Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11899 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11899 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26885 R.G. anno 2022 proposto da:
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende controricorrente
nonché contro
COGNOME NOME ;
intimato
avverso la sentenza n. 2270/2022 emessa da CORTE D’APPELLO DI ROMA.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del marzo 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
il Tribunale di Rieti, accogliendo la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE. e del promotore finanziario NOME COGNOME, ha condannato questi ultimi, in solido, alla restituzione, in favore dell’attore, della somma di € 168.999,88, oltre accessori, pari alla differenza tra gli importi abusivamente prelevati dal suo conto e la minor somma successivamente riaccreditata all’esito di investimenti non autorizzati.
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 5 aprile 2022, ritenendo fondato l ‘ap pello principale proposto da RAGIONE_SOCIALE, ha rigettato le domande spiegate da COGNOME nei confronti dell’istituto di credito.
La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: a) le note informative delle operazioni di investimento, prodotte dalla banca, smentivan o l’affermazione del COGNOME circa l’insussistenza di qualsivoglia autorizzazione al promotore ad operare sul suo conto corrente, ma anzi confermavano che a COGNOME erano state fornite le credenziali del conto del cliente (quali PIN e password ), in quanto tutti gli ordini di acquisto e di vendita di titoli, effettuati sul mercato telematico, transitavano sul predetto conto corrente come se fossero state effettuate direttamente da COGNOME; b) i due atti di ricognizione di debito sottoscritti dal promotore finanziario, sui quali l’attore fonda la pretesa risarcitoria -atti ricognitivi che peraltro riportavano cifre non direttamente correlate a quelle oggetto del giudizio -dimostravano che COGNOME aveva incaricato COGNOME di operare direttamente sul suo
conto corrente e che, al più, lo stesso promotore aveva esorbitato dai limiti del mandato conferitogli; c) sussisteva un comportamento gravemente anomalo e colpevole del COGNOME, il quale aveva, di fatto, reso possibili condotte del promotore finanziario abnormi, al di fuori di qualsiasi prassi bancaria e non conformi alle più elementari regole di diligenza e prudenza: comportamento che era tale da interrompere il nesso causale tra l’attività posta in essere da COGNOME e la pretesa responsabilità dell’istituto bancario ex art. 2049 c.c.
3 . – Avverso quest’ultima sentenza è ricorso per cassazione di NOME COGNOME: ricorso fondato su di un unico motivo; ad esso resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a..
E’ stata formulata, da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 bis c.p.c.. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La proposta ha il tenore che segue:
«l motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2049 e 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., c.c. e dell’art. 31 d.lgs. n. 58/1998, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., per erronea valutazione delle risultanze istruttorie da p arte della corte d’appello, la quale ha ritenuto l’infondatezza della pretesa avanzata dal COGNOME nei confronti dell’istituto bancario, ritenendo che le operazioni contestate fossero state poste in essere dal promotore finanziario con l’autorizzazione del cliente, con illegittima inversione dell’onere della prova, in quanto era onere della banca provare l’esistenza di un’autorizzazione del cliente al promotore per quelle operazioni, e non valutando correttamente le prove, dato che, invece, il ricorrente ha ampiamente dimostrato nel corso del giudizio di primo grado, l’illecito del promotore;
«il motivo è inammissibile;
«esso, invero, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge sostanziale o processuale, mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, dato che il motivo, pur prospettando l’omesso o l’erroneo esame di risultanze probatorie, intende riproporre il giudizio sul fatto (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 34476 del 27/12/2019);
« in particolare, occorre ricordare che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, e che, analogamente, la violazione dell’art. 116 c.p.c. è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcun piuttosto che a altre, essendo tale attività consentita dal paradigma della norma rubricata appunto ‘ della valutazione delle prove ‘ (Cass., Sez. 3, 28.2.2017, n. 5009; Sez. 2, 14.3.2018, n. 6231);
«inoltre, il motivo è inammissibile perché, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni,
ma non anche laddove si contesti il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito ( e multis , Cass., Sez. 2, 24.1.2020, n. 1634; Sez. lav., 19.8.2020, n. 17313; Sez. 6, 23.10.2018 n.26769; Sez. 3, 29.5.2018, n.13395; Sez. 2, 7.11.2017 n.26366)»
2. A questi rilievi, che si condividono, possono aggiungersene altri.
La Corte di appello si è conformata al principio, consolidato presso questa RAGIONE_SOCIALE, e pienamente condiviso dal Collegio, per cui gli istituti di credito rispondono dei danni arrecati a terzi dai propri incaricati nello svolgimento delle incombenze loro affidate quando il fatto illecito commesso sia connesso per occasionalità necessaria all’esercizio delle mansioni, ma la responsabilità dell’intermediario per i danni arrecati dai propri promotori finanziari è esclusa ove il danneggiato ponga in essere una condotta agevolatrice che presenti connotati di anomalia, vale a dire, se non di collusione, quantomeno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore (Cass. 25 ottobre 2022, n. 31453; Cass. 15 dicembre 2020, n. 28634; cfr. pure: Cass. 12 ottobre 2018, n. 25374; Cass. 10 novembre 2015, n. 22956; Cass. 13 dicembre 2013, n. 27925; Cass. 24 marzo 2011, n. 6829; Cass. 24 luglio 2009, n. 17393).
Il detto enunciato non è stato espressamente contestato dal l’odierna parte ricorrente . Questa ha piuttosto lamentato di aver «ampiamente dimostrato, nel corso del giudizio di primo grado, come il promotore finanziario NOME COGNOME abbia sottratto, a sua insaputa e senza la sua autorizzazione, somme di denaro dal conto corrente intestato allo stesso per compiere di sua iniziativa operazioni di investimento nel periodo compreso tra i mesi di marzo e giugno 2000». Secondo l’istante , la Corte di merito avrebbe «posto alla base della sua decisione congetture del tutto avulse e disancorate non solo ai fatti di
causa, ma anche al tempo in cui essi si sono verificate». Così facendo, però chi ricorre trascura di considerare che la prospettazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta mediante le risultanze di causa nulla ha a che vedere con la violazione o falsa applicazione di norme di legge: essa inerisce, infatti, alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass.5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195).
Analogo rilievo deve svolgersi con riguardo alla deduzione intesa a valorizzare la sottoscrizione, da parte di COGNOME, di due dichiarazioni cui il ricorrente annette valore ricognitivo: infatti, è riservata al giudice del merito, e rimane sottratta al sindacato di legittimità, l’indagine sul contenuto e sul significato delle dichiarazioni della parte, al fine di stabilire se esse importino una ricognizione di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c. (Cass. 29 luglio 2019, n. 20422; Cass. 28 aprile 1975, n. 1653).
3. ─ Il ricorso è in conclusione dichiarato inammissibile 4. ─ Le spese processuali seguono la soccombenza.
Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta condanna della parte istante a norma dell’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c.. Le dette disposizioni, cui fa rinvio l’art. 380bis c.p.c., sono difatti immediatamente applicabili giusta il comma 1 dell’art. 35 del d,lgs. n. 149/2022 ai giudizi ─ come quello in esame ─ introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio (Cass. Sez. U. 27 settembre 2023, n. 27433, in motivazione).
Vale, poi, rammentare quanto segue: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) ─ che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del
terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. ─ codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U. 13 ottobre 2023, n. 28540).
In tal senso, la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 8.000,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di € 8.000,00 in favore della parte controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione