SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1755 2025 – N. R.G. 00000833 2023 DEPOSITO MINUTA 04 12 2025 PUBBLICAZIONE 04 12 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI BARI
Terza Sezione Civile
La Corte d’Appello, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti Magistrati:
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Presidente
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere rel.
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al numero di ruolo NUMERO_DOCUMENTO affari contenziosi civili, tra
e
in proprio ed in qualità di
esercenti la responsabilità genitoriale su
, rappresentati e
difesi dall’AVV_NOTAIO,
-appellanti ed appellati-
c/
, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO,
-appellato ed appellante incidentale-
e
rappresentata e
difesa dall’AVV_NOTAIO
-appellata-
CONCLUSIONI: come precisate nelle difese in atti, e nel verbale di udienza di precisazione delle conclusioni che qui devono intendersi integralmente richiamate
Motivazione
e , in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale su , e , convenivano in giudizio il dott. che seguiva la e la , chiedendo accertarsi la responsabilità dei convenuti per i danni patiti per omessa diagnosi delle malformazioni poi riscontrate per la figlia , constatate all’esito del parto della , avvenuto presso l’Ospedale ‘MonsRAGIONE_SOCIALE Dimiccoli’ di Barletta , il 5/3/2006.
Deducevano al riguardo che, ove informati per tempo di tali patologie, avrebbero potuto esercitare la scelta di interrompere la gravidanza; oppure, in caso di scelta
diversa, far ricorso a strumenti diagnostici di livello superiore, e ad assistenza multidisciplinare più idonea alle cure e seguito del caso; e che comunque avrebbero potuto far nascere la bambina presso un ospedale dotato di un reparto di neonatologia più attrezzato -con UTIN- essendo state constatate, dopo il parto condizioni di distress respiratorio della neonata.
Si sosteneva quindi che le molteplici malformazioni della nascitura -scheletriche, cardiache, nonché atresie/agenesie retto-genitali- fossero valutabili ed indagabili per tempo, ma che non erano state verificate e diagnosticate tempestivamente, neppure entro il quinto mese di gravidanza, non essendo stata doverosamente approfondita la condizione del feto; si evidenziava che tali malformazioni non erano comunque state constatate neppure nell’immediatezza del parto .
Si contestava la correlata negligenza, imperizia e imprudenza del ginecologo dott. con imputazione dell’occorso anche a lla , stante il rapporto di spedalità.
Si deduceva peraltro che le riscontrabili inadempienze, avevano finanche comportato il grave pericolo per la vita della neonata, e comunque riflessi traumatici per gli stessi genitori.
Si affermava inoltre che il dott. aveva sempre rassicurato la sul buon andamento della gravidanza, e che tanto non aveva consentito alla medesima, in quanto ignara delle problematiche, il diritto di libera scelta nei termini in precedenza indicati.
Veniva quindi chiesto di riconoscere il diritto al risarcimento per tutti i membri della famiglia, in considerazione e conseguenza delle sofferenze di vita, derivanti dalle condizioni nelle quali versava la figlia , e per le menomazioni impeditive rispetto alle più comuni esperienze di vita -sessualità e maternità-, e preclusioni delle relative possibilità, con incidenza sullo sviluppo della personalità e piena realizzazione.
I convenuti dott. ed , si costituivano in giudizio contestando le avverse allegazioni e chiedendo il rigetto delle domande risarcitorie.
Il che inizialmente chiedeva la chiamata in causa del , e quindi anche della Compagnia garante , rinunciava in corso di causa alle domande proposte nei confronti dei suddetti, e quindi veniva dichiarata la estinzione parziale del giudizio, proseguendo la controversia tra le originarie parti.
Si dava quindi corso all’approfondimento delle questioni dedotte, con espletamento di due ctu, officiando due differenti professionisti.
Veniva all’esito emessa la sentenza n. 751/2023 del 29/4/2023, con la quale il Tribunale così disponeva:
‘ – rigetta la domanda di risarcimento dei danni proposta da e , quali esercenti la responsabilità genitoriale sui figli minori , e , sia nei confronti del sia nei confronti della
– rigetta la domanda di risarcimento dei danni proposta in proprio da
e
nei confronti del
– accoglie per quanto di ragione la domanda la domanda di risarcimento dei danni proposta in proprio da e nei confronti della e, per l’effetto, condanna la convenuta al pagamento dell’importo di € 6.000,00 a titolo di risarcimento dei danni morali patiti da ciascuno degli attori e , oltre interessi legali, dalla data di pubblicazione della sentenza sino al soddisfo,
compensa integralmente tra le parti le spese di lite’
Il Tribunale non ravvisava comunque la sussistenza dell’i mputabilità di condotte colpose a carico sanitario e responsabilità per la convenuta, e nei termini indicati dagli attori, considerando in definitiva condivisibili gli esiti delle due ctu svolte, che avevano escluso la ravvisabilità di condotte/omissioni colpose nella specie. Con
Si riteneva esser solamente risarcibile il danno morale -nella misura indicata in dispositivo, e determinata in via equitativa-, per non esser i genitori stati messi al corrente nell’immediat o post-partum , della condizione della neonata, essendo stato riferito loro che la stessa era in buone condizioni di salute al momento del parto, situazione rivelatasi affatto veritiera, visto quanto riscontrato immediatamente dopo.
Veniva in primis considerato che non potesse esser ravvisata alcuna ipotesi di danno suscettibile di tutela a favore della minore , e per lesione di un diritto alla salute correlabile alle condizioni di malformazione della stessa, posto che tali malformazioni risultavano essere, in quanto congenite, indipendenti dalla condotta medica, o da altri fattori imputabili alla Con
Con riferimento alle imputazioni, come prospettate dagli attori, di condotte omissivo/colpose addebitabili, si riteneva in sostanza che, comunque non fosse ravvisabile alcuna responsabilità medica per le malformazioni della neonata, non essendo le stesse addebitabili a malpractice.
Ed ancora si considerava che, per quanto emerso dalle due ctu espletate, le malformazioni di specie non fossero in concreto percepibili con indagini neonatali, essendo le correlate diagnosi ecografiche connotate da estrema difficoltà, e comportando, nella prevalenza dei casi, l’ impossibilità di identificare tali tipi di patologie, rilevando quindi che non erano emersi affatto sospetti in tal senso dagli esami effettuati dalla in fase di gravidanza.
Quanto poi al pregiudizio alla autodeterminazione con riferimento alla opzione abortiva, si considerava che, nulla essendo constatabile nei primi novanta giorni della gravidanza sulle condizioni del feto, e che avrebbero potuto indurre la madre all’opzione de qua , comunque non si erano neppure appalesate entro il quinto mese limite per l’esercizio della facoltà al riguardo, ed in caso di constatati pregiudizi alla salute della madre-, e non erano percepibili condizioni che potessero consentire di ritenere integrati i presupposti applicativi della correlata disposizione di legge, e quindi la possibilità di abortire.
In particolare si riteneva non imputabile al ginecologo la negligenza addebitata nella specie, vista la estrema difficoltà di diagnosi rispetto alle malformazioni poi constatate.
