Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21958 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21958 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9686-2022 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
ISPETTORATO RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2881/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 29/10/2021 R.G.N. 1654/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Opposizione ordinanza ingiunzione
R.G.N.9686/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 06/05/2025
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di Milano ha accolto l’appello proposto da NOME COGNOME NOME e dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione limitatamente alla prescrizione maturata dall’1.1.2007 al 4.4.2007, provvedendo a rideterminare l’importo della sanzi one amministrativa irrogata, ed ha confermato nel resto la decisione di primo grado che aveva rigettato l’opposizione all’ordinanza ingiunzione con cui l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Milano -Lodi aveva irrogato sanzioni amministrative per plurime violazioni in materia di cd. lavoro nero.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria. L’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Milano -Lodi ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 3 e 6, comma 3, della legge 689/81, anche in relazione all’art. 27 Cost., per avere la Corte d’appello errato nel conside rare la NOME NOME responsabile degli illeciti amministrativi in base al mero dato formale dell’essere la stessa legale rappresentante della società, in assenza di qualsiasi sua partecipazione alle condotte contestate.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli
artt. 2697 e 2727 c.c. e dell’art. 6, d.lgs. 150 del 2011, per avere la sentenza impugnata attribuito all’attuale ricorrente l’onere di provare l’esclusione della propria responsabilità anziché addossare all’Ispettorato l’onere di dimostrare che la ricorrente fosse autrice materiale degli illeciti amministrativi oggetto di causa.
I motivi di ricorso non possono trovare accoglimento.
La Corte d’appello ha giudicato la COGNOME personalmente responsabile degli illeciti amministrativi non solo in ragione della sua qualifica formale di legale rappresentante della società, ma sulla base di una serie di elementi oggetto di accertamento in fa tto e considerati significativi di una ‘effettiva compartecipazione della medesima alla gestione sociale e all’impiego di manodopera irregolare in violazione delle disposizioni di legge in tema di lavoro subordinato’ (sentenza, p. 6). In particolare, i giudici di appello hanno valutato come indici significativi di una diretta ed effettiva compartecipazione della COGNOME alla gestione del personale dipendente della società i seguenti elementi: le spontanee dichiarazioni da lei rese in epoca immediatamente successiva al primo accesso ispettivo ed aventi ad oggetto la condizione giuridica e l’effettiva attività svolta dai lavoratori, la consegna di documentazione da parte della stessa in ordine ai dipendenti, l’intervenuta regolarizzazione, su sua iniziativa, nel corso della ispezione di alcuni lavoratori.
La sentenza impugnata ha inoltre sottolineato come gli illeciti omissivi oggetto di causa, concernenti omesse comunicazioni e omessi adempimenti da eseguire prima o durante l’instaurazione del rapporto, fossero certamente imputabili all’appellante nella sua qualifica formale in quanto adempimenti posti a carico del datore di lavoro; che in ogni caso, ove anche
si ritenesse dimostrato che la COGNOME era coadiuvata nella gestione e direzione dei lavoratori dal socio e marito NOME COGNOME ciò non farebbe venir meno la responsabilità della medesima, comunque tenuta alla vigilanza sul socio e collaboratore.
Le censure oggetto del primo motivo di ricorso, se pure formulate come violazione di legge, mirano a sovvertire l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito suggerendo che quegli stessi elementi sarebbero inidonei o insufficienti a dimostrare la compartecipazione della COGNOME alla gestione del personale e quindi alla commissione degli illeciti accertati. Le critiche si rivelano inammissibili poiché incidenti sulla quaestio facti , in una ipotesi peraltro regolata dalla disciplina della cosiddetta doppia conforme, di cui all’art. 348 ter c.p.c. (ora art. 360, comma 4 c.p.c.).
Considerazioni analoghe possono ripetersi nell’esame del secondo motivo di ricorso. La Corte d’appello ha correttamente addossato all’Ispettorato l’onere di prova dei requisiti oggettivi e soggettivi degli illeciti amministrativi oggetto dell’ordinanza ingiunzione, sia con riguardo agli elementi fondanti la responsabilità della COGNOME e sia quanto alla sussistenza delle condotte violative delle prescrizioni di legge e, sulla base delle risultanze istruttorie, ha giudicato tale onere probatorio assolto. La parte ricorrente deduce la violazione degli articoli 2697 e 2727 c.c. criticando, ancora una volta e inammissibilmente, l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito.
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma
1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 6 maggio 2025