Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24889 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24889 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5196/2022 R.G., proposto da
NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME in proprio e quale erede di NOMECOGNOME NOME COGNOME in qualità di erede di NOME COGNOME in qualità di erede di NOMECOGNOME NOME COGNOME in qualità di erede di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi
Responsabilità della PA -Responsabilità ex art. 2049 cod. civ. -Inerzia colpevole della PA
dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliati ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
–
ricorrenti –
contro
COMUNE DI COGNOME , in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
-controricorrente – contro
COGNOME NOME,
-intimato – per la cassazione della sentenza n. 1853/2021 della CORTE d’APPELLO di Bologna pubblicata il 20.7.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 9.7.2021 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME Marina, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME Santi COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME IdroCOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME convenivano dinanzi al Tribunale di Modena NOME COGNOME e il Comune di Zocca.
Gli attori rappresentavano che:
tra il 1998 e il 2008 NOME COGNOME aveva ricoperto la funzione di responsabile del settore urbanistica del Comune di Zocca, occupandosi del rilascio di titoli abilitativi per l’edificazione , previo pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei diritti di segreteria;
il COGNOME oltre a sottoscrivere le concessioni edilizie, verificare le DIA e la relativa documentazione, era solito incassare i pagamenti dei tributi, effettuati per assegni o contanti, direttamente a sue mani presso l’ufficio tecnico comunale, rilasciando ricevute di pagamento su documenti recanti l’intestazione ‘ Tesoreria Comunale di Zocca ‘, l’importo versato, il timbro del Comune di Zocca, la data di incasso, il riferimento della pratica edilizia e la firma del funzionario;
i titoli abilitativi, protocollati dalla stessa amministrazione comunale e consegnati ai privati dopo il pagamento, indicavano che gli oneri erano stati regolarmente corrisposti;
a seguito di indagini avviate dalla Procura della Repubblica di Modena si accertava che le somme versate non erano confluite nelle casse del Comune, ma erano state distratte dal COGNOME con una condotta appropriativa protrattasi per oltre dieci anni fino al suo collocamento in quiescenza;
il COGNOME, in concorso con altro funzionario, era stato indagato a) per i reati di cui agli artt. 81 e 314 cod. pen. per essersi appropriato tra il 1999 e il 2001 di euro 1.518.956,23, corrispondenti a oneri di urbanizzazione e di segreteria, dovuti da più persone al Comune di Zocca in relazione ad autorizzazioni amministrative aventi ad oggetto “permessi a costruire” e “dichiarazioni di inizio attività” dallo stesso COGNOME emesse e rilasciate; b) per i reati di cui agli artt. 81 e 476 cod. pen. per aver rilasciato false quietanze attestanti la riscossione degli oneri di urbanizzazione alle persone tenute al pagamento, sulle quali apponeva la dicitura “pagato”e/o una sigla; c) per i reati di cui agli artt. 81 e 480 cod. pen. per avere attestato falsamente, in autorizzazioni amministrative, fatti dei quali l’atto era destinato a provare la verità, in particolare per avere attestato di avere
riscontrato il versamento degli oneri presso la Tesoreria, mentre di detti oneri aveva avuto, indebitamente, diretta corresponsione;
nei confronti del COGNOME era pronunciata il 4.11.2009 dal Tribunale di ai sensi dell’art. 444
Modena sentenza di applicazione della pena a richiesta, cod. proc. pen., di 5 anni di reclusione , ridotti a 2 per effetto dell’indulto ;
l’Ufficio Tecnico era al corrente delle anomale modalità di pagamento degli oneri -ormai divenuta prassi consolidata -introdotte dal COGNOME, tanto che su un documento una impiegata aveva rilasciato la richiesta di ritiro del titolo e scritto a mano in calce “Lunedì telefonare a NOME per criteri pagamento”;
pochi giorni prima dell’emissione della sentenza penale, il Comune di Zocca, che fino al pensionamento del COGNOME non aveva mai lamentato alcunché, a fronte di un ammanco di bilancio pari alle somme oggetto di appropriazione, il 27/10/2009 adottava la delibera di Giunta Comunale n. 118 con cui disponeva procedersi al recupero coattivo del dovuto, corrispondente a quanto già versato al funzionario comunale e in seguito iniziava ad intimare un nuovo pagamento degli oneri di urbanizzazione; solo a seguito dell’invio delle indicate comunicazioni gli attori comprendevano di essere stati vittime di un raggiro posto in essere dal COGNOME il quale aveva sempre agito in nome e per conto dell’amministrazione comunale .
Tanto premesso, gli attori chiedevano, previa dichiarazione d ell’avvenuto integrale pagamento di quanto dovuto in virtù dei titoli abilitativi rilasciati e che null’altro era da loro ancora dovuto, l’accertamento della responsabilità del COGNOME e del Comune di Zocca ex artt. 2049 cod. civ. e 28 Cost., nonché ex art. 2043 cod. civ. per omessa vigilanza sull’operato del dipendente . In via subordinata, gli attori chiedevano l’accertamento della responsabilità del COGNOME e del Comune di Zocca ex artt. 2049 cod. civ. e 28 Cost., nonché ex art. 2043 cod. civ. per omessa vigilanza sull’operato del dipendente e la condanna in solido al risarcimento dei danni patrimoniali, come meglio indicati, oltre ai danni non patrimoniali.
Con sentenza pubblicata il 6.11.2014 il Tribunale di Modena rigettava le domande svolte nei confronti del Comune di Zocca. In particolare, il Tribunale di Modena, dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Comune di Zocca, accoglieva la domanda contro il COGNOME e lo condannava a restituire agli attori le somme illegittimamente percepite. Gli attori erano gravati della rifusione delle spese di lite in favore del Comune di Zocca e il COGNOME di quelle in favore dei primi.
2. La Corte d’Appello di Bologna con sentenza pubblicata il 20.7.2021, a seguito di impugnazione svolta da COGNOME RemoCOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME Ara NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME Marina, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME, in proprio e quale erede di NOME, COGNOME NOME nella qualità di erede di NOME COGNOME NOME nella qualità di erede di NOME COGNOME NOME nella qualità di erede di NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME nella sua qualità di erede di COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di erede di COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di erede di COGNOME NOME, NOMECOGNOME nella qualità di erede di COGNOME NOME, COGNOME NOME, nella qualità di erede di COGNOME NOME, COGNOME Idro, COGNOME NOME e COGNOME NOME , rigettava l’appello nei confronti del Comune di Zocca .
La Corte d’appello , inoltre, accoglieva l’impugnazione proposta nei confronti del COGNOME e, in parziale riforma della sentenza gravata, lo condannava al risarcimento del danno non patrimoniale, che liquidava ai
sensi dell’art. 1226 cod. civ. nella misura di euro 1.000 in favore di ciascu n appellante. Gli appellanti erano onerati delle spese del grado in favore del Comune di Zocca, mentre il COGNOME era condannato alla rifusione delle spese in favore dei primi.
Per quanto ancora di rilievo ai fini del presente giudizio, la corte felsinea osservava, preliminarmente, essere indiscusso che: a) le somme oggetto di ripetizione riguardassero contributi di costruzione versati a mani del COGNOME, quale responsabile dell’Ufficio Tecnico, il quale le aveva incassate, rilasciando i titoli edilizi e attestando l’avvenuto pagamento in favore del Comune; b) tali somme, consegnate in contanti o mediante assegni, non fossero mai state in effetti versate presso la tesoreria comunale; c) le quietanze di pagamento e le attestazioni dei versamenti fossero state falsificate.
Notava la Corte d’appello, quanto alla pretesa violazione dell’art. 1189 cod. civ., che gli appellanti non versavano in buona fede, poiché i pagamenti in favore degli enti pubblici soggiacciono alle norme sulla contabilità pubblica e, comunque, alle previsioni regolamentari dettate dall’amministrazione comunale : a) non risultava documentalmente che il COGNOME fosse deputato a ricevere pagamenti per conto del Comune e a sostegno della pretesa buona fede era irrilevante la «inconsapevolezza» del quadro normativo; b) l ‘essere il COGNOME responsabile dell’Ufficio tecnico non era condizione sufficiente per fondare l’apparenza dello stesso quale soggetto deputato all’incasso, ‘non essendo dimostrata la spendita di questi della funzione di cassiere ovvero di tesoriere dell’ente’; c) le quietanze sottoscritte dal COGNOME non erano idonee ad affermare in capo al privato la consapevolezza di effettuare il pagamento del dovuto secondo le modalità normativamente previste.
L ‘inerzia del Comune era irrilevante, poiché l’ente locale era vittima dei reati posti in essere dal COGNOME, ‘di talché l’indicazione nei titoli edilizi dell’avvenuto pagamento delle somme dovute rappresenta un’evidenza in relazione alla quale può certamente ritenersi plausibile il fatto che il Comune
si sia attivato solo nel momento in cui l’illecito perpetrato dal dipendente ha assunto dimensioni tali da emergere in maniera inequivocabile nel bilancio dell’ente’.
Quanto alla pretesa responsabilità dell’amministrazione comunale , la condotta illecita, penalmente rilevante, del COGNOME aveva reciso il rapporto organico con l’ente , dovendo escludersi la responsabilità della prima per il reato commesso dal dipendente per finalità di carattere personale, di fatto sostituite a quelle dell’ente pubblico e in contrasto con esse.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorrono, sulla base di tre motivi, NOME, COGNOME Franco, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Marina, COGNOME NOME, NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME quali eredi di COGNOME NOME, NOME COGNOME quale erede di COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME in proprio e quale erede di NOME, COGNOME NOME, in qualità di erede di NOME, Manica NOME, in qualità di erede di COGNOME NOME, COGNOME NOME, in qualità di erede di COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME.
Resiste con controricorso il Comune di Zocca. NOME COGNOME è rimasto intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione svolta dal Comune di Zocca di inammissibilità del ricorso rispetto alle posizioni dei
sigg.ri COGNOME NOME COGNOME NOME (quali eredi di COGNOME NOME), COGNOME NOME e COGNOME NOME (quali eredi di NOME), COGNOME NOME (quale erede di COGNOME NOME), e COGNOME NOME (quale erede di NOME COGNOME).
L’eccezione è infondata per aver la difesa dei ricorrenti depositato sia nel corso del giudizio di appello, per quanto riguarda le posizioni di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, sia nel presente giudizio di Cassazione, relativamente alle posizioni di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME la documentazione attestante la qualità di eredi degli odierni ricorrenti.
Infatti, agli atti del ricorso sono stati allegati gli atti notori da parte degli eredi di NOME NOME e di NOME COGNOME, mentre già nel giudizio di appello (v. doc. 6 allegato all’atto di citazione in appello, dichiarazioni di successione di NOME e NOME): a) NOME e COGNOME NOME si erano costituiti quali eredi di NOME; b) COGNOME NOME e COGNOME NOME si erano costituiti quali eredi di NOME (COGNOME NOME anche in proprio). Pertanto, in assenza di impugnazione incidentale da parte del controricorrente sulla legittimazione nella riferita qualità di COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME si è formato il giudicato.
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 28 Cost., 2049 cod. civ., nonché degli artt. 3, primo comma, e 24 Cost., 6 CEDU.
I ricorrenti lamentano che erroneamente la Corte d’appello ha affermato che il «rapporto organico» e il nesso di causa sarebbero stati interrotti dal fatto di reato del dipendente per finalità di carattere personale e, comunque, in violazione delle norme gravanti sul funzionario e in generale dell’ente pubblico di appartenenza.
Tale decisione contrasterebbe con gli artt. 28 Cost. e 2049 cod. civ. nell’interpretazione resa da Cass., Sez. Un., 16 maggio 2019, n. 13246, secondo cui: ‘lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno
cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle dell’ammi nistrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa -e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi -non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo”.
Il COGNOME non avrebbe potuto commettere l’illecito se non avesse rivestito l’incarico di responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune , tanto più che quella del pagamento diretto a sue mani era una prassi ‘adottata non solo dal cittadino ma anche da tutti i tecnici che per ragioni professionali si rapportavano con l’Ufficio tecnico del Comune di Zocca’ , resa possibile dalla protratta omessa sorveglianza da parte di quest’ultimo , che aveva omesso di adottare le misure organizzative necessarie onde poter prevenire un uso distorto delle funzioni pubbliche, evento prevedibile e non anomalo, di cui l’amministrazione sarebbe stat a tenuta a farsene carico.
2.1. Il motivo merita l’accoglimento.
I ricorrenti in sede di appello, nel riproporre le domande svolte in primo grado, hanno chiesto in via principale l’accertamento dell’avvenuto pagamento in favore del Comune di Zocca di quanto dovuto per i titoli abilitativi rilasciati e della responsabilità del COGNOME per i fatti commessi e del Comune, ai sensi dell’art. 20 49 cod. civ. e 28 Cost., nonché ex art. 2043 cod. civ. per l’omessa vigilanza sull’operato del dipendente e, conseguentemente, la condanna del Comune di Zocca e del COGNOME, al risarcimento, anche in solido fra loro, di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali.
In via subordinata, gli appellanti hanno chiesto l’accertam ento della responsabilità del COGNOME e del Comune di Zocca ex art. 2049 cod. civ. e 28 Cost., nonché ex art. 2043 cod. civ. per l’omessa vigilanza sull’operato del dipendente e, conseguentemente, la condanna del Comune di Zocca in solido con il COGNOME al risarcimento di tutti i danni patrimoniali subiti rapportati agli esborsi effettuati in occasione del rilascio dei titoli edilizi, oltre che dei danni non patrimoniali.
La corte felsinea al riguardo ha osservato che: ‘ correttamente il tribunale ha ritenuto che la condotta illecita, e penalmente rilevante, del COGNOME era stata tale da recidere il rapporto organico corrente tra questi e l’ente presso cui prestava servizio. Secondo l’insegnamento della Suprema Corte, la condotta del solvens che consegua ad una violazione delle regole gravanti sul funzionario -ed in generale delle regole poste dall’ente pubblico cui questi appartiene -è tale da interrompere il nesso causale ed escludere la responsabilità dell’ente per il fatto illecito del dipendente (Cass. 22956/15). Ciò in quanto la responsabilità civile della p.a. per il reato commesso dal dipendente deve escludersi quando il dipendente, nello svolgimento delle mansioni affidategli, commette un illecito penale per finalità di carattere personale, di fatto sostituite a quelle dell’ente pubblico di appartenenza e, anzi, in contrasto con queste ultime (Cass. Penale nr. 4476/15). Non può pertanto ritenersi sussistere alcuna responsabilità del Comune di Zocca, con conseguente carenza di legittimazione passiva dell’ente rispetto alla domanda di restituzione dell’indebito ed infondatezza della domanda relativa all’accertamento dell’effetto solutorio del pagamento eseguito dagli appellanti nelle mani del COGNOME ‘.
2.2. Tale decisione non ha in alcun modo preso in considerazione quanto statuito da Cass., Sez. Un., 12 maggio 2019, n. 13246, la quale, nell’affrontare la specifica materia della responsabilità ex art. 2049 cod. civ. dell’ente pubblico in relazione al fatto penalmente rilevante posto in essere da un suo dipendente, ancorché totalmente avulso dai fini istituzionali alla base del rapporto di preposizione, ha affermato che: ‘ o Stato o l’ente
pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del suo dipendente anche quando questi abbia approfittato delle proprie attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle della amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa -e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi -non sarebbe stato possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviati o abusivi od illeciti, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo ‘ (v. altresì, più di recente, Cass., sez. III, 6 luglio 2023, n. 19149; Cass., sez., III, 14 novembre 2023, n. 31675; Cass., sez. III, 9 gennaio 2024, n. 865; Cass., sez. III, 11 marzo 2025, n. 6501; Cass., sez. III, 3 maggio 2025, n. 11614), non potendo il preponente essere chiamato a rispondere di un’attività del preposto che non corrisponda, neppure quale degenerazione o eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse all’espletamento delle sue incombenze (v., Cass., sez. III, 9 giugno 2016, n. 11816).
Le Sezioni Unite nell’enunciare il riferito principio di diritto hanno ulteriormente precisato che : ‘ ono pertanto fonte di responsabilità dello Stato o dell’ente pubblico anche i danni determinati da condotte del funzionario o dipendente, pur se devianti o contrarie rispetto al fine istituzionale del conferimento del potere di agire, purché: – si tratti di condotte a questo legate da un nesso di occasionalità necessaria, tale intesa la relazione per la quale, in difetto dell’estrinsecazione di detto potere, la condotta illecita dannosa – e quindi, quale sua conseguenza, il danno ingiusto – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base al giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta; nonché: – si tratti di condotte raffigurabili o prevenibili oggettivamente, sulla base di analogo giudizio, come sviluppo non anomalo
dell’esercizio del conferito potere di agire, rientrando nella normalità statistica pure che il potere possa essere impiegato per finalità diverse da quelle istituzionali o ad esse contrarie e dovendo farsi carico il preponente delle forme, non oggettivamente improbabili, di inesatta o infedele estrinsecazione dei poteri conferiti o di violazione dei divieti imposti agli agenti ‘ .
2.3. Il presupposto applicativo del riversamento a carico del preponente dell’operato del suo dipendente, ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., è stato ancorato a una peculiare conformazione della valutazione causale in termini di adeguatezza (v., Cass. 10 maggio 2000 n. 5962; Cass. 16 ottobre 2001, n. 12617; Cass. 22 ottobre 2003, n. 15789; Cass. 19 luglio 2005, n. 15183; Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576; Cass. 22 ottobre 2013, n. 23915; Cass. 12 novembre 2024, n. 29229), declinata in termini di «occasionalità necessaria». Detta relazione ricorre quando la verificazione del dannoconseguenza non sarebbe stata possibile senza l’esercizio dei poteri conferiti da altri, che si pone quale antecedente necessario, anche se non sufficiente, in base ad un giudizio controfattuale oggettivizzato ex ante di regolarità causale atta a determinare l’evento, vale a dire di normalità – in senso non ancora giuridico, ma naturalistico-statistico – della sua conseguenza.
Sulla base di tale premessa è stato statuito che: ‘ il preponente pubblico risponde del fatto illecito del proprio funzionario o dipendente ogni qual volta questo non si sarebbe verificato senza l’esercizio delle funzioni o delle attribuzioni o dei poteri pubblicistici: e ciò a prescindere dal fine soggettivo dell’agente (non potendo dipendere il regime di oggettiva responsabilità dalle connotazioni dell’atteggiamento psicologico dell’autore del fatto), ma in relazione all’oggettiva destinazione della condotta a fini diversi da quelli istituzionali o – a maggior ragione – contrari a quelli per i quali le funzioni o le attribuzioni o i poteri erano stati conferiti ‘ .
Per contro, il proponente ‘andrà esente dalle conseguenze dannose di quelle condotte, anche omissive, poste in essere dal preposto in estrinsecazione dei poteri o funzioni o attribuzioni conferiti, che fosse
inesigibile prevenire o raffigurarsi oggettivamente come sviluppo non anomalo, secondo un giudizio controfattuale oggettivizzato ex ante , di quell’estrinsecazione, quand’anche distorta o deviata o vietata: in tanto assorbita od a tanto ricondotta, almeno quanto alla sola qui rilevante fattispecie dei danni causati dall’illecito del pubblico funzionario, ogni altra conclusione sull’occasionalità necessaria, tra cui l’estensione alla mera agevolazione della commissione del fatto’.
Infine, in chiave di bilanciamento tra pretesa al risarcimento del danno e sua corretta allocazione in capo al preponente in base al rischio connesso all’operato del proprio dipendente, è stato puntualizzato che ‘ adeguata protezione del preponente dal rischio di rispondere del fatto del proprio ausiliario o preposto al di là dei generali principi in tema di risarcimento del danno extracontrattuale si ravvisa nell’applicazione anche in materia di danni da attività non provvedimentale della P.A. dei principi in tema di elisione del nesso causale in ipotesi di caso fortuito o di fatto del terzo o della vittima di per sé solo idoneo a reciderlo e di quelli in tema di riduzione del risarcimento in caso di concorso del fatto almeno colposo di costoro ‘ .
2.4. La corte felsinea non si è attenuta agli indicati principi di diritto, là dove ha attribuito alla condotta penalmente rilevante del COGNOME efficacia tale da ‘recidere il rapporto organico’ tra quest’ultimo e l’amministrazione comunale, senza affrontare le tematiche sopra esposte:
-se i danni causati da condotte del funzionario o dipendente, pur se devianti o contrarie rispetto al fine istituzionale del conferimento del potere di agire, potessero ritenersi a esso legate da un nesso di occasionalità necessaria, tale intesa la relazione per la quale, in difetto dell’estrinsecazione di detto potere («antecedente necessario anche se non sufficiente»), la condotta illecita dannosa – e quindi, quale sua conseguenza, il danno ingiusto – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata e in base al giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta;
-se tali condotte fossero raffigurabili o prevenibili oggettivamente, sulla base di analogo giudizio, come sviluppo non anomalo dell’esercizio del conferito potere di agire, rientrando nella normalità statistica pure che il potere possa essere impiegato per finalità diverse da quelle istituzionali o a esse contrarie e dovendo farsi carico il preponente delle forme, non oggettivamente improbabili, di inesatta o infedele estrinsecazione dei poteri conferiti o di violazione dei divieti imposti agli agenti;
-la possibile applicazione dei principi in tema di elisione del nesso causale in ipotesi di caso fortuito o di fatto del terzo o della vittima, di per sé idonei a reciderlo, nonché di quelli in tema di riduzione del risarcimento in caso di concorso del fatto almeno colposo di costoro.
Valutazioni , queste ultime, da effettuarsi all’interno di un contesto temporale allargato, come si ricava dall’ampiezza della portata della condanna a carico del COGNOME, stabilita in primo grado relativamente al pagamento degli importi dovuti agli (allora) attori.
All’interno del ridetto arco temporale si sarebbe dovuta collocare anche la valutazione della devianza comportamentale come sviluppo non anomalo dell’esercizio del potere di agire conferito, poiché, come già detto, rientra nella normalità statistica pure che il potere possa essere impiegato per finalità diverse da quelle istituzionali o a esse contrarie. In questa traiettoria, inoltre, si sarebbe dovuta valutare la prospettata dimensione dell’inadeguatezza organizzativ a e, quindi, la stessa possibilità di far carico al preponente anche delle forme oggettivamente non improbabili di inesatta o infedele estrinsecazione dei poteri conferiti o di violazione dei divieti imposti agli agenti.
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 1189 cod. civ. , nonché la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ.
3.1. I ricorrenti osservano che l’art. 1189 cod. civ. si applica, per identità di ratio , sia all’ipotesi di pagamento eseguito al creditore apparente, sia
all’ipotesi di pagamento effettuato a persona che appaia autorizzata a riceverlo per conto del creditore effettivo, il quale abbia determinato o concorso a determinare l’errore del solvens , facendo sorgere in quest’ultimo in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’ accipiens .
La Corte d’appello, là dove ha sostenuto che non risultava alcun documento del Comune di Zocca indicante il COGNOME quale soggetto deputato a ricevere i pagamenti e, conseguentemente, non ricorreva la buona fede in capo al solvens in relazione a pagamenti effettuati a mani di un funzionario privo di ‘qualsiasi qualifica all’incasso’ , sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 1189 cod. civ. , poiché se il COGNOME fosse stato munito della qualifica all’incasso di somme riferibili all’amministrazione , la fa ttispecie la si sarebbe dovuta ricondurre all’art. 1188 cod. civ. In ogni caso, l’ignoranza dei ricorrenti , quanto alla modalità del pagamento, era stata indotta dalla condotta ingannevole del COGNOME e da quella omissiva dell’amministrazione , risultando comunque scusabile per essersi rivolti i ricorrenti proprio al funzionario apicale della struttura.
3.2. I ricorrenti lamentano, inoltre, che la motivazione resa sul punto risulta omessa, apparente, generica e incomprensibile. La Corte d’appello , a dire dei ricorrenti, senza indicare le basi del ragionamento operato, a fronte dell’allegazione dei fatti e delle prove documentali che non sono state oggetto di alcuna valutazione, si è limitata sostenere che la copiosa documentazione non è idonea a dimostrare il requisito dell’apparenza della legittimazione del COGNOME all’incasso per conto dell’amministrazione, ma non ha esplicitato le basi del suo ragionamento.
Quanto all’inerzia dell’ amministrazione, la Corte territoriale ha ritenuto ” plausibile ” che questa si sia attivata solo successivamente al momento in cui l’illecito a veva assunto dimensioni tali da emergere nel bilancio dell’Ente, senza indicare gli elementi di fatto da cui dedurre tale convincimento e soprattutto il ragionamento logico giuridico sotteso alla propria decisione.
Analoga censura varrebbe rispetto all ‘ins ussistenza della spendita del COGNOME quale soggetto legittimato alla riscossione, nonostante le ricevute/quietanza depositate in atti diano atto dell’avvenuto pagamento di quanto dovuto a titolo di oneri edilizi/diritti di segreteria su carta intestata del Comune di Zocca e siano firmate dallo stesso COGNOME accanto al timbro del Comune: anche in questo caso, la Corte territoriale ha omesso di indicare e specificare nella decisione impugnata le ragioni a essa sottese.
3.3. In tema di pagamento al rappresentante apparente il debitore è liberato solo quando fornisca ‘ la prova non solo di aver confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma altresì che il proprio erroneo convincimento è stato determinato da un comportamento colposo del creditore che abbia fatto sorgere nel solvens in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri dell’ accipiens ‘ (v. Cass., sez. II, 7 maggio 1992, n. 5436; Cass., sez. III, 3 settembre 2005, n. 17742; Cass., sez. III, 4 giugno 2013, n. 14028; Cass., sez. II, 25 gennaio 2018, n. 1869; Cass., sez. I, 19 aprile 2018, n. 9578).
È stato, altresì, affermato ripetutamente da questa Corte che ‘Il principio dell’apparenza del diritto ex art. 1189 c.c. trova applicazione quando sussistono uno stato di fatto difforme dalla situazione di diritto ed un errore scusabile del terzo circa la corrispondenza del primo alla realtà giuridica, sicché il giudice – le cui conclusioni, sul punto, sono censurabili in sede di legittimità se illogiche e contraddittorie – deve procedere all’indagine non solo sulla buona fede del terzo, ma anche sulla ragionevolezza del suo affidamento, che non può essere invocato da chi versi in una situazione di colpa, riconducibile a negligenza, per aver trascurato l’obbligo, derivante dalla stessa legge, oltre che dalle norme di comune prudenza, di accertarsi della realtà delle cose, facilmente controllabile (v. Cass., sez. II, 4 luglio 2024, n. 18345; Cass., sez. III, 27 ottobre 2005, n. 20906).
In Cass. 20906/2005 è stato puntualizzato che per l’applicazione del principio dell’apparenza ‘ occorre procedere all’indagine, da compiersi caso per caso, non solo sulla buona fede del terzo, ma anche sulla ragionevolezza
dell’affidamento, il quale, perciò, non può essere invocato da chi versi in una situazione di colpa (riconducibile alla negligenza) per aver trascurato l’obbligo, derivante dalla stessa legge oltre che dall’osservanza delle norme di comune prudenza, di accertarsi della realtà delle cose, facilmente controllabile, e per essersi affidato alla mera apparenza. La suddetta indagine coinvolge, perciò, una mera “quaestio facti”, le cui conclusioni non sono censurabili nel giudizio di legittimità ove si fondino su argomentazioni logiche e prive di contraddizioni ‘ .
3.4. La Corte osserva che la prima delle due censure contenute nel motivo è inammissibile, là dove si risolve in una rivisitazione della questione fattuale afferente alla sussistenza della buona fede e della ragionevolezza del convincimento dei ricorrenti in ordine all’effettuazione del pagamento al soggetto, che appariva come rappresentante del creditore o come soggetto preposto a ricevere il pagamento.
A ciò deve aggiungersi come non risulta adeguatamente attinta la ratio espressa dalla Corte d’appello, là dove si legge: ‘Deve ritenersi insussistente la buona fede degli appellanti relativamente ai pagamenti effettuati. Ciò in quanto le modalità di versamento di somme agli enti pubblici devono effettuarsi senza eccezioni secondo le disposizioni date dalle norme in tema di contabilità pubblica e comunque secondo le previsioni dettate dallo stesso ente. Dunque, tali pagamenti devono essere eseguiti presso le casse degli enti ovvero presso gli uffici di tesoreria della pubblica amministrazione. Invero, nel caso di specie non risulta alcun documento del Comune di Zocca che indicasse il COGNOME quale soggetto deputato a ricevere somme nell’interesse e per conto del Comune stess (o). Consegue da ciò che non può riconoscersi la buona fede del solvens in relazione a pagamenti effettuati nelle mani di un funzionario comunale che sia dichiaratamente privo di qualsivoglia qualifica all’incasso di somme di competenza dell’ente pubblico. Non può infatti assurgere a parametro di valutazione della buona fede l’asserita inconsapevolezza delle regole sopra citate, la quale affermazione si traduce sostanzialmente in una professione
di non conoscenza del menzionato quadro normativo ‘ (pagina 4 , da riga 8 a riga 20).
I ricorrenti si sono limitati a dedurre una «ignoranza scusabile» delle regole sulle contabilità pubblica indotta dal comportamento ingannevole del funzionario (apicale) e dal comportamento inerte e gravemente omissivo dell’amministrazione . L ‘invocata scusabilità dell’ignoranza non rileva nel caso di specie, poiché la questione posta non afferisce alla violazione da parte dei ricorrenti delle norme sulla contabilità pubblica. Piuttosto, la vera questione riguarda la loro buona fede e la ragionevolezza delle loro azioni, senza che sia stato addotto un quadro di condizionamento ambientale determinato dalla riferita prassi esistente presso l’Ufficio tecnico del Comune di Zocca.
3.5. Per contro, è accoglibile solo in parte il denunciato vizio di motivazione contenuto nella seconda censura.
In merito al controllo in sede di legittimità, deve ribadirsi che, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. nel testo ‘novellato’ dall’art. 54, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ‘ ratione temporis ‘ al presente giudizio) il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il ‘minimo costituzionale’ (v. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053-8054 ; nonché ‘ ex multis ‘, Cass., sez. III, 20 novembre 2015, n. 23828; 5 luglio 2017, n. 16502; sez. I, 30 giugno 2020, n. 13248).
Il difetto di motivazione è, dunque, ipotizzabile solo nel caso in cui la parte motiva della sentenza risulti ‘meramente apparente’, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di ‘carenza grafica’ della stessa, quando essa, ‘benché graficamente esiste nte, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento’ (v., Cass., Sez. Un., 3 novembre 2016, n. 22232; nonché, più di recente, Cass., sez. 6-V, 23
maggio 2019, n. 13977), o perché affetta da ‘irriducibile contraddittorietà’ (v., Cass., sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; sez. 6-III, 25 settembre 2018), ovvero connotata da ‘affermazioni inconciliabili’ (v., Cass., sez. 6 -lav., 25 giugno 2018, n. 16111; sez. III, 25 settembre 2018; sez. I, 25 giugno 2021, n. 18311; sez. III, 6 novembre 2023, n. 30579), mentre ‘resta irrilevante il semplice difetto di «sufficienza» della motivazione’ (Cass., sez. II, 13 agosto 2018, n. 20721). Ferma in ogni caso restando la necessità che il vizio ‘emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata’ (Cass., Sez. Un., 8053/2014 cit.), vale a dire ‘prescindendo dal confronto con le risultanze processuali’ (così, tra le molte, Cass., sez. I, 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata; in senso conforme, più di recente, Cass., sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090).
3.6. Esclusa l’ammissibilità della censura quanto all’insussistenza della spendita del COGNOME quale soggetto legittimato alla riscossione, perché non basata solo su elementi testuali, occorre notare che la Corte d’appello , in relazione all’inerzia dell’amministrazione, si è così espressa: ‘ Né può riconoscersi valenza alcuna all’invocata inerzia da parte del Comune in quanto l’ente pubblico è parimenti vittima del comportamento infedele del COGNOME, di talché l’indicazione nei titoli edilizi dell’avvenuto pagamento delle somme dovute rappresenta un’evidenza in relazione alla quale può certamente ritenersi plausibile il fatto che il Comune si sia attivato solo nel momento in cui l’illecito perpetrato dal dipendente ha assunto dimensioni tali da emergere in maniera inequivocabile nel bilancio dell’ente’ (pagina 4, ultimo capoverso, pagina 5, primo capoverso).
La motivazione resa nel passo appena riportato poggia su elementi gravemente contraddittori, tali da rendere la decisione obiettivamente incomprensibile. Infatti, non è dato comprendere il legame logico tra l’essere l’amministrazione vittima della condotta infedele del COGNOME e l’indicazione nei titoli edilizi dell’avvenuto pagamento delle somme dovute , da un lato, e l’esistenza di un’evidenza ‘ in relazione alla quale può certamente ritenersi plausibile il fatto che il Comune si sia attivato solo nel
momento in cui l’illecito perpetrato dal dipendente ha assunto dimensioni tali da emergere in maniera inequivocabile nel bilancio dell’ente’, dall’ altro.
Atteso che la condotta del COGNOME si è protratta per un rilevante lasso di tempo (i fatti ascritti dalla Procura della Repubblica vanno dal 1999 al 2001), non è dato comprendere il fondamento della riferita plausibilità dell’attivazione dell’amministrazione quando l’incidenza della prima si sia palesata nel bilancio dell’ente. Conclusivamente , la Corte d’appello avrebbe dovuto specificare l’emersione sul piano temporale dell’incidenza della condotta appropriativa del COGNOME i sul bilancio dell’ente , valorizzando l’andamento diacronico degli introiti legati al rilascio di titoli edilizi, ossia esplicitare le basi argomentative del suo ragionamento, atte a far ritenere come non prima riscontrabile l’incidenza sul bilancio dell’ente di una condotta protrattasi per numerosi anni, se non alla luce di quanto verificato nel corso delle indagini da parte della Procura della Repubblica.
L’accoglimento del primo motivo e, per quanto di ragione del secondo, determina l’assorbimento del terzo, con cui è stata denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonché degli artt. 115, 187, 188 cod. proc. civ.
I ricorrenti hanno evidenziato che in primo grado avevano ritualmente formulato istanza di ammissione della prova testimoniale articolando 69 capitoli di prova distinti per singola posizione (riprodotti quanto agli odierni ricorrenti). Tale istanza era stata disattesa in primo e secondo grado senza rendere alcuna motivazione. La prova orale richiesta, unitamente alla produzione documentale, avrebbe permesso di dimostrare l’applicabilità dell’art. 1189 cod. civ., ossia la buona fede nei pagamenti fatti a ma ni del COGNOME autorizzato a riceverli per conto del creditore e il concorso colposo di quest’ultimo, stante la prassi decennale esistente presso l’Ufficio tecnico di far pagare direttamente a utenti e professionisti a mani del COGNOME gli oneri per le pratiche edilizie con contestuale rilascio della ricevuta con timbro dell’amministrazione comunale.
Accolto il primo motivo e, per quanto di ragione il secondo, la sentenza impug nata deve essere cassata, rinviando alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, perché rinnovi il giudizio di appello facendo applicazione del principio di diritto indicato, quanto ai presupposti afferenti alla responsabilità ex art. 2049 cod. civ., nonché per rendere una motivazione effettiva e percepibile, in ordine all ‘irrilevanza dell a prolungata inerzia dell’amministrazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e il secondo per quanto di ragione, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della