Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3760 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3760 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24133/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI BOLZANO n. 56/2020 depositata il 10/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
– Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’Appello di Trento sez. dist. di Bolzano ha riformato la decisione del locale Tribunale che aveva accolto in parte la domanda principale proposta da NOME COGNOME nei confronti della Cassa di Risparmio di Bolzano s.p.a.
In particolare il Tribunale, respinta l’eccezione di prescrizione delle pretese attoree e negata la nullità dell’originario contrattoquadro stipulato dalle parti nel 1992 e aggiornato alla sopravvenuta disciplina di settore nell’agosto del 2006, ha riconosciuto un debito risarcitorio della banca per l’inadempimento di cinque solamente degli undici contratti di acquisto impugnati, aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati ( certificates ): in relazione a tre contratti stipulati prima dell’aggiornamento del contratto quadro ha riscontrato la mancata consegna al cliente del documento informativo sui rischi generali dell’investimento previsto dall’art. 21 TUF e dell’articolo 28 regolamento Consob n. 11522/1998; quanto a due investimenti successivi all’aggiornamento – del valore rispettivamente di 100.010,90 € e 80.900,00 €, entrambi segnalati per iscritto come inadeguati nei rispettivi ordini d’acquisto del 1.2.2007 – ha ritenuto che la banca non avesse dimostrato quali fossero state le indicazioni concretamente fornite al cliente per dissuaderlo dall’investire. Infine ha ritenuto che vi fosse consecuzione causale tra gli inadempimenti ascritti alla banca e le perdite subite dal cliente e condannato quest’ultima al risarcimento del danno liquidato in euro 90.415,07.
– La Corte territoriale decidendo l’appello principale della Banca e quello incidentale del sig. COGNOME ha argomentato, per quanto qui interessa, quanto segue:
ha confermato il rigetto dell’eccezione di prescrizione poiché – premesso che « la censura è indirizzata alla responsabilità addebitata tale per aver negoziato prodotti finanziari senza aver prima consegnato al cliente il documento sui rischi generali di investimento » (il che era avvenuto per tre volte prima del 10.8.2006 ovvero prima dell’aggiornamento del contratto-quadro alla sopravvenuta disciplina di settore) quale incombenza che precede il contratto-quadro e la cui violazione darebbe luogo, ad avviso della banca, a responsabilità precontrattuale soggetta alla prescrizione quinquennale di cui all’art.2947 c.c. e non a quella decennale di cui all’art. 2946 c.c. come previsto dal giudice di prime cure – ha affermato, che « la responsabilità per il danno cagionato da una parte all’altra avendo il suo fondamento nella violazione, non già del generico dovere del neminem ledere , ma di specifici obblighi buona fede, protezione, informazione, precedenti quelli che deriveranno dal contratto, non può che essere qualificata come responsabilità da contatto sociale qualificato soggetta alla prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. ».
ha ritenuto infondata l’eccezione di nullità sopravvenuta del contratto-quadro stipulato nel 1992, oggetto di censura nel primo motivo di appello incidentale e logicamente preliminare all’esame delle altre doglianze, e che, quindi, gli acquisti di prodotti finanziari avvenuti prima dell’aggiornamento del contratto-quadro, in quanto legittimamente sorretti dall’accordo del 1992, non erano diventati inefficaci;
in accoglimento del terzo motivo d’appello incidentale (relativo all’inadeguatezza degli investimenti contestati al profilo di propensione al rischio dell’investitore, profilo di invalidità che avrebbe riguardato tutti i contratti di acquisto dei prodotti finanziari c.d. derivati, in un quadro generale in cui la banca era venuta meno agli obblighi informativi funzionali all’obbligo di tutelare gli interessi dell’investitore) e disattendo il connesso secondo motivo
di appello principale (con cui la banca si doleva della ritenuta carenza di prova circa la sufficienza della segnalazione al cliente dell’inadeguatezza degli investimenti) ha dichiarato l’inadempimento contrattuale della banca in relazione a tutti gli investimenti oggetto del giudizio, per avere quest’ultima venduto titoli eccedenti il profilo di rischio del cliente senza segnalare l’inadeguatezza delle operazioni, o, in due casi (come già ritenuto dal Tribunale), pur avendone segnalata l’inadeguatezza, avendolo fatto in modo insufficiente, così consentendo, nell’arco di meno di due anni, al sig. COGNOME di investire circa il 25% del proprio portafoglio in strumenti derivati complessi ed estremamente rischiosi;
ha respinto la censura della banca relativa alla ritenuta sussistenza della consecuzione causale tra l’inadempimento degli obblighi informativi ascrittole e la determinazione del cliente ad acquistare i titoli inadeguati, poiché il giudizio controfattuale (circa il comportamento che il cliente avrebbe comunque tenuto quand’anche informato) postulava che le operazioni a rischio avessero già manifestato dei sintomi negativi quando il cliente ex ante disinformato – le ha effettuate, il che non era stato dimostrato; onde non era stata superata la presunzione di riconducibilità dell’operazione finanziaria inadeguata all’inadempimento informativo della banca;
ha giudicato grave detto inadempimento, in particolare con riguardo all’omessa preventiva informazione sulla competenza che richiedeva la gestione di un investimento in derivati e alla significativa perdita di quasi metà del capitale subita dall’investitore; pertanto, considerato che la banca non aveva «intermediato», ma direttamente effettuato la vendita dei titoli, accogliendo la relativa domanda, ha dichiarato la risoluzione di tutti i contratti di investimento contestati dall’investitore e – in punto obblighi reciproci di restituzione – ha osservato che l’indisponibilità
dei titoli da parte dell’investitore che li aveva nel frattempo ceduti all’emittente, non impediva gli effetti restitutori conseguenti alla risoluzione dei contratti; onde spettava: all’investitore la restituzione delle somme capitali investite (maggiorate degli interessi legali dalla data della domanda), credito da estinguersi parzialmente per compensazione con quello opposto della banca avente ad oggetto le somme ricavate dalla cessione di titoli all’emittente (maggiorato dagli interessi legali dalla data della domanda); ha, quindi, condannato la banca al pagamento nei confronti di NOME COGNOME della somma di euro 239.224,00, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al saldo;
ha, infine, respinto il mezzo di impugnazione con cui la banca si lamentava del fatto che nella liquidazione del credito risarcitorio il primo giudice non avesse tenuto conto del criterio della imprevedibilità del danno di cui all’art. 1225 c.c., ritenendolo assorbito dalla constatazione che, all’esito del giudizio, all’investitore veniva dalla Corte di merito riconosciuto un credito restitutorio e non risarcitorio
– Avverso la sentenza Cassa di Risparmio di Bolzano s.p.a ha presentato ricorso affidandolo a sette motivi. Ha resistito NOME COGNOME Quest’ultimo ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. dell’art. 2947 c.c. per avere la Corte d’appello applicato il termine di prescrizione decennale all’azione di responsabilità precontrattuale, di natura aquiliana e quindi soggetta al termine di prescrizione quinquennale, intendendo che così dovesse essere qualificata la responsabilità in tesi attorea – ascrivibile alla banca nel caso concreto. In particolare la ricorrente richiama la propria eccezione di prescrizione – sollevata avanti al giudice prime cure e ribadita in sede d’appello – con riferimento ai contratti di acquisto contestati
dall’investitore tutti risalenti al 2006 – 2007 per violazione degli obblighi informativi attivi e passivi e in particolare di quello di consegna del documento sui rischi generali d’investimento (vedi ricorso pag. 10).
1.1. – Il motivo è inammissibile.
Nella sentenza la Corte d’Appello affronta il tema della prescrizione premettendo che « la censura è indirizzata alla responsabilità addebitabile alla banca per aver negoziato prodotti finanziari senza aver prima consegnato al cliente il documento sui rischi generali di investimento », il che era avvenuto « per tre volte prima del 10.8.2006 allorché la banca ha consegnato detto documento nel contesto dell’aggiornamento della disciplina del settore del contratto-quadro originariamente sottoscritto nel 1992 »; ciò detto, la Corte di merito respinge l’argomento della banca secondo cui – precedendo detto obbligo di consegna la stipulazione del contrattoquadro – la sua violazione darebbe luogo a una responsabilità precontrattuale, poiché, invece, essa andava qualificata come contrattuale, ovvero «da contatto sociale qualificato », soggetta al termine di prescrizione decennale.
