Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18535 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18535 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18927/2020 proposto da:
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA, RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic. in Roma, alla INDIRIZZO, presso il AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappres. e difes a dall’AVV_NOTAIO , per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
COGNOME NOME; COGNOME NOME; nella qualità di eredi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, elett.te domic. in Roma, alla INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, rappres. e difesi dall’AVV_NOTAIO, per procura speciale in atti;
-controricorrenti-
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t.; COGNOME NOME; -intimati-
avverso la sentenza n. 553/20 della Corte d ‘appello di Firenze, pubblicata il 3.03.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8 .05.2024 dal Cons. rel., AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano innanzi al Tribunale di Livorno la RAGIONE_SOCIALE MPS s.p.a. e NOME COGNOME; sulla premessa che quest’ultimo, quale promotore finanziario della RAGIONE_SOCIALE, si era appropriato di somme derivanti da investimenti da loro effettuati fin dal 2002allorché, tramite il promotore, avevano stipulato un contratto di amministrazione e custodia di titoli e un contratto di conto correnteattraverso uno storno del denaro presso altro conto corrente acceso a nome degli attori presso la IW RAGIONE_SOCIALE, disponendone illecitamente in piena autonomia, chiedevano la condanna dei convenuti a pagare, in loro favore, la somma di euro 537.628,85 della quale il COGNOME si era appropriato, oltre al risarcimento dei danni non patrimoniali.
Il Tribunale accoglieva la domanda, condannando i convenuti , in solido, al pagamento della somma richiesta, oltre alla somma di euro 10000,00 a titolo risarcitorio per danno non patrimoniale, rigettando la domanda di manleva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Al riguardo, il Tribunale osservava che: il COGNOME, quale promotore finanziario, si era appropriato illecitamente delle somme investite dagli attori, come desumibile anche dalla sentenza penale di condanna con patteggiamento emessa nei confronti dello stesso promotore per la condotta distrattiva e truffaldina consumata a danno dei clienti, ritenendo confessorie le dichiarazioni rese dal COGNOME nel procedimento penale, in ordine all’apertura fraudolenta del conto presso la IW RAGIONE_SOCIALE, avvenuta falsificando la documentazione e le firme degli attori, anche relativa al mandato ad operare sullo stesso conto, come emerso dalla
c.t.u. grafologica; la banca rispondeva della condotta del suo promotore a titolo di responsabilità oggettiva.
La RAGIONE_SOCIALE MPS proponeva appello nei confronti degli eredi degli attorinelle more entrambi deceduti- NOME e NOME COGNOME, che veniva respinto con sentenza della Corte d’appello emessa il 16.9.19, osservando che: la prova della responsabilità del promotore era costituita dalla sentenza penale di applicazione della pena su richiesta di patteggiamento nei confronti del COGNOME, responsabilità non contestata dalla banca; nel procedimento penale quest’ultimo aveva dichiarato di essersi impossessato delle password dei clienti e di avere aperto e poi operato su altro conto, presso la IW RAGIONE_SOCIALE, senza il consenso dei clienti; tale illecito era stato reso possibile dall’attività di promotore finanziario all’interno della strut tura della banca, che aveva indotto i clienti della banca a far affidamento sul professionista; la doglianza dell’appellante circa il mancato uso, nell’espletamento della consulenza grafologica, delle scritture di comparazione indicate dalla banca, a seguito del disconoscimento da parte degli attori delle sottoscrizioni apposte sui tre ordini di trasferimento dei titoli presso il conto aperto della IW RAGIONE_SOCIALE (e delle successiva richiesta di verificazione delle firme) era infondata, poiché il c.t.u. aveva utilizzato documenti di certa provenienza ai fini della comparazione delle firme degli attori (passaporto e CI); la registrazione telefonica della conversazione era stata disconosciuta dal COGNOME ed era, comunque, irrilevante; il danno patrimoniale era stato correttamente determinato nella somma pari alla differenza tra l’importo complessivo distratto e le somme recuperate dagli attori una volta scoperta la distrazione; la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale era corretta, in considerazione del grave turbamento degli attori a fronte della scoperta della
sottrazione dell’ingente somma di denaro a causa dell’affidamento nella qualifica e nella condotta del promotore.
RAGIONE_SOCIALE ricorre in cassazione con tre motivi. NOME e NOME COGNOME resistono con controricorso, illustrato da memoria. Non si sono costituite le parti intimate.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 116, c.1, 183, c.6, c.p.c., 214, 215, 216, 17, c.p.c., 2699, 2700, c.c., 1, 30, 35, dpr n. 445/2000, per aver la Corte d’appello escluso le scritture di comparazione depositate in originale dalla stessa banca con le memorie istruttorie, non disconosciute, né contestate dalla controparte, senza alcuna motivazione, e per aver invece utilizzato, per la comparazione delle firme, i documenti prodotti dagli attori, la cui autenticità non emergeva dagli atti (lamenta ndo, peraltro, che la carta d’identità era stata prodotta tardivamente, nel corso della c.t.u. grafologica).
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 115 c .p.c. e 111 Cost., avendo la Corte territoriale ritenuto apocrife le firme verificate sulla base di saggi grafici dell’attrice COGNOME che, però, non risultavano autorizzati ed effettuati, omettendo di motivare, ovvero con motivazione apparente, riguardo agli elementi dai quali aveva tratto certezza delle firme contenute nelle scritture di comparazione allegate (a pposte sul passaporto e sulla carte d’identità ), anche alla luce dell’inopponibilità alla banca delle dichiarazioni del COGNOME rese in sede penale.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 2043, 2059, 2056, 1226, 2697, 2727, 2729, c.c., 115 c.p.c., 185 c.p., per aver la Corte d’appello liquidato, a favore degli attori, la somma di euro 10.000,00 a titolo di danno non patrimoniale, senza precisarne la natura, ed indicare i criteri adottati per tale liquidazione equitativa.
Il primo motivo è inammissibile.
L a ricorrente si duole che la Corte d’appello non abbia ammesso, ai fini della comparazione delle sottoscrizioni oggetto di verifica, ex art. 217 c.p.c., le scritture da essa prodotte, sebbene non disconosciute o contestate, limitando l’utilizzabilità, ai fini della c.t.u. grafologica, ai soli documenti costituiti dalla proc ura speciale alle liti, dalla carta d’identità della COGNOME, dal passaporto e da un contratto di locazione riferibili al COGNOME.
Anzitutto, va rilevato che i controricorrenti eccepiscono di aver contestato l’autenticità delle scritture prodotte dalla banca nella terza memoria ex art. 183 c.p.c., a seguito della loro produzione.
Al riguardo, nel procedimento di falso, l’idoneità di una scrittura privata alla funzione di comparazione richiede non già il dato negativo della mancanza di un formale disconoscimento nei tempi e nei modi di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c., bensì quello positivo del riconoscimento, espresso o tacito (per non essere, cioè, mai stata contestata l’autenticità della scrittura), atteso che, dovendo fungere da fonte di prova della verità di altro documento, è indispensabile che sia certa la provenienza della scrittura da colui al quale quel documento si intende attribuire (Cass., n. 13078/16; n. 129/01).
Nella specie emerge la contestazione, da parte degli attori, dell’autenticità delle scritture allegate dalla banca. Al riguardo, va rilevato che il disconoscimento di scrittura privata, ai sensi dell’art 214 cod. proc. civ., pur non richiedendo l’impiego di formule solenni e sacramentali, postula che la parte, contro la quale la scrittura sia prodotta in giudizio, sollevi un’impugnazione inequivoca e determinata, da cui sia possibile desumere con certezza la volontà di negare l’autenticità della scrittura o della sua sottoscrizione. Il convincimento del giudice del merito, sull’idoneità o meno, al fine indicato, di una
determinata deduzione difensiva, risolvendosi in una valutazione di fatto, non e censurabile in sede di legittimità, ove fondato su motivazione adeguata e corretta (Cass., n. 292/78; n. 12448/12).
Inoltre, è stato affermato che, nel procedimento per la verifica di scrittura privata spetta al giudice del merito stabilire quali scritture debbano servire di comparazione, senza esser vincolato da alcuna graduatoria tra le varie fonti di accertamento dell’autenticità (Cass., n. 13844/99; n. 29542/19).
Nella specie, non è dunque sindacabile la scelta del Tribunale di utilizzare, quali scritture di comparazione, i soli documenti offerti dagli attori, attraverso una valutazione della fonte di provenienza, senza essere vincolato ad ammettere i documenti prodotti dalla controparte. Il secondo motivo è del pari inammissibile, sia per carenza di autosufficienza, in quanto la ricorrente non trascrive i verbali d’udienza e gli atti dei gradi di merito dai quali si desumerebbe la questione della mancata autorizzazione dei saggi grafici, sia perché tende comunque al riesame dei fatti, emergendo dagli atti che la c.t.u. grafologica, con relativa comparazione delle firme degli attori, era stata espletata sulla base di atti di certa provenienza e di plausibile attendibilità.
Il terzo motivo è infondato, sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte.
Al riguardo, è stato affermato che è viziata la motivazione della sentenza che, nell’effettuare la liquidazione equitativa del danno morale, non si riferisca alla gravità del fatto, alle condizioni soggettive della persona, all’entità della sofferenza e del turbamento d’animo, in quanto la stessa si pone al di fuori del fondamento e dei limiti di cui all’art. 1226 c.c., così da rendere impossibile il controllo dell'”iter” logico seguito dal giudice di merito nella relativa quantificazione (Cass., n. 21087/15). Il principio dell’insindacabilità della liquidazione
equitativa del danno in sede di giudizio di legittimità non trova applicazione quando nella sentenza di merito non sia stato dato conto del criterio utilizzato, la relativa valutazione risulti incongrua rispetto al caso concreto e la determinazione del danno sia palesemente sproporzionata per difetto o per eccesso (Cass., n. 23304/07).
Il giudizio equitativo non può ridursi ad un asserto arbitrario e, pertanto, non solleva il giudice dal dovere di rendere una compiuta motivazione in relazione ai parametri utilizzati, i quali realizzano la necessaria intelaiatura di legittimità e sono costituiti da criteri valutativi collegati ad emergenze verificabili, o comunque logicamente apprezzabili, ragionevoli e pertinenti al tema della decisione (Cass., n. 28075/21).
Nella specie, la Corte territoriale ha liquidato il danno non patrimoniale argomentando dal forte turbamento causato dalla scoperta della distrazione dell’ingente somme di denar o; il riferimento al turbamento risponde ad una regola di comune esperienza, concretizzando un parametro concretamente verificabile nella sua intensità e gravità.
In altri termini, il giudice di secondo grado ha dato conto del criterio utilizzato per la liquidazione del danno non patrimoniale, logicamente apprezzabile tenuto conto delle particolarità del caso concreto, nella sua gravità auto-evidente, secondo la comune esperienza.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i primi due motivi del ricorso, infondato il terzo, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 12.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio in data 8 maggio 2024.