Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6531 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1   Num. 6531  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 4538/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore, rappresentato e difes o dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce  al  controricorso,  il  quale  chiede  che  le  comunicazioni  relativa  al
processo gli siano effettuate sull’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
– controricorrente – avverso  la  sentenza  della  Corte  di  appello  di  Cagliari  n.  1040/2018, depositata in data 30/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2024 dal AVV_NOTAIO ;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
udito, per il controricorrente RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, l’AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con verbale n. 24 del 21/5/1984 veniva redatta relazione della Commissione  del  RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE,  nominata  per  la  valutazione delle  offerte,  per  cui  era  idonea  l’offerta  della  RAGIONE_SOCIALE  ed  inidonea l’offerta della RAGIONE_SOCIALE, con riferimento alla gara di appalto relativa al servizio di raccolta dei rifiuti.
Con  delibera  n.  121  del  26/7/1984  veniva  reputata  idonea l’offerta della RAGIONE_SOCIALE ed inidonea l’offerta delle altre due concorrenti.
La  RAGIONE_SOCIALE  notificava,  allora,  il  ricorso  al  TAR  alla  RAGIONE_SOCIALE  il 14/11/1984.
Successivamente venivano proposti altri ricorsi n. 196 del 1985 e n. 238 1985 con cui NOME impugnava la delibera di aggiudicazione dell’11/12/1984.
In data  11/12/1984 si procedeva alla aggiudicazione del contratto  di  appalto  relativo  alla  «concessione  della  gestione  dei servizi di nettezza urbana» del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in favore di RAGIONE_SOCIALE,
poi incorporata per fusione da RAGIONE_SOCIALE),  dichiarata  fallita  con  sentenza  del  tribunale  di  Cagliari  dei 15/5/2001.
 Con  nota  n.  76  dell’11/1/1985  il  RAGIONE_SOCIALE,  nel  comunicare l’avvenuta  aggiudicazione  alla  RAGIONE_SOCIALE,  aggiungeva  che  «nelle  more dell’aggiudicazione  del  contratto  codesta  impresa  dia  immediato corso all’appalto tenendo presente che l’1/4/1985 dovrà iniziare il servizio  con  tutti  i  mezzi,  personale  e  tutti  gli  stabili  previsti  dal progetto offerta».
In data 24/1/1985 la RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE stipulavano il contratto  d’appalto,  per  la  durata  di  12  anni,  dal  1/4/1985  al 31/12/1996, per un corrispettivo annuo di lire 2.381.000.000.
Con nota del 28/1/1985 la RAGIONE_SOCIALE comunicava al RAGIONE_SOCIALE di aver approntato i mezzi necessari per il servizio ed il RAGIONE_SOCIALE, con nota del 22/2/985 dava atto dell’avvenuto posizionamento dei cassonetti e dell’avanzata fase di costruzione dello stabile destinato a deposito merci  ed  officina.  Veniva  realizzato  anche  un  capannone,  con  la stipula di vari contratti con le imprese fornitrici.
Il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, con telegramma del 27/3/1985, comunicava alla  RAGIONE_SOCIALE  che  il  Tar  Sardegna  aveva  sospeso  l’aggiudicazione dell’appalto e che, quindi, il contratto non avrebbe avuto corso alla data  prevista  del  1/4/1985,  mentre  sarebbe  stata  prorogata  la gestione  del  servizio  di  nettezza  urbana  per  tre  mesi  da  parte dell’azienda che già lo stava svolgendo.
Il Tar Sardegna, con sentenza n. 107 del 1986, annullava la gara, e tale sentenza veniva confermata dal Consiglio di Stato con la pronuncia n. 751 del 25/11/1988.
Il vizio rinvenuto era consistito nella «illegittimità di valutazione delle  offerte  delle  imprese  concorrenti,  giacché  i  parametri  di valutazione erano stati fissati quando si era già proceduto
all’apertura dei plichi contenenti le offerte e delle stesse si era già presa visione».
4.La SCA iniziava un giudizio arbitrale con domanda notificata il 18/6/1997.
4.1. Con lodo non definitivo del 12/12/1998 il collegio arbitrale aveva affermato la propria competenza, dichiarando l’ente territoriale  tenuto  ad  indennizzare  la  società  aggiudicatrice  delle spese sostenute in forza del contratto di appalto, demandando alla successiva pronuncia la relativa liquidazione.
Tale lodo veniva impugnato dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE davanti alla Corte d’appello di Cagliari che, con sentenza n. 170 del 2/8/2000, annullava il lodo, in quanto l’annullamento da parte del giudice amministrativo dell’aggiudicazione, quale atto presupposto del contratto, aveva determinato l’automatica rimozione dell’atto consequenziale, e quindi del contratto di appalto, ove era contenuta la clausola compromissoria, senza necessità che tale atto dovesse formare oggetto di autonoma e specifica impugnazione.
4.2. Veniva poi emesso il lodo definitivo con cui era quantificato il  risarcimento  del  danno  dovuto  al  RAGIONE_SOCIALE;  tale  lodo  veniva annullato, per le medesime argomentazioni di cui sopra, dalla Corte d’appello con sentenza n. 237 del 2000.
 La  Corte  di  cassazione,  con  sentenza  n.  2925  del  2005 confermava la declaratoria di nullità del contratto d’appalto e dei lodi arbitrali.
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE chiedeva al Tribunale di Cagliari, in via principale, «l’accertamento della responsabilità precontrattuale del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, per violazione degli articoli 1337 e 1338 c.c., e in subordine, la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno».
il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio evidenziando che la RAGIONE_SOCIALE era stata edotta dei vizi della procedura fin dal 14/11/1984,
allorché le era stato notificato il ricorso n. 1161 del 1984 proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, altra concorrente esclusa, avverso la deliberazione del consiglio comunale di RAGIONE_SOCIALE del 27/7/1984 e la allegata relazione finale della Commissione nominata per l’esame delle offerte di cui al verbale n. 24 del 21/5/1984, «con la quale era stata dichiarata la inidoneità dell’offerta della ricorrente e, viceversa, l’idoneità di quella presentata la RAGIONE_SOCIALE».
Con ulteriori e distinti ricorsi n. 196 del 1985 e n. 238 del 1985, poi riuniti  al  primo  n.  1161  del  1184,  la  RAGIONE_SOCIALE  aveva  impugnato dinanzi al Tar Sardegna anche «la delibera dell’11/12/1984, con la quale il consiglio comunale di RAGIONE_SOCIALE aveva aggiudicato l’appalto alla RAGIONE_SOCIALE».
8. Con la sentenza non definitiva n. 21 del 5/1/2011 il tribunale rigettava  l’eccezione  di  difetto  di  giurisdizione  e  di  incompetenza territoriale.
Con successiva sentenza n. 42 del 2017, dopo l’espletamento della  prova  testimoniale  e  la  redazione  della  CTU,  il  tribunale rigettava l’eccezione di prescrizione, reputava  che  il rapporto instauratosi tra la società e l’amministrazione potrà essere incasellato  quale  «contatto  sociale  qualificato»,  con  conseguente applicazione  delle  norme  contrattuali,  in  ordine  alla  prescrizione, all’onere della prova ed al perimetro del danno risarcibile.