1.2. – Perciò il motivo di ricorso – anche a prescindere dal fatto che è carente rispetto al principio di autosufficienza di cui all’art. 366 comma 1 n. 4 e 6 c.p.c. poiché contiene una critica alla decisione gravata senza illustrare in che modo e quindi con riguardo a quali contratti di acquisto avesse precisamente eccepito in primo grado la prescrizione rispetto al diritto oggetto della domanda nonché, poi, impugnato il rigetto della stessa da parte del giudice di prime cure – censura la statuizione della Corte in modo non pertinente, poiché detta statuizione non riguarda « gli acquisti contestati, tutti risalenti al 2006/2007 » come afferma la ricorrente (v. pag. 10 del ricorso), bensì agli acquisti precedenti all’aggiornamento del contratto -quadro in quanto non preceduti dalla consegna del documento generale sui rischi sulla base di una
ratio decidendi che non si incentra sulla natura della responsabilità precontrattuale, ma si rifà al paradigma concettuale della responsabilità da « contatto sociale qualificato » soggetta al termine di prescrizione decennale, ravvisando nella fattispecie non la violazione di un dovere di generico di neminem laedere, bensì di obblighi specifici, « di buona fede, protezione e informazione », ratio che la ricorrente non affronta e quindi non spiega perché a suo avviso sarebbe errata. Peraltro la Corte d’Appello (esaminando il primo motivo di appello incidentale) ha giudicato infondata la ragione di impugnazione dei contratti in parola che si basava sull’inosservanza dell’obbligo di consegna del documento generale sui rischi « essendo un adempimento che precede unicamente le conclusioni del contratto quadro e per definizione non serve a fornire informazioni e chiarimenti sullo specifico investimento che in concreto si sta per compiere » ed essendo gli specifici investimenti giustificati dall’accordo quadro del 1992: argomento cui rimanda anche nel respingere l’eccezione di prescrizione (che esordisce affermando « Oltre a quanto si dirà successivamente al punto 3 »); perciò la doglianza della banca riferita alla pronuncia negativa sulla prescrizione dell’azione di responsabilità in quanto da ritenersi « precontrattuale », perde qualsiasi interesse a fronte del rigetto nel merito (definitivo, invero non impugnato per cassazione) della domanda di nullità/responsabilità dedotta con riguardo a detta specifica omissione informativa.
2. – Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e 2909 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 4 c.p.c. (nullità della sentenza o del procedimento) laddove la sentenza della Corte d’appello « ha statuito che la Cassa avrebbe violato il divieto di compiere operazioni inadeguate previsto dall’art. 29 del Regolamento Intermediari e ciò con riferimento a tutti gli acquisti di certificati azionari realizzati tra il 2006 e il 2007, in quanto si tratterebbe gli strumenti finanziari derivati, quindi
particolarmente complessi e rischiosi e pertanto inadeguati ad un soggetto con profilo di rischio medio come il Mais anche in considerazione del fatto che tali strumenti occuperebbero il 25% del portafoglio dell’investitore » (pag.12 del ricorso); così facendo la Corte si sarebbe « pronunciata su una questione già definita in via definitiva dalla sentenza di primo grado » in quanto si esprimerebbe sulla natura giuridica dei certificates (inquadrandoli come strumenti derivati a carattere speculativo) nonostante sul punto si fosse già formato un contrario giudicato interno giacchè, tra le contestazioni mosse in primo grado nei confronti della banca vi era quella di aver violato l’art. 28 comma 3 del Regolamento Consob vigente, e il Tribunale di Bolzano si era pronunciato statuendo che non poteva ritenersi « in ordine alla lamentata mancanza di informazioni sull’andamento dei titoli oggetto di causa, che, al riguardo, la convenuta abbia violato qualche obbligo imposto dalla legge, non potendosi ritenere che si tratti – nei titoli di cui è causa – di titoli derivati ai sensi del comma 3 dell’art. 28 Regolamento Consob tenuto conto che non viene neanche sostenuto da parte attrice, con riguardo ai singoli specifici certificati, che vi sia stata una perdita superiore al 50% »; dunque -secondo la ricorrente – il Tribunale aveva affermato che non si trattava di derivati acquistati per finalità speculativa e tale statuizione non sarebbe stata impugnata nell’appello incidentale.
2.1. – Il motivo è inammissibile.
