Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7891 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7891 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16866/2022 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOMECODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-controricorrente-
R.G. 16866/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 10/2/2025
C.C. 14/4/2022
RISARCIMENTO DANNI CAUSATI DA INCENDIO.
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di BARI n. 2176/2021 depositata il 23/12/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/02/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Trani, NOME COGNOME, NOME COGNOME e la Regione Puglia, chiedendo che fossero condannati al risarcimento dei danni da lui subiti a causa di un incendio che, sviluppatosi da un terreno di proprietà demaniale, dopo essersi espanso al terreno di proprietà dei convenuti COGNOME-Bari, aveva danneggiato quello di sua proprietà.
A sostegno della domanda richiamò, tra l’altro, l’esito di un accertamento tecnico preventivo, svoltosi dietro sua richiesta, che aveva concluso nel senso che l’incendio aveva preso avvio dalla particella 425 del foglio 157 in agro di Andria, appartenente appunto al demanio.
Si costituirono in giudizio tutti i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda. La Regione, in particolare, eccepì che l’a.t.p. si era svolto senza contraddittorio nei suoi confronti, mentre gli altri, oltre a lamentare la propria estraneità, chiesero che comunque, in caso di condanna, la Regione li tenesse indenne da ogni responsabilità.
Nel corso del giudizio venne svolta una c.t.u. e furono sentiti alcuni testimoni, e la causa fu interrotta per la morte di NOME COGNOME e riassunta nei confronti del COGNOME, divenuto unico proprietario del fondo interessato.
Il Tribunale accolse la domanda e, ripartite le responsabilità nella misura del 70 per cento a carico della Regione e del rimanente 30 per cento a carico del COGNOME, li condannò entrambi in solido al risarcimento dei danni, liquidati nella somma complessiva di euro 52.500, con interessi, rivalutazione ed il carico delle spese di giudizio.
La sentenza è stata impugnata in via principale dalla Regione e in via incidentale dal COGNOME e la Corte d’appello di Bari, con sentenza del 23 dicembre 2021, ha accolto l’appello principale, ha rigettato quello incidentale e, in parziale riforma della decisione del Tribunale, ha rigettato la domanda proposta dal COGNOME nei confronti della Regione, mantenendo ferma la responsabilità minoritaria del solo COGNOME e regolando di conseguenza le spese di lite.
Ha osservato la Corte territoriale, esaminando l’appello principale, che il convincimento del primo giudice, basato sull’esito dell’a.t.p., secondo cui l’incendio si era generato dalla particella 425 suindicata, non era condivisibile. Ed invero doveva ritenersi dimostrato solo che tale particella, di modestissima superficie e non confinante col fondo di proprietà dell’attore COGNOME, era stata interessata in modo marginale dall’incendio ed era incolta, ma da tanto non poteva dedursi con certezza quale fosse stato il punto di innesco dell’incendio. In realtà, dalla prova per testi non era possibile desumere nulla di sicuro; e il c.t.u. nominato nel giudizio di primo grado, intervenuto a circa sei anni dai fatti di causa, non aveva potuto fare altro che ammettere di non poter dire nulla sulla genesi dell’incendio. Solo la relazione redatta in sede di a.t.p. aveva sostenuto la tesi recepita dal Tribunale; mentre la c.t.u. aveva formulato una serie di congetture le quali, di per sé, non offrivano alcuna decisiva indicazione.
In conclusione, l’attività istruttoria svolta consentiva solo di affermare che l’incendio, insorto il 15 giugno 2009, si era protratto anche nella successiva notte del 16 giugno, senza potersi tuttavia indicare con precisione quale fosse stato il punto dell’innesco.
Da tale ricostruzione la Corte di merito ha dedotto che la domanda proposta nei confronti della Regione doveva essere respinta.