Si considerava che gli accertamenti effettuati dai due diversi periti officiati -il secondo dei quali per approfondire e chiarire alcune questioni poste dagli attori- erano stati convergenti in tal senso, avendo i CCttuu tratto le proprie conclusioni, in considerazione della valutabilità a mezzo degli strumenti diagnostici fruibili nel periodo di riferimento (2006).
Ed ancora veniva rilevato che solo con gli scritti conclusionali, gli attori avevano mosso ulteriori contestazioni, mai sollevate prima, nei confronti del riferite alla omessa informazione sui rischi di gravidanza, informazioni necessaria in considerazione della patologia renale della medesima, che poteva comportare correlate problematiche al riguardo.
Anche ulteriori doglianze riferite alle perdite ematiche ed ematuria in soggetto con patologie renali ed al distacco della placenta, si ritenevano nuove e tardive -in quanto addotte solo nelle comparse conclusionali-, e comunque non incidenti rispetto ai risvolti dannosi lamentati dagli attori, non risultando aver avuto incidenza eziologica al riguardo.
Si riteneva che le patologie constatate sulla minore non risultavano esser riconducibili alla condizione renale della madre, posto che tale condizione non risultava aver influito sull’idoneo afflusso sanguigno -non essendo riscontrati episodi e condizioni di ipertensione- e sulla crescita della nascitura.
Si concludeva per la non imputabilità al nosocomio barlettano di inadempimenti e condotte censurabili per la gestione della fase post-partum , rilevando esser stato disposto il tempestivo trasferimento in l’ospedale nosocomio di Foggia -della neonata , non appena manifestatesi le condizioni di distress respiratorio, e non essendo constatabili condizioni di aggravamento della minore nella fase successiva al parto, ed essendo la complessiva situazione riconducibile alle malformazioni già presenti.
I menzionati attori -sempre nella qualità in epigrafe indicata- impugnavano la sentenza, contestando le motivazioni addotte dal Tribunale, e le valutazioni delle consulenze tecniche d’ufficio , chiedendo di accogliere tutte le conclusioni formulate nel giudizio di primo grado, e quindi di:
‘ -dichiarare la responsabilità del convenuto ginecologo dott. per i danni subiti e subendi dagli attori a causa della negligente, imprudente e imperita conduzione della relazione diagnostico-terapeutica e, poi anche clinica, in ogni età fetale, prenatale e neonatale – della piccola ;
-condannare il dott. al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, nella misura che risulterà non contestata e/o accertata salvo che sarà definita in quella maggiore o minore misura che l’RAGIONE_SOCIALE.mo Collegio della Corte di Appello di Bari riterrà equa e giusta per e per i suoi genitori per le lesioni subite e subende, oltre interessi e rivalutazione come prevista ; ‘ con vittoria di spese
Si chiedeva quindi l’ammissione delle istanze istruttorie non ammesse e/o rigettate in primo grado, e disporsi ctu quantificativa del danno allegato nei termini del disturbo ansioso-depressivo maggiore post-traumatico, dei signori , e, in via equitativa, in favore di .
Gli appellanti, imputando al medico convenuto la negligenza nelle condotte tenute, per non avere, nonostante la acclarata e certificata condizione di gravidanza a rischio, rilevato all’esito delle ecografie effettuate, le anomalie ostetriche e le discordanze biometriche fetali emerse del primo trimestre, asserivano al riguardo che quelle rilevate dal ginecologo, corrispondevano ad età sempre minori rispetto all’epoca gestazionale, fino a raggiungere la divergenza di 3 settimane alla 38° settimana, non avendo quindi consentito neppure la possibilità di approfondimento con una diagnostica di livello superiore.
Venivano inoltre ribadite le censure sull’omissione della valutazione nell’immediato post-partum, lamentando il grave corso postraumatico da stress ed ansioso depressivo maggiore per entrambi i genitori, anche per non aver potuto determinarsi liberamente e coscientemente nel corso della gestazione, oltre che per tutto il travaglio del vissuto e l’ incessante bisogno di cure, diagnosi, interventi, prestazioni cliniche e supporti, protesici e specialistici.
Si censuravano le conclusioni dei CCttuu, sostenendo che:
-Fosse stata omessa ogni considerazione su un fatto acclarato della controversia, ovvero la patologia ereditaria trasmissibile della ;
-Fosse stata omessa ogni considerazione sulle flussimetrie raccomandate dalle Linee Guida RAGIONE_SOCIALE (in materia di ecografie ostetrico/ginecologiche) e non eseguite:
-Fosse stata omessa ogni considerazione su quanto specificamente chiesto dal G.I., e sulla connotazione routinaria o di particolare difficoltà tecnica, dell ‘ attività prestata;
-Fosse stata omessa ogni considerazione e critica sulle misurazioni biometriche differentemente datate -ecograficamente- dal medico convenuto, rispetto alle risultanze stesse della strumentazione tecnica del medesimo, che il Ctu avrebbe dovuto esaminare, in quanto rilievi fondanti l’appello:
lamentando quindi la grave negligenza anamnestica, per non esser stata valutata non solo la condizione patologica renale della , ma in particolare l’anomalia nello sviluppo cranio-caudale, e l’ incompiuta formazione del rachide, quali anomalie biometriche che non potevano non essere considerate, e dovevano anche esserne informata la gestante.
L’appello veniva quindi fondato sui seguenti motivi:
Violazione e falsa applicazione dell’art. DM 10 settembre 1998 del
;
Nella parte in cui si prevede che ‘ c. 4. In presenza delle condizioni di rischio di cui al presente articolo, le prescrizioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e di altre prestazioni specialistiche devono indicare la diagnosi o il sospetto diagnostico.’ , non avendo i sanitari approntato i relativi rimedi, e non avendo adottato i necessari accorgimenti, nonostante le condizioni di rischio fetale nella specie configurabili, riferibili alle malformazioni ed alla patologia della gestante (rene policistico) e familiarità per patologia renale cronica -con aumentato rischio di infezioni, insufficienze e stati di ingravescenza con la gravidanza-.
II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.
Per mancata valorizzazione, ai fini della decisione, delle condizioni anamnestiche della gestante, sin ab initio allegate, e non contestate
III) Violazione e falsa applicazione del principio del contraddittorio
Per non avere il primo Ctu, fornito affatto riscontro sulle osservazioni mosse, sulla mancata verificazione delle anomalie e le difformità rilevabili nelle misurazioni biometriche, e rilevanti ai fini della verifica della condizione prenatale.
Si sosteneva, inoltre che il Giudice di prime cure, avesse errato nel qualificare in termini di nuove allegazioni, le doglianze già sollevate sulla condizione patologica della gestante e relative conseguenze, deducendo comunque trattarsi di mere difese tecnicolegali, rese a fronte delle erronee valutazioni dei CCttuu, che non si erano affatto occupati della verifica del quadro anamnestico completo con cui si presentava la , e quindi delle condizioni della stessa, che avrebbero dovuto indurre ad un approccio multidisciplinare nel trattamento della gravidanza, posto che la gestante risultava essere affetta da rene policistico.
Si adduceva quindi, a sostegno della prospettata negligenza e colpa grave, che l’ omessa considerazione del quadro anamnestico, aveva comportato:
-L’ illegittima preclusione dei protocolli diagnostici, genetici e prenatali,
previsti dalla legge (DM 10 settembre 1998 Ministero della Sanità), ‘prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e altre prestazioni specialistiche necessarie per accertare eventuali difetti genetici, prescritte dallo specialista alla coppia, se l’anamnesi riproduttiva o familiare della coppia evidenzia condizioni di rischio per il feto.’
-L’illegittimo mantenimento della gestante nell’ambito di un trattamento ecografico mal impostato e mal condotto;
senza considerare che non vi era affatto una normale evoluzione della gravidanza, essendoci invece evidenze ecografiche di una regressione caudale patologica, che evolveva nell’incompleta formazione della colonna vertebrale al livello sacro-coccigeo (agenesia del sacro e del coccige).
Si rilevava al riguardo che, essendo noto che una condizione di regressione caudale si associa a sindromi pluri-malformative di diversa gravità, non poteva non ritenersi
ravvisabile, a fronte di un rallentamento della crescita cranio-caudale, un sospetto al riguardo.
Si deduceva quindi che doveva in conseguenza ritenersi esser stata preclusa la possibilità di procedere a migliori trattamenti diagnostici, che avrebbero dovuto portare ad affidare la a protocolli multidisciplinari, al fine di consentire una adeguata preparazione clinica e psicologica.
Si sosteneva che dovesse, per quanto rilevato e dedotto, ed alla stregua della verifica da effettuarsi sulla scorta del criterio della preponderanza probabilistica , ravvisarsi la sussistenza del nesso di causalità in considerazione della:
-omessa valutazione del complessivo quadro anamnestico e la mancata stratificazione dei rischi della gravidanza;
-omessa stratificazione del rischio materno-fetale e la totale assenza seppur in termini di mero sospetto di regressione caudale notoriamente associato a quadri plurimalformativi anche più devastanti, ma fino al 70% di casi di MAR (malformazione anorettale);
-omessa considerazione del complessivo quadro anamnestico e la mancata programmazione del parto in idonea struttura ospedaliera, oltre che rispetto alla mancata preparazione psicologica che certamente sarebbe stata garantita nei protocolli di diagnosi genetica e prenatale a cui la coppia aveva diritto.
Si costituivano in giudizio gli appellati di cui in epigrafe che contestavano le richieste e deduzioni avverse, chiedendo il rigetto dell’appello.
La affermando di aver corrisposto gli importi riconosciuti a favore degli attori con la sentenza di primo grado, rilevava di non esser stata destinataria, nel giudizio di appello, di alcuna richiesta da parte degli appellanti. Con
L’appellato proponeva inoltre appello incidentale, per ottenere la riforma della sentenza di primo grado, con riferimento alla disciplina delle spese, contestando la disposta compensazione, e chiedendo la relativa condanna per il doppio grado.
*
L’appello principale deve ritenersi infondato e va quindi rigettato.
Deve preliminarmente rilevarsi che, per quanto apprezzabile da ll’atto di impugnazione, nelle conclusioni formulate sono state rivolte richieste nei confronti del solo appellato dott.
Ed infatti alcuna richiesta è stata espressamente proposta nei confronti della che pertanto non deve ritenersi destinataria della pronuncia di appello, e delle valutazioni a formularsi, che devono concernere solo la verifica di fondatezza degli addebiti mossi al ginecologo di specie, e le eventuali correlabili conseguenze. Con
Possono per quanto innanzi, anche esser compensate le spese di lite tra gli appellanti e la che non era neppure stata citata in appello, e che è stata chiamata in giudizio Con
sulla scorta di quanto rilevato e quindi disposto dalla Corte, al fine di garantire l’integrità del contraddittorio.
Passando alla valutazione dei motivi di appello, va rilevato che gli appellanti, contestano:
-L’omessa anamnesi patologica per malattia renale cronica della gestante ;
-L’omesso monitoraggio degli stati ipertensivi connessi alla gravidanza;
-L’o messa stratificazione del rischio, pur in presenza di una certificazione di gravidanza a rischio;
-L’o messa contestualizzazione di anomalie biometriche, e valutazione della regressione cranio-caudale ;
-L’omessa osservanza delle prescrizioni ex DM -Ministero della Sanità- 10 settembre 1998;
-L’o messa informazione alla gestante;
lamentando esserne conseguita la preclusione nell’accesso ai trattamenti interdisciplinari, genetici e di diagnostica di livello superiore, e più appropriati rispetto alla gravidanza a rischio che già ab initio si prospettava.
Si deduce quindi che l’esistenza di due categorie di rischio, fetale e materno -derivanti nella specie dalla patologia di rene policistico della avrebbe dovuto comportare indagini diagnostiche e terapie di livello superiore rispetto a quelle approntate.
Ed inoltre che, non essendo la gestante stata posta al corrente dei rischi di gravidanza legati alla propria patologia, ne era conseguita anche la violazione del diritto all’informazione e del consenso informato , con privazione della possibilità di scelta ai sensi della legge n. 174/78′ .
Si imputa al ginecologo appellato, la grave negligenza, per non aver considerato il quadro patologico materno.
Si contesta in conseguenza la violazione del dovere di diligenza qualificata, anche con riferimento alla l’i nesatta refertazione delle anomalie biometriche rilevabili con le ecografie effettuate dal medico, esami dai quali si doveva desumere la problematicità della situazione rispetto ai rilievi della condizione cranio-caudale.
Sono state oggetto di contestazione le erronee refertazioni, rispetto ai rilievi, comunque registrati dallo strumento utilizzato per le ecografie, di persistente discordanza rispetto ai parametri rilevabili (CRL, BPD, LF documentate), discordanza che si deduce esser stata comunque ignorata; si asserisce peraltro esser stata omessa l’ effettuazione di flussimetrie, se pur raccomandate.
Sono state addebitate responsabilità alla senza formulare domanda nelle conclusioni dell’atto di appello -per le criticità ed omissioni nei profili clinici e organizzativi, sia con riferimento alla programmazione del parto, perché eseguito in
ospedale privo di UTIN; sia per o missione dell’esame obiettivo neonatale , essendo la neonata stata ritenuta sana e vitale dopo il parto, con ritardo notevole nel trasferimento presso altra struttura.
Sulla scorta di tali prospettazioni sono state formulate le richieste risarcitorie per l’impatto delle contestate condotte/omissioni colpose, sulle condizioni psico-fisiche e psico-sociali nella sfera esistenziale della bambina, e di tutto il nucleo familiare.
Va, rispetto alle doglianze di appello, considerato che gli appellanti hanno, in prime cure, dedotto sia l’omesso rilievo di anomalie del quadro morfologico ed ecografico del feto da parte del ginecologo, deducendo essere le anomalie fetali, ostetriche, ecografiche e morfologiche emerse già prima della 22^ settimana di gestazione; sia anche l’omessa o inappropriata considerazione della condizione di gravidanza a rischio, e del distacco placentare constatato, e delle correlabili anomalie gestazionali.
Si è in primo grado sostenuto che, ove adottate le condotte adeguate a seguito della valutazione delle condizioni morfologiche del feto percepibili con le ecografie effettuate, ci sarebbe stata la possibilità per la neonata, di accedere alle cure più appropriate, che avrebbe potuto evitare anche le situazioni di pericolo, quale quella di distress respiratorio, verificatasi al momento della nascita.
Sulla scorta dell’assunto concernente la riscontrabilità delle anomalie del quadro ecografico e morfologico del feto -anche in relazione al precedente distacco placentaregli appellanti hanno sostenuto che la mancata comunicazione e consapevolezza della madre, aveva anche precluso la possibilità di esercitare il diritto di interrompere la gravidanza nei termini di legge, oltre che la possibilità di affidarsi ad altri medici per i necessari approfondimenti o programmare la nascita presso altre strutture più idonee.
Contestando quindi le valutazioni dei periti officiati, si è sostenuto che i medesimi avrebbero dovuto evidenziare che:
-mancava totalmente una anamnesi patologica iniziale del rapporto;
-mancava ogni contestualizzazione dei primi tre reperti ecografici anomali, con il quadro anamnestico per familiarità e patologia renale cronica concomitante alla gravidanza nonché con l’emergenza ostetrica rilevata in prima ecografia;
-mancava ogni prescrizione di monitoraggio interdisciplinare e di diagnostica di livello superiore a tutela della maternità e della procreazione consapevole, dispensabile ai sensi del DM 10 settembre 1998, nell’ambito dei quali certamente la e il marito avrebbero ricevuto maggiore preparazione;
-era stato totalmente omesso l’esame obiettivo della neonata nell’immediatezza del post-partum ;
rilevando essere l’anamnesi patologica diretta per familiarità patologica, e l’esame obiettivo, prestazioni basilari del rapporto di cura, e fondamentali per la stratificazione dei rischi, per il monitoraggio in evolvendo e per gli approcci diagnostico-terapeutici più appropriati.
Si imputa quindi la correlata mancanza, alla negligenza e colpa grave del ginecologo, per aver omesso l’ erogazione di tali livelli essenziali di assistenza, pertanto impeditivi rispetto alla possibilità per la di ricevere una diagnostica di livello superiore, avendo il ginecologo dato corso a sole ecografie di routine per i correlati screening, non avendo peraltro indirizzato la presso un ospedale dotato di , per il parto.
Va, quanto alle doglianze elencate, considerato che le questioni relative ai primi due punti testè indicati, concernenti la mancata attenzione e di adeguata valutazione della condizione patologica della (rene policistico) ai fini della incidenza sul percorso di gravidanza e sui relativi rischi, sono state -nonostante la ritenuta tardività delle prospettazioni rispetto a quanto indicato nella causa petendi delle difese svolte in primo grado- comunque affrontate nel merito dal Giudice di prime cure.
Nella sentenza appellata si è difatti ritenuto che l’iniziale condizione di gravidanza a rischio, tutelata a mezzo di prescrizione di riposo e di apposita terapia, è stata superata nell’evoluzione del quadro della gestante , per quanto constatato all’esito dei successivi controlli.
Si è quindi considerato che la gravidanza, se pur inizialmente avesse manifestato delle problematiche di rischio, ha avuto un successivo andamento regolare, senza riscontro di ulteriori problemi, essendo stati effettuati i controlli di routine che non hanno evidenziato problematiche per la gestante e per il feto.
Il Giudice di prime cure ha anche ritenuto che non fosse ravvisabile alcuna influenza della patologa renale della , rispetto alle condizioni della figlia , non essendo per la stessa state constatate compromissioni a livello renale, e non potendo al riguardo aver avuto incidenza, la prospettata trasmissibilità della patologia, da madre in figlia.
Quanto poi alle ulteriori doglianze, che hanno ad oggetto la mancata valutazione delle anomalie biometriche, ed in particolare della regressione cranio-caudale, con correlata censura di inosservanza delle prescrizioni ex DM 10 settembre 1998, ed anche di omessa informazione alla gestante, occorre considerare che:
-Il primo Ctu designato -dott. descrivendo l’evoluzione della gravidanza, e gli accertamenti correlatamente compiuti, e rilevando la constatazione delle malformazioni che erano emesse -anche se non immediatamente- nel post-partum , ha, evidenziando la specifica tipologia degli accertamenti ecografici condotti a seconda dei periodi di gravidanza, e precisando che l’ ecografia eventualmente idonea ad identificare le anomalie morfologiche, è quella riferita al secondo trimestre, ha affermato chiaramente, e senza prospettare letture alternative al riguardo, che le malformazioni che hanno interessato , erano, viste le relative caratteristiche, in sostanza non percepibili cfr. ‘ estremamente difficile….. il più delle volte impossibile ‘ -, rendendo congrue motivazioni a sostegno -alle quali si rinvia- e ritenendo che il dott. si era comunque attenuto, nella condotta medica, ai protocolli di settore, ed in conformità alla miglior scienza ed esperienza.
-L’ulteriore Ctu -dott. appositamente officiato, sempre in prime cure, al fine di valutare le questioni sollevate sulle misurazioni biometriche della lunghezza cranio caudale del feto rispetto alle scale biometriche di riferimento, e sulla correlabile induzione ed indicazione, da parte del ginecologo, di una struttura ospedaliera dotata di , per consentire il parto della in condizioni più adeguate , oltre che per verificare la correttezza del l’approccio del personale dell’ , nella gestione della vicenda e nel postpartum, ha precisato che:
‘ nell’indicato periodo gestazionale quel che si è monitorato è il corretto sviluppo, ovvero la biometria non aveva evidenziato delle discrepanze tali da identificare un ritardo di crescita o di ritardare la gestazione, tale da programmare il parto in altra sede preposta per eventuali problematiche ‘
‘ Difatti alla nascita le dimensioni fetali e il peso erano sinonimo di un buon sviluppo fetale, che ben si rapportavano alla curva di crescita fetale ‘ .
‘ Per quanto riguarda l’accuratezza diagnostica della ecografica per le malformazioni ……. Le linee guida dell’epoca RAGIONE_SOCIALE prevedevano in termini di diagnosi ecografica prenatale, delle raccomandazioni che non sono assolutamente identificabili con le problematiche venute alla luce dopo la nascita della piccola , ovvero non solo tecnicamente impossibile identificarle nelle varie epoche gestazionali, ma anche non richieste espressamente ‘ .
concludendo per la correttezza dell’operato del e la conformità delle condotte professionali, alle legis artis.
Quanto poi alla questione concernente l ‘ omessa valutazione della anomalia della lunghezza cranio-caudale, e della correlabile indicazione/iniziativa da assumere dal ginecologo, si rileva che il perito dott. , ha categoricamente affermato che ‘ Non emergono dati, quali ad esempio, la inferiorità delle misure biometriche della lunghezza ‘cranio caudale’ del feto rispetto alle scale biometriche di riferimento che avrebbero dovuto portare il ginecologo a consigliare il futuro parto in una struttura ospedaliera dotata di reparto di terapia intensiva neonatale . ‘ , rendendo quindi riscontri negativi, rispetto alle asserzioni al riguardo prospettate dagli attori.
In definitiva si è ritenuto che l ‘approccio del personale del nosocomio di e del ginecologo appellato, nelle cure e seguito di , è stato adeguato secondo la migliore scienza ed esperienza dell’epoca.
