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Responsabilità per cose in custodia: chi paga?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7926/2024, ha confermato la condanna di un consorzio di bonifica per i danni causati dall’esondazione di un canale. La decisione si fonda sul principio della responsabilità per cose in custodia (art. 2051 c.c.). La Corte ha rigettato il ricorso dell’ente, sottolineando che la proprietà del canale non era stata contestata in appello e che l’onere di provare un’eventuale corresponsabilità del danneggiato (per costruzione abusiva) spettava al consorzio stesso, prova che non è stata fornita.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Responsabilità per cose in custodia: la Cassazione sul risarcimento per danni da esondazione

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale: la responsabilità per cose in custodia in caso di danni derivanti dall’esondazione di un corso d’acqua. La Corte di Cassazione chiarisce importanti principi procedurali e sostanziali, definendo con precisione i confini della responsabilità del custode e l’onere della prova a suo carico, specialmente quando si invoca una presunta colpa del danneggiato. La vicenda riguarda la richiesta di risarcimento avanzata da una proprietaria a seguito dell’allagamento del suo immobile, causato dalla tracimazione di un canale gestito da un consorzio di bonifica.

I fatti del caso: l’esondazione e la richiesta di risarcimento

Nel novembre del 2005, a seguito dell’esondazione di un canale, un fabbricato di proprietà privata subiva ingenti danni. La proprietaria citava in giudizio il Consorzio di bonifica responsabile della gestione del corso d’acqua per ottenere il risarcimento. La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, accoglieva la domanda della danneggiata, riconoscendo la responsabilità dell’ente ai sensi dell’art. 2051 del Codice Civile. Secondo i giudici di secondo grado, era provato il nesso causale tra il canale (la ‘cosa in custodia’) e i danni, mentre il Consorzio non era riuscito a dimostrare l’esistenza di un caso fortuito che potesse escludere la sua colpa. Contro questa decisione, il Consorzio proponeva ricorso in Cassazione, articolato su tre motivi.

L’analisi della Corte di Cassazione e la responsabilità per cose in custodia

La Suprema Corte ha esaminato i tre motivi di ricorso presentati dal Consorzio, rigettandoli tutti e confermando la condanna al risarcimento. L’analisi dei giudici si concentra su aspetti sia procedurali che di merito, offrendo spunti di riflessione fondamentali.

Primo motivo: la questione della proprietà del canale

Il Consorzio sosteneva di non essere il soggetto responsabile, attribuendo la proprietà del canale al demanio regionale e, di conseguenza, la responsabilità alla Regione. La Corte ha dichiarato questo motivo inammissibile. La ragione risiede in un principio processuale cardine: la Corte d’Appello aveva fondato la sua decisione (la cosiddetta ratio decidendi) sul fatto, non contestato in quella sede, che la proprietà del canale fosse in capo al Consorzio. Non avendo l’ente impugnato specificamente questa autonoma ragione della decisione, essa è divenuta definitiva (passata in giudicato). Di conseguenza, ogni discussione sulla natura demaniale del bene è diventata irrilevante.

Secondo motivo: il difetto di giurisdizione e la rilettura dei fatti

Con il secondo motivo, il Consorzio lamentava, per la prima volta in Cassazione, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e contestava la ricostruzione della causalità. Anche questa censura è stata respinta. Per quanto riguarda la giurisdizione, la Corte ha rilevato la formazione di un giudicato implicito, poiché la questione non era stata sollevata nei gradi di merito. Sul nesso causale, i giudici hanno ritenuto che il Consorzio stesse semplicemente tentando di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità.

Terzo motivo: l’onere della prova sulla corresponsabilità del danneggiato

Il Consorzio asseriva che la danneggiata avesse contribuito al danno, avendo costruito il proprio fabbricato a una distanza dal canale inferiore a quella legale. La Corte ha ritenuto il motivo infondato. I giudici hanno chiarito che l’eventuale costruzione illegale rappresenta un fatto impeditivo del diritto al risarcimento. In base al principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), spetta a chi eccepisce tale fatto, ovvero al danneggiante (il Consorzio), dimostrarlo in giudizio. La Corte d’Appello aveva correttamente applicato questo principio, e il Consorzio non aveva fornito la prova necessaria.

Le motivazioni della decisione

La decisione della Cassazione si fonda su principi consolidati. In primo luogo, nel contesto della responsabilità per cose in custodia, il custode può liberarsi solo provando il caso fortuito, cioè un evento imprevedibile e inevitabile che ha causato il danno. In secondo luogo, sul piano processuale, se una sentenza si basa su più argomentazioni autonome, ciascuna sufficiente a sorreggerla, il ricorrente ha l’onere di impugnarle tutte, pena l’inammissibilità del ricorso sulle altre. Infine, la Corte ribadisce che l’onere di provare fatti che possano ridurre o escludere il diritto al risarcimento del danneggiato (come una sua condotta colposa) grava interamente sul danneggiante che li invoca.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. Per chi subisce un danno da una cosa in custodia (come un canale, una strada, un edificio), è fondamentale dimostrare il nesso di causalità tra la cosa e il danno. Per l’ente o il soggetto custode, invece, la sentenza sottolinea che non basta negare la propria responsabilità: è necessario fornire prove concrete del caso fortuito o della colpa esclusiva o concorrente del danneggiato. La gestione della difesa in giudizio, fin dal primo grado, è cruciale: omettere di contestare un punto fondamentale della decisione avversaria può renderlo definitivo e non più discutibile nelle fasi successive del processo.

Chi è responsabile per i danni causati dall’esondazione di un canale?
Secondo l’art. 2051 c.c., la responsabilità ricade sul soggetto che ha la custodia del canale, ovvero chi ha il potere di controllo e vigilanza su di esso. Questo soggetto è tenuto a risarcire i danni, a meno che non provi il ‘caso fortuito’, ossia un evento imprevedibile e inevitabile.

Se la decisione di un giudice si basa su più motivazioni, è sufficiente contestarne una sola in appello?
No. Se una sentenza è sorretta da una pluralità di ragioni, distinte e autonome, ciascuna sufficiente a giustificare la decisione, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile la contestazione delle altre, poiché la motivazione non impugnata diventa definitiva e da sola sufficiente a confermare la sentenza.

In una causa per danni, chi deve provare che l’immobile danneggiato è stato costruito violando le distanze legali?
L’onere di provare che l’immobile è stato costruito in violazione delle normative edilizie, e che tale violazione ha contribuito a causare il danno, spetta al danneggiante (in questo caso, l’ente gestore del canale). Si tratta di un fatto che limita o esclude il diritto al risarcimento, e chi lo eccepisce deve provarlo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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