Quanto, poi, all’appello incidentale del COGNOME, la sentenza l’ha invece ritenuto infondato, osservando che la superficie del fondo di quest’ultimo era stata interessata dall’incendio per un’area di circa otto ettari, propagandosi da quel fondo verso il fondo di proprietà del COGNOME. Il fondo COGNOME era incolto e pieno di stoppie e di erba secca, cosa che aveva certamente contribuito al propagarsi dell’incendio, mentre si erano rivelate inidonee allo scopo le fasce tagliafuoco ivi esistenti. D’altra parte, ha concluso la Corte barese, la responsabilità da incendio è da inquadrare nell’obbligo di custodia di cui all’art. 2051 cod. civ.; e il COGNOME non aveva offerto alcuna prova del caso fortuito, per cui la sua responsabilità doveva rimanere confermata.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Bari propone ricorso NOME COGNOME con atto affidato a cinque motivi.
Resistono NOME COGNOME e la Regione Puglia con due separati controricorsi.
NOME COGNOME ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. oltre ad omesso esame di un fatto decisivo.
Il ricorrente ricorda di aver prodotto, nel corso del giudizio di appello, la sentenza pronunciata dal Tribunale di Trani in un diverso giudizio, vertente tra NOME e NOME COGNOME (sempre quali eredi di NOME COGNOME) e la Regione Puglia e un tale NOME COGNOME (sentenza 14 ottobre 2020, n. 1511), avente ad oggetto il medesimo incendio. Quel giudizio si era concluso con l’accertamento della sussistenza della responsabilità della Regione Puglia, accertamento che dovrebbe fare stato anche nel presente giudizio. La sentenza impugnata, invece, non si sarebbe in alcun
modo occupata di quella decisione, ritenendo di poterla disattendere.
1.1. Il motivo, inammissibile per certi aspetti, è comunque privo di fondamento.
L’odierno ricorrente ha dichiarato di aver depositato nel giudizio di appello la sentenza n. 1511 del 2020 resa dal Tribunale di Trani, in grado di appello, nel procedimento riguardante le parti suindicate e da tanto fa discendere la presunta violazione dell’art. 2909 cod. civ. sul rilievo che quella sentenza dovrebbe fare stato anche nel presente giudizio, sicché la responsabilità della Regione Puglia non sarebbe ormai più in discussione.
Il Collegio osserva che la censura -in disparte la ragione di inammissibilità derivante dal fatto che il ricorrente non indica se, come e dove abbia messo la citata sentenza a disposizione di questa Corte, con conseguente violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. -è priva di fondamento per due concorrenti ragioni. Da un lato, perché il ricorrente non indica e non prova che quella sentenza sia davvero passata in giudicato; e dall’altro perché comunque, in considerazione della parziale diversità delle parti, non è comunque invocabile alcuna lesione del giudicato (esterno). Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, infatti, quello per cui l’autorità del giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone, quindi, che la causa precedente e quella in atto abbiano in comune, oltre ai soggetti, anche il petitum e la causa petendi , restando irrilevante, a tal fine, l’eventuale identità delle questioni giuridiche o di fatto da esaminare per pervenire alla decisione (così, da ultimo, l’ordinanza 14 dicembre 2024, n. 32545). Ne consegue che l’autorità della sentenza invocata avrebbe, tutt’al più, potuto costituire un elemento soggetto alla libera valutazione del giudice, il che esclude la sussistenza della prospettata violazione di legge.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’incompletezza della motivazione e al mancato esame della questione riguardante la mancata partecipazione della Regione all’accertamento tecnico preventivo.
La complessa e articolata censura investe la decisione sotto vari profili. Si sostiene, innanzitutto, che la sentenza non sarebbe chiara in relazione al problema del vizio fatto valere dalla Regione in primo grado derivante dal fatto di non essere stata messa a parte dello svolgimento dell’a.t.p.; il Tribunale aveva ritenuto la questione irrilevante in quanto la c.t.u. era stata ripetuta nel giudizio di merito e la Regione non vi aveva ugualmente partecipato. La Corte d’appello avrebbe poi reso una motivazione definita «alquanto insufficiente o comunque contraddittoria» in ordine alla genesi dell’incendio, per aver ritenuto i testi inattendibili in quanto escussi molto tempo dopo i fatti, senza contare che la relazione svolta in sede di a.t.p. non poteva essere contaminata dal trascorrere del tempo. Si aggiunge, poi, che la dinamica dell’incidente quale indicata nella relazione di a.t.p. era stata confermata anche dal c.t.u. nominato nel giudizio di merito e che le deposizioni dei testimoni confermerebbero che l’incendio si era originato sul terreno di proprietà del demanio.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4) cod. proc. civ. oltre ad omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia.
