Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27102 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27102 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4177/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore, dall’AVV_NOTAIO, p.e.c.: , elettivamente domiciliata presso lo studio del l’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, da ll’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso lo studio del l’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Venezia n. 5010/2019, pubblicata in data 13 novembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Verona rigettava la domanda avanzata da RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) nei confronti di RAGIONE_SOCIALE al fine di sentire dichiarare la convenuta responsabile per culpa in contrahendo in relazione all’interruzione delle trattative volte alla stipula di un contratto preliminare di compravendita di un’area a destinazione commerciale, di proprietà di terzi.
L’appello, proposto dalla soccombente, è stato rigettato.
La Corte d’appello di Venezia, nell’evidenziare che il giudice di primo grado aveva ritenuto l’infondatezza della domanda per non avere mai avuto la società attrice alcun contatto diretto con la RAGIONE_SOCIALE, poi incorporata nella RAGIONE_SOCIALE, in quanto la trattativa era stata condotta dall’architetto COGNOME, libero professionista e consulente della società, ha confermato, sul punto, la sentenza impugnata, precisando che il COGNOME non era munito di alcuna procura scritta, cosicché non poteva essere invocato il principio dell’affidamento.
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per la cassazione della suddetta decisione, affidato a cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
Le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, deducendo la ‹‹ nullità della sentenza impugnata per vizio di costituzione del Giudice ex art. 158 c.p.c. in dipendenza dell’accoglimento dell’eccezione di incostituzionalità degli artt. 62, comma 1, 65, commi 1 e 4, 66, 67, commi 1 e 2, 68, comma 1, 72, comma 1, del Decreto Legge 21.6.2013, n. 6, convertito con modificazioni nella legge 9.8.2013, 98, siccome in contrasto con gli artt. 102, comma 1, 106, comma 1 e 2, della Costituzione (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.)››, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è affetta da nullità in quanto il Collegio giudicante in appello era composto da un giudice onorario.
Rappresentando che l’indicata eccezione di incostituzionalità è conforme alle ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale del 9 dicembre 2019 nn. 32032 e 32033 di questa Corte, chiede, preliminarmente, la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Il motivo è infondato, in quanto la questione sollevata deve ritenersi ormai superata.
Questa Corte, con due distinte ordinanze del 9 dicembre 2019, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 62, comma 1, 65, commi 1, e 4, 66, 67, commi 1 e 2, 68, comma 1, e 72, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, conv. con modif. nella I. n. 98 del 2013, in riferimento all’art. 106, secondo comma, della Costituzione e agli artt. 102, primo comma, e 106, primo comma, Cost., nella parte in cui conferiscono al giudice ausiliario di appello lo status di componente dei collegi delle sezioni della corte d’appello.
Con la sentenza n. 41 del 2021, la Corte costituzionale, pur dichiarando incostituzionali le predette norme, ha stabilito che le Corti d’appello potranno, tuttavia, continuare ad avvalersi legittimamente dei giudici ausiliari per ridurre l’arretrato fino a quando, entro la data del 31 ottobre 2025, si perverrà ad una riforma complessiva della
magistratura onoraria, nel rispetto dei principi costituzionali. Fino ad allora, la «temporanea tollerabilità costituzionale» dell’attuale assetto è volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti d’appello dell’apporto di questi giudici onorari per la riduzione dell’arretrato nelle cause civili.
Con il secondo motivo, in via subordinata al primo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, art. 11, comma 6, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ..
Evidenzia che la norma richiamata in rubrica dispone: ‹‹ Non possono essere assegnati, a norma del comma 1, ai giudici onorari di pace: a) per il settore civile: (…) 2) i procedimenti di impugnazione avverso i provvedimenti del giudice di pace ›› ; conseguentemente, essendo stata la sentenza di primo grado pronunciata da Giudice onorario di Pace, il Collegio decidente in appello non avrebbe potuto essere costituito, come avvenuto nel caso di specie, da un Giudice onorario di Pace.
2.1. Anche il secondo motivo è infondato.
2.2. Come emerge evidente dal testo della disposizione normativa invocata, l’art. 11 citato, nell’escludere che possano essere assegnati ai Giudici onorari i procedimenti di impugnazione avverso i provvedimenti ‘del giudice di pace’, fa riferimento all’ufficio giudiziario del Giudice di Pace; pertanto, secondo la disposizione, non possono essere assegnati ai Giudici onorari in servizio presso il Tribunale i procedimenti di impugnazione avverso i provvedimenti emessi dal Giudice di Pace.
Nel caso de quo , il Giudice ausiliario ha partecipato alla deliberazione della decisione in questa sede impugnata quale componente del Collegio, e non quale Giudice unico, sicché la
decisione non è riferibile al singolo componente, ma al Collegio nel suo complesso; il che impone di non ravvisare la violazione denunciata.
Con il terzo motivo, in via ulteriormente subordinata, la ricorrente denunzia ‹‹l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, quale quello che la società RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE) avesse eseguito con l’arch. AVV_NOTAIO il sopralluogo del fondo, fosse stata tenuta al corrente di tutte le trattative con RAGIONE_SOCIALE, gli avesse fornito tutta la documentazione contrattuale e tecnica da sottoporle per poter pervenire alla stipula del contratto di compravendita con l’edificazione del centro commerciale (come specificato nell’oggetto del giudizio), dandogli, infine, la disposizione per l’interruzione delle trattative ‘per scelta della famiglia COGNOME‘ (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.)››.
Lamenta che il giudice d’appello a vrebbe ignorato il fatto decisivo che l’arch. COGNOME facesse parte dell’organizzazione commerciale della società RAGIONE_SOCIALE, come dallo stesso affermato e come confermato da un teste, che lo aveva definito ‹‹ responsabile dello sviluppo della RAGIONE_SOCIALE› , come tale pienamente legittimato alla partecipazione alle trattative finalizzate all’acquisto dell’immobile . In particolare, evidenzia che, nell’atto di appello, aveva posto in rilievo che l’arch. COGNOME si era presentato ‹‹ esibendo un biglietto da visita riportante (…) tutte le referenze della società RAGIONE_SOCIALE accanto al suo nome, e senza alcuna indicazione di una sua eventuale autonomia professionale ….›› e che dalla documentazione prodotta e dalle prove raccolte emergeva la sua partecipazione a ll’organizzazione commerciale della società RAGIONE_SOCIALE, che, di conseguenza, doveva ritenersi responsabile per avere interrotto le trattative.
La censura è infondata, in quanto la Corte d’appello ha preso in esame la circostanza che si assume essere stata trascurata, come chiaramente emerge dal punto 6) della motivazione della sentenza gravata, e si è espressamente pronunciata al riguardo, accertando, con adeguata motivazione, che ‹‹in corso di causa è stato provato che l’architetto era solo un consulente dell’appellata, non è mai stato suo dipendente, né ha mai avuto poteri di rappresentanza o ha speso il nome della società››.
A tale convincimento il giudice di merito è pervenuto sulla base delle risultanze istruttorie raccolte, in particolare in esito non alla sola testimonianza dello stesso COGNOME -che ha riferito di collaborare con la famiglia COGNOME in qualità di consulente per l’acquisizione di nuove proprietà immobiliari e di essere un libero professionista -ma anche alla luce della deposizione del teste COGNOME, il quale, sentito su tale circostanza, ha confermato che il COGNOME rivestiva la qualità di ‘consulente/segnalatore’ e non era soggetto facente parte della struttura organica della RAGIONE_SOCIALE, né rivestiva la qualifica di responsabile dello sviluppo del gruppo RAGIONE_SOCIALE.
La doglianza in esame si scontra, dunque, con l’apprezzamento delle prove operato dalla Corte d’appello e rimane estranea al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché è volta a criticare il ‘convincimento’ che il giudice si è formato ex art. 116 cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, ed operando il conseguente giudizio di prevalenza (Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892; Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054; Cass., sez. U, 22/09/2014, n. 19881).
Occorre qui ribadire che, laddove non si contesti l’inesistenza del requisito motivazionale della sentenza, il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. può essere dedotto soltanto in caso di
omesso esame di un ‹‹ fatto storico ›› controverso, che sia stato oggetto di discussione e appaia ‘decisivo’ ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali -acquisiti al rilevante probatorio -ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass., n. 8053/14, cit.; Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940).
4. Con il quarto motivo, in via ancor più subordinata, la ricorrente censura la decisione gravata per ‹‹violazione dell’art. 1337 cod. civ. siccome classificante la responsabilità da esso prevista come un tipo di responsabilità extracontrattuale e non, invece, responsabilità di tipo contrattuale (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.)››, per avere i giudici di appello ritenuto che sarebbe stato onere della stessa appellante dimostrare che l’interruzione delle trattative da parte della COGNOME, prive di qualsiasi motivazione, fosse stata compiuta in mala fede, trattandosi di responsabilità extracontrattuale. Sostiene, al contrario, che, dovendo la responsabilità precontrattuale essere inquadrata nella responsabilità di tipo contrattuale da contatto sociale qualificato, dovesse essere la COGNOME a dimostrare le ragioni che l’avevano indotta ad interrompere le trattative quando ormai l’accordo era completo in tutti i suoi punti.
La censura è infondata.
Costituisce, infatti, principio consolidato in materia che la responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta, posta dall’art. 1337 cod. civ. a tutela del corretto dipanarsi dell’iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell’onere della prova. Ne consegue che,
qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, grava non su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma de qua (Cass., sez. 2, 03/10/2019, n. 24738; Cass., sez. 3, 29/07/2011, n. 16735; Cass., sez. 3, 05/08/2004, n. 15040).
5. Con il quinto motivo, in via subordinata, la ricorrente denunzia ‹‹l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, quale quello dell’assenza di indicazioni da parte di RAGIONE_SOCIALE delle ragioni di interruzione delle trattative, in relazione all’applicazione dell’art. 1337 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.)››. Ribadisce che la RAGIONE_SOCIALE non aveva specificato in cosa sarebbero consistiti i ‘presupposti che riteneva essenziali’ per la stipulazione del contratto e che l’assenza di giustificazione costituiva prova di per sé della malafede del soggetto da cui proveniva l’interruzione delle trattative.
Il quinto motivo non si sottrae alla declaratoria d’inammissibilità .
Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale, occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; la verifica della ricorrenza di tutti tali elementi si risolve in un accertamento di fatto riservato al
giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivato (cfr. Cass., sez. 2, 15/04/2016, n. 7545; Cass., sez. 2, 16/11/2021, n. 34510).
Nel quadro così delineato si rileva quanto segue.
La società ricorrente, con il motivo in disamina, senza dubbio sollecita questa Corte al riesame del giudizio di fatto svolto dai giudici di appello e, conseguentemente, si applica al caso di specie la previsione di cui all’art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ., che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello ‹‹ che conferma la decisione di primo grado ›› (cfr. Cass., sez. 5, 18/12/2014, n. 26860). In ipotesi di cd. ‹‹ doppia conforme ›› , ex art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ., il ricorrente per cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. -deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass., 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. 3, 28/02/2023, n. 5947; Cass., sez. 3, 20/09/2023, n. 26934). Tale onere non è stato assolto dalla ricorrente.
A tanto deve aggiungersi che, in ogni caso, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. pro. civ. introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (cfr. Cass., sez. 2, 14/06/2017, n. 14802; Cass., sez. 1, 18/10/2018, n. 26305; Cass., sez. 2, 26/04/2022, n. 13024).
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 dl 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione