuali cause di invalidità, purché conosciute o conoscibili, ex art. 1338 c.c.».
Il Comune avrebbe dovuto evitare «di accelerare l’esecuzione del contratto, sia con la nota dell’11/1/1985 sia prevedendo un termine iniziale così prossimo alla stipulazione».
L’ente territoriale avrebbe «quantomeno dovuto attendere l’esito della cautela prima di consentire l’approntamento dei mezzi necessari per l’esecuzione del contratto».
Il giudice di prime cure, peraltro, reputava che «l’affidamento della RAGIONE_SOCIALE non era stato del tutto incolpevole, e che anche il comportamento dell’impresa aveva concorso a cagionarle il danno, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c., in quanto l’impresa aveva tenuto un comportamento certamente imprudente nei rapporti con il Comune di Nuoro successivi all’aggiudicazione definitiva; concorso quantificato nella specie nella misura del 30%».
Il tribunale, dunque, evidenziava che anche la RAGIONE_SOCIALE, quale controinteressata nel giudizio amministrativo, «aveva conosciuto fin dal novembre 1984 che il bando era stato impugnato, nonché per quali vizi di legittimità».
Dal ricorso presentato dalla RAGIONE_SOCIALE risultava che tale impresa «aveva fin da subito rilevato il vizio della mancata predisposizione dei criteri di valutazione delle offerte prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte medesime».
In un tale contesto, invece, «la ACES si era pienamente adeguata alle scadenze stabilite dall’amministrazione per la stipulazione e per l’efficacia del contratto», accettando «senza riserve l’accelerazione richiesta dal Comune in ordine alla predisposizione dei mezzi per l’esecuzione dell’appalto».
Sottolineava il giudice di prime cure che «anzi la ACES di sua iniziativa ed autonomamente aveva anche previsto l’utilizzo di ulteriori mezzi e un aumento dei cestini porta rifiuti (dai 400 previsti a 600), andando così incontro a oneri maggiori rispetto a quelli contrattuali».
Veniva rimarcata dal tribunale anche «l’assenza di documenti, quali note, missive, diffide che attestassero la richiesta avanzata dall’impresa nei confronti del Comune di una maggiore accortezza e ponderazione in ordine ai rischi connessi alla scelta di portare avanti un appalto così importante in presenza di una pluralità di impugnazioni con richiesta di sospensione». Il danno veniva dunque liquidato in favore della ACES con la decurtazione del 30%.
Il tribunale rigettava, però, la domanda del fallimento di risarcimento dei danni per perdita di altre occasioni di stipulazione contrattuale per difetto di specifica allegazione e di prova.
Proponeva appello principale il Comune.
Proponeva appello incidentale il fallimento.
La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza n. 1040/2018, del 30/11/2018, accoglieva l’appello principale proposto dal Comune e rigettava l’appello incidentale proposto dal fallimento.
In particolare, in motivazione la Corte territoriale accoglieva il primo motivo di impugnazione con cui il Comune deduceva l’erronea e falsa applicazione degli articoli 1337, 1338 e 1227 c.c.
Per l’appellante, infatti, la clausola generale di buona fede nello svolgimento delle trattative trovava specificazione nella disposizione di cui all’art. 1338 c.c.
Nella specie – ad avviso del Comune appellante principale – non era ravvisabile in capo ad esso «nessuna violazione del dovere di informazione, né del generale dovere di buona fede», in quanto «la ACES fin dal primo ricorso della Luxory del 1984, anche a lei notificato, era stata resa edotta del lamentato vizio della procedura, causa di invalidità del contratto di appalto». Tale vizio non poteva essere ignorato dalla società aggiudicataria «in considerazione della natura dell’attività svolta» dalla stessa.
Inoltre, l’appellante deduceva che lo stesso tribunale, dopo aver individuato nell’art. 1338 c.c. la fonte del pregiudizio subito dalla facies, aveva però, contraddittoriamente, evidenziato la responsabilità colposa di quest’ultima con la limitazione del 30%.
Tuttavia, se il primo giudice aveva ritenuto sussistere la responsabilità del Comune per omessa informazione ma, al contempo, «aveva rilevato una condotta colposa per negligenza della ACES in considerazione della sua conoscenza dei profili di invalidità del contratto», nessuna responsabilità poteva residuare in capo al Comune.
Con l’appello incidentale, invece, il fallimento aveva lamentato l’applicazione del concorso di colpa, ex art. 1227, primo comma, c.c., sostenendo che nella specie «mancava la prova concreta della irragionevolezza del proprio affidamento nella validità del contratto di appalto».
Le prime sentenze con le quali si era dato atto della sussistenza delle invalidità dell’aggiudicazione erano posteriori di 8 mesi al momento in cui essa, su richiesta del Comune, aveva costituito i mezzi, mobili ed immobili, necessari per l’esecuzione dell’appalto.
12. La Corte territoriale evidenziava, in primo luogo, che trovava applicazione, nella specie, in presenza di un contratto già concluso con la PA, ma poi annullato, la disciplina della responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c.
Si trattava di responsabilità non da provvedimento, ma «da comportamento».
Chiariva la Corte d’appello che la responsabilità ex art. 1338 c.c. costituiva una «specificazione della responsabilità precontrattuale» di cui all’art. 1338 c.c. e presupponeva, non solo la colpa di una parte nell’ignorare la causa di invalidità del contratto, «ma anche la mancanza di colpa dell’altra parte nel confidare nella sua validità» (si citava Cass., n. 1015 del 2000).
Doveva, dunque, indagarsi se potesse «ritenersi sussistente un affidamento ragionevolmente ingenerato dal Comune di Nuoro nella controparte ».