Invero il passaggio motivazionale che la ricorrente riporta per dedurre il contrasto denunciato, costituisce solo una parte argomentativa dell’ampio esame congiunto che la sentenza dedica al secondo motivo di appello principale e al terzo motivo di appello incidentale in quanto connessi, nessuno dei quali riguarda la violazione dell’art. 28 reg. Consob, bensì l’art. 29 del medesimo, riferendosi: l’uno, alla ritenuta (dal primo giudice) carenza di prova circa la « sufficienza » della segnalazione da parte della banca al
cliente dell’« inadeguatezza » degli investimenti relativi ai due contratti per i quali (soltanto) era stata accolta la domanda; l’altro, viceversa, all’« inadeguatezza » degli investimenti in certificates rispetto al profilo di propensione al rischio dell’investitore, che avrebbe riguardato tutti i contratti di acquisto dei prodotti finanziari derivati, in un quadro generale in cui la banca era venuta meno agli obblighi informativi funzionali all’obbligo di tutelare gli interessi dell’investitore: sia per il fatto che erano titoli ad alto rischio (a fronte di una propensione al rischio pacificamente medio), sia per il fatto che, con l’acquisto degli undici derivati, si era sbilanciata dal 4% al 25% la percentuale del portafoglio investita in questo tipo di prodotti finanziari.
Premette la Corte di merito: « L’investitore si duole perché il primo giudice ha riconosciuto l’inadeguatezza solo di due e non di tutti gli undici investimenti da lui effettuati. La banca, di contro, censura la ritenuta carenza di prova circa la sufficiente segnalazione al cliente dell’inadeguatezza degli investimenti rispettivamente per euro 100.000,00 e 98.900,00 da lui effettuati il 1.2.2007 ».
Ed ancora: « L’investitore addebita la banca di aver trasgredito il dovere di curare i suoi interessi specificamente le rimprovera di avergli proposto nel periodo da maggio 2006 a ottobre 2007 di acquistare dei derivati vale a dire titoli ad elevato rischio, sbilanciando dal 4% al 25% la percentuale del suo portafoglio investita in questo tipo di prodotti finanziari ».
Effettuata detta premessa, la Corte esamina, detti prodotti finanziari, e ne valuta la struttura per qualificarne il livello di rischio onde vagliare la idoneità delle informazioni offerte dell’intermediario circa l’adeguatezza degli strumenti in sé al profilo di propensione al rischio dell’investitore (pacificamente medio) e, quindi, la sussistenza delle condizioni previste dalla legge e segnatamente dall’art. 29 Reg. Consob (rubricato « Operazioni non
adeguate »), affinché i relativi acquisti si potessero considerare oggetto di una scelta consapevole; il che costituiva -per quanto affermato dalla Corte ma anche da quanto affermato in ricorso nella parte espositiva (v. pag. 8: « ..il sig. COGNOME proponeva appello incidentale con tre limitati motivi, riguardanti: l’asserita inadeguatezza di tutti gli investimenti oggetto di causa al profilo della controparte » ) – specifica ragione di impugnazione da parte del sig. COGNOME della sentenza di primo grado, sul punto, invero, riformata.
Donde l’inconferenza delle ragioni di cassazione in esame in quanto riferite ad un giudicato interno sulla qualifica dei titoli negoziati agli effetti della violazione dell’art. 28 Reg. Consob – a proposito dell’obbligo degli intermediari di informare « prontamente l’investitore appena le operazioni in strumenti derivati e in warrant da lui disposte per finalità diverse da quelle di copertura abbiano generato una perdita effettiva o potenziale pari o superiore al 50% del valore dei mezzi costituiti a titolo di provvista e garanzia per l’esecuzione delle operazioni » -cui il sig. COGNOME aveva fatto riferimento in primo grado e che il Tribunale ha ritenuto infondata statuendo, come dice il ricorrente: « Né può ritenersi che in ordine alla lamentata mancanza di informazioni sull’andamento dei titoli oggetto di causa, che, a riguardo, la convenuta abbia violato qualche obbligo imposto dalla legge, non potendosi ritenere che si tratti – nei titoli di cui è causa – di titoli derivati ai sensi del comma 3 dell’art. 28 Regolamento Consob tenuto conto che non viene neanche sostenuto da parte attrice, con riguardo ai singoli specifici certificati, che vi sia stata una perdita superiore al 50% di cui all’art. 28 co.3 Reg. Consob ».