Il motivo ha ad oggetto il rigetto dell’appello incidentale proposto dall’odierno ricorrente. Si sostiene che la Corte d’appello non avrebbe fornito «alcuna sia pur minima motivazione» sulle ragioni per le quali ha ritenuto di attribuire al COGNOME il 30 per cento
della responsabilità del fatto dannoso, piuttosto che una diversa percentuale.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in ordine alle modalità di sviluppo dell’incendio.
Il ricorrente contesta le affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, relative sia al fatto che l’incendio si sarebbe propagato attraverso i fondi del Covelli sia al fatto che l’incendio avrebbe avuto origine su tali fondi, interessando non soltanto un filare di olivi.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., sempre in relazione al rigetto dell’appello incidentale del ricorrente.
Osserva il Covelli che la sentenza sarebbe incorsa in errore di percezione sia in relazione al contenuto delle deposizioni testimoniali che in relazione alle conclusioni rese dal consulente nominato in sede di a.t.p., in particolare là dove ha affrontato il problema del punto di innesco dell’incendio (anche in relazione alla presenza delle stoppie che avrebbero favorito il propagarsi dello stesso).
I motivi dal secondo al quinto, benché tra loro differenti, possono essere trattati congiuntamente, in considerazione dell’evidente connessione che li unisce.
Nonostante in essi il ricorrente formuli censure apparenti di violazione di legge, è palese che tali motivi finiscono tutti col contestare, anche se con diverse modalità, la ricostruzione dei fatti compiuta dalla Corte d’appello. La sentenza impugnata, come si è detto in precedenza, ha dato conto delle ragioni per le quali ha escluso di poter individuare un punto preciso di innesco dell’incendio all’interno della particella n. 425 di proprietà
demaniale e da questo elemento ha tratto la conclusione di dover escludere la responsabilità della Regione. Allo stesso modo, la Corte di merito ha anche spiegato le ragioni per le quali ha respinto l’appello incidentale del COGNOME, odierno ricorrente, ponendo in evidenza i motivi in forza dei quali ha ritenuto di dover mantenere ferma la responsabilità di quest’ultimo a titolo di custodia, non avendo egli provato l’esistenza del fortuito.
Consegue da tale accertamento, sul quale questa Corte non ha possibilità di interloquire, che i motivi di ricorso dal secondo al quinto, aventi ad oggetto il secondo l’accoglimento dell’appello principale della Regione e gli altri il rigetto dell’appello incidentale del ricorrente, sono tutti inammissibili, in quanto rivolti ad ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito.
Il Collegio, infine, ritiene di doversi soffermare anche sul fatto che il controricorrente COGNOME ha sostenuto, in memoria, la tesi secondo cui la conferma della sentenza, conseguente al rigetto dell’odierno ricorso, equivarrebbe al riconoscimento della totale responsabilità del COGNOME, in misura del 100 per cento, relativamente all’incendio oggetto di causa.
La Corte osserva che si tratta di un rilievo palesemente inammissibile, oltre che infondato, per almeno due ragioni. La prima è che il COGNOME non ha proposto ricorso incidentale, dimostrando in tal modo di fare acquiescenza alla sentenza qui in esame; il che esclude che il rigetto del ricorso del COGNOME possa avere le conseguenze sperate dal controricorrente. Oltre a ciò, e ad abundantiam , è appena il caso di osservare che si tratta un profilo del tutto nuovo, mai indicato nel controricorso.
8. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
Ritiene la Corte, peraltro, che in considerazione degli esiti alterni dei due giudizi di merito, la spese del giudizio di cassazione debbano essere compensate tra tutte le parti.
Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza