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Responsabilità per cose in custodia: quando è esclusa?

Una cittadina, caduta a causa di un avvallamento vicino a un tombino nel cimitero comunale, ha citato in giudizio l’ente per ottenere il risarcimento dei danni. La sua richiesta è stata respinta in primo e secondo grado. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, dichiarando il ricorso inammissibile. La motivazione si fonda sulla piena consapevolezza della donna dello stato dei luoghi, ben illuminati e con un ostacolo perfettamente visibile, e su gravi vizi procedurali del ricorso, come la mancata trascrizione dei capitoli di prova testimoniale. L’ordinanza sottolinea come la condotta del danneggiato possa integrare il ‘caso fortuito’, interrompendo il nesso causale ed escludendo la responsabilità per cose in custodia del Comune.

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Pubblicato il 20 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Caduta al cimitero: esclusa la responsabilità per cose in custodia

L’articolo 2051 del Codice Civile stabilisce una forma di responsabilità per cose in custodia, ponendo a carico del proprietario o gestore di un bene l’obbligo di risarcire i danni causati dal bene stesso. Tuttavia, questa responsabilità non è assoluta. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per analizzare i limiti di tale obbligo, chiarendo quando la condotta del danneggiato può escludere il diritto al risarcimento.

I Fatti del Caso: una caduta e la richiesta di risarcimento

Una signora, mentre si trovava presso il cimitero di un comune del Trentino, cadeva riportando diverse lesioni. La causa della caduta veniva individuata in un tombino circondato da un leggero avvallamento presente sul percorso. Ritenendo il Comune responsabile per la cattiva manutenzione dell’area, la donna, dopo un tentativo infruttuoso di mediazione, avviava una causa civile per ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello respingevano la sua domanda, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

Il ricorso in Cassazione e la responsabilità del custode

La ricorrente basava il suo ricorso su due motivi principali. In primo luogo, lamentava la violazione dell’art. 2051 c.c., sostenendo che i giudici di merito avessero erroneamente attribuito la colpa dell’incidente alla sua condotta, qualificandola come “caso fortuito” senza considerare adeguatamente la natura oggettiva della responsabilità per cose in custodia in capo al Comune.

In secondo luogo, denunciava la violazione delle norme sulla prova (artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c.), poiché le era stata negata l’ammissione di prove testimoniali che, a suo dire, avrebbero potuto dimostrare la dinamica dei fatti e la sussistenza del nesso causale tra la condizione del luogo e il danno.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo motivazioni tanto di carattere processuale quanto di merito. I giudici hanno evidenziato come le censure della ricorrente non cogliessero i punti centrali della decisione della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva infatti stabilito che la donna era perfettamente consapevole dello stato dei luoghi, poiché l’area era adeguatamente illuminata e il tombino, con il suo modesto avvallamento, era “perfettamente individuabile”.

In casi come questo, la condotta della persona danneggiata, se connotata da un’evidente disattenzione e dalla mancata adozione delle normali cautele in una situazione di pericolo facilmente percepibile, può interrompere il nesso di causalità. In pratica, la caduta non è causata dalla cosa in custodia (il tombino), ma dal comportamento imprevedibile e anomalo della vittima stessa, che si configura come caso fortuito, l’unica prova liberatoria per il custode.

Oltre a ciò, la Corte ha rilevato gravi carenze procedurali nel ricorso. In particolare, il secondo motivo è stato giudicato inammissibile perché la ricorrente non aveva trascritto nell’atto di ricorso i capitoli di prova (cioè le specifiche domande da porre ai testimoni) di cui chiedeva l’ammissione. Questo requisito è fondamentale per consentire alla Corte di Cassazione di valutare la rilevanza e la pertinenza delle prove negate, senza dover cercare gli atti nei fascicoli dei precedenti gradi di giudizio. Averli inseriti solo in una memoria successiva non sana il vizio originario.

Le conclusioni

La decisione in esame ribadisce due principi fondamentali. Il primo riguarda la responsabilità per cose in custodia: sebbene sia una responsabilità di tipo oggettivo, essa può essere esclusa se il danno è provocato dal comportamento imprudente del danneggiato, che conosceva o poteva facilmente conoscere il pericolo. Il custode non è tenuto a prevedere e prevenire condotte anomale o disattente.

Il secondo è un monito di natura processuale: il ricorso per cassazione deve essere redatto con estremo rigore e completezza, rispettando il principio di autosufficienza. Le censure devono essere specifiche, chiare e contenere tutti gli elementi necessari perché la Corte possa decidere senza dover consultare altri atti. In caso contrario, il rischio è una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese legali e di ulteriori sanzioni per lite temeraria, come accaduto nel caso di specie.

Quando la condotta del danneggiato esclude la responsabilità per cose in custodia del Comune?
La responsabilità del Comune è esclusa quando il comportamento del danneggiato è talmente imprevedibile e anomalo da integrare il ‘caso fortuito’. Ciò si verifica se il pericolo era facilmente visibile e conosciuto dalla persona, che avrebbe potuto evitarlo usando l’ordinaria diligenza.

Perché è fondamentale riportare i capitoli di prova nel ricorso per cassazione?
È fondamentale perché il ricorso per cassazione deve essere ‘autosufficiente’. La Corte deve essere messa in condizione di valutare la fondatezza della censura (in questo caso, la mancata ammissione di una prova) sulla base del solo testo del ricorso, senza dover ricercare gli atti nei fascicoli dei gradi precedenti. La mancata trascrizione rende il motivo inammissibile.

Cosa comporta una declaratoria di inammissibilità per un ricorso ritenuto temerario?
Comporta non solo la condanna al pagamento delle spese legali a favore della controparte, ma anche il pagamento di ulteriori somme a titolo di sanzione: una in favore della parte vittoriosa per lite temeraria (art. 96, terzo comma, c.p.c.) e una in favore della Cassa delle ammende (art. 96, quarto comma, c.p.c.). Inoltre, scatta l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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