Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 29696 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 29696 Anno 2025
Presidente: CONDELLO NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23571/2024 R.G. proposto da: COGNOME NOME, titolare dell’omonima Impresa Individuale, e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), con domicilio digitale ex lege ;
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del dirigente procuratore, NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), con domicilio digitale ex lege ;
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE d’appello di MILANO n. 975/2024, depositata il 02/04/2024. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 9711/2022, respingeva l’opposizione al decreto n. 470/2019 con cui era stato ingiunto a NOME COGNOME e ad NOME COGNOME il pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE , di euro 110.947,76 per l’inadempimento da parte della COGNOME delle obbligazioni, garantite dal COGNOME, assunte con la stipulazione del contratto di affiliazione commerciale del 6/10/2016; accertava la risoluzione ipso iure del suddetto contratto, ritenendo che la RAGIONE_SOCIALE si fosse legittimamente avvalsa, con lettera del 18/9/18, della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 21.1 lett. g); condannava gli opponenti a restituire all’opposta tutto il materiale (libri etc.) nella misura accertata dal CTU e, in caso di mancato reperimento o di mancata restituzione dei medesimi, li condannava al pagamento dell’equivalente in denaro; inibiva agli opponenti l’uso del marchio, dell’insegna e delle altre proprietà intellettuali dell’affiliante e ne imponeva l’immediata rimozione; condannava NOME COGNOME al pagamento di euro 100,00 per ogni giorno di indebito utilizzo decorsi 30 giorni dalla pubblicazione della sentenza sino alla rimozione dell’insegna; regolava le spese di lite e di C.T.U.
Detta pronuncia veniva confermata dalla Corte d’appello di Milano che, con la sentenza n. 975/2024, depositata il 02/04/2024, rigettava l’appello proposto dalla COGNOME e dal COGNOME; accertava il passaggio in giudicato dell’intervenuta risoluzione del contratto di affiliazione intercorso tra le parti, della condanna restitutoria, del divieto a carico degli appellanti di utilizzare il marchio, l’insegna e le altre proprietà intellettuali della RAGIONE_SOCIALE e, quindi, della condanna a rimuovere le suddette insegne, della rinuncia alla
domanda riconvenzionale dell’affiliata, diretta ad ottenere la condanna di RAGIONE_SOCIALE ad adempiere le obbligazioni dalla stessa assunte col contratto di affiliazione commerciale e, quanto alla richiesta degli appellanti di risarcimento del danno (quantificato in euro 337.536,76 per danno patrimoniale, euro 100.000,00 per danno non patrimoniale ed euro 100.000,00 per danno morale), rilevava:
che gli inadempimenti asseritamente causa dei danni non erano stati specificamente dedotti;
che quelli elencati dal n. 5 al n. 9 non erano stati più lamentati nella comparsa conclusionale in primo grado;
che quelli di cui ai nn. 6, 7 e 8, riguardando la consegna e il pagamento dei libri, erano stati oggetto della C.T.U.;
-che l’inadempimento indicato al n. 9 non era comprensibilmente denunciato;
che quello di cui al n. 5 risultava del tutto generico;
che nessuno degli obblighi, elencati dal punto 1 al punto 5, era previsto dal contratto di affiliazione commerciale;
che non aveva fondamento la pretesa degli appellanti di far discendere detti obblighi dal contenuto del sito internet della RAGIONE_SOCIALE, nella parte in cui quest’ultima invitava chiunque fosse interessato ad affiliarsi a RAGIONE_SOCIALE e in cui, tra i vantaggi offerti all’aspirante affiliato, si indicavano anche quelli asseritamente ritenuti inadempiuti, di cui ai punti da 1 a 5, perché il suddetto invito costituiva offerta al pubblico ai sensi dell’art. 1336 cod. civ. e non una proposta contrattuale;
che il vincolo tra le parti derivava dal contratto di affiliazione stipulato il 16 ottobre 2016, e non già dalle dichiarazioni della RAGIONE_SOCIALE contenute nell’annuncio pubblicato sul suo sito Internet;
-che comunque il fatto indicato come inadempimento n. 1 non sussisteva, in quanto il Conto Economico Previsionale, effettivamente inviato, come promesso nel sito Internet, da
RAGIONE_SOCIALE nel giugno 2016, prima cioè della conclusione del contratto di affiliazione, in cui veniva ipotizzato, peraltro sulla base di dati forniti dagli aspiranti affiliati, un presumibile fatturato annuo pari a euro 260.000,00, non conteneva alcuna garanzia del raggiungimento di detto risultato, essendo indicato come ‘Ipotesi di conto economico’;
che mancava la prova della falsità dei dati esposti da RAGIONE_SOCIALE nel suddetto Conto Economico Previsionale e/o della deliberata erroneità della previsione o della negligente formulazione della stessa;
-che l’inadempimento di cui al n. 4 non sussisteva, avendo la RAGIONE_SOCIALE attuato, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, ‘un ricco calendario di campagne promozionali ed eventi esclusivi’, come promesso nel sito Internet;
che la mancata predisposizione della formazione e di corsi di aggiornamento e la mancata promozione di visibilità specifica del punto vendita dell’appellante, così come l’erroneità della previsione di ricavato ottenibile, di cui al Conto Economico Previsionale comunicato agli appellanti, avrebbero potuto, tutt’al più, legittimare l’affiliata a proporre l’azione di annullamento per dolo ai sensi dell’art. 8 L. 129/2004 o l’azione di responsabilità precontrattuale per violazione degli obblighi precontrattuali di cui all’art. 6 L. 129/2004;
che non era stata proposta alcuna argomentazione a sostegno della effettiva sussistenza del diritto al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento contrattuale attribuito a RAGIONE_SOCIALE;
che, pur ipotizzando che fosse stata proposta azione diretta ad ottenere il risarcimento (anche) a titolo di responsabilità precontrattuale, in quanto il danno patrimoniale lamentato sarebbe stato causato dalla condotta tenuta dall’affiliante prima della stipulazione del contratto di affiliazione commerciale, in violazione
di dell’art. 6 L. 129/2004, il danno risarcibile, ammesso che risultasse accertata l’effettiva violazione da parte di RAGIONE_SOCIALE della norma in questione, sarebbe stato costituito «dalla perdita patrimoniale subìta dall’affiliata per il fatto di aver concluso il contratto facendo affidamento sul fatto che l’affiliante effettivamente attuasse tutte le condotte pubblicizzate nel sito Internet che non avrebbe, invece, poi attuato, e sul fatto che la previsione di ricavato contenuta nel Conto Economico Previsionale fosse attendibile, mentre si sarebbe rivelata erronea e non quello che avrebbe potuto essere evitato, qualora la controparte in tale fase si fosse comportata correttamente, cioè non avesse fatto promesse, poi non mantenute, nella conclusione e nell’esecuzione del contratto o facendo previsioni rivelatesi errate»;
che non era stata neppure allegata una perdita patrimoniale provocata dal fatto di non aver potuto svolgere durante il periodo di vigenza del contratto altra attività imprenditoriale o comunque altra attività lavorativa produttiva di reddito;
che né il danno non patrimoniale né quello morale (la cui distinzione neppure era stata giustificata), anche senza considerare l’assenza di alcun inadempimento da parte della RAGIONE_SOCIALE, potevano essere riconosciuti non essendosi realizzata la lesione di alcun bene di rilevanza costituzionale (quale la vita, la salute o l’onore);
-che l’importo recato dal decreto ingiuntivo era quello effettivamente dovuto.
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrevano per la cassazione di detta sentenza, formulando sette motivi, cui RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso.
Il Consigliere delegato formulava una proposta di definizione accelerata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., con cui prospettava il rigetto del ricorso.
Avendo NOME COGNOME e NOME COGNOME chiesto ritualmente e tempestivamente la decisione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis , secondo comma, cod. proc. civ., la trattazione dello stesso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis. 1. cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunziano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1336 cod. civ. ( ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) e/o omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ( ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.).