A fronte di tali considerazioni formulate in maniera conforme dai due CCttuu officiati, si pongono le deduzioni e contestazioni della parte e del proprio Ctp, che ha prospettato la sussistenza di responsabilità derivanti dal:
non aver informato la coppia che la condizione della , in quanto affetta da rene policistico rappresentava evenienza di possibile trasmissione ereditaria al nascituro,
quindi necessitante di accurati controlli ecografici ad excludendum , anche presso strutture sanitarie qualificate, nonché di controlli multidisciplinari (da parte di nefrologi, e genetisti), sostanziandosi quindi in una gravidanza a rischio, comunque certificata dal ginecologo in data 04/08/2005
non aver informato la coppia che la minaccia d’aborto (rischio attuale) comporta rischio gravidico e fetale
non aver informato la coppia dei recenti orientamenti astensionistici per la minaccia d’aborto e non aver informato la coppia che il monitoraggio di una gestazione può essere espletata a vari livelli di competenza tecnica e diagnostica e che il ginecologo aveva solo una competenza di base, al di là della quale esistevano (ed esistono) centri e specialisti che espletano ecografie di secondo e terzo livello con possibilità di rilevazione di anomalie o malformazioni fetali superano al 90% contro il 20/30% delle ecografie di base;
l’ aver eseguito ecografie (sette delle otto) finalizzate sostanzialmente e sistematicamente solo alla verifica della crescita fetale attraverso la rilevazione dei parametri biometrici che, pur discostandosi dai valori standard della tabella in uso, venivano certificati come “corrispondenti all’epoca di amenorrea’ ,
applicando uno standard assistenziale minimale non congruo alla storia sanitaria anamnestica ed alla storia recente (minaccia d’aborto) della gestante , e non essendo stata data alcuna possibilità di optare per verifiche e valutazioni più approfondite.
Quanto a tale ultimo punto -rilevazione parametri biometrici-, è stato dedotto che pur avendo riportato il software dello strumento ecografico utilizzato dal rilevazioni attestanti la crescita sensibilmente inferiore del feto, rispetto alle dimensioni che avrebbe dovuto avere nella corrispondente settimana di gravidanza -indicando specificamente le ecografie ed i dati di riferimento-, il ginecologo aveva comunque e sempre attestato la regolarità della crescita, senza affatto riscontrare tali anomalie, che avrebbero dovuto comportare delle verifiche e valutazioni più approfondite.
E’ stato anche rilevato che erano mancati i riscontri sull’effettuazione del dosaggio beta-HCG, comunque richiesto in caso di minaccia di aborto e gravidanza a rischio; oltre che di esami volti ad accertare l’azotemia e la creatininemia, necessari in considerazione della patologia renale della gestante.
Viene quindi contestata la mancanza di adeguatezza e scrupolosità nella condotta professionale tenuta dal che, rispetto alla peculiarità del caso di specie ed al quadro innanzi descritto, avrebbe dovuto procedere, o consentire di procedere a differenti e più adeguati approfondimenti e valutazioni, a tutela dei genitori e del nascituro.
Tanto anche a prescindere dal pur rilevato -dai CCttuu- rispetto delle raccomandazioni in materia, che si deduce non avere valenza di prescrizioni normative, ed essere solo indicative e non necessariamente vincolanti ai fini delle valutazioni dello specifico caso, che va ed andava considerato nella relativa specificità e peculiarità.
Gli appellanti rilevano peraltro che le linee guida di settore (per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ) all’epoca vigenti (2002), risultavano esser correlate a standard di riferimento che non tenevano in considerazione la valutazione di diversi parametri fetali, comunque comodamente riscontabili in ogni paziente, ove esaminati da un operatore realmente esperto, e comunque da valutare in considerazione della specificità del caso.
Si lamenta quindi nella specie, la mancanza di accuratezza diagnostica, sostenendo che un diverso e maggiore approfondimento al riguardo, avrebbe consentito di individuare anzitempo le problematiche solo successivamente -e nel post partum -constatate.
Sostenendo che il riscontro prenatale di una malformazione è ormai un evento comune, ove verificato da ecografista munito di abilità, esperienza e preparazione, si afferma che nel caso di specie è mancato lo studio approfondito del feto, -con particolare riferimento alle misurazioni del cervello, faccia, colonna vertebrale, torace, cuore, essendo anche carente l’esame del flusso del sangue con il color doppler .
Si asserisce inoltre che, viste le molteplici malformazioni poi riscontrate, dovesse gravare sul medico l’onere di dimostrare l’impossibilità di relativa individuazione/rilevazione, oltre che di ‘visualizza zione ‘, in almeno una delle sette ecografie effettuate nel corso della gestazione della .
Peraltro si rileva che n ell’ecografia morfologica della 21° sett. , mancano nel referto indicazioni sulla scansione della colonna vertebrale, e sulla verifica delle camere cardiache.
In definitiva ed in sintesi si addebita, in termini di condotta medica colposa, che pur essendo note al ginecologo alcune condizioni specifiche della gestante, quali:
o Essere la portatrice di rene policistico;
o Aver avuto minaccia d’aborto dallo stesso ginecologo certificata, in termini di gravidanza a rischio
o Aver certificato nei referti delle ecografie valori dei parametri biometrici fetali non sovrapponibili e non parametrati a quelli della tabella di riferimento del software dell’ecografo in uso ;
E che tanto avrebbe dovuto indurre il sanitario a:
o Consigliare di procedere ad una consulenza nefrologica e/o genetica sì da monitorare (in sede più qualificata) la gestante ed il feto;
o Prestare particolare attenzione, per la peculiare patologia congenita della madre, sulla possibilità (anche 0,001 su mille) che quel feto in modo
particolare (ma tutti i feti in linea generale) poteva presentare malformazioni che dovevano essere ricercate ed escluse;
o Informare la gestante, la coppia che la malattia ereditaria/congenita (rene policistico) di tipo autosomico dominante o recessiva poteva essere trasmessa al nascituro.
o Prospettare la necessità di procedere ad esami eseguiti da ecografisti particolarmente esperti o da eventuali ulteriori e/o diversificate indagini, al fine di escludere l ‘ evenienza di malformazioni del feto.
o A monitorare più correttamente i valori biometrici, quale indice di ‘crescita fetale’, vista l’importanza della relativa (discordanza fra i valori individuati e quelli del software del computer).
il medico de quo, non avrebbe in sostanza fornito le adeguate informazioni alla coppia di futuri genitori, al fine di consentire loro di poter consultare terzi professionisti per effettuare una diagnostica ecografica più esaustiva, al fine di escludere le anomalie fetali verificabili.
Si sostiene quindi che il dott. avrebbe potuto e dovuto procedere in tal senso, ove avesse esaminato con attenzione la morfologia del feto.
E che in alternativa avrebbe dovuto far presente ai genitori, di non avere gli strumenti e bagaglio professionale per studiare ecograficamente ed in maniera approfondita la situazione, e con la competenza e diligenza necessaria organi ed apparati fetali.
Gli appellanti sostengono pertanto, esser stato violato l’obbligo informativo , e che tanto avrebbe pregiudicato la possibilità, per maggiore sicurezza diagnostica nell’escludere patologie congenite o ereditarie o malformazioni, di poter ricorrere a professionisti/strutture sanitarie qualificati nell’effettuare ecografie di secondo e terzo livello -che consentono di individuare + del 90% delle patologie/malformazioni fetali-, in conseguenza avendo privato la coppia degli strumenti e delle informazioni utili al fine di affrontare una maternità/paternità consapevole e responsabile, ed anche di avere un approccio psicologico adeguato rispetto agli accadimenti verificatisi.