Proseguiva la Corte territoriale rilevando che la responsabilità prevista dall’art. 1338 c.c., a differenza di quella di cui all’art. 1338 c.c., «l’affidamento di una delle parti non nella conclusione del contratto, ma nella sua validità», sicché non era configurabile una responsabilità precontrattuale della PA «ove l’invalidità del contratto derivi da norme generali, da presumersi note alla generalità dei consociati, quindi, tali da escludere l’affidamento incolpevole della parte adempiente».
Chiosava, però, la Corte d’appello senso che si doveva accertare «caso per caso» la sussistenza della diligenza e, dunque, la «scusabilità dell’affidamento del contraente», dovendosi avere riguardo, non solo alla conoscibilità astratta della norma, ma anche «all’esistenza di interpretazioni univoche della stessa e, soprattutto, alla conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità».
Trattavasi, allora, di «un’attività propria del giudice di merito, il quale deve verificare in concreto della norma, sia conosciuta o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto» (si citavano Cass., n. 9636 del 2015; Cass. n. 2327 del 2016).
Indicava anche la giurisprudenza di legittimità per cui l’errata scelta del contraente di un contratto d’appalto, divenuto inefficace per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione da parte del giudice amministrativo, esponeva la PA al risarcimento dei danni per le perdite e i mancati guadagni subiti dal privato aggiudicatario, a titolo di responsabilità di tipo contrattuale, poiché conseguiva al «contatto» tra le parti nella fase procedimentale anteriore alla stipula del contratto, ed aveva origine la violazione del dovere di buona fede e correttezza (si citava Cass., n. 14188 del 2016).
Tuttavia, non poteva configurarsi responsabilità precontrattuale «ove l’invalidità del contratto derivi da norme generali aventi efficacia di diritto obiettivo, tali – cioè – da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini e, comunque, tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso comportamento di normale diligenza o incolpevole della parte adempiente».
La Corte d’appello, quindi, sottolineava che dalla sentenza del Tar Sardegna n. 107 del 1986 risultava chiaramente che il primo ricorso proposto dalla concorrente esclusa COGNOME era stato notificato anche alla ACES nel novembre 1984 «che in quel primo giudizio, così come poi in quelli successivi, si era costituita ed aveva resistito alle allegazioni della ricorrente».
Pertanto -ad avviso della Corte territoriale – «fin dal novembre 1984 la ACES era stata resa edotta, mediante la notifica del ricorso, dei profili di invalidità del contratto», dovendosi così escludere «una
mancata informazione da parte della PA, posto che il ricorso della RAGIONE_SOCIALE era stato notificato ACES, che si era anche costituita per resistere, così che una ulteriore informazione da parte del Comune si sarebbe risolta in una mera duplicazione di una circostanza nota dalla controparte».
La ACES, allora, conosceva, quale destinataria, parte direttamente interessata, «le delibere impugnate da Luxory, e segnatamente la delibera n. 121 del 26/7/1984, con la quale era stata dichiarata l’inidoneità delle offerte di 2 concorrenti, e quindi erano state escluse, e l’idoneità dell’offerta la ACES, con contestuale incarico alla giunta municipale di condurre trattative con tale ultima società al fine di rendere l’opera non solo più rispondente ai fini da raggiungere, ma anche più economica».
Del resto, il vizio era assai grave in quanto la commissione comunale non aveva «proceduto in via preliminare a stabilire i parametri obiettivi a cui dettagliatamente riferire le singole proposte tecniche ed economiche presentate dalle ditte concorrenti».
Per la Corte d’appello, dunque, trattavasi «di vizi procedimentali di tale evidenza e prima facie percepibilità, ossia la violazione di norme di carattere generale, che non possono non considerarsi note alla generalità dei consociati, ed a maggior ragione alla ACES che, proprio per la specifica attività professionale svolta, aveva contatti con la PA è certamente conosceva, o comunque avrebbe dovuto conoscere, la normativa in materia di appalti pubblici».
In tale contesto, per il giudice di secondo grado, «non può neppure ritenersi un affidamento incolpevole della ACES» la quale, non solo «non aveva in alcun modo prospettato al Comune l’opportunità di una maggiore prudenza, o differimento della stipulazione e decorrenza dell’appalto, ma aveva addirittura di propria esclusiva ed autonoma iniziativa provveduto all’acquisto di
mezzi per l’esecuzione del contratto che non erano neppure previsti né richiesti».
Non poteva poi essere accolta neppure la domanda riproposta dal fallimento in via subordinata, di declaratoria dell’inadempimento del Comune al contratto di appalto, in quanto, a seguito della sentenza n. 107 del 1986 del Tar Sardegna, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 751 del 1986, «il contratto di appalto stipulato tra le parti deve ritenersi travolto e privo di efficacia».
Veniva rigettato -con le motivazioni di cui sopra concernenti l’appello principale – anche l’appello incidentale del fallimento che aveva lamentato l’applicazione del concorso di colpa, ex art. 1227, primo comma, c.c., sostenendo che nella specie «mancava la prova concreta della irragionevolezza del proprio affidamento nella validità del contratto di appalto».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il fallimento RAGIONE_SOCIALE, depositando memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il Comune di Nuoro.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione dell’art. 1337 del codice civile e falsa applicazione dell’art. 1338 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile».
In particolare, non sarebbe stata corretta l’applicazione dell’art. 1338 c.c. da parte della Corte d’appello, in quanto la fattispecie doveva essere disciplinata unicamente dall’art. 1337 c.c.
Una volta travolto il contratto di appalto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, le parti si trovano «in una situazione di fatto e diritto per cui la violazione delle regole di correttezza, che presiedono alla formazione del contratto, assumono
rilevanza giacché la fase pubblicistica aveva, comunque, già attribuito al ricorrente effetti concretamente vantaggiosi» (si cita Cons. Stato, sez. III, 15/4/2016, n. 1532).
Pertanto, l’eventuale concorso di colpa della danneggiata SCA «non sarebbe preclusivo del riconoscimento del risarcimento in quanto trova applicazione nella fattispecie l’art. 1337 non l’art. 1338 c.c.».
In realtà – ad avviso della ricorrente – «solo l’art. 1338 prevede l’assenza di colpa del danneggiato come requisito della risarcibilità del danno», mentre «nessun riferimento all’assenza di colpa è contenuto nell’art. 1337 c.c.».
Per tale ragione si ritiene «applicabile, anche alla responsabilità precontrattuale ex art. 1337, la norma generale dell’art. 1227, primo comma, c.c.».
L’affidamento di cui si chiede tutela è, allora, «quello sulla serietà del ‘contatto qualificato’, seppure in prospettiva di un futuro vincolo costituendo, e non sulla validità del contratto già esistente prevista nell’art. 1338 c.c.».
Per la ricorrente, dunque, il danno conseguente alla perdita del contratto, quindi, fondato sulla validità del contratto, sebbene anch’esso richiesto in primo grado, «non è mai stato riconosciuto neppure dal primo giudice, per tali ragioni, anche in secondo grado si è reiterata domanda del solo danno giustificato con il legittimo affidamento sul ‘contatto qualificato, ossia sul rapporto di trattativa instaurato con la PA, senza, dunque, reiterare in appello la parte della domanda che si riferiva al pregiudizio per perdita del lucro contrattuale».
In sostanza chiarisce la ricorrente -l’entità del danno domandato «(più ridotta rispetto a quello totalmente azionato) si circoscrive al pregiudizio subito per aver impegnato risorse
preparatorie della struttura imprenditoriale radicata in Nuoro per l’esercizio del servizio di nettezza urbana».
Deve aversi riguardo, allora, solo alla domanda incidentale in appello «che aveva riguardo alla tipologia di danni maturati durante la fase delle trattative», con riferimento esclusivo all’art. 1337 c.c., e non all’art. 1338 c.c.
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «falsa applicazione dell’art. 1338 c.c. invece dell’art. 1337 c.c. riguardando gli elementi costitutivi di cui all’art. 1338 c.c. una fattispecie diversa da quella concreta del caso in esame».
Taluni elementi osterebbero all’applicazione dell’art. 1328 c.c., e segnatamente: a) la previsione della lex specialis relativa alla gara è promanata dal Comune che va considerato, dunque, come «il danneggiante giacché le norme viziate del bando sono state da questo concepite»; b) il Comune ha stabilito le ulteriori specificazioni dei criteri di massima contenuti nel bando di gara, «genetiche del vizio»; c) il Comune ha dato comunicazione precedente alla sottoscrizione del contratto tale da imporre l’inizio del servizio in via anticipata, attraverso la nota n. 76 dell’11/1/1985; d) la resistenza comunale nel primo giudizio amministrativo definito nel 1986 è elemento rilevante al fine di valutare l’aspetto psicologico del danneggiato, in quanto il Comune «continuava a propugnare la legittimità anche dopo la contestazione dei presunti vizi della gara; e) il Comune non ha rilevato il vizio di tali norme e neppure ha dato comunicazione alla controparte, rilasciando la concessione edilizia per il capannone costruito.
Vi è stata dunque «un’importante partecipazione del Comune danneggiante all’induzione in errore dell’impresa» sicché si rendeva inapplicabile l’art. 1338 c.c., in quanto tale articolo avrebbe
«riguardo ad ipotesi di invalidità del contratto non determinate da danneggiante».
Del resto, l’art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative, ma «ha valore di clausola generale», il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso.
Nella specie, poi, la causa di invalidità «non solo stata taciuta ma addirittura provocata dall’amministrazione».
Se si applicasse l’art. 1338 c.c. il solo fatto che il danneggiato sia in qualche misura in colpa «gli precluderebbe il risarcimento giacché la norma richiede testualmente al danneggiato di avere confidato, senza sua colpa».
Se dunque la Corte d’appello avesse utilizzato le norme adeguate «avrebbe dovuto applicare prima l’art. 1337 c.c. costituente la norma quadro del caso e poi, l’art. 1227 c.c., in tema di valutazione dell’apporto concausale del debitore».
Con il terzo e il quarto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «violazione degli articoli 2729, 1175 e 1227, secondo comma, del codice civile, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile».
Ove nella motivazione della sentenza della Corte d’appello si voglia individuare un giudizio di bilanciamento della colpa tra danneggiante e danneggiato, «il ragionamento sarebbe comunque fallace».
In realtà, una serie di elementi indurrebbe a ritenere sussistente «una valida prova presuntiva contraria alla conoscenza e conoscibilità della violazione in epoca antecedente alla prima pronuncia del TAR del 1986».
In particolare dovrebbero essere esaminati i seguenti elementi: a) la notifica del ricorso evidenzierebbe il vizio, ritenuto esistente per
la ricorrente NOME, «anche se il ricorso agli atti di causa è solo quello notificato a febbraio 1985»: b) il riconoscimento con sentenza circa la fondatezza della pretesa intervenuto solo a dicembre 1985; c) l’esercizio di una pretesa in sede giudiziale non consentiva di presagire ex ante neppure alla ricorrente, automatica vittoria; d) nella sentenza del Tar del dicembre 1985 non si dà atto di nessuna temerarietà ex art. 96 c.p.c.; e) la funzione giurisdizionale giudicante è stata svolta dall’autorità amministrativa preposta in vari gradi; f) il giudizio di un tribunale, dopo il dipanarsi di un’istruttoria, non poteva essere trasposto sulla SCA e collocato ex ante ; g) per la SCA il rischio di perdere tutto quanto investito in caso di caducazione del contratto va valutato come elemento contrario alla presunzione di conoscenza della violazione di tale norma.
Un ulteriore limite si ricava dalla diligenza ordinaria di cui all’art. 1227, secondo comma, c.c., costituente specificazione del generale principio di cui all’art. 1175 c.c.
I motivi primo, secondo, terzo e quarto che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
I fatti di causa, in estrema sintesi, sono i seguenti.
Il Comune di Nuoro indice gara per l’assegnazione con gara di appalto, ad evidenza pubblica, del servizio di raccolta dei rifiuti.
Con verbale n. 24 del 21/5/1984 viene redatta la relazione della commissione per cui è idonea l’offerta della ACES, mentre sono inidonee le offerte della società RAGIONE_SOCIALE e di un’altra società.
Con la delibera n. 121 del 26/7/1984 il Comune di Nuoro dichiara l’inidoneità delle offerte di due concorrenti, che quindi vengono escluse, e l’idoneità dell’offerta della ACES, «con contestuale incarico alla giunta municipale di condurre trattative con tale ultima società al fine di rendere l’opera non solo più rispondente ai fini da raggiungere, ma anche più economica».
In tal modo, è evidente che, come dedotto del resto dal ricorso della COGNOME, e come emerge anche dalla sentenza del primo giudice, riportata nella motivazione della sentenza d’appello «sussiste un indiscutibile errore procedimentale in cui è incorsa la commissione come risulta dalla relazione da essa predisposta, fatta propria dal consiglio comunale, essa non ha proceduto in via preliminare a stabilire i parametri obiettivi a cui dettagliatamente riferire le singole proposte tecniche ed economiche presentate dalle ditte concorrenti».
La NOME notifica il ricorso al Tar alla ACES il 14/11/1984; successivamente vengono notificati altri ricorsi, n. 196 del 1985 e n. 238 del 1985 avverso l’aggiudicazione ed il contratto.
L’aggiudicazione avviene l’11/12/1984 all’ACES, poi incorporata per fusione dalla SCA.
Subito dopo l’aggiudicazione, con nota n. 76 dell’11/1/1995, il Comune comunica ad ACES che «nelle more dell’aggiudicazione del contratto codesta impresa dia immediato corso all’appalto tenendo presente che il 1/4/1985 dovrà iniziare il servizio con tutti i mezzi, personale e tutti gli stabili previsti dal progetto offerta».
In data 28/1/1985 ACES comunica al Comune di aver approntato i mezzi necessari per il servizio.
Il 22/2/1985 il Comune dà atto dell’avvenuto posizionamento dei cassonetti e dei cestini e della avanzata fase di costruzione dello stabile destinato a deposito merci, capannone in località Prato INDIRIZZO.
Il 27/3/1985 il Comune con telegramma comunica ad RAGIONE_SOCIALE che il Tar Sardegna ha sospeso l’aggiudicazione, prorogando per tre mesi la gestione dell’impresa che già svolgeva tale servizio.
Con la sentenza di merito la gara viene annullata dal Tar Sardegna con sentenza n. 107 del 1986 e l’appello viene rigettato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 751 del 25/11/1988.
Il vizio attiene alla circostanza che prima sono state aperte le offerte e poi sono stati fissati i parametri di valutazione.
Viene instaurato un giudizio dinanzi agli arbitri, con cui la società chiede il risarcimento del danno subito per la sopravvenuta inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione. Gli arbitri si pronunciano con lodo non definitivo del 12/12/1998, con cui si prevede l’obbligo del Comune di indennizzo in favore della SCA.
Il loro definitivo viene successivamente emesso, riguardo al quantum .
La Corte d’appello con sentenza n. 170 del 2020 annulla il lodo non definitivo, stante l’inefficacia del contratto a valle dell’aggiudicazione annullata. Vi era stata automatica rimozione del contratto a valle e della clausola compromissoria.
Con sentenza definitiva n. 237 del 2000 la Corte d’appello annulla il loro definitivo.
La Corte di cassazione con sentenza n. 2925 del 2005 conferma la sentenza della Corte d’appello, e quindi la declaratoria del contratto di appalto e dei lodi arbitrali.
Di qui la controversia in esame intrapresa, ancora una volta, per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dall’inefficacia del contratto d’appalto stipulato il 24/1/1985, a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione in data 11/12/1984.
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dell’art. 1338 c.c.
La fattispecie in esame è quella dell’inefficacia del contratto di appalto stipulato a valle il 24/1/1985, a seguito dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione della gara in data 11/12/1984.
7.1. La questione di giurisdizione su tali aspetti è stata più volte portata all’attenzione del giudice di legittimità, che ha concluso nel
senso che la responsabilità della pubblica amministrazione per il danno derivante dalla lesione dell’affidamento sulla correttezza dell’azione amministrativa – avente quale presupposto il mancato rispetto dei doveri di correttezza e buona fede gravanti sulla P.A. ha natura contrattuale e va inquadrata nello schema della responsabilità “relazionale” (o “da contatto sociale qualificato”, idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 c.c.), sia nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, sia in caso di emanazione di un provvedimento lesivo, sia nell’ipotesi di emissione e successivo annullamento di un atto ampliativo della sfera giuridica del privato; ne consegue che la controversia relativa all’accertamento della responsabilità dell’amministrazione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario – nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha confermato la pronuncia di accoglimento della domanda risarcitoria avanzata da una società che – senza allegare l’illegittimità degli atti amministrativi, né affermare la riconducibilità del pregiudizio subito a tali provvedimenti – aveva lamentato la lesione dell’affidamento riposto sulla legittimità della delibera, poi annullata, con cui l’amministrazione comunale aveva approvato il Piano di Governo del Territorio includendo i terreni di proprietà della società, aventi destinazione agricola, nell’ambito di trasformazione denominato TR1, nonché la scorrettezza della condotta della P.A. che, nonostante l’impugnazione del provvedimento, aveva ingenerato un affidamento incolpevole, insistendo per l’attuazione dell’intervento programmato, fornendo rassicurazioni sulla sua legittimità ed escludendo la necessità di approfondimenti istruttori- (Cass., Sez-U., 19/1/2023, n. 1567; anche Cass., Sez.U., 6/2/2023, n. 3496, con riguardo al danno derivante dalla lesione dell’incolpevole affidamento, ingenerato in relazione alla legittimità del piano provinciale delle attività estrattive, poi oggetto di annullamento in sede
giurisdizionale; Cass., Sez.U., 18/1/2022, n. 1391; Cass., Sez.U., 22/6/2017, n. 15640).
7.2. Che si tratti di responsabilità da «contatto sociale» è stato più volte affermato da questa Corte, in quanto si è ritenuto che l’erronea scelta del contraente di un contratto di appalto, divenuto inefficace e ” tamquam non esset ” per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione da parte del giudice amministrativo, espone la P.A. a dover corrispondere il risarcimento dei danni per le perdite e i mancati guadagni subiti dal privato aggiudicatario; tale responsabilità non è qualificabile né come aquiliana, né come contrattuale in senso proprio, sebbene a questa si avvicini poiché consegue al “contatto” tra le parti nella fase procedimentale anteriore alla stipula del contratto, ed ha origine nella violazione del dovere di buona fede e correttezza. Pertanto, il risarcimento del danno dovuto all’appaltatore va parametrato non già alla conclusione del contratto, bensì al c.d. interesse contrattuale negativo che copre sia il danno emergente, ovvero le spese sostenute, che il lucro cessante, da intendersi, però, non come mancato guadagno rispetto al contratto non eseguito ma in riferimento ad altre occasioni di contratto che la parte allega di avere perso (Cass., sez. 1, 25/7/2018, n. 19775).
8. Costituisce, poi, principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello per cui l’art. 1338 c.c. costituisce una specificazione del dovere di cui all’art. 1337 c.c. (Cass., sez. L, 21/8/2004, n. 16508, per cui «non solo l’impresa, ma anche il sindacato stipulante il contratto collettivo versavano nella medesima ignoranza colpevole, sicché deve escludersi responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1338 c.c.»; Cass., sez. 3, 18/5/1971, n. 1494).
8.1. La responsabilità di cui all’art. 1338 c.c., per cui «la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di
invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto», presuppone non solo la colpa di una parte nell’ignorare la causa di invalidità del contratto, ma anche la mancanza di colpa dell’altra parte nel confidare nella sua validità» (Cass., n. 16508 del 2004).
Nella Relazione al Guardasigilli si fa riferimento ad un «dolo di omissione», ma, per la dottrina che si è occupata dell’interpretazione dell’articolo 1338 c.c., tale espressione può essere considerata restrittiva di fronte al testo della norma, perché basta un’omissione ingiustificata e imputabile, ma non intenzionale (quindi anche solo colposo), a far sorgere la responsabilità per danno.
Tale disposizione prevede, dunque, un complesso comportamento omissivo, doloso o colposo, suscettibile di recare danno, consistente sempre in omissione di partecipazione ed eventualmente in omissione di diligenza.
Fermo restando che il legislatore, facendo riferimento all’assenza di colpa dell’altro soggetto, ha inteso restringere la portata della norma, per evitarne una troppo larga applicazione.
Rileva, dunque, proprio la assenza di colpa della controparte («senza sua colpa»).
8.2. Applicandosi l’art. 1338 c.c., dunque, il risarcimento dovuto non è suscettibile di essere diminuito ex art. 1227, primo comma, perché il concorso di colpa del danneggiato che negligentemente ignori una causa di invalidità del contratto automaticamente esclude, secondo quanto dispone l’art. 1338 c.c., la responsabilità del danneggiante».
Infatti, la parte che è in colpa perché a conoscenza delle invalidità o inefficacia del contratto non può addossare alla controparte il danno che è conseguenza del proprio comportamento,
alla luce di un principio generale desumibile anche dall’art. 1227, primo comma, c.c. (Cass., sez. 1, n. 9636 del 2015, in motivazione).
Tuttavia, non v’è dubbio che la fattispecie in esame debba essere governata dall’art. 1338 c.c., come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello.
Nella specie, infatti, è stato stipulato il contratto d’appalto in data 24/1/1985, seppure la sua efficacia sia stata travolta dall’annullamento dell’aggiudicazione in data 11/12/1984, ad opera della sentenza del Tar Cagliari n. 107 del 1986, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 751 del 25/11/1988.
Si è infatti ritenuto che la responsabilità precontrattuale prevista dalla legge a carico della parte che conosce o che dovrebbe conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto e non ne dà notizia all’altra parte, ex art. 1338 c.c., non può ravvisarsi se il giudice di merito ha escluso l’esistenza di un contratto anteriormente concluso dalle parti (Cass., n. 1948 del 1970).
9.1. La responsabilità di cui all’art. 1338 c.c., in tema di colpa precontrattuale, a differenza della fattispecie prevista dall’art. 1337 c.c., non tutela l’affidamento di una delle parti sulla conclusione del contratto, «ma l’affidamento della parte sulla validità del contratto, per cui il danno risarcibile non è in relazione alla mancata conclusione del contratto, ma soltanto quello riconducibile al fatto di avere confidato nella validità del contratto» (Cass., sez. 2, 26/5/1992, n. 6294).
Si è ritenuto che estendendo eccessivamente il dovere di diligenza a carico della parte che dovrebbe ricevere l’informazione circa la causa di invalidità o inefficacia del contratto, sarebbero compromessi lo scopo e l’utilità dell’art. 1338 c.c., che non è norma meramente ripetitiva dell’art. 2043 né dell’art. 1337 c.c., il quale, obbligando le parti a comportarsi secondo buona fede, già impone
loro implicitamente di rendersi reciprocamente le informazioni necessarie per pervenire alla conclusione di un contratto che sia eseguibile (Cass., n. 9636 del 2015, in motivazione). L’art. 1338 c.c. pone, invece, significativamente a carico di una sola delle parti, cioè di quella che, in ragione delle circostanze di fatto e tenuto conto della sua posizione sociale professionale, conosca o debba conoscere l’esistenza di una causa di invalidità o inefficacia, l’obbligo specifico di informare l’altra parte la quale ha diritto a ricevere l’informazione e, in mancanza, al risarcimento del danno per avere ragionevolmente confidato nella validità ed efficacia del contratto.
La parte obbligata ha però la facoltà di dimostrare che l’altra parte aveva confidato nella validità del contratto colpevolmente e non ‘senza sua colpa’ come richiesto dall’art. 1338, ma «dovrà dedurre fatti e circostanze che dimostrino che, in quel determinato rapporto, fosse effettivamente a conoscenza della causa che viziava il contratto concluso da concludere» (Cass., n. 9636 del 2015; richiamata da Cass., sez. 1, 5/11/2024, n. 28404).
Pertanto, per questa Corte, non si esclude la possibilità di desumere tale conoscenza dal tipo di invalidità o inefficacia e, in definitiva, dalla natura della norma violata, ma non è possibile riconoscerla automaticamente rispetto a qualunque norma avente efficacia di diritto obiettivo (Cass. n. 46 3/5/2006), che, in tesi, sarebbe conoscibile dalla generalità dei cittadini e, quindi, da qualunque potenziale contraente, al fine di escludere la responsabilità dell’altra parte che aveva l’obbligo legale di informare.
Si precisa che, altrimenti, «l’art. 1338 c.c. verrebbe privato della sua principale funzione che è di compensare l’asimmetria informativa nelle contrattazioni tra parti che non sono su un piano di parità, come avviene nei rapporti con la pubblica amministrazione» (Cass., n. 9636 del 2015, in motivazione; Cass., sez. L, 31/1/2020, n. 2316).
L’asimmetria informativa deriva non soltanto dalla circostanza che la procedura di evidenza pubblica è dalla pubblica amministrazione governata sulla base dell’esercizio di poteri previsti da norme di azione tradotte nella lex specialis della gara, ma anche in ragione dello status professionale e del bagaglio di conoscenze tecniche ed amministrative di cui essa in possesso.
L’art. 1338 c.c. trova loro applicazione quando un’amministrazione non solo rimanga silente, «ma improvvisamente conduca il procedimento sino alla stipulazione di un contratto destinato ad essere caducato o a rimanere inefficace e talora ne pretenda l’anticipo dell’esecuzione, in tal modo frustrando il legittimo affidamento nell’esigibilità dello stesso e nella legalità dell’azione amministrativa» (Cass., n. 9636 del 2015).
Lo stretto collegamento tra la stipulazione del contratto e l’applicazione dell’art. 1338 c.c. si rinviene anche nella pronuncia di questa Corte in base alla quale la pubblica amministrazione, in pendenza del procedimento per il controllo dell’approvazione del contratto stipulato con il privato, e, quindi, in attesa del verificarsi della condicio iuris cui è subordinata all’obbligatorietà del contratto stesso nei suoi confronti, deve, in osservanza dell’obbligo generale di comportarsi in modo conforme a correttezza e buona fede, tenere informato l’altro contraente delle vicende attinenti al procedimento di controllo. L’inosservanza di detto obbligo implica la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, in applicazione analogica dei principi fissati dall’art. 1338 c.c. (Cass., Sez.U., 17/11/1978, n. 5328).
9.2. Con la precisazione che l’art. 1338 c.c. è applicabile a tutte le ipotesi di invalidità del contratto e, dunque, non solo a quelle di nullità, ma anche a quelle di nullità parziale e di annullabilità, nonché alle ipotesi di inefficacia del contratto, dovendosi ritenere che anche
in tal caso si riscontra la medesima esigenza di tutela delle aspettative delle parti al perseguimento di quelle utilità cui esse mirano mediante la stipulazione del contratto medesimo (Cass., n. 16149 del 2010; con riferimento alla responsabilità di cui all’art. 1338 c.c. che presuppone che si conclude un contratto invalido, cioè nullo o annullabile, vedi Cass. n. 1731 del 1954; per l’ipotesi di contratto sottoposto a condizione risolutiva la parte che – con il tacere volontariamente una circostanza che renda probabile l’avveramento della condizione e conoscendo la quale l’altra non si sarebbe determinata concludere il contratto -fa sorgere in quest’ultima un ragionevole convincimento contrario alla verità, violando l’obbligo sancito dagli articoli 1337 e 1338 c.c.).
Pertanto, l’art. 1338 c.c. mira a tutelare il contraente di buona fede ingannato o fuorviato dall’ignoranza della causa di invalidità del contratto che gli è stata taciuta e che non era nei suoi poteri conoscere (Cass., n. 3272 del 2001), ma se vi è colpa da parte sua, se quindi egli avrebbe potuto, con l’ordinaria diligenza, venire a conoscenza della reale situazione e, quindi, della causa di invalidità, non è più possibile applicare l’art. 1338 c.c. (Cass., n. 1987 del 1985).
9.3. È stata riconosciuta la sussistenza della responsabilità precontrattuale ex art. 1338 c.c., in una fattispecie in cui una parte (comune) che avrebbe dovuto (secondo quanto ritenuto con congrua motivazione dal giudice del merito) conoscere l’esistenza della causa di invalidità del contratto (la demanialità del terreno) non ha dato notizia l’altra parte che ha, di conseguenza, risentito un danno per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto (Cass., sez. 2, 26/10/1994, n. 8778; in tal senso anche Cass., sez. 1, 12/10/1970, n. 1948, in una fattispecie in cui un comune si era impegnato a cedere all’attore un’area che doveva essere espropriata
in danno di terzi prima dell’approvazione della deliberazione da parte dell’autorità tutoria, ed il comune aveva concesso all’attore la licenza di costruzione sull’area predetta e questi aveva intrapreso la costruzione di un nuovo edificio; con successiva revoca della licenza da parte del Comune).
Va poi rimarcato che se la causa di invalidità del negozio deriva da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali da dover essere note per presunzione assoluta la generalità dei cittadini e – comunque – tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa contrattuale a carico dell’altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l’esistenza delle norme stesse (Cass., n. 10156 del 2016; Cass. n. 6337 del 1998; Cass., 11/7/1972 n. 2325, ove si fa riferimento alla causa di invalidità del negozio costituita dal difetto della forma scritta di un contratto stipulato un comune; anche Cass., sez. 2, 9/10/1979, n. 5240).
Sulla stessa linea interpretativa si pone la pronuncia a sezioni unite di questa Corte, con riguardo al contratto di cessione in proprietà di alloggio economico popolare, il quale sia affetto da nullità, per avere l’amministrazione cedente determinato il prezzo in misura inferiore a quella prescritta dalle norme di legge disciplinanti la cessione medesima, non essendo configurabile una responsabilità precontrattuale della PA, in quanto la suddetta causa di invalidità, ancorché nota alla p.a. e taciuta al cessionario, deriva da disposizioni di legge (Cass., Sez.U., 11/2/1982, n. 835).
10. Non si può, dunque, dimenticare il precedente di questa Corte (Cass., 13/12/2018, n. 32314; prima Cass., sez. 1, 21/11/2011, n. 24438; Cass., sez. 1, 12/7/2016, n. 14188) per cui si è sottolineata la circostanza che le società aggiudicatrici
dell’appalto, poi divenuto inefficace per annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione «erano state ben consapevoli, al momento del contratto, non solo della pendenza del giudizio amministrativo sull’aggiudicazione, ma anche dalla natura delle questioni ivi sollevate; e difatti in quel giudizio se si erano costituite resistendo».
Dinanzi a tale situazione fattuale, questa Corte ha ritenuto che «una simile premessa, che implica per l’appunto valutazioni in fatto, non censurate e comunque non sindacabili in sede di legittimità, la Corte d’appello ha dedotto che l’esecuzione del contratto in pendenza dei giudizi suddetti era conseguita alla posizione autonomamente assunta dalle società, che avevano altrettanto autonomamente confidato sulla validità della procedura di aggiudicazione; e difatti non solo non era emerso che le società medesime si fossero in qualche modo opposte all’opportunità di dare esecuzione al contratto nonostante le impugnative pendenti, ma neppure era stata da esse prospettata – alla amministrazione appaltante – l’eventualità di una sospensione in attesa dell’esito del procedimento dinanzi al Tar».
Per questa Corte (Cass., n. 32314 del 2018), dunque, tale motivazione «non contiene errori di diritto: essa semplicemente è tesa a escludere, in termini plausibili e involgenti apprezzamenti in ordine allo stato soggettivo di affidamento non incolpevole della aggiudicataria, che vi era stata una lesione ingenerata dal provvedimento di aggiudicazione, la cui contestata legittimità si sarebbe potuta (e dovuta) riconsiderare proprio in base alle ragioni del gravame, ben note alla appaltatrice da epoca anteriore finanche al contratto, oltre che all’inizio dell’esecuzione».
Si aggiunge, in quella ordinanza, che «le impugnativa dinanzi al Tar erano state avanzate a novembre dell’anno 2004, che il contratto era stato stipulato nel successivo mese di dicembre e che il progetto
definitivo dell’opera era stato consegnato dalla società a giugno del 2005».
È stato allora escluso «un affidamento incolpevole, dal momento che la stessa stipulazione del contratto, oltre che ovviamente la relativa sua esecuzione, erano avvenuti dopo la presentazione dei ricorsi in sede giurisdizionale e nonostante che le stesse società si fossero costituite in quei giudizi concordando sulla linea difensiva dell’amministrazione in ordine alla legittimità dell’aggiudicazione».
Già in precedenza, si era affermato che l’art. 1338 c.c. trova applicazione in ogni contratto, privato o ad evidenza pubblica, qualora una parte ignori una causa di invalidità del negozio nota controparte quando questa fosse tenuta a conoscerla (Cass., sez. 1, 21/11/2011, n. 24438).
Insomma, tale motivazione è esportabile quasi integralmente nella vicenda in esame.
11. Tuttavia, già in precedenza si era affermato che era esclusa la responsabilità della PA, per omessa informazione, in presenza di invalidità derivanti dall’affidamento di un contratto a trattativa privata anziché con il metodo della licitazione privata (Cass., n. 11135 del 2009), dalla mancanza dei requisiti per partecipare alla gara conclusasi con l’aggiudicazione annullata in sede giurisdizionale (cass., n. 7481 del 2007), dal difetto di forma scritta del contratto (Cass., n. 4635 del 2006), dall’incommerciabilità della res (Cass., n. 1987 del 1985), dal fatto che il prezzo di cessione in proprietà di alloggio economico popolare sia inferiore a quello determinabile per legge (Cass., Sez.U., n. 835 del 1982).
Si è rimarcato che costituisce affermazione costante di legittimità quella per cui la responsabilità prevista dall’art. 1338 c.c., a differenza di quella di cui all’art. 1337 c.c., tutela l’affidamento di una delle parti non nella conclusione del contratto, ma nella sua
validità, sicché non è configurabile una responsabilità precontrattuale della PA «ove l’invalidità del contratto derivi da norme generali, da presumersi note alla generalità dei consociati e, quindi, tali da escludere l’affidamento incolpevole della parte adempiente (Cass., sez. 1, 12/5/2015, n. 9636, in motivazione, ove si precisa anche che tale principio è estensibile alle cause di inefficacia del contratto tra le quali rientra la mancata approvazione del contratto stipulato dalla p.a., nei cui confronti è configurabile la responsabilità in applicazione analogica dei principi fissati dall’art. 1338 c.c.; anche Cass., Sez.U., n. 5328 del 1978).
12. La Corte d’appello, infatti, con pieno giudizio meritale ha ritenuto che i vizi che inficiavano la gara ad evidenza pubblica indetta dal Comune di Nuoro erano di estrema gravità, e quindi percepibili immediatamente da un operatore specializzato quale la società RAGIONE_SOCIALE che operava proprio nei rapporti con la pubblica amministrazione.
I requisiti di massima per l’aggiudicazione erano stati infatti individuati solo dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte per la partecipazione alla gara; il che implicava una grave violazione delle regole dell’evidenza pubblica e della concorrenza in fase di gara.
Con estrema chiarezza, infatti, la Corte territoriale ha rilevato che «nel caso concreto erano stati censurati vizi procedimentali di tale evidenza e prima facie , ossia la violazione di norme di carattere generale, che non possono non considerarsi note alla generalità dei consociati, ed a maggior ragione alla ACES che, proprio per la specifica attività professionale svolta, aveva contatti con la p.a. e certamente conosceva, o comunque avrebbe dovuto conoscere, la normativa in materia di appalti pubblici».
Ha chiarito la Corte d’appello che «nel caso concreto non può fondatamente ritenersi che i criteri successivamente indicati, fonte
della illegittimità, fossero mere specificazioni di quelli originari, e quindi non vi fosse certezza ‘ ab origine ‘ della loro illegittimità, come dedotto dal fallimento; invero, proprio la delibera del luglio 1984, con la quale era stato dato incarico alla giunta municipale di ‘condurre trattative’ con la ACES al fine di rendere l’opera non solo più rispondente ai fini da raggiungere, ma anche più economica, evidenziava, senza margini di dubbio, che in concreto detti criteri si andavano a determinare dopo l’apertura delle buste».
Il mancato affidamento incolpevole della ACES emergeva, per la Corte d’appello, in quanto, pur essendo a conoscenza della pendenza del ricorso della COGNOME, «non solo non aveva in alcun modo prospettato al Comune l’opportunità di una maggiore prudenza, o differimento della stipulazione e decorrenza dell’appalto, ma aveva addirittura di propria esclusiva ed autonoma iniziativa provveduto all’acquisto di mezzi per l’esecuzione del contratto che non erano neppure previsti né richiesti».
Il giudizio della Corte d’appello e, quindi, preciso e completo, con una disamina analitica del merito della controversia, con l’utilizzo di criteri razionali e condivisibili, che non possono essere oggetto di censura in questa sede.
Quanto all’erroneo utilizzo delle presunzioni, si rileva che, in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a
fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass., sez. L, 16/11/2018, n. 29635).
Tuttavia, nella specie, la Corte d’appello ha compiuto una analitica e precisa disamina di tutti gli elementi istruttori, sicché, in realtà, il ricorrente chiede una nuova valutazione degli stessi, già correttamente scrutinati dalla Corte territoriale, non consentita in questa sede.
La Corte d’appello, infatti, ha correttamente valorizzato, ai fini della prova della conoscenza dei vizi della gara da parte della ACES, poi fallita, sia la plateale violazione delle regole basilari delle gare pubbliche, con fissazione dei principi e dei parametri oggettivi di gara successivamente all’apertura delle buste contenenti le offerte, sia la notificazione alla ACES del ricorso dinanzi al Tar Sardegna proposto dalla Luxory, sia la costituzione nel giudizio dinanzi al Tar Sardegna della medesima ACES.
Va dunque applicato il principio giurisprudenziale per cui, in tema di presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., la denunciata mancata applicazione di un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare, ove il giudice di merito non abbia motivato alcunché al riguardo (e non si verta nella diversa ipotesi in cui la medesima denuncia sia stata oggetto di un motivo di appello contro la sentenza di primo grado, nel qual caso il silenzio del giudice può essere dedotto come omissione di pronuncia su motivo di appello), non è deducibile come vizio di violazione di norma di diritto, bensì solo ai sensi e nei limiti dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., cioè come omesso esame di un fatto secondario (dedotto come giustificativo dell’inferenza di un fatto ignoto principale), purché decisivo (Cass., sez. 3, 6/7/2018, n. 17720).
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico del ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 15.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 novembre