I ricorrenti contestano che la pagina del sito Internet della controricorrente non contenesse tutti gli elementi essenziali del contratto di affiliazione commerciale e denunciano l’«evidente travisamento della realtà, frutto di un altrettanto evidente omesso corretto esame circa un fatto decisivo per il giudizio (la pressoché perfetta corrispondenza fra l’elenco di elementi di cui all’art. 3, comma 4, della Legge 06 maggio 2004, n. 129 e l’elenco di ‘vantaggi’ di cui alla pagina internet di parte resistente, versata in atti) e/o di una comunque evidente violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1336 cod. civ.».
Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1326 cod. civ. e/o dell’art. 112 cod. proc. civ. ( ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) e/o la nullità della sentenza ( ex artt. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 112 cod. proc. civ.) e/o l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ( ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), per avere il giudice a quo infondatamente affermato che «COGNOME, pacificamente, non ha affatto comunicato a RAGIONE_SOCIALE la sua accettazione dell’asserita suddetta offerta al pubblico (in ordine a tale circostanza nessun documento viene prodotto né viene formulato alcun capitolo di prova testimoniale), ma ha invece concluso un contratto scritto di franchising, avente un contenuto
specifico e determinato»: innanzitutto, avrebbe accolto un’eccezione di mancata accettazione dell’offerta al pubblico mai sollevata da RAGIONE_SOCIALE , in palese violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nella parte in cui vieta, appunto, al giudice di «pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti»; in secondo luogo, avrebbe violato l’art. 1326 cod. civ., perché «nei contratti che esigono la forma scritta ” ad substantiam ” e siano conclusi tra persone lontane, la forma dell’accettazione, su cui ricade il vincolo formale a pena di nullità, deve essere tenuta distinta dalla forma della comunicazione dell’accettazione – ossia dei mezzi di conoscenza dell’avvenuta accettazione per iscritto -che non esige alcun vincolo formale, sicché, ai fini della loro conclusione, è sufficiente che il proponente abbia avuto mera notizia dell’accettazione scritta della proposta, senza necessità della sua trasmissione» (così Cass., sez. 2, 18/01/2023, n. 1462) e -in aggiunta – non avrebbe esaminato la e-mail inviata da RAGIONE_SOCIALE il 7 marzo 2016 (quindi oltre sette mesi prima della firma del contratto definitivo), diretta alla «redazione di un conto economico e di un preventivo/layout per un approfondimento sulla fattibilità del progetto franchising»; di conseguenza, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che il rapporto tra le parti era regolato esclusivamente dal contratto stipulato il 16 ottobre 2016, e non già dalle dichiarazioni di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contenute nel suddetto annuncio, pubblicato sul suo sito Internet; contratto di affiliazione commerciale che, come detto, non prevedeva, secondo il giudice a quo , a carico dell’affiliante nessuna delle obbligazioni di cui l’affiliata lamentava l’inadempimento, salvo un generico riferimento, contenuto nelle premesse del contratto, al fatto che «l’Affiliante, attraverso la propria rete di preposti, è in grado di fornire assistenza… all’Affiliato che sarà supportato ed assistito
antecedentemente all’apertura e, successivamente, per tutta la durata del contratto…».
La Corte territoriale, in spregio dell’art. 6, comma 1°, della l. n. 129/2004, secondo cui nel contratto di affiliazione commerciale assumono fondamentale rilievo anche quelli che la norma in questione definisce, testualmente, «Obblighi precontrattuali di comportamento» dell’affiliante, non avrebbe considerato la violazione di detti obblighi.
Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, della Legge n. 129/2004 ( ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.).
La Corte d’Appello infondatamente avrebbe ritenuto che il rapporto tra le parti trovasse fonte solo nel contratto di affiliazione commerciale, omettendo di considerare che l’art. 6, comma 1, della legge n. 129/2004, attribuisce rilievo anche agli «Obblighi precontrattuali di comportamento» dell’affiliante.
Con il quarto motivo parte ricorrente imputa al giudice a quo la violazione o falsa applicazione dell’art. 1460 cod. civ. ( ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), per avere ritenuto non fornita alcuna prova né della falsità dei dati esposti da RAGIONE_SOCIALE nel suddetto Conto Economico Previsionale né della deliberata erroneità della previsione o della negligente formulazione delle prospettive di guadagno, atteso che detto onere spettava alla controparte.
Con il quinto motivo si censurano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1453, primo comma, cod. civ. ( ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) e/o l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ( ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.).
La Corte d’appello, non avendo esaminato un fatto decisivo per il giudizio (l’azione proposta dagli odierni ricorrenti) ed escludendo di poter valutare precedenti sentenze e delibere in materia, perché
non prodotte in giudizio, avrebbe sostenuto «confusamente» che gli appellanti avrebbero potuto «proporre l’azione di responsabilità precontrattuale per violazione degli obblighi precontrattuali di cui all’art. 6 L. 129/2004,2 azione forse confusamente proposta», non solo dimostrando di non avere accertato che tipo di domanda era stata formulata, ma anche cadendo in contraddizione, atteso che ha ritenuto che il rapporto contrattuale tra le parti era regolato esclusivamente dal contratto di stipulato il 16 ottobre 2016, e non già dalle dichiarazioni di RAGIONE_SOCIALE contenute nell’annuncio pubblicato sul suo sito Internet.
6) Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 cod. civ. ( ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) e/o l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ( ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.).
La loro tesi è che la corte territoriale abbia infondatamente ritenuto che «nessuno dei fatti indicati da COGNOME come inadempimento contrattuale costituiva inadempimento delle obbligazioni previste dal contratto di franchising concluso tra le parti e, in particolare, ha erroneamente escluso che RAGIONE_SOCIALE fosse obbligata a procurare l’effettiva realizzazione da parte dell’affiliata del ricavato, solo ipoteticamente previsto nel Conto Economico Previsionale», nonché che abbia violato l’art. 6 della l. n. 129/2004 (anche) quando ha ritenuto non allegata una perdita patrimoniale provocata dal fatto di avere per quasi due anni dato esecuzione al contratto di affiliazione commerciale, neppure facendo riferimento al fatto di non aver potuto svolgere concretamente, nel medesimo periodo temporale, altra attività imprenditoriale o comunque altra attività lavorativa produttiva di reddito e sostenuto che «in ogni caso, il danno derivante da tale responsabilità precontrattuale certamente non potrebbe essere costituito dalla differenza tra il ricavato, asseritamente,
erroneamente previsto da RAGIONE_SOCIALE, e quello effettivamente realizzato dall’affiliata, come da questa sostenuto e richiesto».
I ricorrenti puntualizzano che il danno derivante dall’inadempimento dell’obbligazione non richiede la qualifica dell’ingiustizia, perché la soddisfazione dell’interesse è affidata alla prestazione che forma oggetto dell’obbligazione: vuol dire che la lesione dell’interesse, in cui si concretizza il danno evento, è cagionata dall’inadempimento, perciò, una volta allegato l’inadempimento, il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, delimitati in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra situazione dannosa e situazione quale sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato (Cass. n. 11629/1999; Cass. n. 18832/2016).
Precisano che, avendo allegato la violazione del dovere di buona fede nella esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.), detta violazione avrebbe dovuto essere intesa alla stregua di «diretta violazione degli obblighi contrattualmente assunti e dunque essere suscettiva di determinare un danno patrimoniale nella complessiva estensione riconosciuta dall’ordinamento ex art. 1223 cod. civ., sia per la perdita subita che per il mancato guadagno (Cass. n. 21250/2008, Cass. n. 10549/2020), anche perché i danni derivanti dalla perdita del guadagno di un’attività commerciale per loro stessa natura evidenziano la pratica impossibilità di una precisa dimostrazione» (Cass. n. 31251/2021).
Aggiungono che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, ovvero che, nel caso di specie, RAGIONE_SOCIALE, oltre a non adempiere agli impegni assunti in sede di trattative finalizzate alla conclusione del contratto, aveva reiteratamente cercato di estorcere loro una novazione del contratto originariamente stipulato, con ciò ledendo la loro libertà di determinazione: un bene di rilevanza costituzionale, la cui
lesione avrebbe dovuto giustificare il risarcimento del danno non patrimoniale.
Con il settimo motivo i ricorrenti si dolgono dell’omesso esame di un fatto decisivo ( ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), al fine di valutare la bontà delle risultanze della C.T.U., ovvero che la base dati utilizzata per le analisi che avevano condotto il C.T.U. ad asserire che vi era corrispondenza tra le merci consegnate e quelle in magazzino era la stessa che doveva essere oggetto di valutazione di attendibilità. In pratica, la documentazione che sarebbe stata «da verificare» era, invece, stata utilizzata dal C.T.U. «per verificare» la consistenza del credito vantato da RAGIONE_SOCIALE, rendendo così l’espletata perizia assolutamente irrilevante.
Lo scrutinio di ciascun motivo deve essere preceduto da un rilievo comune a tutti: in presenza di una doppia conforme di merito, data la preclusione processuale di cui all’art. 348 ter , ult. comma, cod. proc. civ., non è deducibile la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., a meno che il deducente non si faccia carico di dimostrare che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, sono tra loro diverse (Cass., sez. 3, 28/02/2023, n. 5947).
8.1) Il che rende inammissibili il settimo motivo e parte dei restanti motivi in cui è stata denunciata la detta violazione. Ciò è dirimente ed assorbe gli ulteriori profili di inammissibilità in cui i ricorrenti sono incorsi nel denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo, dovendosi ricordare che, agli effetti dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non costituisce fatto una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., sez. 6-1, 6/09/2019, n. 22397; Cass., sez. 1, 8/09/2016,
n. 17761; Cass., Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass., sez. 1, 4/04/2014, n. 7983; Cass., sez. 1, 5/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla richiamata norma del codice di rito le argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass., sez. 1, 18/10/2018, n. 26305; Cass., sez. 2, 14/06/2017, n. 14802); gli elementi istruttori (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass., sez. lav., 21/10/2015, n. 21439; Cass., sez. 2, 29/10/2018, n. 27415), sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo oltre i limiti descritti (v. Cass., sez. 3, 25/07/2023, n. 22273).
8.2) Peraltro, quando i ricorrenti censurano tanto la violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto l’omesso esame di un fatto decisivo, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non distinguono, nell’illustrazione del motivo, le argomentazioni a supporto dell’una da quelle a supporto dell’altra denunziata violazione, e non superano l’inammissibilità che deriva dall’applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui non è consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di omesso esame di quegli stessi fatti, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione, a meno che non si isolino le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., non potendo attribuirsi inammissibilmente al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass., sez. lav., 06/02/2024, n. 3397).
Ciò condanna all’inammissibilità il primo motivo.
8.3) Il secondo motivo, nella parte in cui denuncia la ricorrenza di un error in iudicando , è inammissibile perché rivela che i ricorrenti non hanno colto e quindi non hanno efficacemente censurato la ratio decidendi della sentenza impugnata, dalla quale emerge inequivocabilmente che la Corte territoriale ha ritenuto che, essendo stato stipulato il contratto di affiliazione commerciale esso, ed esclusivamente esso, era la fonte del rapporto tra affiliante e affiliata. Il che supera le censure della ricorrente sia di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., perché il giudice a quo si è limitato a confutare il ragionamento degli appellanti, sia di violazione dell’art. 1326 cod.civ.
8.4) La stessa sorte merita il terzo motivo: la Corte territoriale non ha escluso la rilevanza degli obblighi precontrattuali, ma ha ritenuto che la domanda degli appellanti non era stata volta -se non in maniera imprecisa -a lamentare la responsabilità precontrattuale della RAGIONE_SOCIALE
8.5) Il quarto motivo è infondato.
Deve, in materia, essere ribadito il risalente orientamento di questa Corte (Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533 ), a mente del quale «In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altri pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso,
invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione)».
8.6) Il quinto motivo è inammissibile.
Oltre al mancato superamento della preclusione processuale di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ. (v. supra § 8), non è stata colta la ratio decidendi della impugnata sentenza, dalla quale si ricava che la corte territoriale ha ritenuto non dimostrati i presupposti dell’inadempimento né delle obbligazioni contrattuali né di quelle precontrattuali. Non è incorsa, né, in verità, i ricorrenti hanno supportato la loro tesi con argomenti pertinenti, in una erronea e/o ommessa qualificazione della domanda o di una parte della stessa, solo perché ha ritenuto che non era chiaro se gli appellanti avessero lamentato la violazione di obblighi contrattuali o precontrattuali, ma che, in ogni caso, cioè anche ad intendere che si fossero doluti anche della violazione di obblighi assunti nella fase precontrattuale, non era stato dimostrato il denunciato inadempimento.
8.7) Il sesto motivo è inammissibile.
La questione della limitazione della libertà contrattuale, per avere la RAGIONE_SOCIALE cercato di estorcere loro la novazione del contratto, oltre a restare sul piano meramente assertivo, non è chiaro come sia correlabile con l’asserita violazione di obblighi contrattuali e/o di quelli precontrattuali.
E ciò senza considerare che le censure ivi formulate aggrediscono una statuizione resa dalla corte territoriale ad abundantiam , perché, una volta esclusa la responsabilità contrattuale e/o precontrattuale, era superfluo escludere la ricorrenza dei presupposti per il risarcimento del danno patrimoniale e/o non patrimoniale. Il che coinvolge anche la dedotta violazione dell’art. 1226 cod. civ., giacché oltre a doversi stigmatizzare la
sovrapposizione erronea tra an e quantum debeatur che inficia l’illustrazione del motivo di ricorso, va precisato che, per insegnamento costante di questa Corte, la valutazione equitativa presuppone che il danno sia certo nella sua esistenza ontologica (Cass., sez. 6-lav., 19/12/2011, n. 27447), cioè che «la sussistenza di un danno risarcibile nell’ an debeatur sia stata dimostrata ovvero sia incontestata» (Cass., sez. 3, 04/04/2017, n. 8662). Ne consegue che, ove la prova del danno non sia stata raggiunta, non può chiedersi al giudice di creare i presupposti logici e normativi per la liquidazione del danno richiesto (Cass., sez. lav., 04/08/2017, n. 19447).
La ratio della valutazione equitativa, una volta che la prova del danno sia stata raggiunta, e, in mancanza degli elementi necessari per procedere ad una sua puntuale quantificazione, è quella di rimettere al potere-dovere del giudice di sopperire alle eventuali difficoltà di quantificazione del danno, al fine di assicurare l’effettività della tutela risarcitoria (Cass., sez. 2, 06/04/2017, n. 8920; Cass., sez. 3, 05/02/2021, n. 2831) e la ricerca di una omogeneità tra risarcimento accordato e danno risentito; giammai la valutazione equitativa assume valenza surrogatoria della prova del danno, né può pensarsi di utilizzarla per sopperire alla difficoltà di dimostrazione del nesso causale tra l’inadempimento o altra condotta illecita che ne sta alla base ed il danno (Cass., sez. 3, 27/04/2017, n. 10393; Cass., sez. 6-3, 18/03/2022, n. 8941).
All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, in favore della controricorrente, seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Essendo stato il ricorso deciso secondo la proposta di definizione accelerata, la Corte applica l’art. 96, terzo e quarto
comma, cod. proc. civ., come previsto dall’art. 380 bis , ult. comma, cod. proc. civ.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento: a) in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, e agli accessori di legge, e dell’importo di euro 10.000,00, ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.; b) in favore della Cassa delle Ammende, di euro 1.000,00, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 10 ottobre 2025 dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione.
Il Presidente
COGNOME NOME COGNOME CONDELLO