Peraltro si muove anche l’addebito di:
non aver monitorato la minaccia d’aborto co n dosaggio seriato della beta -HCG;
ed ancora di aver fatto eseguire il tri-test senza poi documentare di aver effettuato la ricerca della NT (translucenza nucale -sindrome di Down-).
di aver prescritto terapia antiabortiva quando nella comunità scientifica di categoria si andava diffondendo già da anni l’approccio astensionistico.
Di aver prescritto trattamento locale per una presunta vaginite in assenza di una ricerca mirata.
Deve inoltre rilevarsi che anche le considerazioni svolte dal secondo dei periti officiati, sono state oggetto di critica.
E ‘ stato in particolare contestato di aver comunque omesso ogni valutazione sul raffronto delle differenti età fetali attribuite dal macchinario ecografico, rispetto ai dati biometrici fatti acriticamente corrispondere dal alle epoche di amenorrea, e quindi sulla non corrispondenza tra quanto certificato dal ginecologo e le risultanze delle ecografie, che invece denotavano ritardi nella crescita del feto.
Si contesta inoltre che l’evolutività della gestazione in rapporto alla nefropatia cronica ereditaria non è stata neanche minimamente considerata.
Ed ancora che, a fronte della minaccia di aborto, è stato prescritto un progestinico, farmaco inappropriato finanche nella gravidanza fisiologica, e vieppiù in caso di gravidanza con patologia del rene, patologia che non garantisce adeguata protezione del feto dalla tossicità farmacologica.
In definitiva, si sostiene che trattare una gravidanza patologica a rischio come una gravidanza fisiologica -come accaduto nel caso di specie- non appartiene alla migliore scienza ed esperienza medica e non può essere considerata una buona pratica.
Occorre, rispetto al quadro di censure testè richiamato, procedere al vaglio di relativa fondatezza, dovendosi comunque ed in particolare, valutare se eventuali condotte/omissioni colpose rilevabili, possano appalesarsi idonee ad aver comportato i pregiudizi lamentati, e quindi se possa ravvisarsi la relazione eziologica invocata nella specie.
Deve al riguardo rilevarsi che, per quanto pacificamente e reiteratamente ritenuto in giurisprudenza occorre, anche in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica , stabilire se il comportamento doveroso che l’agente avrebbe dovuto tenere , sarebbe stato in grado di impedire -o menol’evento lesivo, tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto .
Occorre quindi considerare che i riflessi dannosi lamentati dagli attori, sono correlati alla nascita della figlia affetta dalle indicate malformazioni, che ha comportato lo sconvolgimento della vita familiare, e gli indicati riflessi in termini di danno all’esistenza, ed anche di pregiudizio alla salute psichica.
Rispetto alle deduzioni ed asserzioni degli attori, come in precedenza già illustrate, ed attinenti all ‘ina deguato approccio informativo, terapeutico e diagnostico, nei termini già rappresentati, deve, ai fini della verifica della correlabilità causale testè richiamata, esser fornita risposta ad un duplice ordine di questioni.
Quel che deve esser valutato concerne difatti:
Le possibili ed eventuali determinazioni dei genitori, in caso di anticipata e tempestiva cognizione delle condizioni di rischio della gravidanza, correlate alla patologia renale della gestante, ed alla già constatata minaccia di aborto;
Le possibili ed eventuali determinazioni dei genitori, in caso di constatazione anticipata delle problematiche del feto a mezzo di una più attenta ed approfondita lettura delle risultanze ecografiche, e percepibilità delle anomalie del feto, al fine di poter evitare o contenere l’evoluzione della condizione malformativa.
Per quanto desumibile dalle deduzioni formulate anche con l’impugnazione, gli appellanti sostengono, con riferimento alla prima eventualità testè indicata, che, avrebbero potuto farsi seguire con valutazioni multidisciplinari ed a mezzo diagnostica di secondo livello.
Quanto alla seconda delle eventualità richiamate, gli appellanti asseriscono che avrebbero potuto scegliere l’ opzione abortiva, oppure, in alternativa, un percorso diagnostico/terapeutico più adeguato.
Dovendosi quindi ritenere -si ribadisceche lo sconvolgimento dell’esistenza del nucleo familiare di specie, si è verificato in seguito alla nascita di , e perché affetta da molteplici malformazioni, deve ritenersi, con valutazione controfattuale, che l’opzione di interrompere la gravidanza, avrebbe evitato le conseguenze dannose, e che quindi la preclusione rispetto a tale scelta, avrebbe avuto incidenza al riguardo.
Occorre quindi verificare se le condotte mediche oggetto di verifica, possano ritenersi esser state impeditive rispetto all’opzione de qua.
Va al riguardo in primis considerato che gli appellanti non hanno correlato l’asserita possibilità di interruzione della gravidanza, alle iniziali valutazioni riferibili ai rischi derivanti dalla presenza della patologia nefrologica della , e correlabile incidenza sulla salute della nascitura.
Deve d ‘altronde e sser rilevato che la ha anche, pur nella consapevolezza acquisita delle correlazioni tra la patologia di rene policistico, e la gravidanza, portato a termine altre due successive gravidanze.
Non risulta peraltro essere in contestazione che nei primi 90 giorni di gravidanza, potessero in alcun modo percepirsi le anomalie e malformazioni, a mezzo di una apposita indagine ecografica.
Tanto esclude in radice la possibilità per la partoriente di scelta ai sensi della legge 174 del 1978, per un aborto volontario, in quanto da esercitarsi entro i primi 90 gg. di gravidanza.
Per quanto concerne invece l’opzione per l’aborto terapeutico, si rileva che è sì consentito dopo i primi 90 gg., ma in caso di grave pregiudizio per la madre, e specificamente -art. 6 legge 174/78-:
‘ a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna ‘.
Deve al riguardo rilevarsi che dalle risultanze delle due ctu, che si sono espresse in maniera conforme sul punto, si desume che le malformazioni di specie, non fossero in concreto, e con gli strumenti diagnostici disponibili all’epoca, percepibili con indagini neonatali, avendo i periti precisato che estremamente difficoltosa, ed in concreto impossibile nella maggior parte dei casi, dovesse ritenersi la identificabilità di patologie quale quelle che avevano afflitto la piccola .
Va al riguardo e d’altronde rilevato che il Ctp degli appellanti, ha sostenuto poter esser percepibili anomalie nella crescita del feto, nulla precisando sulla possibilità di percezione delle malformazioni della nascitura.
I CCttuu hanno quindi considerato che non era al riguardo emerso alcun sospetto, all’esito degli esami effettuati dalla in fase di gravidanza.
Se pure e comunque dovesse, nell’eventualità ed in ipotesi, ritenersi che la anomalia della crescita del feto, ove constatabile, avrebbe potuto consentire esami diagnostici di livello superiore -peraltro menzionati, ma non specificamente indicati- ed eventualmente portare (sempre e comunque dopo il 90° giorno) ad una constatazione delle malformazioni -eventualità comunque esclusa dai CCttuu, ed in ogni caso insuscettibile di verifica alla stregua di una valutazione in termini di preponderanza probabilistica-, non sarebbe comunque ravvisabile il correlato pregiudizio alla autodeterminazione della , e rispetto all’opzione abortiva dopo il terzo mese di gravidanza, per inconfigurabilità delle condizioni che potessero consentire una scelta in tal senso.