Nel merito, il tribunale accoglieva la domanda del fallimento, in quanto  i  criteri  di  valutazione  delle  offerte  erano  stati  elaborati «quando già era avvenuta l’apertura dei plichi contenenti le offerte e si era già presa visione delle medesime».
Tale  illegittimità  era  «palesemente  dipendente  dalla  condotta dell’amministrazione», che, anche successivamente, non solo aveva proceduto all’aggiudicazione definitiva, ma aveva anche stipulato con la RAGIONE_SOCIALE il contratto di appalto, «sollecitando l’impresa ad approntare
i mezzi per l’esecuzione». Ciò, nonostante «fossero state presentate nelle  more  ulteriori  impugnazioni  degli  atti  della  procedura,  con istanza di sospensione».
Vi  era  stata  dunque  violazione  degli  obblighi  di  protezione  e informazione  che  gravano  sull’amministrazione,  «concretizzanti  il dovere  di  buona  fede  nelle  trattative  sancito  dall’art.  1337  c.c., nonché  dell’obbligo  di  comunicare  alla  controparte  contrattuale eventuali cause di invalidità, purché conosciute o conoscibili, ex art. 1338 c.c.».
Il RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto evitare «di accelerare l’esecuzione del contratto, sia con la nota dell’11/1/1985 sia prevedendo un termine iniziale così prossimo alla stipulazione».
L’ente territoriale avrebbe «quantomeno dovuto attendere l’esito della cautela prima di consentire l’approntamento dei mezzi necessari per l’esecuzione del contratto».
Il  giudice  di  prime  cure,  peraltro,  reputava  che  «l’affidamento della  RAGIONE_SOCIALE  non  era  stato  del  tutto  incolpevole,  e  che  anche  il comportamento dell’impresa aveva concorso a cagionarle il danno, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c., in quanto l’impresa aveva tenuto un comportamento certamente imprudente nei rapporti con il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE successivi all’aggiudicazione definitiva; concorso quantificato nella specie nella misura del 30%».
Il  tribunale,  dunque,  evidenziava  che  anche  la  RAGIONE_SOCIALE,  quale controinteressata nel giudizio amministrativo, «aveva conosciuto fin dal novembre 1984 che il bando era stato impugnato, nonché per quali vizi di legittimità».
Dal  ricorso  presentato  dalla  RAGIONE_SOCIALE  risultava  che  tale  impresa «aveva fin da subito rilevato il vizio della mancata predisposizione dei criteri di valutazione delle offerte prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte medesime».
In un tale contesto, invece, «la RAGIONE_SOCIALE si era pienamente adeguata alle scadenze stabilite dall’amministrazione per la stipulazione e per l’efficacia del contratto», accettando «senza riserve l’accelerazione richiesta  dal  RAGIONE_SOCIALE  in  ordine  alla  predisposizione  dei  mezzi  per l’esecuzione dell’appalto».
Sottolineava il giudice di prime cure che «anzi la RAGIONE_SOCIALE di sua iniziativa  ed  autonomamente  aveva  anche  previsto  l’utilizzo  di ulteriori mezzi e un aumento dei cestini porta rifiuti (dai 400 previsti a  600),  andando  così  incontro  a  oneri  maggiori  rispetto  a  quelli contrattuali».
Veniva rimarcata dal tribunale anche «l’assenza di documenti, quali note, missive, diffide […] che attestassero la richiesta avanzata dall’impresa nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di una maggiore accortezza e ponderazione in ordine ai rischi connessi alla scelta di portare avanti un appalto così importante in presenza di una pluralità di impugnazioni con richiesta di sospensione». Il danno veniva dunque liquidato in favore della RAGIONE_SOCIALE con la decurtazione del 30%.
Il tribunale rigettava, però,  la  domanda  del  fallimento  di risarcimento dei danni per perdita di altre occasioni di stipulazione contrattuale per difetto di specifica allegazione e di prova.
Proponeva appello principale il RAGIONE_SOCIALE.
Proponeva appello incidentale il fallimento.
La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza n. 1040/2018, del 30/11/2018, accoglieva l’appello principale proposto dal RAGIONE_SOCIALE e rigettava l’appello incidentale proposto dal fallimento.
In particolare, in  motivazione la  Corte territoriale accoglieva il primo motivo di impugnazione con cui il RAGIONE_SOCIALE deduceva l’erronea e falsa applicazione degli articoli 1337, 1338 e 1227 c.c.
Per l’appellante, infatti, la clausola generale di buona fede nello svolgimento delle trattative trovava specificazione nella disposizione di cui all’art. 1338 c.c.
Nella specie – ad avviso del RAGIONE_SOCIALE appellante principale – non era ravvisabile in capo ad esso «nessuna violazione del dovere di informazione, né del generale dovere di buona fede», in quanto «la RAGIONE_SOCIALE fin dal primo ricorso della RAGIONE_SOCIALE del 1984, anche a lei notificato, era stata resa edotta del lamentato vizio della procedura, causa di invalidità del contratto di appalto». Tale vizio non poteva essere ignorato dalla società aggiudicataria «in considerazione della natura dell’attività svolta» dalla stessa.
Inoltre, l’appellante deduceva che lo stesso tribunale, dopo aver individuato  nell’art.  1338  c.c.  la  fonte  del  pregiudizio  subito  dalla facies, aveva però, contraddittoriamente, evidenziato la responsabilità colposa di quest’ultima con la limitazione del 30%.
Tuttavia, se il primo  giudice aveva  ritenuto sussistere la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE  per omessa informazione ma, al contempo, «aveva rilevato una condotta colposa per negligenza della RAGIONE_SOCIALE in considerazione della sua conoscenza dei profili di invalidità del contratto», nessuna responsabilità poteva residuare in capo al RAGIONE_SOCIALE.
Con l’appello incidentale, invece, il fallimento aveva lamentato l’applicazione del concorso di colpa, ex art. 1227, primo comma, c.c., sostenendo  che  nella  specie  «mancava  la  prova  concreta  della irragionevolezza del proprio affidamento nella validità del contratto di appalto».
Le prime sentenze con le quali si era dato atto della sussistenza delle  invalidità  dell’aggiudicazione  erano  posteriori  di  8  mesi  al momento in cui essa, su richiesta  del  RAGIONE_SOCIALE,  aveva  costituito  i mezzi, mobili ed immobili, necessari per l’esecuzione dell’appalto.
12. La Corte territoriale evidenziava, in primo luogo, che trovava applicazione, nella specie, in presenza di un contratto già concluso con  la  PA,  ma  poi  annullato,  la  disciplina  della  responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c.
Si  trattava  di  responsabilità  non  da  provvedimento,  ma  «da comportamento».
Chiariva la Corte d’appello che la responsabilità ex art. 1338 c.c. costituiva una «specificazione della responsabilità precontrattuale» di cui all’art. 1338 c.c. e presupponeva, non solo la colpa di una parte nell’ignorare  la  causa  di  invalidità  del  contratto,  «ma  anche  la mancanza di colpa dell’altra parte nel confidare nella sua validità» (si citava Cass., n. 1015 del 2000).
Doveva, dunque, indagarsi se potesse «ritenersi sussistente un affidamento ragionevolmente ingenerato dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nella controparte [SCA, prima RAGIONE_SOCIALE]».
Proseguiva la Corte territoriale rilevando che la responsabilità prevista dall’art. 1338 c.c., a differenza di quella di cui all’art. 1338 c.c., «l’affidamento di una delle parti non nella conclusione del contratto, ma nella sua validità», sicché non era configurabile una responsabilità precontrattuale della PA «ove l’invalidità del contratto derivi da norme generali, da presumersi note alla generalità dei consociati, quindi, tali da escludere l’affidamento incolpevole della parte adempiente».
Chiosava, però, la Corte d’appello senso che si doveva accertare «caso  per  caso»  la  sussistenza  della  diligenza  e,  dunque,  la «scusabilità dell’affidamento del contraente», dovendosi avere riguardo, non solo alla conoscibilità astratta della norma, ma anche «all’esistenza di interpretazioni univoche della stessa e, soprattutto, alla  conoscibilità  delle  circostanze  di  fatto  cui  la  legge  ricollega l’invalidità».
Trattavasi, allora, di «un’attività propria del giudice di merito, il quale  deve  verificare  in  concreto  della  norma,  sia  conosciuta  o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto» (si citavano Cass., n. 9636 del 2015; Cass. n. 2327 del 2016).
Indicava anche la giurisprudenza di legittimità per cui l’errata scelta del contraente di un contratto d’appalto, divenuto inefficace per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione da parte del giudice amministrativo, esponeva la PA al risarcimento dei danni per le perdite e i mancati guadagni subiti dal privato aggiudicatario, a titolo di responsabilità di tipo contrattuale, poiché conseguiva al «contatto» tra le parti nella fase procedimentale anteriore alla stipula del contratto, ed aveva origine la violazione del dovere di buona fede e correttezza (si citava Cass., n. 14188 del 2016).
Tuttavia, non poteva configurarsi responsabilità precontrattuale «ove  l’invalidità  del  contratto  derivi  da  norme  generali  aventi efficacia di diritto obiettivo, tali – cioè – da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini e, comunque, tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso comportamento di normale diligenza o incolpevole della parte adempiente».
La Corte d’appello, quindi, sottolineava che dalla sentenza del Tar Sardegna n. 107 del 1986 risultava chiaramente che il primo ricorso proposto dalla concorrente esclusa RAGIONE_SOCIALE era stato notificato anche alla RAGIONE_SOCIALE nel novembre 1984 «che in quel primo giudizio, così come poi  in  quelli  successivi,  si  era  costituita  ed  aveva  resistito  alle allegazioni della ricorrente».
Pertanto -ad avviso della Corte territoriale – «fin dal novembre 1984 la RAGIONE_SOCIALE era stata resa edotta, mediante la notifica del ricorso, dei profili di invalidità del contratto», dovendosi così escludere «una
mancata informazione da parte della PA, posto che il ricorso della RAGIONE_SOCIALE  era  stato  notificato  RAGIONE_SOCIALE,  che  si  era  anche  costituita  per resistere, così che una ulteriore informazione da parte del RAGIONE_SOCIALE si sarebbe risolta in una mera duplicazione di una circostanza nota dalla controparte».
La RAGIONE_SOCIALE, allora, conosceva, quale destinataria, parte direttamente  interessata,  «le  delibere  impugnate  da  COGNOME,  e segnatamente la delibera n. 121 del 26/7/1984, con la quale era stata dichiarata l’inidoneità delle offerte di 2 concorrenti, e quindi erano state escluse, e l’idoneità dell’offerta la RAGIONE_SOCIALE, con contestuale incarico alla giunta municipale di condurre trattative con tale ultima società al fine di rendere l’opera non solo più rispondente ai fini da raggiungere, ma anche più economica».
Del  resto,  il  vizio  era  assai  grave  in  quanto  la  commissione comunale  non  aveva  «proceduto  in  via  preliminare  a  stabilire  i parametri obiettivi a cui dettagliatamente riferire le singole proposte tecniche ed economiche presentate dalle ditte concorrenti».
Per la Corte d’appello, dunque, trattavasi «di vizi procedimentali di  tale  evidenza  e  prima  facie  percepibilità,  ossia  la  violazione  di norme di carattere generale, che non possono non considerarsi note alla generalità dei consociati, ed a maggior ragione alla RAGIONE_SOCIALE che, proprio per la specifica attività professionale svolta, aveva contatti con  la  PA  è  certamente  conosceva,  o  comunque  avrebbe  dovuto conoscere, la normativa in materia di RAGIONE_SOCIALE pubblici».
In  tale  contesto,  per  il  giudice  di  secondo  grado,  «non  può neppure ritenersi un affidamento incolpevole della RAGIONE_SOCIALE» la quale, non  solo  «non  aveva  in  alcun  modo  prospettato  al  RAGIONE_SOCIALE l’opportunità di  una  maggiore  prudenza,  o differimento della stipulazione  e  decorrenza  dell’appalto,  ma  aveva  addirittura  di propria esclusiva ed autonoma iniziativa provveduto all’acquisto di
mezzi per l’esecuzione del contratto che non erano neppure previsti né richiesti».
Non poteva poi essere accolta neppure la domanda riproposta dal fallimento in via subordinata, di declaratoria dell’inadempimento del  RAGIONE_SOCIALE  al  contratto  di  appalto,  in  quanto,  a  seguito  della sentenza n. 107 del 1986 del Tar Sardegna, confermata dal Consiglio di  Stato  con  sentenza  n.  751  del  1986,  «il  contratto  di  appalto stipulato tra le parti deve ritenersi travolto e privo di efficacia».
Veniva  rigettato  -con  le  motivazioni  di  cui  sopra  concernenti l’appello principale  – anche l’appello incidentale del fallimento che aveva lamentato l’applicazione del concorso di colpa, ex art. 1227, primo comma, c.c., sostenendo che nella specie «mancava la prova concreta della irragionevolezza del proprio affidamento nella validità del contratto di appalto».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il fallimento  RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE),  depositando memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione  dell’art.  1337  del  codice  civile  e  falsa  applicazione dell’art. 1338 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile».
In particolare, non sarebbe stata corretta l’applicazione dell’art. 1338  c.c.  da  parte  della  Corte  d’appello,  in  quanto  la  fattispecie doveva essere disciplinata unicamente dall’art. 1337 c.c.
Una volta travolto il contratto di appalto a seguito dell’annullamento  dell’aggiudicazione,  le  parti  si  trovano  «in  una situazione  di  fatto  e  diritto  per  cui  la  violazione  delle  regole  di correttezza, che presiedono alla formazione del contratto, assumono
rilevanza giacché la fase pubblicistica aveva, comunque,  già attribuito  al  ricorrente  effetti  concretamente  vantaggiosi»  (si  cita Cons. Stato, sez. III, 15/4/2016, n. 1532).
Pertanto,  l’eventuale  concorso  di  colpa  della  danneggiata  SCA «non  sarebbe  preclusivo  del  riconoscimento  del  risarcimento  in quanto trova applicazione nella fattispecie l’art. 1337 non l’art. 1338 c.c.».
In  realtà  –  ad  avviso  della  ricorrente  –  «solo  l’art.  1338  [c.c.] prevede  l’assenza  di  colpa  del  danneggiato  come  requisito  della risarcibilità  del  danno»,  mentre «nessun riferimento all’assenza di colpa è contenuto nell’art. 1337 c.c.».
Per tale ragione si ritiene «applicabile, anche alla responsabilità precontrattuale ex art. 1337, la norma generale dell’art. 1227, primo comma, c.c.».
L’affidamento di cui si chiede tutela è, allora, «quello sulla serietà del ‘contatto qualificato’, seppure in prospettiva di un futuro vincolo costituendo, e non sulla validità del contratto già esistente prevista nell’art. 1338 c.c.».
Per la ricorrente, dunque, il danno conseguente alla perdita del contratto, quindi, fondato sulla validità del contratto, sebbene anch’esso richiesto in primo grado, «non è mai stato riconosciuto neppure dal primo giudice, per tali ragioni, anche in secondo grado si è reiterata domanda del solo danno giustificato con il legittimo affidamento sul ‘contatto qualificato, ossia sul rapporto di trattativa instaurato con la PA, senza, dunque, reiterare in appello la parte della domanda che si riferiva al pregiudizio per perdita del lucro contrattuale».
In sostanza  chiarisce la ricorrente -l’entità  del  danno domandato «(più ridotta rispetto  a  quello  totalmente  azionato)  si circoscrive al pregiudizio subito per aver impegnato risorse
preparatorie  della  struttura  imprenditoriale  radicata  in  RAGIONE_SOCIALE  per l’esercizio del servizio di nettezza urbana».
Deve  aversi  riguardo,  allora,  solo  alla  domanda  incidentale  in appello «che aveva riguardo alla tipologia di danni maturati durante la fase delle trattative», con riferimento esclusivo all’art. 1337 c.c., e non all’art. 1338 c.c.
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la  «falsa  applicazione  dell’art.  1338  c.c.  invece  dell’art.  1337  c.c. riguardando  gli  elementi  costitutivi  di  cui  all’art.  1338  c.c.  una fattispecie diversa da quella concreta del caso in esame».
Taluni elementi osterebbero all’applicazione dell’art. 1328 c.c., e segnatamente: a) la previsione della lex specialis relativa alla gara è promanata dal RAGIONE_SOCIALE che va considerato, dunque, come «il danneggiante giacché le norme viziate del bando sono state da questo concepite»; b) il RAGIONE_SOCIALE ha stabilito le ulteriori specificazioni dei criteri di massima contenuti nel bando di gara, «genetiche del vizio»; c) il RAGIONE_SOCIALE ha dato comunicazione precedente alla sottoscrizione del contratto tale da imporre l’inizio del servizio in via anticipata, attraverso la nota n. 76 dell’11/1/1985; d) la resistenza comunale nel primo giudizio amministrativo definito nel 1986 è elemento rilevante al fine di valutare l’aspetto psicologico del danneggiato, in quanto il RAGIONE_SOCIALE «continuava a propugnare la legittimità [del contratto] anche dopo la contestazione dei presunti vizi della gara; e) il RAGIONE_SOCIALE non ha rilevato il vizio di tali norme e neppure ha dato comunicazione alla controparte, rilasciando la concessione edilizia per il capannone costruito.
Vi  è  stata  dunque  «un’importante  partecipazione  del  RAGIONE_SOCIALE danneggiante all’induzione in errore dell’impresa» sicché si rendeva inapplicabile l’art. 1338  c.c., in quanto  tale articolo  avrebbe
«riguardo ad ipotesi di invalidità del contratto non determinate da danneggiante».
Del resto, l’art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura  ingiustificata  delle  trattative,  ma  «ha  valore  di  clausola generale», il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso.
Nella specie, poi, la causa di invalidità «non solo [è] stata taciuta ma addirittura provocata dall’amministrazione».
Se si applicasse l’art. 1338 c.c. il solo fatto che il danneggiato sia in qualche misura in colpa «gli precluderebbe il risarcimento giacché la norma richiede testualmente al danneggiato di avere confidato, senza sua colpa».
Se dunque la Corte d’appello avesse utilizzato le norme adeguate «avrebbe  dovuto  applicare  prima  l’art.  1337  c.c.  costituente  la norma quadro del caso e poi, l’art. 1227 c.c., in tema di valutazione dell’apporto concausale del debitore».
Con il terzo e il quarto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta  la  «violazione  degli  articoli  2729,  1175  e  1227,  secondo comma, del codice civile, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile».
Ove  nella  motivazione  della  sentenza  della  Corte  d’appello  si voglia  individuare  un  giudizio  di  bilanciamento  della  colpa  tra danneggiante e danneggiato, «il ragionamento sarebbe comunque fallace».
In realtà, una serie di elementi indurrebbe a ritenere sussistente «una valida prova presuntiva contraria alla conoscenza e conoscibilità della violazione in  epoca  antecedente  alla  prima pronuncia del TAR del 1986».
In particolare dovrebbero essere esaminati i seguenti elementi: a) la notifica del ricorso evidenzierebbe il vizio, ritenuto esistente per
la ricorrente NOME, «anche se il ricorso agli atti di causa è solo quello notificato a febbraio 1985»: b) il riconoscimento con sentenza circa la fondatezza della pretesa intervenuto solo a dicembre 1985; c) l’esercizio di una pretesa in sede giudiziale non consentiva di presagire ex ante neppure alla ricorrente, automatica vittoria; d) nella sentenza del Tar del dicembre 1985 non si dà atto di nessuna temerarietà ex art. 96 c.p.c.; e) la funzione giurisdizionale giudicante è stata svolta dall’autorità amministrativa preposta in vari gradi; f) il giudizio di un tribunale, dopo il dipanarsi di un’istruttoria, non poteva essere trasposto sulla SCA e collocato ex ante ; g) per la SCA il rischio di perdere tutto quanto investito in caso di caducazione del contratto va valutato come elemento contrario alla presunzione di conoscenza della violazione di tale norma.
Un ulteriore limite si ricava dalla diligenza ordinaria di cui all’art. 1227, secondo comma, c.c., costituente specificazione del generale principio di cui all’art. 1175 c.c.
I motivi primo, secondo, terzo e quarto che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
I fatti di causa, in estrema sintesi, sono i seguenti.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE indice gara per l’assegnazione con gara di appalto, ad evidenza pubblica, del servizio di raccolta dei rifiuti.
Con verbale n. 24 del 21/5/1984 viene redatta la relazione della commissione  per  cui  è  idonea  l’offerta  della  RAGIONE_SOCIALE,  mentre  sono inidonee le offerte della società RAGIONE_SOCIALE e di un’altra società.
Con la delibera n. 121 del 26/7/1984 il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE dichiara l’inidoneità  delle  offerte  di  due  concorrenti,  che  quindi  vengono escluse, e l’idoneità dell’offerta della RAGIONE_SOCIALE, «con contestuale incarico alla giunta municipale di condurre trattative con tale ultima società al  fine  di  rendere  l’opera  non  solo  più  rispondente  ai  fini  da raggiungere, ma anche più economica».
In tal modo, è evidente che, come dedotto del resto dal ricorso della RAGIONE_SOCIALE, e come emerge anche dalla sentenza del primo giudice, riportata nella motivazione della sentenza d’appello «sussiste un indiscutibile errore procedimentale in cui è incorsa la commissione […] come risulta dalla relazione da essa predisposta, fatta propria dal consiglio comunale, essa non ha proceduto in via preliminare a stabilire i parametri obiettivi a cui dettagliatamente riferire le singole proposte tecniche ed economiche presentate dalle ditte concorrenti».
La  RAGIONE_SOCIALE  notifica  il  ricorso  al  Tar  alla  RAGIONE_SOCIALE  il  14/11/1984; successivamente vengono notificati altri ricorsi, n. 196 del 1985 e n. 238 del 1985 avverso l’aggiudicazione ed il contratto.
L’aggiudicazione avviene l’11/12/1984 all’RAGIONE_SOCIALE, poi incorporata per fusione dalla RAGIONE_SOCIALE.
Subito dopo l’aggiudicazione, con nota n. 76 dell’11/1/1995, il RAGIONE_SOCIALE comunica ad RAGIONE_SOCIALE che «nelle more dell’aggiudicazione del contratto codesta impresa dia immediato corso all’appalto tenendo presente che il 1/4/1985 dovrà iniziare il servizio con tutti i mezzi, personale e tutti gli stabili previsti dal progetto offerta».
In data 28/1/1985 RAGIONE_SOCIALE comunica al RAGIONE_SOCIALE di aver approntato i mezzi necessari per il servizio.
Il 22/2/1985 il RAGIONE_SOCIALE dà atto dell’avvenuto posizionamento dei cassonetti  e  dei  cestini  e  della  avanzata  fase  di  costruzione  dello stabile destinato a deposito merci, capannone in località Prato sardo.
Il 27/3/1985 il RAGIONE_SOCIALE con telegramma comunica ad RAGIONE_SOCIALE che il Tar Sardegna ha sospeso l’aggiudicazione, prorogando per tre mesi la gestione dell’impresa che già svolgeva tale servizio.
Con  la  sentenza  di  merito  la  gara  viene  annullata  dal  Tar Sardegna con sentenza n. 107 del 1986 e l’appello viene rigettato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 751 del 25/11/1988.
Il  vizio  attiene  alla  circostanza che prima sono state aperte le offerte e poi sono stati fissati i parametri di valutazione.
Viene instaurato un giudizio dinanzi agli arbitri, con cui la società chiede il risarcimento del danno  subito per la sopravvenuta inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione. Gli arbitri si pronunciano con lodo non definitivo del  12/12/1998,  con  cui  si  prevede  l’obbligo  del  RAGIONE_SOCIALE  di indennizzo in favore della SCA.
Il  loro  definitivo  viene  successivamente  emesso,  riguardo  al quantum .
La Corte d’appello con sentenza n. 170 del 2020 annulla il lodo non definitivo, stante l’inefficacia del contratto a valle dell’aggiudicazione annullata. Vi era stata automatica rimozione del contratto a valle e della clausola compromissoria.
Con sentenza definitiva n. 237 del 2000 la Corte d’appello annulla il loro definitivo.
La Corte di cassazione con sentenza n. 2925 del 2005 conferma la  sentenza  della  Corte  d’appello,  e  quindi  la  declaratoria  del contratto di appalto e dei lodi arbitrali.
Di qui la controversia in esame intrapresa, ancora una volta, per ottenere il risarcimento  dei danni  derivanti dall’inefficacia del contratto d’appalto stipulato il 24/1/1985, a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione in data 11/12/1984.
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dell’art. 1338 c.c.
La fattispecie in esame è quella dell’inefficacia del contratto di appalto stipulato a valle il 24/1/1985, a seguito dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione della gara in data 11/12/1984.
7.1. La questione di giurisdizione su tali aspetti è stata più volte portata all’attenzione del giudice di legittimità, che ha concluso nel
senso che la responsabilità della pubblica amministrazione per il danno derivante dalla lesione dell’affidamento sulla correttezza dell’azione amministrativa – avente quale presupposto il mancato rispetto dei doveri di correttezza e buona fede gravanti sulla P.A. ha natura contrattuale e va inquadrata nello schema della responsabilità “relazionale” (o “da contatto sociale qualificato”, idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 c.c.), sia nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, sia in caso di emanazione di un provvedimento lesivo, sia nell’ipotesi di emissione e successivo annullamento di un atto ampliativo della sfera giuridica del privato; ne consegue che la controversia relativa all’accertamento della responsabilità dell’amministrazione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario – nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha confermato la pronuncia di accoglimento della domanda risarcitoria avanzata da una società che – senza allegare l’illegittimità degli atti amministrativi, né affermare la riconducibilità del pregiudizio subito a tali provvedimenti – aveva lamentato la lesione dell’affidamento riposto sulla legittimità della delibera, poi annullata, con cui l’amministrazione comunale aveva approvato il Piano di Governo del Territorio includendo i terreni di proprietà della società, aventi destinazione agricola, nell’ambito di trasformazione denominato TR1, nonché la scorrettezza della condotta della P.A. che, nonostante l’impugnazione del provvedimento, aveva ingenerato un affidamento incolpevole, insistendo per l’attuazione dell’intervento programmato, fornendo rassicurazioni sulla sua legittimità ed escludendo la necessità di approfondimenti istruttori- (Cass., Sez-U., 19/1/2023, n. 1567; anche Cass., Sez.U., 6/2/2023, n. 3496, con riguardo al danno derivante dalla lesione dell’incolpevole affidamento, ingenerato in relazione alla legittimità del piano provinciale delle attività estrattive, poi oggetto di annullamento in sede
giurisdizionale;  Cass.,  Sez.U.,  18/1/2022,  n.  1391;  Cass.,  Sez.U., 22/6/2017, n. 15640).
7.2. Che si tratti di responsabilità da «contatto sociale» è stato più volte affermato da questa Corte, in quanto si è ritenuto che l’erronea scelta del contraente di un contratto di appalto, divenuto inefficace e ” tamquam non esset ” per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione da parte del giudice amministrativo, espone la P.A. a dover corrispondere il risarcimento dei danni per le perdite e i mancati guadagni subiti dal privato aggiudicatario; tale responsabilità non è qualificabile né come aquiliana, né come contrattuale in senso proprio, sebbene a questa si avvicini poiché consegue al “contatto” tra le parti nella fase procedimentale anteriore alla stipula del contratto, ed ha origine nella violazione del dovere di buona fede e correttezza. Pertanto, il risarcimento del danno dovuto all’appaltatore va parametrato non già alla conclusione del contratto, bensì al c.d. interesse contrattuale negativo che copre sia il danno emergente, ovvero le spese sostenute, che il lucro cessante, da intendersi, però, non come mancato guadagno rispetto al contratto non eseguito ma in riferimento ad altre occasioni di contratto che la parte allega di avere perso (Cass., sez. 1, 25/7/2018, n. 19775).
8. Costituisce, poi, principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello per cui l’art. 1338 c.c. costituisce una specificazione del  dovere  di  cui  all’art.  1337  c.c.  (Cass.,  sez.  L,  21/8/2004,  n. 16508, per cui «non solo l’impresa, ma anche il sindacato stipulante il contratto collettivo versavano nella medesima ignoranza colpevole, sicché deve escludersi responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1338 c.c.»; Cass., sez. 3, 18/5/1971, n. 1494).
8.1. La responsabilità di cui all’art. 1338 c.c., per cui «la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di
invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto»,  presuppone non solo la colpa di una parte nell’ignorare la causa di invalidità del contratto, ma anche la mancanza di colpa dell’altra parte nel confidare nella sua validità» (Cass., n. 16508 del 2004).
Nella Relazione al AVV_NOTAIO si fa riferimento ad un «dolo di omissione», ma, per la dottrina che si è occupata dell’interpretazione dell’articolo  1338  c.c.,  tale  espressione  può  essere  considerata restrittiva di fronte al testo della norma, perché basta un’omissione ingiustificata e imputabile, ma non intenzionale (quindi anche solo colposo), a far sorgere la responsabilità per danno.
Tale disposizione prevede, dunque, un complesso comportamento  omissivo,  doloso  o  colposo,  suscettibile  di  recare danno,  consistente  sempre  in  omissione  di  partecipazione  ed eventualmente in omissione di diligenza.
Fermo restando che il legislatore, facendo riferimento all’assenza di  colpa  dell’altro  soggetto,  ha  inteso  restringere  la  portata  della norma, per evitarne una troppo larga applicazione.
Rileva,  dunque,  proprio  la  assenza  di  colpa  della  controparte («senza sua colpa»).
8.2. Applicandosi l’art. 1338 c.c., dunque, il risarcimento dovuto non è suscettibile di essere diminuito ex art. 1227, primo comma, perché  il  concorso  di  colpa  del  danneggiato  che  negligentemente ignori una causa di invalidità del contratto automaticamente esclude, secondo  quanto  dispone  l’art.  1338  c.c.,  la  responsabilità  del danneggiante».
Infatti,  la  parte  che  è  in  colpa  perché  a  conoscenza  delle invalidità o inefficacia del contratto non può addossare alla controparte il danno che è conseguenza del proprio comportamento,
alla  luce  di  un  principio  generale  desumibile  anche  dall’art.  1227, primo comma, c.c. (Cass., sez. 1, n. 9636 del 2015, in motivazione).
 Tuttavia,  non  v’è  dubbio  che  la  fattispecie  in  esame  debba essere  governata  dall’art.  1338  c.c.,  come  correttamente  ritenuto dalla Corte d’appello.
Nella specie, infatti, è stato stipulato il contratto d’appalto in data 24/1/1985, seppure la sua efficacia sia stata travolta dall’annullamento dell’aggiudicazione in data 11/12/1984, ad opera della  sentenza  del  Tar  Cagliari  n.  107  del  1986,  confermata  dal Consiglio di Stato con sentenza n. 751 del 25/11/1988.
Si è infatti ritenuto che la responsabilità precontrattuale prevista dalla  legge  a  carico  della  parte  che  conosce  o  che  dovrebbe conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto e non ne dà notizia all’altra parte, ex art. 1338 c.c., non può ravvisarsi se il giudice di merito ha escluso l’esistenza di un contratto anteriormente concluso dalle parti (Cass., n. 1948 del 1970).
9.1. La responsabilità di cui all’art. 1338 c.c., in tema di colpa precontrattuale, a differenza della fattispecie prevista dall’art. 1337 c.c., non tutela l’affidamento di una delle parti sulla conclusione del contratto, «ma l’affidamento della parte sulla validità del contratto, per cui il danno risarcibile non è in relazione alla mancata conclusione del  contratto,  ma  soltanto  quello  riconducibile  al  fatto  di  avere confidato nella validità del contratto» (Cass., sez. 2, 26/5/1992, n. 6294).
Si  è  ritenuto  che  estendendo  eccessivamente  il  dovere  di diligenza a carico della parte che dovrebbe ricevere l’informazione circa  la  causa  di  invalidità  o  inefficacia  del  contratto,  sarebbero compromessi lo scopo e l’utilità dell’art. 1338 c.c., che non è norma meramente ripetitiva dell’art. 2043 né dell’art. 1337 c.c., il quale, obbligando le parti a comportarsi secondo buona fede, già impone
loro implicitamente di rendersi reciprocamente le informazioni necessarie per pervenire alla conclusione di un contratto che sia eseguibile (Cass., n. 9636 del 2015, in motivazione). L’art. 1338 c.c. pone, invece, significativamente a carico di una sola delle parti, cioè di quella che, in ragione delle circostanze di fatto e tenuto conto della sua posizione sociale professionale, conosca o debba conoscere l’esistenza di una causa di invalidità o inefficacia, l’obbligo specifico di informare l’altra parte la quale ha diritto a ricevere l’informazione e, in mancanza, al risarcimento del danno per avere ragionevolmente confidato nella validità ed efficacia del contratto.
La  parte  obbligata  ha  però  la  facoltà  di  dimostrare  che  l’altra parte  aveva  confidato  nella  validità  del  contratto  colpevolmente  e non  ‘senza  sua  colpa’  come  richiesto  dall’art.  1338,  ma  «dovrà dedurre fatti e circostanze che dimostrino che, in quel determinato rapporto, fosse effettivamente a conoscenza della causa che viziava il  contratto  concluso  da  concludere»  (Cass.,  n.  9636  del  2015; richiamata da Cass., sez. 1, 5/11/2024, n. 28404).
Pertanto, per questa Corte, non si esclude la possibilità di desumere tale conoscenza dal tipo di invalidità o inefficacia e, in definitiva, dalla natura della norma violata, ma non è possibile riconoscerla automaticamente rispetto a qualunque norma avente efficacia di diritto obiettivo (Cass. n. 46 3/5/2006), che, in tesi, sarebbe conoscibile dalla generalità dei cittadini e, quindi, da qualunque potenziale contraente, al fine di escludere la responsabilità dell’altra parte che aveva l’obbligo legale di informare.
Si precisa che, altrimenti, «l’art. 1338 c.c. verrebbe privato della sua principale funzione che è di compensare l’asimmetria informativa nelle contrattazioni tra parti che non sono su un piano di parità, come avviene  nei  rapporti  con  la  pubblica  amministrazione»  (Cass.,  n. 9636 del 2015, in motivazione; Cass., sez. L, 31/1/2020, n. 2316).
L’asimmetria  informativa  deriva  non  soltanto  dalla  circostanza che la procedura di evidenza pubblica è dalla pubblica amministrazione governata sulla base dell’esercizio di poteri previsti da norme di azione tradotte nella lex specialis della gara, ma anche in  ragione  dello  status  professionale  e  del  bagaglio  di  conoscenze tecniche ed amministrative di cui essa in possesso.
L’art. 1338 c.c. trova loro applicazione quando un’amministrazione non solo rimanga silente, «ma improvvisamente conduca  il  procedimento  sino  alla  stipulazione  di  un  contratto destinato  ad  essere  caducato  o  a  rimanere  inefficace  e  talora  ne pretenda  l’anticipo  dell’esecuzione,  in  tal  modo  frustrando  il  […] legittimo affidamento [del privato] nell’esigibilità dello stesso e nella legalità dell’azione amministrativa» (Cass., n. 9636 del 2015).
Lo stretto collegamento tra la stipulazione del contratto e l’applicazione dell’art. 1338 c.c. si rinviene anche nella pronuncia di questa Corte in base alla quale la pubblica amministrazione, in pendenza del procedimento per il controllo dell’approvazione del contratto stipulato con il privato, e, quindi, in attesa del verificarsi della condicio iuris cui è subordinata all’obbligatorietà del contratto stesso nei suoi confronti, deve, in osservanza dell’obbligo generale di comportarsi in modo conforme a correttezza e buona fede, tenere informato l’altro contraente delle vicende attinenti al procedimento di controllo. L’inosservanza di detto obbligo implica la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, in applicazione analogica dei principi fissati dall’art. 1338 c.c. (Cass., Sez.U., 17/11/1978, n. 5328).
9.2. Con la precisazione che l’art. 1338 c.c. è applicabile a tutte le ipotesi di invalidità del contratto e, dunque, non solo a quelle di nullità, ma anche a quelle di nullità parziale e di annullabilità, nonché alle ipotesi di inefficacia del contratto, dovendosi ritenere che anche
in tal caso si riscontra la medesima esigenza di tutela delle aspettative delle parti al perseguimento di quelle utilità cui esse mirano mediante la stipulazione del contratto medesimo (Cass., n. 16149 del 2010; con riferimento alla responsabilità di cui all’art. 1338 c.c. che presuppone che si conclude un contratto invalido, cioè nullo o annullabile, vedi Cass. n. 1731 del 1954; per l’ipotesi di contratto sottoposto a condizione risolutiva la parte che – con il tacere volontariamente una circostanza che renda probabile l’avveramento della condizione e conoscendo la quale l’altra non si sarebbe determinata concludere il contratto -fa sorgere in quest’ultima un ragionevole convincimento contrario alla verità, violando l’obbligo sancito dagli articoli 1337 e 1338 c.c.).
Pertanto, l’art. 1338 c.c. mira a tutelare il contraente di buona fede ingannato o fuorviato dall’ignoranza della causa di invalidità del contratto che gli è stata taciuta e che non era nei suoi poteri conoscere (Cass., n. 3272 del 2001), ma se vi è colpa da parte sua, se quindi egli avrebbe potuto, con l’ordinaria diligenza, venire a conoscenza della reale situazione e, quindi, della causa di invalidità, non è più possibile applicare l’art. 1338 c.c. (Cass., n. 1987 del 1985).
9.3. È stata riconosciuta la sussistenza della responsabilità precontrattuale ex art. 1338 c.c., in una fattispecie in cui una parte (comune) che avrebbe dovuto (secondo quanto ritenuto con congrua motivazione dal giudice del merito) conoscere l’esistenza della causa di invalidità del contratto (la demanialità del terreno) non ha dato notizia l’altra parte che ha, di conseguenza, risentito un danno per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto (Cass., sez. 2, 26/10/1994, n. 8778; in tal senso anche Cass., sez. 1, 12/10/1970, n. 1948, in una fattispecie in cui un comune si era impegnato a cedere all’attore un’area che doveva essere espropriata
in danno di terzi prima dell’approvazione della deliberazione da parte dell’autorità tutoria, ed il comune aveva concesso all’attore la licenza di  costruzione  sull’area  predetta  e  questi  aveva  intrapreso  la costruzione di un nuovo edificio; con successiva revoca della licenza da parte del RAGIONE_SOCIALE).
Va poi rimarcato che se la causa di invalidità del negozio deriva da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali da dover essere note per presunzione assoluta la generalità dei cittadini e – comunque – tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa contrattuale a carico dell’altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l’esistenza delle norme stesse (Cass., n. 10156 del 2016; Cass. n. 6337 del 1998; Cass., 11/7/1972 n. 2325, ove si fa riferimento alla causa di invalidità del negozio costituita dal difetto della forma scritta di un contratto stipulato un comune; anche Cass., sez. 2, 9/10/1979, n. 5240).
Sulla stessa linea interpretativa si pone la pronuncia a sezioni unite di questa Corte, con riguardo al contratto di cessione in proprietà di alloggio economico popolare, il quale sia affetto da nullità, per avere l’amministrazione cedente determinato il prezzo in misura inferiore a quella prescritta dalle norme di legge disciplinanti la cessione medesima, non essendo configurabile una responsabilità precontrattuale della PA, in quanto la suddetta causa di invalidità, ancorché nota alla p.a. e taciuta al cessionario, deriva da disposizioni di legge (Cass., Sez.U., 11/2/1982, n. 835).
10.  Non  si  può,  dunque,  dimenticare  il  precedente  di  questa Corte (Cass., 13/12/2018, n. 32314; prima Cass., sez. 1, 21/11/2011, n. 24438; Cass., sez. 1, 12/7/2016, n. 14188) per cui si è sottolineata la circostanza che le società aggiudicatrici
dell’appalto, poi divenuto inefficace per annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione  «erano state ben consapevoli, al momento del contratto,  non  solo  della  pendenza  del  giudizio  amministrativo sull’aggiudicazione, ma  anche  dalla natura delle questioni ivi sollevate; e difatti in quel giudizio se si erano costituite resistendo».
Dinanzi a tale situazione fattuale, questa Corte ha ritenuto che «una simile premessa, che implica per l’appunto valutazioni in fatto, non censurate e comunque non sindacabili in sede di legittimità, la Corte d’appello ha dedotto che l’esecuzione del contratto in pendenza dei giudizi suddetti era conseguita alla posizione autonomamente assunta dalle società, che avevano altrettanto autonomamente confidato sulla validità della procedura di aggiudicazione; e difatti non solo non era emerso che le società medesime si fossero in qualche modo opposte all’opportunità di dare esecuzione al contratto nonostante le impugnative pendenti, ma neppure era stata da esse prospettata – alla amministrazione appaltante – l’eventualità di una sospensione in attesa dell’esito del procedimento dinanzi al Tar».
Per questa Corte (Cass., n. 32314 del 2018), dunque, tale motivazione «non contiene errori di diritto: essa semplicemente è tesa a escludere, in termini plausibili e involgenti apprezzamenti in ordine allo stato soggettivo di affidamento non incolpevole della aggiudicataria, che vi era stata una lesione ingenerata dal provvedimento di aggiudicazione, la cui contestata legittimità si sarebbe potuta (e dovuta) riconsiderare proprio in base alle ragioni del gravame, ben note alla appaltatrice da epoca anteriore finanche al contratto, oltre che all’inizio dell’esecuzione».
Si aggiunge, in quella ordinanza, che «le impugnativa dinanzi al Tar erano state avanzate a novembre dell’anno 2004, che il contratto era stato stipulato nel successivo mese di dicembre e che il progetto
definitivo dell’opera era stato consegnato dalla società […] a giugno del 2005».
È stato allora escluso «un affidamento incolpevole, dal momento che  la  stessa  stipulazione  del  contratto,  oltre  che  ovviamente  la relativa sua esecuzione, erano avvenuti dopo la presentazione dei ricorsi in sede giurisdizionale e nonostante che le stesse società si fossero  costituite  in  quei  giudizi  concordando  sulla  linea  difensiva dell’amministrazione in ordine alla legittimità dell’aggiudicazione».
Già  in  precedenza,  si  era  affermato  che  l’art.  1338  c.c.  trova applicazione  in  ogni  contratto,  privato  o  ad  evidenza  pubblica, qualora  una  parte  ignori  una  causa  di  invalidità  del  negozio  nota controparte quando questa fosse tenuta a conoscerla (Cass.,  sez. 1, 21/11/2011, n. 24438).
Insomma,  tale  motivazione  è  esportabile  quasi  integralmente nella vicenda in esame.
11. Tuttavia, già in precedenza si era affermato che era esclusa la responsabilità della PA, per omessa informazione, in presenza di invalidità derivanti dall’affidamento di un contratto a trattativa privata anziché con il metodo della licitazione privata (Cass., n. 11135 del 2009), dalla mancanza dei requisiti per partecipare alla gara conclusasi con l’aggiudicazione annullata in sede giurisdizionale (cass., n. 7481 del 2007), dal difetto di forma scritta del contratto (Cass., n. 4635 del 2006), dall’incommerciabilità della res (Cass., n. 1987 del 1985), dal fatto che il prezzo di cessione in proprietà di alloggio economico popolare sia inferiore a quello determinabile per legge (Cass., Sez.U., n. 835 del 1982).
Si è rimarcato che costituisce affermazione costante di legittimità quella  per  cui  la  responsabilità  prevista  dall’art.  1338  c.c.,  a differenza di quella di cui all’art. 1337 c.c., tutela l’affidamento di una  delle  parti  non  nella  conclusione  del  contratto,  ma  nella  sua
validità, sicché non è configurabile una responsabilità precontrattuale della PA «ove l’invalidità del contratto derivi da norme generali, da presumersi note alla generalità dei consociati e, quindi, tali da escludere l’affidamento incolpevole della parte adempiente (Cass., sez. 1, 12/5/2015, n. 9636, in motivazione, ove si precisa anche che tale principio è estensibile alle cause di inefficacia del contratto tra le quali rientra la mancata approvazione del contratto stipulato dalla p.a., nei cui confronti è configurabile la responsabilità in applicazione analogica dei principi fissati dall’art. 1338 c.c.; anche Cass., Sez.U., n. 5328 del 1978).
12.  La  Corte  d’appello,  infatti,  con  pieno  giudizio  meritale  ha ritenuto che i vizi che inficiavano la gara ad evidenza pubblica indetta dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE erano di estrema gravità, e quindi percepibili immediatamente da un operatore specializzato quale la società RAGIONE_SOCIALE che operava proprio nei rapporti con la pubblica amministrazione.
I  requisiti  di  massima  per  l’aggiudicazione  erano  stati  infatti individuati solo dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte per la  partecipazione  alla  gara;  il  che  implicava  una  grave  violazione delle  regole  dell’evidenza  pubblica  e  della  concorrenza  in  fase  di gara.
Con estrema chiarezza, infatti, la Corte territoriale ha rilevato che «nel caso concreto erano stati censurati vizi procedimentali di tale evidenza e prima facie [percepibilità], ossia la violazione di norme di carattere generale, che non possono non considerarsi note alla generalità dei consociati, ed a maggior ragione alla RAGIONE_SOCIALE che, proprio per la specifica attività professionale svolta, aveva contatti con la p.a. e certamente conosceva, o comunque avrebbe dovuto conoscere, la normativa in materia di RAGIONE_SOCIALE pubblici».
Ha chiarito la Corte d’appello che «nel caso concreto non può fondatamente ritenersi che i criteri successivamente indicati, fonte
della illegittimità, fossero mere specificazioni di quelli originari, e quindi non vi fosse certezza ‘ ab origine ‘ della loro illegittimità, come dedotto dal fallimento; invero, proprio la delibera del luglio 1984, con la quale era stato dato incarico alla giunta municipale di ‘condurre trattative’ con la RAGIONE_SOCIALE al fine di rendere l’opera non solo più rispondente ai fini da raggiungere, ma anche più economica, evidenziava, senza margini di dubbio, che in concreto detti criteri si andavano a determinare dopo l’apertura delle buste».
Il mancato affidamento incolpevole della RAGIONE_SOCIALE emergeva, per la Corte d’appello, in quanto, pur essendo a conoscenza della pendenza del ricorso della COGNOME, «non solo non aveva in alcun modo prospettato al RAGIONE_SOCIALE l’opportunità di una maggiore prudenza, o differimento della stipulazione e decorrenza dell’appalto, ma aveva addirittura di propria esclusiva ed autonoma iniziativa provveduto all’acquisto di mezzi per l’esecuzione del contratto che non erano neppure previsti né richiesti».
Il giudizio della Corte d’appello e, quindi, preciso e completo, con una disamina analitica del merito della controversia, con l’utilizzo di criteri  razionali  e  condivisibili,  che  non  possono  essere  oggetto  di censura in questa sede.
Quanto all’erroneo utilizzo delle presunzioni, si rileva che, in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a
fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass., sez. L, 16/11/2018, n. 29635).
Tuttavia,  nella  specie,  la  Corte  d’appello  ha  compiuto  una analitica e precisa disamina di tutti gli elementi istruttori, sicché, in realtà,  il  ricorrente  chiede  una  nuova  valutazione  degli  stessi,  già correttamente  scrutinati  dalla  Corte  territoriale,  non  consentita  in questa sede.
La Corte d’appello, infatti, ha correttamente valorizzato, ai fini della prova della conoscenza dei vizi della gara da parte della RAGIONE_SOCIALE, poi fallita, sia la plateale violazione delle regole basilari delle gare pubbliche, con fissazione dei principi e dei parametri oggettivi di gara successivamente all’apertura delle buste contenenti le offerte, sia la notificazione alla RAGIONE_SOCIALE del ricorso dinanzi al Tar Sardegna proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, sia la costituzione nel giudizio dinanzi al Tar Sardegna della medesima RAGIONE_SOCIALE.
Va dunque applicato il principio giurisprudenziale per cui, in tema di presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., la denunciata mancata applicazione di un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare, ove il giudice di merito non abbia motivato alcunché al riguardo (e non si verta nella diversa ipotesi in cui la medesima denuncia sia stata oggetto di un motivo di appello contro la sentenza di primo grado, nel qual caso il silenzio del giudice può essere dedotto come omissione di pronuncia su motivo di appello), non è deducibile come vizio di violazione di norma di diritto, bensì solo ai sensi e nei limiti dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., cioè come omesso esame di un fatto secondario (dedotto come giustificativo dell’inferenza di un fatto ignoto principale), purché decisivo (Cass., sez. 3, 6/7/2018, n. 17720).
 Le  spese  del  giudizio  di  legittimità  vanno  poste,  per  il principio della soccombenza, a carico del ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le  spese  del  giudizio  di  legittimità,  che  si  liquidano  in  complessivi euro 15.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 novembre