Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3227 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 3227 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21621/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Ministro pro tempore e domiciliato ope legis in INDIRIZZO, presso AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME , NOME COGNOME , COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME , tutti con domiciliazione EMAIL
Oggetto: Responsabilità civile -Responsabilità civile della P.A. –Condotte penalmente illecite dei dipendenti -Attività istituzionale -Responsabilità diretta -Prescrizione -Termine Interruzione
R.G.N. 21621/2018
Ud. 24/01/2024 CC
all’indirizzo EMAIL, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
-controricorrenti –
nonché contro NOME COGNOME, NOME COGNOME
-intimati – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 344/2018 depositata il 13/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 24/01/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 344/2018 del 13 febbraio 2018, la Corte d’appello di Napoli -decidendo su tre appelli riuniti proposti, rispettivamente, dagli eredi di NOME COGNOME (NOME COGNOME, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME), da NOME e da NOME COGNOME e nella regolare costituzione del RAGIONE_SOCIALE, appellato in tutti i tre i gravami riuniti -ha, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli n. 19831/2012, dichiarato la responsabilità solidale del RAGIONE_SOCIALE, NOME e NOME COGNOME questi ultimi due già condannati in primo grado -per l’incidente mortale sul lavoro occorso a NOME COGNOME in data 25 maggio 1997.
La Corte territoriale, infatti, dopo aver rammentato che era passata in giudicato la sentenza che aveva accertato la penale responsabilità di NOME e NOME COGNOME, ha accolto il motivo di gravame con il quale gli eredi del lavoratore avevano
impugnato la decisione di prime cure nella parte in cui la stessa aveva ritenuto prescritta la pretesa risarcitoria nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, osservando che, ex art. 2947 c.c., il termine di prescrizione applicabile risultava essere decennale e che, sebbene il RAGIONE_SOCIALE appellato non avesse partecipato al giudizio penale, era da ritenersi, ex artt. 1310, secondo comma, e 2945 c.c., che la pendenza del giudizio penale avesse determinato un effetto di interruzione permanente del termine di prescrizione.
La Corte d’appello, poi, ha affermato la concorrente responsabilità del RAGIONE_SOCIALE, rimarcando che tra quest’ultimo, da una parte, e NOME COGNOME e NOME COGNOME, dall’altra, vi era un rapporto organico, essendo il primo datore di lavoro dei secondi, ed essendo stati questi ultimi condannati in sede penale per la violazione delle norme in tema di sicurezza sul luogo di lavoro, mentre era del tutto irrilevante che NOME COGNOME non fosse dipendente del RAGIONE_SOCIALE, ma di una società terza.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre ora il RAGIONE_SOCIALE.
Resistono con unitario controricorso NOME COGNOME, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME. Sono rimasti intimati NOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis .1, c.p.c.
I controricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 437 c.p.c.
RAGIONE_SOCIALE censura la decisione della Corte territoriale nella parte in cui la stessa ha omesso di dichiarare inammissibile la nuova domanda che sarebbe stata formulata solo in appello da parte de gli eredi di NOME COGNOME.
Argomenta, in particolare, che nel giudizio innanzi al Tribunale questi ultimi avevano invocato, ex art. 28 Cost. la responsabilità diretta dello stesso RAGIONE_SOCIALE, laddove in appello gli stessi avrebbero negato di aver allegato una responsabilità diretta, in tal modo modificando il titolo della domanda.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 28 Cost.; 2049 e 2909 c.c. e 651 c.p.p.
Argomenta, in particolare, il ricorso che, alla luce del dettato di cui all’art. 28 Cost., la responsabilità della P.A. si configura come responsabilità diretta, comportando, pertanto, la necessità che la stessa sia riferibile direttamente alla stessa P.A.
Ne consegue, secondo la ricorrente, che, ai fini dell’affermazione della sua responsabilità, essa doveva essere chiamata a partecipare al procedimento penale e che, a causa della sua mancata partecipazione, risulterebbe inapplicabile il disposto di cui all ‘art. 651 c.p., il quale postula che il responsabile civile sia chiamato a partecipare al giudizio penale.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1306 c.c. per avere la Corte territoriale affermato la responsabilità solidale del RAGIONE_SOCIALE, nonostante la mancata partecipaz ione di quest’ultimo al giudizio penale, e la conseguente applicabilità del disposto di cui all’art. 1306 c.c.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1310 e 2947 c.c. e 589 c.p.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello:
-avrebbe erroneamente ritenuto che il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria nei confronti del RAGIONE_SOCIALE fosse di dieci anni, omettendo di considerare che, per effetto della L. 251/2005 -applicabile anche ai fatti di causa in quanto regime più favorevole al reo -il termine di prescrizione era da ritenersi di soli sei anni;
-avrebbe erroneamente ricollegato all’ipotesi di cui all’art. 2947, terzo comma, c.c. il termine decennale di prescrizione, laddove, una volta intervenuto il giudicato penale, detto termine era di cinque anni;
-avrebbe erroneamente ritenuto estensibile ex art. 1310 c.c. al RAGIONE_SOCIALE l’effetto interruttivo della prescrizione derivante dalla pendenza del procedimento penale, nonostante il RAGIONE_SOCIALE medesimo fosse rimasto estraneo a tale procedimento.
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., la ‘omessa pronuncia su un fatto decisivo’ .
Il RAGIONE_SOCIALE ricorrente, infine, si duole del fatto che la decisione impugnata abbia omesso di pronunciarsi sul profilo della mancata partecipazione del ricorrente medesimo al procedimento penale, e sulla conseguente inopponibilità della sentenza pronuncia ta all’esito di quel procedimento.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Questa Corte ha chiarito che costituisce domanda nuova, non proponibile per la prima volta in appello, quella che, alterando anche
uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introduca una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, inserendo nel processo un nuovo tema di indagine, sul quale non si sia formato in precedenza il contraddittorio (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 23415 del 27/09/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 8842 del 11/04/2013), oppure quando gli elementi prospettati in giudizio, sebbene già esposti nell’atto introduttivo, vengano dedotti in grado d’appello, in modo da introdurre un nuovo tema d’indagine che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia (Cass. Sez. L, Sentenza n. 16298 del 12/07/2010).
Nel caso di specie -ferma restando l’ininfluenza del profilo sollevato per le ragioni che verranno di seguito evidenziate -è comunque da ritenere che le deduzioni svolte dagli odierni controricorrenti in appello -peraltro riferite dal ricorso in modo non pienamente conforme alla regola di completezza e specificità di cui all’art. 366 c.p.c. non risultano aver introdotto alcun nuovo tema di indagine e tampoco risultano avere avanzato una pretesa diversa da quella avanzata in primo grado, emergendo, anzi che il tema di indagine e valutazione sottoposto alla Corte d’appello era del tutto coincidente con quello sottoposto al giudice di prime cure.
Si deve, del resto, rilevare per completezza che -come anche si specificherà meglio in sede di esame del secondo motivo di ricorso -la Corte d’appello di Napoli risulta avere affermato la responsabilità dell’odiern a ricorrente ricostruendola esattamente nei termini di quella responsabilità diretta che la stessa ricorrente deduce essere stata invocata sin dal giudizio di primo grado, e quindi mantenendosi comunque nell’ambito dell’originario tema di indagine.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo, invero , non investe l’effettiva ratio della decisione della Corte d’appello.
Quest’ultima, infatti, non ha affermato la responsabilità dell’odierno ricorrente sulla scorta della mera condanna in sede penale dei suoi funzionari in tal modo estendendo de plano al RAGIONE_SOCIALE l’accertamento contenuto nel giudicato penale , ed anzi si deve rimarcare che nella motivazione della decisione impugnata non è dato ravvisare alcun passaggio argomentativo che contenga, anche solo indirettamente, una simile affermazione.
La Corte territoriale, invece, ha proceduto ad un’autonoma valutazione della fattispecie e, conformandosi ai principi enunciati da questa Corte in tema di responsabilità della P.A. (a partire da Cass. Sez. U – Sentenza n. 13246 del 16/05/2019, seguita, tra le altre, da Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 35020 del 29/11/2022; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 365 del 2023), ha concluso che l’incidente mortale era riconducibile alla responsabilità dei due funzionari del Ministero, il quali stavano operando nell’ambito dell a propria attività istituzionale.
Tale constatazione ha poi permesso alla Corte territoriale di affermare la responsabilità anche dell’odierna ricorrente, sulla scorta dell’imputazione della condotta dei funzionari allo stesso Ministero, in virtù della regola di immedesimazione organica già applicata da questa Corte nei precedenti poc’anzi citati .
Questa ratio decidendi -che, evidentemente, non si basa sulla lamentata estensione del giudicato penale – non viene investita adeguatamente dal motivo di ricorso -né, sia detto per completezza, dal primo motivo di ricorso, come anche visto in precedenza -da ciò derivando l’applicazione dell’orientamento di questa Corte che esclude l’ammissibilità del ricorso che non venga ad adeguatamente investire nel loro complesso le rationes poste alla base della decisione di merito
(Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019).
Il terzo motivo è, parimenti, inammissibile.
Il motivo, in primo luogo, appare privo di concreta autonomia, rispetto al motivo precedente , in quanto, nell’invocare il disposto di cui all’art. 1306 c.c., viene in sostanza a riproporre il profilo dell’asserita estensione -da parte della Corte territoriale -del contenuto del giudicato penale formatosi nei confronti di NOME, NOME COGNOME anche all’odiern o ricorrente.
Proprio per tale ragione, tuttavia, il motivo risulta ulteriormente inammissibile perché, come nel caso del secondo motivo di ricorso, non intercetta correttamente la ratio della decisione impugnata, atteso che, come visto in precedenza, la stessa non ha operato alcuna estensione in violazione del disposto di cui all’art. 1306 c.c.
Il quarto motivo, nei molteplici profili in cui si articola, è infondato.
5.1. Quanto alle deduzioni concernenti i riflessi che la L. n. 251/2005 avrebbe presentato sull’individuazione del termine di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c., questa Corte ha già chiarito -proprio con riferimento alla L. n. 251/2005 – che, nell’ipotesi di illecito civile costituente reato, qualora, ai sensi dell’art. 2947, terzo comma, c.c., occorra fare riferimento al termine di prescrizione stabilito per il reato e questo sia stato modificato dal legislatore rispetto al termine previsto al momento della consumazione dell’illecito, deve applicarsi il termine di prescrizione previsto dalla disciplina di legge vigente al momento di consumazione del reato, valendo il principio di irretroattività della norma e non rilevando, agli effetti civilistici, il principio della norma più favorevole (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n.
6333 del 14/03/2018; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13407 del 27/07/2012).
Nel caso di specie, l’incidente mortale fonte dalla pretesa risarcitoria ha avuto luogo nel 1997, con conseguente applicazione del previgente termine di prescrizione del reato ed altrettanto conseguente determinazione del termine medesimo secondo il disposto di cui all’art. 2947, secondo comma, c.c., il quale si riferisce a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21404 del 26/07/2021).
5.2. Quanto alla dedotta applicabilità del termine quinquennale di prescrizione decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza penale, si deve rilevare, in primo luogo, che è la stessa parte ricorrente a contestare che tale decisione faccia stato nei propri confronti e che, proprio sulla scorta di tale contestazione, risulta esente da censura la mancata applicazione, da parte della Corte d’appello , del disposto di cui all’art. 2947, terzo comma, seconda parte, c.c.
A tale considerazione si aggiunge la constatazione del fatto -evidenziato proprio in ricorso – che la sentenza penale di condanna pronunciata dalla Corte d’appello di Napoli risulta passata in giudicato a seguito del rigetto del ricorso di legittimità da parte di questa Corte con sentenza n. 23729/2005, sicché – ove si consideri che il presente giudizio risulta essere stato instaurato con ricorso in data 13 novembre 2006 -viene ad emergere con evidenza che il termine quinquennale invocato dall’odierna ric orrente comunque non poteva ritenersi decorso.
5.3. Infondate, infine, appaiono le deduzioni del RAGIONE_SOCIALE ricorrente in ordine all’inoperatività dell’ipotesi di interruzione della prescrizione ex art. 1310 c.c. per effetto della mancata partecipazione del medesimo ricorrente al giudizio penale.
Questa Corte, infatti, ha già chiarito che l’interruzione della prescrizione compiuta dal creditore nei confronti di uno dei soggetti obbligati ha effetto anche nei confronti degli altri condebitori solidali, ai sensi dell’art. 1310, primo comma, c.c., senza che sia richiesto che questi ultimi abbiano conoscenza dell’atto interruttivo, in quanto gli effetti conservativi che tale atto produce incidono direttamente sul rapporto da cui origina l’obbligazione, e non sulla sfera giuridica del singolo condebitore solidale, il quale, in conseguenza dell’estensione nei suoi confronti del relativo effetto conservativo dell’interruzione, non viene a perdere alcun diritto, né viene inciso in una qualsiasi situazione giuridica soggettiva di cui sia titolare (Cass. Sez. U – Sentenza n. 13143 del 27/04/2022; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 10141 del 29/03/2022; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 7016 del 11/03/2020; Cass. Sez. 3 Sentenza n. 22524 del 10/09/2019, ma si veda anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6224 del 23/03/2005).
Ratio dell’art. 1310 c.c. , infatti, è quella di rendere opponibile ai condebitori solidali qualunque evento interruttivo della prescrizione operante nei confronti di uno di essi anche qualora gli altri non ne siano stati in alcun modo coinvolti, fissando in tal modo un regime di favore per il creditore il quale, diversamente, sarebbe tenuto a compiere atti interruttivi della prescrizione nei confronti di tutti i singoli debitori.
Si deve, anzi, evidenziare che la decisione impugnata si è parimenti conformata al principio espresso da questa Corte nell’ affermare che, ove l’atto interruttivo derivi dalla proposizione di una domanda giudiziale o dalla costituzione di parte civile, l’estensione dell’effetto interruttivo assume anche il carattere permanente per tutta la durata del giudizio contemplato dall’art. 2945 c.c. anche nei confronti dei condebitori (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 15276 del 30/05/2023; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8217 del 24/03/2021; Cass. Sez. 3 – Ordinanza
n. 7016 del 11/03/2020; Cass. Sez. L, Sentenza n. 17412 del 30/08/2016; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1406 del 21/01/2011, per giungere sino a Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8136 del 15/06/2001; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15511 del 06/12/2000).
6. Il quinto è nuovamente inammissibile.
Anche tale motivo, infatti, si viene a basare su un postulato che, come già visto in relazione al secondo ed al terzo motivo, è invece erroneo, e cioè che la Corte territoriale abbia ritenuto il giudicato penale formatosi nei confronti di NOME, NOME COGNOME opponibile anche all’odierna ricorrente.
Ne deriva che anche tale motivo risulta inidoneo ad infirmare l’effettiva ratio della decisione, fermo restando che il profilo della mancata partecipazione dell’odierno ricorrente al giudizio penale risulta specificamente menzionato nella decisione impugnata, che tuttavia non ha ritenuto tale profilo risolutivo, proprio perché il percorso motivazionale non si basava sull’automatica e mai affermata in sentenza -estensione del giudicato, bensì sul meccanismo di imputazione alla ricorrente della responsabilità civile per un reato posto in essere dai suoi funzionari nell’esercizio di attività istituzionale, reato -questo sì -accertato con decisione passata in giudicato.
7. Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo con previsione di distrazione a favore del procuratore dichiaratosi antistatario.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 8.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con distrazione a favore dell’AVV_NOTAIO, il quale si è dichiarato antistatario.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater , nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis , ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 24 gennaio