Può esser richiamata la valutazione formulata al riguardo dal Giudice di prime cure, che si ritiene condivisibile, e non risulta esser stata oggetto di alcuna censura, essendosi parte appellante limitata a riproporre, anche con l’atto di appello, le affermazioni già formulate in prime cure a sostegno della prospettazione, senza sottoporre a critica la motivazione articolata sul punto nella sentenza appellata.
Il Tribunale ha difatti, richiamando gli arresti giurisprudenziali di riferimento, ed in particolare (oltre alla pronuncia della Consulta n. 20/1975), quanto statuito dalla S.C., secondo la quale ‘ il legislatore non esime in alcun modo la madre dall’onere della prova della malattia grave, fisica o psichica, che giustifichi il ricorso all’interruzione della gravidanza, nonché della sua conforme volontà di ricorrervi ‘ ( SSUU n. 25767/2015), ribadito che non fossero comunque ravvisabili riscontri a sostegno dell’asserzione degli attori sulla ricorrenza dei presupposti e condizioni per esercitare l’opzione de qua.
A fronte delle articolate considerazioni del Giudice di primo grado, gli appellanti si sono limitati a ribadire quanto asserito in primo grado -con mero richiamo alle ‘ sofferenze legate a una qualche grave patologia permanente o alla mancanza di un organo, la faceva star male procurandole ansie ‘ -, ma ritenuto del tutto insufficiente a sostegno della anche astratta ravvisabilità dei presupposti per interrompere la gravidanza.
Residua quindi la valutazione sul pregiudizio rispetto alla possibilità di sottoporsi -dalla a valutazioni multidisciplinari, ed effettuare diagnosi con strumenti di livello superiore, che sarebbe stato indotto dalle condotte/omissioni colpose in precedenza già evidenziate.
Anche per tali addebiti, devono esser valutate le questioni correlate alla incidenza eziologica rispetto alla fonte dei pregiudizi individuabile nella specie.
Occorre infatti ribadire che oggetto della doglianza degli attori, è l’incidenza pregiudizievole sulla vita, ed anche sulle condizioni psichiche dei medesimi, derivante dalla condizione fisica della figlia .
Deve quindi nuovamente ribadirsi che le malformazioni sono di origine congenita, e non sono in alcun modo riconducibili alla malpractice medica, dovendo ritenersi escluso che le condotte mediche -anche ove colpevoliabbiano indotto tali malformazioni, non emergendo riscontro alcuno in tal senso.
Posto che gli appellanti sostengono, per le ragioni già poste in evidenza, esser ravvisabile il pregiudizio alla possibilità di far ricorso ad una assistenza medica più approfondita e multidisciplinare, ed a valutazioni diagnostiche di più altro livello, rispetto a quelle consentite dal ginecologo di specie, va al riguardo considerato che, ove pur dovessero astrattamente ritenersi configurabili, in caso di rilevabili anomalie del feto, tale eventualità (non essendo peraltro apprezzabile alcuno specifico riferimento sulle caratteristiche tecniche e di idoneità ai fini della rilevazione delle malformazioni de quibus , rilevabilità comunque esclusa da tutti e due i CCttuu), non è dato comunque comprendere quali siano i profili di interferenza, ed il collegamento causale, tra tale prospettato impedimento rispetto ad eventuali chance/ opportunità (che pur prospettate dal Ctp, non sono oggetto di alcuna specifica richiesta, quanto ai correlati pregiudizi) di differente approccio medico/diagnostico, e le conseguenze dannose patite, così come indicate dagli appellanti.
Non è, in sostanza, dato comprendere se ed in che termini il differente approccio terapeutico e diagnostico, avrebbe potuto incidere sulla condizione del feto e quindi della neonata , che è stata la fonte dei pregiudizi esistenziali, e verosimilmente anche psichici, per i genitori e per i fratelli.
La condizione di è difatti frutto di evenienze e fattori non identificabili, ma comunque non ricollegabili a colpa del sanitario convenuto.
Tale condizione ha sconvolto la vita del nucleo familiare de quo.
Non sono apprezzabili elementi in base ai quali poter ritenere che la eventuale riscontrabilità anzitempo di tali condizioni, avrebbe potuto portare a modifiche e miglioramenti delle condizioni de quibus , con differenti approcci terapeutici e diagnostici.
Né possono esser valutabili pregiudizi per perdita di chance in tal senso, non essendo -come già poc’anzi rilevato – stata formulata alcuna domanda in termini.
La possibilità di scegliere per l’interruzione della gravidanza, è stata esclusa, per quanto già in precedenza argomentato.
Deve, in definitiva, ritenersi che, per le ragioni innanzi esposte, le prospettate carenze addebitate al sanitario de quo , non possano aver riverberato effetti ed aver indotto i riflessi pregiudizievoli suscettibili di risarcibilità, così come lamentati dagli appellanti, sia
con riferimento alla condizione della minore, sia per i familiari, e per lo sconvolgimento della vita familiare ed aggravio esistenziale.
A tali conclusioni si addiviene anche ove possano tenersi in considerazione le contestazioni mosse dal Ctp sulla erronea-omessa valutazione/approfondimento -a mezzo degli esami ecografici effettuati- di condizioni anomale (anche specificamente la regressione cranio/caudale), e posto che anche ove si volesse aderire alle osservazioni dal perito di parte, le medesime non assumerebbero comunque valenza ai fini della configurabilità del nesso eziologico, per quanto già in precedenza chiarito sulla mancanza si collegamento causale tra errori/omissioni addebitati al medico de quo , ed pregiudizi come rappresentati dagli appellanti, e nei termini già descritti.
Pertanto, anche un ulteriore attività peritale che possa portare ad approfondire le questioni specificamente sottoposte dagli appellanti e dal proprio Ctp, si appalesa superflua ai fini della decisione, posto che la verifica di eventuale fondatezza delle osservazioni al riguardo, non inciderebbe comunque sulla valutazione relativa al nesso eziologico, per quanto innanzi evidenziato.
Non assumerebbe difatti valenza dirimente, la verifica sulla mancata/erronea valutazione delle risultanze ecografiche, e la omessa informativa alla gestante, perché correlabili alla sola possibilità di consentire scelte assistenziali alternative, che non possono ritenersi correlabili alla evitabilità o migliorabilità delle condizioni della figlia , fonte dei pregiudizi lamentati nella specie.
Peraltro si può rilevare che la gravidanza, se pur indicata inizialmente quale ‘a rischio’, risulta poi aver avuto un corso regolare.
E che non si sono presentate anomalie per la condizione della gestante, in particolare in termini di ipertensione -che poteva essere indotta dalla condizione renale-, né risultano riscontrate condizioni particolari e critiche per il flusso sanguigno.
Non sono quindi ravvisabili evidenze che possano consentire di ritenere ed affermare che la patologia renale abbia ex se influito -negativamente- sulla gravidanza, e che quindi, un approccio assistenziale/terapeutico differente, rispetto a quello del ginecologo di specie, avrebbe potuto scongiurare o contenere gli effetti correlabili alle malformazioni.
Né la minore risulta essere affetta da patologie renali, non potendo quindi ritenersi aver avuto influenza al riguardo la predisposizione genetica -con trasmissibilità dalla madre-.
Pertanto la omessa informazione -imputata al COGNOME– sui rischi per gestante con patologie che avrebbero potuto influenzare l’andamento della gravidanza , non può ritenersi aver sortito alcun effetto pregiudizievole rispetto alle condizioni di malformazione riscontrate.
Va ancora rilevato che -per quanto desumibile ex actisla all’ epoca della gravidanza (24 anni) risultava comunque essere in buone condizioni di salute, pur avendo riferito all’inizio della gravidanza la comparsa di perdita ematica genitale.
Ed inoltre che dopo aver partorito , la ha avuto altri due figli, tanto inducendo a ritenere che la medesima, nonostante la patologia renale, e le correlate condizioni di rischio sia materno, sia fetale, non ha, a fronte di tali già acclarate situazioni di rischio e della pregressa esperienza, scelto di interrompere le gravidanze successive.
Si rileva inoltre che, dopo l ‘ iniziale diagnosi di minaccia d’aborto , non sono stati disposti -dal ginecologo- più approfonditi accertamenti sulle condizioni della gestante, posto che vi era stata regressione di tale condizione, essendosi in seguito, per quanto desumibile dalle risultanze ecografiche, l’evoluzione della gravidanza appalesata regolare e fisiologica; non risulta peraltro neppure esser stato indicato dagli appellanti, quali potessero e dovessero essere gli ulteriori esami idonei non solo a considerare la condizione della nascitura, ma anche a tentare di tutelare la salute della medesima.
Entrambi i CCttuu officiati, hanno peraltro, e motivatamente, affermato che le malformazioni rilevate dopo la nascita -atresia anale, e anomalie scheletrico/vertebrali, dotto arterioso pervio- non potevano, essere diagnosticate nel corso di un esame ecografico di screening delle anomalie maggiori del feto , nonostante l’accuratezza nella valutazione dei correlati esami.
Deve, in conclusione e per le ragioni innanzi esposte, ed alla stregua di una verifica di tipo controfattuale (Cass. sez. III, n. 21530/2021), ritenersi che il comportamento che il medico avrebbe dovuto -secondo le prospettazioni attoree- tenere, o ipoteticamente l’approfondimento delle verifiche ecografiche , non sarebbero comunque stati idonei ad impedire i riflessi pregiudizievoli di specie, in quanto correlabili alle condizioni di malformazione della minore de qua .
Sintetizzando le considerazioni in precedenza svolte, deve in definitiva ritenersi, anche alla stregua del già richiamato giudizio controfattuale, che:
-non potendosi le condizioni di malformazione imputare ad errori medici,
-ed in particolare non potendo la eventuale constatazione anticipata di tali condizioni (peraltro esclusa dai CCttuu) comunque portare a ritenere che tale più tempestiva verifica, avrebbe comportato il differente corso della gravidanza tanto a fronte delle malformazioni già in atto, e della condizione nefropatica già acclarata della gestante-;
-e non potendo ritenersi percorribile la scelta di interruzione della gravidanza visto che la diagnosi al riguardo non era possibile prima dei 90 gg. dall’inizio della gravidanza- non essendo affatto riscontrata la ricorrenza dei presupposti per l’interruzione tardiva;
non possano ravvisarsi nella specie elementi idonei che possano far ritenere che i pregiudizi lamentati, siano riconducibili agli errori/omissioni imputati.
Non sono apprezzabili elementi di valutazione che possano portare a ritenere che un mutamento di assistenza e di verifiche con differenti strumenti diagnostici, avrebbe potuto cambiare o migliorare, o contenere gli effetti della condizione della nascitura;
tanto neppure in termini di ipotetiche chance, affatto prospettate ed oggetto di richiesta, e non valutabili se non in termini meramente ipotetici, ma non in chiave probabilistica.
Non vi è difatti alcuna deduzione, né specifico riscontro, che può portare a ritenere che la minore avrebbe potuto avere beneficio, rispetto alle malformazioni già in essere, con interventi mirati nel corso della gravidanza.
Alcuna prospettazione in tal senso è stata data dagli appellanti, che si sono limitati a dedurre che una anticipata conoscenza delle anomalie -secondo il Ctp rilevabili, ma non prima della quarta settimana di gravidanza- avrebbe potuto indurre la gestante a farsi assistere da altri specialisti (anche un nefrologo), ed a sottoporsi ad esami più approfonditi.
Nulla è quindi stato precisato su eventuali interventi e terapie volte a scongiurare le conseguenze sulla salute della minore, e quindi su tutto il nucleo familiare, per la nascita della figlia affetta da molteplici malformazioni.
Pertanto, anche ove ravvisabile una condotta non conforme del medico sulla iniziale mancanza di informazione adeguata sulla gravidanza a rischio per gestante nefropatica, comunque non sarebbero prospettabili riflessi dannosi, nei termini prospettati in atti, per il solo concreto impedimento a fruire di una migliore assistenza specialistica.
Analoga considerazione può essere formulata con riferimento all’altro profilo di doglianza concernente l’omessa constatazione delle anomalie fetali da parte del ginecologo.
L’appello principale deve, per le ragioni innanzi esposte, esser rigettato, non essendo ravvisabile l’addebito di responsabilità mosso all’ appellato.
Si ritiene doversi rigettare anche l’appello incidentale del volto ad ottenere la condanna al pagamento delle spese di lite per il giudizio di primo grado.
Va difatti ed al riguardo considerato che, per quanto desumibile dal complesso delle risultanze in atti, la condotta tenuta, pur non essendo correlabile eziologicamente ai danni prospettati dagli appellanti, non si appalesa del tutto conforme ai canoni di diligenza, e alle best practice , posto che il medico avrebbe, in considerazione della patologia renale della gestante, e delle problematiche correlate rispetto alla gravidanza, dovuto quam minime consigliare un approccio multidisciplinare, con coinvolgimento di un nefrologo che potesse in particolare controllare costantemente le condizioni renali della nel corso della gravidanza, per la quale non risultano esser stati neppure prescritti i basilari esami di azotemia e creatininemia, al fini di valutare le effettive e corrispondenti condizioni di efficienza e funzionalità renale, essenziale anche ai fini della gravidanza.
Al rigetto anche dell’appello incidentale, consegue la compensazione delle spese del giudizio di impugnazione, stante la reciproca soccombenza.
S tante il rigetto dell’appello, deve emettersi la declaratoria per il pagamento del doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Bari, III^ sezione civile, definitivamente pronunziando sull’appello avverso la sentenza n. 751/2023 del 29/4/2023 del Tribunale di Trani, così provvede:
Rigetta l’appello principale
Rigetta l’appello incidentale;
Compensa le spese;
Dichiara che entrambe sia gli appellanti principali,
e
, sia l ‘appellante incidentale , sono tenuti, per quanto p revisto dall’ art. 13 comma 1quater del D.P.R. 115/2002, al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Bari, addì 26/11/2025
Il Consigliere est. Il Presidente AVV_NOTAIO. NOME COGNOME AVV_NOTAIO. NOME COGNOME