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Responsabilità medica ginecologo: no risarcimento

Una recente sentenza della Corte d’Appello ha escluso la responsabilità medica di un ginecologo per la mancata diagnosi prenatale di gravi malformazioni. La decisione si fonda sull’assenza di nesso di causalità, in quanto le patologie erano congenite e non rilevabili con la tecnologia dell’epoca. La Corte ha stabilito che, anche in caso di diagnosi, non sussistevano i presupposti per un’interruzione di gravidanza, negando così il risarcimento ai genitori.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Responsabilità Medica Ginecologo: Quando la Mancata Diagnosi Prenatale Non Comporta Risarcimento

La responsabilità medica del ginecologo è un tema di grande delicatezza, specialmente quando riguarda la diagnosi prenatale di malformazioni fetali. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Bari ha affrontato un caso complesso, escludendo la responsabilità del medico e negando il risarcimento ai genitori di una bambina nata con gravi patologie non diagnosticate durante la gravidanza. Questo provvedimento offre importanti spunti di riflessione sul concetto di nesso di causalità e sui limiti della diagnostica medica.

I Fatti del Caso: Una Gravidanza Complicata e una Diagnosi Mancata

Una coppia citava in giudizio il proprio ginecologo e la struttura sanitaria di riferimento, lamentando una grave negligenza nella gestione della gravidanza. Secondo i genitori, il medico non aveva diagnosticato le molteplici e gravi malformazioni (scheletriche, cardiache e retto-genitali) da cui era affetta la loro figlia. Sostenevano che una diagnosi tempestiva avrebbe offerto loro una scelta cruciale: la possibilità di interrompere la gravidanza, secondo i termini di legge, o, in alternativa, di prepararsi psicologicamente e logisticamente, optando per un parto in una struttura specializzata e dotata di un’unità di terapia intensiva neonatale.

Il Tribunale di primo grado aveva già respinto gran parte delle richieste, riconoscendo solo un modesto danno morale per la mancata comunicazione immediata delle condizioni della neonata dopo il parto, ma escludendo ogni altra forma di responsabilità. La coppia, insoddisfatta, presentava appello.

La Decisione della Corte d’Appello sulla responsabilità medica del ginecologo

La Corte d’Appello di Bari ha rigettato l’appello principale dei genitori, confermando la sentenza di primo grado. La decisione ha escluso in modo definitivo la responsabilità medica del ginecologo per i danni derivanti dalla nascita della bambina con patologie congenite. La Corte ha ritenuto che non vi fossero gli elementi necessari per attribuire al medico le conseguenze dannose lamentate dalla famiglia.

Le Motivazioni: L’Assenza del Nesso di Causalità

Il cuore della decisione della Corte risiede nell’analisi del nesso di causalità, ovvero il legame diretto tra la condotta del medico e il danno subito. La sentenza chiarisce diversi punti fondamentali.

1. Impossibilità della Diagnosi e Origine Congenita del Danno

La Corte ha dato pieno credito alle conclusioni delle consulenze tecniche d’ufficio (CTU). I periti avevano stabilito che le specifiche malformazioni della bambina erano, con gli strumenti e le conoscenze scientifiche disponibili all’epoca dei fatti (2006), estremamente difficili, se non impossibili, da diagnosticare prima della nascita. Il danno principale, cioè la condizione di salute della bambina, derivava da fattori congeniti e non era in alcun modo stato causato o aggravato da azioni od omissioni del ginecologo. Mancava, quindi, il presupposto fondamentale per affermare la sua responsabilità.

2. I Limiti della Scelta Abortiva

I genitori sostenevano che la mancata diagnosi avesse leso il loro diritto di scegliere se interrompere la gravidanza. La Corte ha respinto questa tesi, chiarendo i rigidi presupposti dell’aborto terapeutico (dopo i 90 giorni). La legge (L. 174/78) consente tale pratica solo quando la prosecuzione della gravidanza comporti un “grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. La sola presenza di malformazioni fetali, per quanto gravi, non è di per sé una condizione sufficiente. I genitori non avevano fornito la prova che la scoperta delle patologie avrebbe integrato tale grave pericolo per la salute della madre, rendendo l’opzione abortiva legalmente non percorribile.

3. L’insussistenza della “Perdita di Chance”

La Corte ha anche escluso che si potesse parlare di “perdita di chance”, ovvero della perdita di una concreta possibilità di un esito migliore. Non vi era alcuna prova che un diverso approccio medico (come il parto in una struttura più attrezzata) avrebbe potuto modificare o migliorare significativamente le condizioni della bambina, le quali erano intrinsecamente legate alla sua condizione congenita.

Conclusioni: Le Implicazioni della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio cardine in materia di responsabilità medica del ginecologo e, più in generale, sanitaria: per ottenere un risarcimento, non basta dimostrare un errore o un’omissione del medico. È indispensabile provare rigorosamente che quell’errore ha causato direttamente il danno lamentato. In casi come questo, dove il danno è una patologia congenita e la sua diagnosi era scientificamente improbabile, il nesso di causalità si interrompe.

La decisione sottolinea inoltre che il diritto all’autodeterminazione dei genitori in gravidanza non è assoluto, ma deve essere bilanciato con i precisi limiti imposti dalla legge, specialmente in materia di interruzione della gravidanza. Per le famiglie che affrontano percorsi così dolorosi, questa sentenza chiarisce i confini della responsabilità professionale e l’importanza cruciale della prova scientifica, rappresentata in giudizio dalle consulenze tecniche, nel determinare l’esito di cause così complesse.

Perché la Corte ha escluso la responsabilità medica del ginecologo nonostante la mancata diagnosi delle malformazioni?
La Corte ha escluso la responsabilità perché le consulenze tecniche d’ufficio (CTU) hanno dimostrato che le malformazioni erano congenite e non causate dal medico, e che la loro diagnosi era praticamente impossibile con la tecnologia e le conoscenze scientifiche dell’epoca (2006). Di conseguenza, è stato ritenuto assente il nesso di causalità tra la condotta del medico e il danno.

La mancata informazione sul rischio di malformazioni dà automaticamente diritto a interrompere la gravidanza?
No. Secondo la sentenza, che si rifà alla Legge 174/78, l’interruzione di gravidanza dopo i 90 giorni (aborto terapeutico) è consentita solo se la prosecuzione della stessa o il parto comportano un “grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. La semplice diagnosi di una malformazione fetale non è sufficiente a integrare questo requisito se non ne viene provata la grave incidenza sulla salute materna.

Cosa significa che manca il “nesso di causalità” in un caso di responsabilità medica?
Significa che non è stato possibile dimostrare un legame diretto di causa-effetto tra l’errore o l’omissione del medico e il danno lamentato. In questo specifico caso, il danno (le malformazioni della neonata) non è stato causato da un errore del ginecologo, ma da una condizione congenita preesistente e, secondo i periti, non diagnosticabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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