Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19865 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19865 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
Oggetto
RESPONSABILITÀ MAGISTRATI
Sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato Responsabilità ex art. 2, co. 3, lett. b), l. 117 del 1998 nel suo testo originario Inammissibilità delle censure
R.G.N. 3604/2024
COGNOME
Rep.
sul ricorso 3604-2024 proposto da:
Ud. 30/1/2025
NOME COGNOME domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME Adunanza camerale
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio ‘ pro tempore ‘, rappresentata e difesa ‘ ex lege ‘ dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in INDIRIZZO è domiciliata per legge;
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 867/2023 d ella Corte d’appello di Perugia, depositata in data 01/12/2023;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 30/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 867/23, del 1° dicembre 2023, della Corte d’appello di Perugia, che -respingendone il gravame avverso la sentenza n. 103/22, del 24 gennaio 2022, del Tribunale della stessa città -ha confermato il rigetto della domanda, proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi della legge 13 aprile 1988, n. 117, volta a conseguire il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della sentenza n. 6513/11, del 13 dicembre 2011, del Consiglio di Stato.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver adito il Tribunale di Perugia, convenendo in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, per far valere la responsabilità dei magistrati del collegio della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, in relazione alla suddetta sentenza n. 6513/11.
Deduceva, in particolare, che tale pronuncia aveva riformato la decisione con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia aveva accolto la sua domanda volta alla declaratoria di illegittimità di due ordinanze contingibili e urgenti, per la tutela della pubblica incolumità, emesse il 27 ottobre e 7 novembre 1994 dal Commissario prefettizio presso il Comune di Spilimbergo, nonché del successivo provvedimento del 17 novembre del 1994 con il quale era stata ordinata, ad essa NOME COGNOME l’integrale demolizione di un immobile di sua proprietà, sul quale erano in corso lavori di manutenzione straordinaria, solo parzialmente demolitivi dello stesso.
In particolare, il giudice amministrativo di prima istanza aveva rilevato -evidenzia l’odierna ricorrente come le stesse ordinanze contingibili attestassero ‘l’inesistenza di qualunque effettiva situazione di pericolo’ , anche in ragione del l’esistenza di un’autorizzazione rilasciata ‘per effettuare i lavori di manutenzione straordinaria sulla parte di immobile destinata a rimanere in piedi, con realizzazione di una copertura proprio «a protezione restante piano terra dopo demolizione autoriz zata»’.
A diversa conclusione, tuttavia, perveniva il Consiglio di Stato con la sentenza n. 6513/11, secondo cui, dalla documentazione acquisita in corso di giudizio, emergeva la situazione di pericolo ‘causata dalle macerie’, delle quali ‘anche la documentazione fotografica depositata in atti dalla stessa interessata’ avrebbe attestato ‘la presenza’.
Avverso tale decisione, NOME NOME proponeva -ex artt. 6 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e 395, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -ricorso per revocazione, lamentando che essa risultava fondata su di un fatto ‘ la cui verità era incontrovertibilmente esclusa’ dagli atti di causa, ovvero ‘ la sussistenza del pericolo per la pubblica incolumità ‘. Difatti, a suo dire, ‘ dal quadro probatorio ‘ sarebbe emersa, al contrario, ‘l’assenza di pericolo per la pubblica incolumità ‘, spiccando in tale prospettiva, ‘ per importanza ‘, tra i documenti acquisti, ‘due verbali d’intervento dei Vigili del Fuoco presso l’immobile’, de l 13 ottobre e del 16 novembre 1994.
Detto ricorso veniva, però, dichiarato inammissibile dal medesimo Consiglio di Stato, rilevando come ‘l’esistenza o no del pericolo grave ed imminente alla pubblica incolumità ‘ costituisse un dato tutt’altro che incontroverso tra le parti.
Ciò premesso, NOME COGNOME radicava il giudizio ‘ ex lege ‘ n. 117 del 1988, ritenendo che la suddetta sentenza n. 6513/11 del Consiglio di Stato fosse viziata per quattro ragioni.
In primo luogo, per travisamento del fatto e delle prove, che av rebbero, a suo dire, ‘ sgombrato il campo da qualsiasi ipotesi di pericolosità per la pubblica incolumità ‘; in secondo luogo, per aver ‘ affermato come esistente un fatto la cui esistenza era incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento ovvero la sussistenza della pericolosità per la pubblica incolumità ‘. A sostegno di entrambe tali ragioni, l’allora attrice ‘ indicava le prove versate nel giudizio amministrativo ‘, ed esattamente :
-i due verbali/rapporti d’intervento del 13 ottobre e 16 novembre 1994 dei Vigili del fuoco, già citati;
le riprese video realizzate il 16 e il 17 novembre 1994, ‘ in cui erano ritratte persone e corriere che transitavano lungo la strada di accesso all’autostazione nelle immediate vicinanze dell’immobile’;
-‘ la mancata chiusura al transito della via di accesso all’autostazione per tutto il periodo interessato ‘;
-‘il fatto che l’immobile fosse, dalla data del 13 ottobre 1994 eretto per il solo piano terra ‘.
Quale terza ragione di vizio della sentenza suddetta, l’odierna ricorrente deduceva violazione manifesta della legge, quanto, in particolare, alle disposizioni degli artt. 115 cod. proc. civ. e 64 e 101 d.lgs. 104 del 2010, per avere il Consiglio di Stato ‘ accolto il generico appello dell’ Avvocatura dello Stato, in assenza di specifiche contestazioni alla sentenza ‘ di primo grado e ‘ di specifiche contestazioni alle prove presentate ‘ da parte di essa NOME COGNOME
Infine, quale quarta ragione assunta a sostegno della causa radicata innanzi al Tribunale perugino, veniva dedotta la violazione del diritto dell’Unione europea , e segnatamente ‘dell’art. 6 del Trattato di Lisbona che rinvia ai diritti CEDU, nello specifico agli artt. 6 par. 1 e 13 ‘ , assumendo che ‘ il giudizio avanti al Consiglio di Stato non si era svolto in maniera equa e secondo
il principio di parità delle armi, per l’intervenuto accoglimento di un generico appello di tre pagine delle amministrazioni pubbliche ‘ , e ciò ‘ in assenza di specifiche contestazioni ‘ mosse alla sentenza impugnata.
Su tali basi, dunque, veniva chiesta la condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento della somma di € 158.000 ,00 (ovvero di quella maggiore o minore ritenuta di giustizia), importo ‘ del tutto simile a quello ottenuto in seguito a giudizio di ottemperanza ‘, relativo alla sentenza di prime cure del giudice amministrativo poi riformata in appello.
Costituitasi la convenuta per resistere all’avversaria domanda, il Tribunale di Perugia rigettava la stessa, sul duplice rilievo -secondo quanto sempre riferito dall’odierna rico rrente -che quello addebitato al Consiglio di Stato non fosse un errore percettivo, ma di valutazione del materiale probatorio, in relazione al quale l’art. 2, comma 2, legge n. 117 del 1988 esclude la responsabilità per l’esercizio di funzioni giudiziarie.
Esperito gravame dall’attrice soccombente, il giudice d’appello lo rigettava, precisando che, nel caso di specie, era destinato a trovare applicazione -‘ ratione temporis ‘, risalen do la sentenza del Consiglio di Stato all’anno 2011 -il testo della legge n. 117 del 1988, anteriore alle modificazioni apportate dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18. Ciò detto, secondo la Corte territoriale, non poteva ritenersi integrata, nel caso che occupa, la fattispecie contemplata da l testo originario dell’art. 2, comma 3, lett. b), della suddetta legge n. 117 del 1988, dovendo escludersi -come già ritenuto dal giudice di prime cure -che al Consiglio di Stato potesse addebitarsi di aver affermato un fatto (il pericolo per l’incolumità pubblica ) ‘ la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento ‘.
Avverso la sentenza della Corte umbra ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base -come detto -di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché dell’art. 24 del d.lgs. 8 marzo 2006, n. 139 e degli artt. 2699 e 2700 cod. civ. per ‘travisamento di prova legale’, consistente nei due verbali/ rapporti d’intervento dei Vigili del Fuoco, datati 13 ottobre e 16 novembre 1994, attestanti l’assenza di pericolosità per la pubblica incolumità, donde la ricorrenza dell’ipotesi sub b), comma 3 , dell’ art. 2 legge 117 del 1988, nel testo anteriore alla riforma del 2015, o dell’ipotesi sub a), comma 3, art. 2 della stessa legge, sempre nel suddetto testo originario.
‘Punto centrale ed assorbente’ assume la ricorrente -‘attiene al travisamento della prova’, giacché la ‘pericolosità per la pubblica incolumità’, è stata ‘data per sussistente, contrariamente al contenuto dei due verbali/rapporti d’intervento’ di cui sopra, documenti ‘aventi valore di piena prova ex art. 2699 e 2700 cod. civ.’ .
Nel primo di essi, infatti, i Vigili del Fuoco, richiesti di intervenire da Carabinieri e Vigili Urbani (che ritenevano sussistere pericolo per l’incolumità), afferma rono che tali presupposti ‘non esistevano’, tanto da rendere il richiesto intervento ‘non necessario’.
Nel secondo documento, invece, si legge che i Vigili del Fuoco accertarono ‘che l’edificio era in avanzata fase di demolizione ed in alcuni punti mancavano le adeguate transenne che delimitavano il cantiere’, sicché, in considerazione di ciò, ‘si provvedeva a transennare lo spazio mancante con nastro segnaletico onde evitare l’accesso al cantiere’.
Ciò detto, nonché considerato che tra i fondamentali compiti dei Vigili del Fuoco -come individuati dall’art. 24 del d.lgs. n. 139 del 2006 -vi è pure ‘l’opera tecnica di soccorso in occasione’, tra gli altri eventi calamitosi, ‘di improvviso o minacciante crollo strutturale’, la ricorrente sottolinea che, nel ca so di specie, essi ‘ebbero a certificare, quale realtà di fatto oggetto della loro diretta percezione, frutto di attività accertativa tecnico-urgente da loro compiuta, l’assenza di qualsivoglia pericolo per la pubblica incolumità e che il loro intervento non era necessario’.
Orbene, e non senza evidenziare che il contenuto dei verbali in questione ‘non è stato mai specificatamente contestato dalla controparte’, la ricorrente censura l’affermazione della Corte territoriale secondo cui ‘le valutazioni, le diagnosi, le manifestazioni di scienza e di opinione del P.U espresse nell’atto pubblico non sono coperte da fede privilegiata’, sicché, nel presente caso, ‘i verbali dei VV.FF, per quello che riguarda la pericolosità dello stato dei luoghi, sono privi di intrinseca veridicità’.
Così pronunciandosi, tuttavia, la sentenza qui impugnata -al pari della decisione del Consiglio di Stato -avrebbe, secondo la ricorrente, ‘erroneamente escluso’ che i ‘Vigili del Fuoco’, in occasione degli interventi del 13 ottobre e del 16 novembre 1994, stessero ‘svolgendo attività tecnico -certificativa, loro attribuita dall’art. 24 del d.lgs. n. 139 del 2006, ex -ante, al fine di prevenire il verificarsi di un evento, ed in forza di questa hanno certificato l’assenza di qualsivoglia pericolosità per la pubblica incolumità derivante dall’immobile di Margherita Serena’, e ciò mediante atto pubblico ex art. 2699 cod. civ., che gode della fede privilegiata di cui all’art. 2700 cod. civ. (richiama la ricorrente, a sostegno, Cass. Sez. 2, ord. 17 novembre 2017, n. 27314).
Di qui, pertanto, la violazione -oltre che dell’art. 24 del d.lgs. n. 139 del 2006, nonché degli artt. 2699 e 2700 cod. civ. –
dell’art. 11 6 cod. proc. civ., per essere stato attribuito ai suddetti verbali valore di prova ‘libera’, mentre si trattava di ‘prova legale’, oltre che dell’art. 115 cod. proc. civ., per essere stato travisato il contenuto di quelle prove documentali, evenienza che ricorre nel caso, quale sarebbe quello in esame, di ‘errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova’.
Infine, si rileva che il Consiglio di Stato ‘non si è in alcun modo espresso sull’esistenza e sul contenuto dei due verbali citati’, così ricorrendo quella evenienza costituita dalla ‘totale mancanza di analisi degli atti del procedimento’, riconosciuta da questa Corte -si conclude -‘come fonte di responsabilità civile del magistrato’, (è citata Cass. Sez. 3, sent. 20 ottobre 2006, n. 22539).
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per ‘travisamento della prova ‘, ovvero l’esistenza il 27 ottobre 1994 di un terrazzino al primo piano dell’immobile, in realtà inesistente, ‘essendo l’edificato dal 13 ottobre 1994 eretto per il solo piano terra’, donde la ricorrenza dell’ipotesi sub b), comma 3, dell’art. 2 legge 117 del 1988, nel tes to anteriore alla riforma del 2015, o dell’ipotesi sub a), comma 3, art. 2 della stessa legge, sempre nel suddetto testo originario.
Si censura la sentenza impugnata là dove afferma che ‘l’ordinanza del Commissario prefettizio’ che impose la demolizione dell’edificio ‘era stata emessa sulla scorta del parere dei tecnici comunali, che avevano ravvisato l’esistenza di parti pericolant i dell’edificio che si affacciavano sulla pubblica via’, soggiungendo che ‘le macerie non asportate non erano state considerate pericolose di per sé, ma valutate nel possibile
determinismo causale dato dalla spinta che esercitavano sul parapetto del terrazzino posto al primo piano’.
Su tali basi, dunque, la Corte umbra -osserva la ricorrente -‘ha ritenuto corretta e logica la valutazione’, già espressa dal Consiglio di Stato, ‘di sussistenza della pericolosità per la pubblica incolumità’.
Tuttavia, il ‘ragionamento operato dal Giudice della corte territoriale’ sarebbe ‘fondato su un fatto inesistente’, essendo ‘un fatto pacifico ed incontestato, già emerso nel corso del giudizio amministrativo di primo grado, che sull’immobile di proprietà di Margherita Serena non esistesse alcun terrazzino al primo piano’. All’uopo , la ricorrente richiama la nota del 31 ottobre 1994 -prodotta nel giudizio amministrativo -con cui essa ‘aveva rappresentato all’autorità amministrativa’ che ‘non sono mai esistiti terrazzini sul cui parapetto «macerie» esercitano una spinta verso l’esterno rendendo pericoloso per la pubblica incolumità’ , come, peraltro, sarebbe comprovato pure ‘dalla piantina dell’immobile già dimessa in atti’.
Reputa la ricorrente, quindi, che la Corte perugina sia incorsa nella violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., là dove ‘ ha palesemente travisato il contenuto oggettivo delle prove documentali e dei fatti non contestati dalle controparti, non essendo presente alcun terrazzino al primo piano dell’immobile di Margherita Serena ‘ e ciò ‘ per la circostanza di carattere assorbente che l’edificato’, dal 13 ottobre 1994 in avanti, e quindi già al momento dell’emissione della prima ordinanza del 27 ottobre, ‘ risultava eretto per il solo piano terra ‘.
Di qui la denunciata violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. ‘essendo fatto divieto di fondare la decisione’ osserva il ricorrente -‘su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte’ o, comunque, ‘in contrasto con quanto risulti dagli atti del processo, in quanto frutto di una falsa percezione della
realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa’.
Si ribadisce, dunque, ‘la totale assenza di attività di analisi ovvero la totale mancanza di analisi degli atti del procedimento’, da parte sia del Consiglio di Stato, come di ambo i giudici della fase di merito del presente giudizio ‘ ex lege ‘ n. 117 del 1988.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., ‘per omissione di motivazione sul percorso logico che avrebbero portato le fotografie dimesse dalla ricorrente ad essere giudicate come fonte di prova della presenza di pericolosità per la pubblica incolumità ‘, come tale ‘ atta a legittimare ‘ le ordinanze del 27 ottobre e del 7 novembre 1994, e con esse l’ ordine di integrale demolizione dell’immobile del 17 novembre 1994 , donde la sussistenza dell’ipotesi sub b), comma 3, dell’art. 2 legge 117 del 1988, nel tes to anteriore alla riforma del 2015, o dell’ipotesi sub a), comma 3, art. 2 della stessa legge, sempre nel suddetto testo originario.
Si censura la sentenza impugnata ‘nel punto in cui ritiene legittima la prima delle due ordinanze’ contingibili, quella del 27 ottobre 1994, giacché essa ‘si riferisce al solo dato di «alcune fotografie, dimesse da NOME COGNOME che avrebbero attestato la presenza di macerie»’ , quale ‘idoneo di per sé ad integrare il pericolo per la pubblica incolumità’, trattandosi a dire della ricorrente -di affermazione che ‘integra gli estremi della «motivazione apparente»’. Essa, infatti, è stata ravvisata da questa Corte tutte le volte in cui la sentenza rechi ‘argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa
non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice’.
Inoltre, nella motivazione risulta ‘assente l’indicazione delle ragioni logico-giuridiche atte ad esplicitare come tali fotografie, dimesse da NOME COGNOME e quindi con una ( sic ) preciso intento probatorio, siano arrivate ad essere valutate dai giudicanti (Consiglio di Stato prima, Tribunale e Corte D’appello di Perugia), come idonee, pur in assenza di contestazione della controparte, a dimostrare l’esatto contrario di ciò per cu i erano state prodotte, ovvero l’esistenza di un terrazzino e di macerie sul parapetto di questo, minaccianti un pericolo incombente di crollo sulla pubblica via, nonché la sufficienza di tale elemento come idoneo a legittimare l’integrale demolizione dell’immobile’.
In sostanza, nella motivazione della sentenza impugnata, come già in quella del Consiglio di Stato, sarebbe ‘assente il riferimento ad uno specifico elemento che sia stato portato dalle controparti pubbliche, atto a provare la sussistenza della pericolosità per la pubblica incolumità in concreto, idonea a legittimare l’emissione delle ordinanze contingibili ed urgenti nonché l’integrale demolizione dell’immobile’.
Per contro, proprio la giurisprudenza amministrativa risulta aver indicato -evidenzia la ricorrente -‘gli stingenti requisiti per un legittimo esercizio del potere di ordinanza contingibile ed urgente’, richiedendo ‘la sussistenza di una situazione di effettivo pericolo di danno grave ed imminente per la i ncolumità pubblica’, da accertarsi ‘a seguito di approfondita istruttoria con adeguata motivazione circa il carattere indispensabile degli interventi immediati ed indilazionabili imposti a carico del pri vati’ .
Nella specie, per contro, non sarebbe presente alcun percorso argomentativo logico-giuridico per cui le ‘ fotografie delle macerie ‘ , indicate dal giudice d’appello perugino , possano ritenersi elementi idonei a soddisfare i presupposti del legittimo
esercizio del potere di ordinanza, ovvero: un’ approfondita istruttoria , un’ adeguata motivazione e il rispetto del principio di proporzionalità.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ovvero l’inesistenza di un terrazzino al primo piano dell’immobile, donde la s ussistenza dell’ipotesi sub b), comma 3, dell’art. 2 legge 117 del 1988, nel teso anteriore alla riforma del 2015, o dell’ipotesi sub a), comma 3, art. 2 della stessa legge, sempre nel suddetto testo originario.
Premette la ricorrente di svolgere il motivo solo ‘ ad abundantiam ‘, precisando altresì, in via preliminare, ‘che solo apparentemente ci troviamo di fronte ad una «doppia conforme», e dunque alla preclusione di cui all’art. 348 -ter cod. proc. civ.’, atteso che ‘la circostanza di fatto relativa al terrazzino inesistente al primo piano dell’immobile’, non ha ‘fatto parte degli accertamenti’ dei due giudici di merito.
Sussisterebbero, inoltre, tutti i requisiti del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., e cioè: il fatto storico, il cui esame sia stato omesso; il dato da cui ne risulti l’esistenza; il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti; la decisività del fatto stesso.
Quanto, in particolare al requisito della decisività, si sottolinea che se la Corte territoriale ‘avesse rilevato che il terrazzino al primo piano era inesistente, per la circostanza assorbente che, dal 13 ottobre 1994, l’intero primo piano dell’immobile e ra già stato demolito, avrebbe riconosciuto la sussistenza del vizio di travisamento del fatto e della prova’, denunciato ai sensi della legge n. 117 del 1988 a carico del Consiglio di Stato.
3.5. Il quinto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ovvero ‘l’assenza di chiusura al transito della via privata aperta al pubblico adiacente all’immobile che si immetteva sulla via pubblica (INDIRIZZO‘, donde la sussistenza dell’ipotesi sub b), comma 3, dell’art. 2 legge 117 del 1988, nel tes to anteriore alla riforma del 2015, o dell’ipotesi sub a), comma 3, art. 2 della stessa legge, sempre nel suddetto testo originario.
Anche il presente motivo viene svolto ‘ ad abundantiam ‘, precisando che, solo ‘per tuziorismo difensivo’ , va vagliato ‘il fatto della mancata chiusura al transito della via privata, adiacente all’immobile, di accesso all’autostazione, per tutto il periodo interessato, dal 6 ottobre 1994 giorno d’inizio dell’attività di demolizione programmata sino alla demolizione del piano terra, intervenuta la mattina del 17 novembre 1994 ‘.
Invero, ove i ‘giudici umbri’ avessero vagliato tale fatto ‘avrebbero verificato l’insussistenza della pericolosità per la pubblica incolumità, poiché il Comune di Spilimbergo affermava l’esistenza di un pericolo di crollo di macerie su detta strada, senza tuttavia mai provvedere a sbarrarne il transito’.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la Presidenza del Consiglio dei ministri, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
La ricorrente ha depositato duplice memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
‘ In limine ‘ -accogliendo l’eccezione specificamente sollevata, in memoria, dalla ricorrente -va dichiarata l’inammissibilità del controricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri.
8.1. Si applica, difatti, al presente giudizio di legittimità -dato che il suo ricorso introduttivo è stato notificato successivamente al 1° gennaio 2023 -il testo dell’art. 370 cod. proc. civ. come ‘novellato’ dall’art. 3, comma 27, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (cfr. Cass. Sez. Un., ord. 18 marzo 2024, n. 7170, Rv. 670582-01), sicché il controricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri , era da ‘depositare entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso’. Termine, viceversa, non rispettato, visto che la notifica del ricorso risale al 2 febbraio 2024, sicché il deposito del controricorso -effettuato in data 18 marzo 2024 -è tardivo, atteso che lo stesso, per rispettare il suddetto termine di quaranta giorni, sarebbe dovuto avvenire il precedente 14 marzo.
Il ricorso è inammissibile, in ciascuno dei motivi in cui si articola.
Nel procedere al loro scrutinio, tuttavia, si rende necessaria una precisazione preliminare, e ciò al fine di compiere un corretto inquadramento delle censure formulate da NOME COGNOME.
10. Come evidenziato nella sentenza impugnata, al presente giudizio si applica, ‘ ratione temporis ‘, il testo della legge 13 aprile 1988, n. 117 (e, in particolare, del suo art. 2), anteriore alle modifiche apportate dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18.
Invero, in mancanza -nella legge n. 18 del 2015 -di una disciplina transitoria, il testo originario di cui alla legge n. 117 del 1988 continua ad operare per i fatti (asseritamente) illeciti posti in essere dai magistrati prima dell ‘ entrata in vigore del suddetto ‘ ius superveniens ‘ , ovvero il 19 marzo 2015 (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 3 maggio 2019, n. 11747, non massimata sul punto; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 15 dicembre 2015, n. 25216, Rv. 638090-01).
Nel caso che occupa, la sentenza del Consiglio di Stato in relazione alla quale è ipotizzata la responsabilità del Collegio giudicante, risale al 13 dicembre 2011.
10.1. Da quanto precede deriva, quindi, che è con riferimento alla fattispecie -contemplata dal testo originario dell’art. 2, comma 3, lett. b), della legge n. 117 del 1998 -costituita dalla ‘ affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento ‘, ed all’interpretazione che di essa ha dato questa Corte di legittimità, che debbono essere vagliate le censure di ‘travisamento del fatto e della prova’, alle quali fa ripetut amente riferimento il ricorso in esame.
In tale prospettiva, quindi, va segnalato che la lett. b) del comma 3 dell’art. 2 della legge n. 117 del 1988, nel considerare il caso in cui il giudice affermi un fatto incontrastabilmente escluso dagli atti del procedimento, ‘ attribuisce rilevanza, sempre che sia da ascrivere a negligenza inescusabile, all’errore di tipo «revocatorio», consistente nella supposizione di una circostanza fattuale la cui inesistenza sia chiaramente posta in luce dalle
risultanze acquisite agli atti. Ne consegue che non è riconducibile alla fattispecie prevista da detta norma il caso in cui il giudice ritenga il verificarsi di una situazione di fatto senza elementi pertinenti, ovvero sulla scorta di elementi insufficienti ‘ (tali, in particolare, reputati nei gradi di giudizio successivi), ‘ i quali, purtuttavia abbiano formato oggetto di esame e valutazione da parte sua ‘ (così Cass. Sez. 1, sent. 6 novembre 1999, n. 12357, Rv. 530944-01; peraltro, sulla necessità che quello idoneo a configurare responsabilità del magistrato, ai sensi della norma suddetta, sia il solo errore ‘revocatorio’ , si veda già Cass Sez. 1, sent. 26 luglio 1994, n. 6950, Rv. 487516-01; conforme pure Cass. Sez. 1, sent. 20 settembre 2001, n. 11880, Rv. 55080801).
Da rimarcare è, inoltre, che ‘l a responsabilità prevista dalla legge n. 117 del 1998, ai fini della risarcibilità del danno cagionato dal magistrato nell’esercizio delle funzioni giudiziarie ‘ , risulta ‘ incentrata sulla colpa grave del magistrato stesso tipizzata secondo ipotesi specifiche ricomprese nell ‘ art. 2 della citata legge, le quali sono riconducibili al comune fattore della negligenza inescusabile, che implica la necessità della configurazione di un « quid pluris » rispetto alla colpa grave delineata dall’art. 2236 cod. civ., nel senso che si esige che la colpa stessa si presenti come «non spiegabile» e, cioè, senza agganci con le particolarità della vicenda idonee a rendere comprensibile anche se non giustificato l ‘ errore del magistrato ‘, sicché è alla stregua di tale criterio che ‘ va ravvisato l ‘ errore rilevante ai sensi delle lettere b) e c) del suddetto art. 2, comma terzo, ove il giudice abbia posto a fondamento del suo giudizio elementi del tutto avulsi dal contesto probatorio di riferimento, mentre lo stesso errore deve essere escluso nell ‘ ipotesi in cui il giudice abbia ritenuto sussistente una determinata situazione di fatto senza elementi pertinenti ovvero sulla scorta di elementi insufficienti che, però, abbiano formato
oggetto di esame e valutazione, trattandosi in tal caso di errato apprezzamento dei dati acquisiti ‘ (Cass. Sez. 3, sent. 27 novembre 2006, n. 25133, Rv. 593101-01; in senso analogo già Sez. 1, sent. 29 novembre 2002, n. 16935, Rv. 558817-01).
La necessità che il suddetto errore revocatorio sia conseguenza di una negligenza inescusabile, cioè di un ‘ quid pluris ‘ rispetto alla colpa grave , che renda l’errore come “non spiegabile ‘ , vale a dire privo di agganci con le particolarità della vicenda, che potrebbero rendere comprensibile, anche se non giustificato, lo stesso (aspetto, peraltro, comune a tutte le fattispecie di cui al testo originario della l. n. 117 del 1988; cfr. Cass. Sez. 1, sent. 29 novembre 2002, n. 16935, Rv. 558817-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2007, n. 15227, Rv. 598301-01), comporta, dunque, che ad integrare la fattispecie di cui alla lett. b) dell’art. 2 comma 3 occo rre che il giudice abbia fondato la propria decisione solo su ‘ fatti pacificamente insussistenti o avulsi dal contesto probatorio ‘ ( Cass. Sez. 6-3, ord. 26 febbraio 2015, n. 3916, Rv. 634335-01).
10.2. Alla luce di quanto appena osservato, emerge che la giurisprudenza di legittimità ha inteso contenere la portata della fattispecie di cui alla lett. b) -come, del resto, di quella ‘speculare’ di cui alla lett . c) -del comma 3 dell’art. 2 della legge n. 117 del 1988, e ciò con opzione ermeneutica del tutto ‘ coerente con la stessa scelta del legislatore di prevedere la clausola di salvaguardia di cui all’a rt. 2, comma 2, legge n. 117 del 1988, la quale -stando sempre agli indirizzi formatisi con riferimento al testo normativi anteriore alla riforma operata dalla legge 18 del 2015 ‘ -‘ esclude che possa dar luogo a responsabilità l ‘ attività di interpretazione di norme di diritto, ovvero di valutazione del fatto e della prova ‘ , con previsione ‘ che non tollera letture riduttive, in quanto giustificata dal carattere
fortemente valutativo dell ‘ attività giudiziaria e dall ‘ esigenza di attuare compiutamente l ‘indipendenza del giudice’ ( Cass. Sez. 3, sent. 19 gennaio 2018, n. 1266, Rv. 647580-01), come pure precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza 19 gennaio 1989, n. 18.
Difatti, secondo la Corte delle leggi, la garanzia costituzionale dell ‘ indipendenza, ex art. 104 Cost., è diretta ‘ a tutelare, in primis , l ‘ autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e l ‘ imparziale interpretazione delle norme di diritto ‘, sicché tale duplice attività ‘ non può dar luogo a responsabilità del giudice ‘, avendo il legislatore delineato una sfera d ‘ irresponsabilità ‘ fino al punto in cui l ‘ esercizio della giurisdizione, in difformità da doveri fondamentali, non si traduca in violazione inescusabile della legge o in ignoranza inescusabile dei fatti di causa, la cui esistenza non è controversa ‘ (così Corte cost., sent. n. 18 del 1989, cit ., § 10. del ‘Considerato in diritto’ ).
11. Ribaditi, dunque, i limiti entro i quali può ravvisarsi -in base alla giurisprudenza di questa Corte -la fattispecie di cui alla, oggi abrogata, lett. b) del comma 3 dell’art. 2 della legge n. 117 del 1988, deve escludersi che la sentenza impugnata possa essere censurata per averne escluso la sussistenza nel caso di specie, ciò che costituisce il tema, per così dire, ‘ di fondo ‘ del presente giudizio (al netto, peraltro, di quanto pure si dirà circa la pretesa della ricorrente di ravvisare ulteriori vizi della decisione in esame, in certi casi persino ipotizzando che essa -quasi in virtù di una ‘proprietà transitiva’ -possa essere partecipe di quelle stesse mende che si assumono inficiare la pronuncia del Consiglio di Stato, all’origine della presente vertenza radicata ai sensi della legge sulla responsabilità civile dei magistrati).
Invero, come già rilevato in modo pertinente dalla Corte Umbra, il tema del presente giudizio ‘ ex lege ‘ n. 117 del 1988
non può certo essere quello della sussistenza del pericolo di crollo (che era, invece, l’oggetto ‘mediato’ del contenzioso amministrativo definito dalla sentenza n. 6513/11 del Consiglio di Stato, trattandosi del presupposto legittimante il corretto esercizio, o meno, del potere di ordinanza contingibile e urgente da parte dell’amministrazione ). Difatti, diversamente opinando, l’errore revocatorio di fatto -nel quale, come visto, è destinata a sostanziarsi la fattispecie di cui alla lett. b) del comma 3 dell’art. 2 della legge n. 117 del 1988 -finirebbe con l’investire proprio il fatto controverso tra le parti. Viceversa, è affermazione costante di questa Corte quella secondo cui fuoriesce dal paradigma dell’errore revocatorio quello che cada su un fatto che ‘ abbia costituito un punto controverso oggetto della decisione ‘ , giacché ‘ ove su detto fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa ‘ , la pronuncia del giudice ‘ non si configura come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa ‘ (così, da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 29 ottobre 2024, n. 27897, Rv. 672826-01).
Considerazioni, queste appena svolte, che minano, dunque, in radice l’ ammissibilità di tutte le censure veicolate con il presente ricorso , fondate sull’assunto che sarebbe stat e ‘travisate’ le risultanze documentali agli atti del giudizio amministrativo (e segnatamente quelle dei due verbali dei Vigili del Fuoco del 13 ottobre e 16 novembre 1994) , giacché attestanti l’inesistenza del pericolo di crollo, e dunque per la pubblica incolumità.
Conclusa, dunque, tale premessa -dalla quale, come detto, emerge l’inammissibilità di quelle censure, oggetto in particolare dei primi tre motivi di ricorso, concepite secondo il ‘paradigma’ del ‘travisamento della prova’ si può procedere ad un esame più analitico della presente impugnazione, anche in
relazione alle doglianze ulteriori, rispetto a quelle formalmente ricondotte dalla ricorrente alla previsione di cui all’art. 2, comma 3, lett. b), del testo originario della legge n. 117 del 1988.
12.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
12.1.1. Esso, nella sostanza, addebita alla Corte territoriale di avere disconosciuto -al pari del Consiglio di Stato -il valore di prova legale, ex art. 2700 cod. civ., ai verbali/rapporti d’intervento dei Vigili del Fuoco, datati 13 ottobre e 16 novembre 1994, attestanti, a dire della ricorrente, l’assenza di pericolosità per la pubblica incolumità, trattandosi di documenti espressione di attività tecnico-certificativa ‘ ex ante ‘ , al fine cioè di prevenire il verificarsi di un evento calamitoso, secondo il disposto de ll’art. 24 del d.lgs. 8 marzo 2006, n. 139.
Tale censura -in disparte quanto si dirà in merito all’assunto della ricorrente, secondo cui sarebbe copertata da fede privilegiata l’affermazione dei Vigli del Fuoco (per vero, presente solo nel primo di tali documenti) circa l’insussistenza del pericolo per l’incolumità pubblica -appare, sotto più aspetti, inammissibile.
Innanzitutto, perché essa -nella misura in cui addebita tale ‘disconoscimento’, d el valore di prova legale dei suddetti documenti, alla stessa pronuncia del Consiglio di Stato -configura un vizio di quella decisione che avrebbe potuto, in astratto, rilevare ai sensi della lett. a) del comma 3 dell’art. 2 del testo originario della legge n. 117 del 1988, norma che contemplava, quale ipotesi di responsabilità civile per l’esercizio di funzioni giudiziarie, ‘l a grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile ‘.
Senonché, sebbene tale questione risulti essere stata devoluta all’esame della Corte perugina (cfr. pag. 4 della sentenza
impugnata, nella quale si legge che l’allora appellante si era doluta della ‘ mancata considerazione ‘, da parte del Consiglio di stato, ‘ dei due verbali dei VVFF e del loro valore di atto pubblico di quanto in essi contenuto, in ossequio alle disposizioni dell ‘ art. 2700 cod. civ. ‘) essa , in realtà, non era stata posta all’esame del Tribunale di Perugia, secondo la ricostruzione che la stessa NOME COGNOME ha fatto, nell’odierno ricorso, dell’iniziativa assunta innanzi al giudice di prime cure. Si legge, infatti, alle pagg. 6 e 7 del ricorso che l’allora attrice aveva dedotto, a carico del Collegio giudicante del Consiglio di Stato, ‘ travisamento del fatto e delle prove ‘ che av rebbero ‘ sgombrato il campo da qualsiasi ipotesi di pericolosità per la pubblica incolumità ‘ , e dunque ‘ per aver affermato come esistente un fatto la cui esistenza era incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento ovvero la sussistenza della pericolosità per la pubblica incolumità ‘, all’uopo richiamando ‘i due verbali/rapporti d’intervento dd. 13.10.1994 e 16.11.1994 dei vigili del fuoco ‘, ma senza addebitare al giudice amministrativo di seconda istanza di averne disconosciuto il valore di prova legale ex art. 2700 cod. civ.
Ciò detto, l’odierna ricorrente , pertanto, giammai si sarebbe potuta dolere in appello della violazione della norma suddetta e, con essa, dell’art. 24 del d.lgs. n. 139 del 2006 (che avvalorerebbe l’efficacia di ‘prova legale’ di quei verbali), perché ciò integra violazione del divieto di ‘ nova ‘ ex art. 345 cod. proc., vizio che questa Corte è abilitata a rilevare ‘ ex officio ‘. Difatti, ‘l’ inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello, ai sensi dell’art. 345 c od. proc. civ., e correlativamente, dell’obbligo del giudice di secondo grado di non esaminare nel merito tale domanda, è rilevabile d’ufficio in sede di legittimità, poiché costituisce una preclusione all’esercizio della giurisdizione, che può essere verificata nel giudizio di cassazione ‘ (così, in
motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 23 dicembre 2022, n. 37740, non massimata, che richiama Cass. Sez. 2, sent. 4 marzo 2016, n. 4318, Rv. 639385-01 e Cass. Sez. 1, sent. 21 dicembre 2005, n. 28302, Rv. 585488-01).
12.1.2. Ma vi è di più.
Errato è l’assunto sul quale si basa tale doglianza, ovvero il valore di ‘prova legale’ dei verbali ‘ de quibus ‘.
Ne costituisce smentita, a ben vedere, proprio l’arresto al quale si richiama la ricorrente, secondo cui ‘il verbale redatto dei Vigili del fuoco è dotato di fede privilegiata solo riguardo ai fatti caduti sotto l’immediata osservazione degli operanti e delle attività da questi compiute, valendo nel resto quale strumento probatorio liberamente apprezzabile dal giudice, in correlazione con le emergenze probatorie di causa ‘ (così , in motivazione, Cass. Sez. 2, ord. 17 novembre 2017, n. 27314).
Nel caso di specie, dunque, la fede privilegiata -che avrebbe potuto investire, al più, la descrizione dello stato dei luoghi e delle attività espletate dai Vigili del Fuoco -non si sarebbe potuta certo estendere alla valutazione, destinata a rimanere liberamente apprezzabile in giudizio, circa l’assenza del pericolo di crollo, giacché essa non può ritenersi frutto di mera osservazione.
12.1.3. D’altra parte, inammissibile è pure il rilievo che pare coinvolgere, indistintamente, la decisione della Corte territoriale e quella Consiglio di Stato -secondo cui il contenuto dei verbali in questione ‘non è stato mai specificatamente contestato dalla controparte’ .
Sul punto, invero, è sufficiente osservare che ‘l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, né la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice’ (Cass. Sez. 3,
sent. 5 marzo 2020, n. 6172, Rv. 657154-01). Difatti, ‘il principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti’ (Cass. Sez. 3, sent. 21 giugno 2016, n. 12748, Rv. 640254-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 11 febbraio 2020, n. 3306, Rv. 657014-01; Cass. Sez. 2, sent. 23 maggio 2024, n. 14399, Rv. 671363-01).
12.2. Pure il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
12 .2.1. Lamenta la ricorrente che ‘il ragionamento operato dal Giudice della corte territoriale ‘ sarebbe ‘ fondato su un fatto inesistente ‘, essendo ‘ un fatto pacifico ed incontestato, già emerso nel corso del giudizio amministrativo di primo grado, che sull’immobile di proprietà di Margherita Serena non esistesse alcun terrazzino al primo piano ‘ . Per contro, si legge nella sentenza impugnata che -ai fini della valutazione sul pericolo di crollo -‘ le macerie non asportate non erano state considerate pericolose di per sé, ma valutate nel possibile determinismo causale dato dalla spinta che esercitavano sul parapetto del terrazzino posto al primo piano ‘ (cfr. pag. 11 della pronuncia della Corte umbra).
Ricorrerebbe, dunque, secondo NOME COGNOME la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., giacché la sentenza impugnata ‘ ha palesemente travisato il contenuto oggettivo delle prove documentali e dei fatti non contestati dalle controparti, non essendo presente alcun terrazzino al primo piano dell’immobile’.
Senonché, anche in questo caso, plurime risultano le ragioni di inammissibilità della censura.
In primo luogo, perché la ‘prova documentale’ che attesterebbe l’inesistenza del terrazzino altro non è se non un
documento di provenienza unilaterale della stessa ricorrente, vale a dire quella nota del 31 ottobre 1994 -prodotta nel giudizio amministrativo -con cui ella ‘aveva rappresentato all’autorità amministrativa’ che ‘non sono mai esistiti terrazzini sul cui parapetto «macerie» esercitano una spinta verso l’esterno rendendo pericoloso per la pubblica incolumità’ .
In secondo luogo, perché il c.d. ‘travisamento della prova’ , nel senso in cui se ne lamenta parte ricorrente, (ammesso, come detto, che di ‘prova’ possa parlarsi con riferimento a tale nota, giacché ‘u n documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa né determina inversione dell ‘ onere probatorio ‘, nel caso in cui la parte contro la quale esso è prodotto contesti la pretesa azionata; cfr., in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 27 aprile 2016., n. 8290, non massimata) è estraneo -secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, Rv. 670391-01) -a lla tassonomia dell’art. 360 cod. proc. civ., e dunque non è idoneo ad integrare violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., trovando, al più, il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, sempre che cada su circostanza non controversa tra le parti. Dovendosi, d’altro canto, rilevare che l’argomentare della ricorrente nemmeno è riconducibile a quel profilo limitatissimo di travisamento che le stesse Sezioni Unite hanno individuato come ‘oggettivo’ e che hanno ritenuto deducibile ai sensi del n. 4 o d el n. 5, a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale, allorquando abbai costituito punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciato (in caso contrario rilevando il rimedio revocatorio ex n. 4 dell’art. 395 c.p.c.). Detto argomentare non evidenzia alcun travisamento ‘oggettivo’ apparentabile agli esempi che le Sezioni Unite hanno al riguardo prospettato.
Infine, l’inammissibilità del motivo risulta vieppiù confermata ove si abbia riguardo al riferimento della ricorrente alla fattispecie di cui alla lett. b) del comma 3 dell’art. 2 del testo originario della legge n. 117 del 1998. Difatti, la dimostrazione della sua ricorrenza ( o meglio, dell’erroneità della decisione della Corte territoriale sostanziatasi nell’averla esclusa ) presupponeva l’individuazione -che è invece mancata -delle parti della sentenza del Consiglio di Stato che avrebbero fatto menzione sia dell’esistenza del terrazzino al primo piano dell’immobile, nonché della presenza sullo stesso di macerie e, soprattutto, dell’incidenza che tale circostanza ebbe, secondo il giudice amministrativo, rispetto al pericolo di crollo.
12.3. Come i due precedenti, pure il terzo motivo è inammissibile.
12.3.1. Esso censura la sentenza impugnata -come sopra illustrato -‘nel punto in cui ritiene legittima la prima delle due ordinanze ‘ contingibili, quella del 27 ottobre 1994, giacché la Corte umbra ‘ si riferisce al solo dato di «alcune fotografie, dimesse da NOME Serena che avrebbero attestato la presenza di macerie»’ quale ‘ idoneo di per sé ad integrare il pericolo per la pubblica incolumità ‘ , trattandosi, a dire della ricorrente, di affermazione che ‘integra gli estremi della «motivazione apparente» ‘.
Senonché, come evidenziato nella premessa allo scrutinio dei singoli motivi di ricorso (cfr., in particolare, § 11.), non era il giudice della controversia avente ad oggetto la fattispecie della responsabilità civile per esercizio della funzione giudiziaria a dover vagliare la sussistenza del pericolo per la pubblica incolumità (e a motivare su di essa), dovendo piuttosto stabilire -alla luce del solo ‘ thema decidendum ‘ portato ritualmente al
suo esame, che era quello di un ‘ travisamento del fatto e delle prove ‘, nel quale sarebbe incorso il Consiglio di Stato -se ricorresse, nel caso in esame, la fattispecie di cui all’abrogata lett. b) del comma 3 dell’art. 2 della legge n. 117 del 1988.
Sotto questo profilo, dunque, la censura in esame costituisce palmare conferma dell’errore prospettico in cui cade ripetutamente la ricorrente e che si sostanzia in un’indebita sovrapposizione dei piani d’indagine demandati, rispettivamente, al giudice che sarebbe incorso in responsabilità civile e a quello chiamato, in ipotesi ad accertarla.
Non erano, infatti, il Tribunale e poi la Corte di Perugia a dover adeguatamente motivare sul rilievo che la documentazione fotografica prodotta da essa NOME ha assunto nel ritenere sussistente il pericolo di crollo, e dunque il presupposto per il legittimo esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente.
La censura ex art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., semmai, avrebbe dovuto investire quella parte della pronuncia d’appello relativa alla valutazione che, del materiale in atti, ha compiuto il Consiglio di Stato, per ribaltare la decisione assunta dal TAR per il Friuli-Venezia Giulia. Sotto questo profilo, quindi, la doglianza di NOME COGNOME avrebbe dovuto, semmai, attingere quel passaggio del ‘ dictum ‘ Corte di Perugia secondo cui ‘ la motivazione della sentenza in discorso ‘ (cioè quella del Consiglio di Stato), ‘ seppur sbrigativa, non risulta fondata su un fatto incontrastabilmente escluso dagli atti del procedimento, né è possibile sostenere che la motivazione risulti manifestamente carente, erronea o distorta, poiché priva di giustificazione sul piano logico e tale da alterare la verità processuale ‘ (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
Affermazione, peraltro, che -essendo, oltretutto, in linea con gli indirizzi di questa Corte che si sono sopra richiamati (cfr. §
10.1.), secondo cui la responsabilità ex art. 2, comma 3, lett. b), legge n. 117 del 1988 è configurabile allorché il giudizio di fatto di fatto si fondi su ‘elementi del tutto avulsi dal contesto probatorio di riferimento ‘ , non bastando un ‘ errato apprezzamento dei dati acquisiti ‘ -è idonea a soddisfare il disposto dell’art. 111, comma sesto, Cost., essendo l’obbligo della motivazione ormai contenuto entro il minimo costituzionale (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, ‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01).
12.4. Da ultimo, l’inammissibilità inficia anche i motivi quarto e quinto di ricorso, accomunabili nello scrutinio perché entrambi denunciano il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
12 .4.1. Tale esito s’impone, innanzitutto, ai sensi del comma 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., introdotto dall’art. 3, comma 27, lett. a), del d.lgs. 1° ottobre 2022, n. 149, norma che -ai sensi del comma 5 dell’ art. 35 del medesimo d.lgs. n. 149 del 2022 -ha effetto dal 1° gennaio 2023 e si applica ai giudizi di legittimità introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data, qual è quello presente, per il quale la notificazione è avvenuta il 2 febbraio 2024.
Il suddetto comma 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. riproduce, nonostante la sua leggermente diversa formulazione letterale, il testo dell’abrogato art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., determinando anch’essa la preclusione alla deduzione di motivi di ricorso ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., ‘ nel caso in cui la sentenza di primo grado e quella di secondo grado ‘, aventi
natura conforme, ‘ siano state delibate nel merito ‘ (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 11 dicembre 2024, n. 32019, Rv. 673047-01).
Di conseguenza, in base alla giurisprudenza formatasi nel vigore dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., la preclusione suddetta opera nel caso -qual è quello in esame, giacché NOME COGNOME non ha spiegato quali sarebbero le differenze tra le pronunce di primo e secondo grado, limitandosi ad affermare che la preclusione suddetta non opera, senza spiegarne plausibilmente le ragioni, al di là del criptico rilievo per cui ‘la circostanza di fatto relativa al terrazzino inesistente al primo piano dell’immobile’, non ha ‘fatto parte degli accertamenti’ dei due giudici di merito -in cui il ricorrente ‘ ometta di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse’ (Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2016, n. 26774, Rv. 643244-03; Cass. Sez. Lav., sent. 6 agosto 2019, n. 20994, Rv. 654646-01; Cass. Sez. 3, ord. 28 febbraio 2023, n. 5947, Rv. 667202-01). Indicazione, peraltro, che deve evidenziare l’esiste nza di differenze sostanziali, dato che l’ipotesi di ‘doppia conforme’ ricorre ‘non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice’ (Cass. Sez. 6 -2, ord. 9 marzo 2022, n. 7724, Rv. 664193-01).
12.4.2, L’esito dell’inammissibilità è , inoltre, corroborato dalle ulteriori, seguenti, considerazioni.
Il primo de i fatti dei quali sarebbe stato omesso l’esame e cioè quello oggetto del quarto motivo di ricorso, vale a dire l’esistenza, o meno, di un terrazzino al primo piano dell’immobile demolito -è stato preso in rassegna dalla sentenza impugnata, che ne afferma, addirittura, l’incidenza rispetto alla situazione di pericolo di crollo, tanto che la ricorrente (con il secondo motivo della presente impugnazione) ha denunciato, rispetto ad esso, il vizio di ‘ travisamento della prova ‘ .
Per parte propria, invece, il secondo di tali fatti (ovvero quello oggetto del quinto motivo di ricorso, e cioè l’assenza di chiusura al transito della zona interessata dai lavori edili) -è privo del carattere della ‘decisiv ità ‘, nel senso d ella idoneità a determinare un esito diverso della controversia’ (cfr. Cass. Sez. 6 -5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01; Cass. Sez. Lav., sent. 25 giugno 2018, n. 16703, Rv. 649316-01). Esso, infatti, non è suscettibile di comprovare, in modo univoco, l’assenza del pericolo per la pubblica incolumità, offendo elementi di valutazione puramente ipotetici, se non addirittura di natura congetturale.
Il tutto, infine, non senza nuovamente considerare che la doglianza della ricorrente prospetta, una volta di più, l’incidenza che tali omissioni avrebbero avuto rispetto alla valutazione, che si pretenderebbe doversi compiere da parte della Corte umbra, della sussistenza della situazione di pericolo per la pubblica utilità, mentre essa era solo chiamata a stabilire che il Consiglio di stato, in ipotesi, abbia fondato la propria decisione su ‘ fatti pacificamente insussistenti o avulsi dal contesto probatorio ‘.
Nulla va disposto in relazione alle spese del presente giudizio di legittimità, in ragione della già evidenziata inammissibilità del controricorso.
14. A carico della ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della