2.2. – Peraltro, fermo detto assorbente rilievo, può aggiungersi che il ricorrente invoca una preclusione da giudicato formatosi sulla « questione » che « non si trattava di derivati acquistati per finalità speculativa».
Ora, il Collegio non dubita che il giudicato possa formarsi su « questione »: basterà rammentare, trattandosi di aspetto qui non dirimente, la giurisprudenza delle Sezioni Unite sul formarsi del giudicato implicito sulla giurisdizione, prima che detto orientamento venisse recepito dall’art. 37 c.p.c. attualmente vigente, ovvero all’indirizzo secondo cui le eccezioni pur rilevabili d’ufficio, una volta che siano state respinte in primo grado con pronuncia espressa o implicita, richiedono la proposizione dell’appello incidentale al fine di evitare la formazione del giudicato interno (Cass. 28 marzo 2022, n. 9844; Cass. 13 settembre 2024, n. 24677): soluzioni che non sarebbero concepibili se si negasse che il giudicato può formarsi su « questione ». Nondimeno, è altrettanto vero che « il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati » (si vedano in tal senso Cass. n. 12202/2017; Cass. n. 8604/2017; Cass. n. 1377/2016; Cass. n. 16853/2018; Cass. n. 7454/2020; Cass. n. 30728/2022; Cass. n. 32683/2022). Di guisa che, anche sotto tale profilo, non può essere condiviso l’assunto di parte ricorrente secondo cui sulla detta « questione » si sarebbe formato il giudicato.
– Con il terzo motivo la ricorrente denuncia erronea applicazione dell’art. 29 del Reg. Consob n. 11522/98 e dell’art. 21 del d.lgs. n. 58/98 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per aver la Corte d’Appello dedotto l’inadeguatezza degli investimenti realizzati tra il 2006 e il 2007 da una qualificazione astratta dello strumento finanziario come « derivato » ed dal convincimento che tutti gli strumenti sussumibili entro la fattispecie astratta così individuata siano complessi e molto pericolosi; afferma la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe ritenuto inadeguati gli investimenti predetti « senza prendere nemmeno in esame gli aspetti strutturali e funzionali propri dei certificates oggetto degli acquisti per cui è
causa », benché la banca avesse più volte rilevato e documentato, durante il giudizio, che tali aspetti li differenziavano in modo radicale da altri strumenti finanziari derivati, dal momento che i c.d. certificati, a seconda di come vengono costruiti, possono essere indirizzati a finalità speculative e, quindi, particolarmente rischiose, o, al contrario, a finalità di differenziazione del portafoglio, quindi a scopo di tipo conservativo; e ciò sulla base della previsione o meno della c.d. « leva », e del conseguente effetto di moltiplicazione dell’entità dei profitti o delle perdite (come avviene per i classici prodotti tipo speculativo quali warrant, covered warrant o futures ); in questo caso i « certificati di investimento » (funzionalmente analoghi ai c.d. ETF) erano certificati senza effetto « leva », dunque certificati con finalità conservativa, rafforzata dalla previsione del c.d. bonus con barriera; peraltro, essendo correlati ai principali indici mondiali ed emessi da primari player internazionali, ciò garantiva una loro gestione trasparente e un buon grado di diffusione e di liquidabilità, tanto che tutti erano al tempo classificati con il rating A: aspetti che la sentenza non avrebbe preso in esame.
3.1. – Il motivo è evidentemente inammissibile (oltre che infondato alla luce della articolata motivazione resa «in concreto» e non in astratto dalla Corte d’appello; v. sent. punti 5.3, 5.4, 5.5, 5.6.1-3, pagg. 33-47).
Con il mezzo della violazione di legge la ricorrente pretende, in effetti, un sindacato inammissibile in questa sede sulla ricognizione in fatto della fattispecie che spetta solo al giudice di merito, il quale nella specie ha:
analizzato la struttura dei certificates secondo la descrizione offerta dalla stessa banca e ne ha valutata la rischiosità sulla base del fatto che: (i) erano indicizzati ad un valore definito « sottostante » senza garantire alcun rendimento sicuro e neppure il pieno rimborso del capitale investito (anche quelli certificates
bonus con barriera), sicché la decisione di acquisto doveva essere sorretta da dalla « consapevolezza dell’investitore di disporre della competenza necessaria a governare i suoi intrinseci fattori di rischio », stante il fatto che « per effetto della fisiologica fluttuazione del parametro di indicizzazione non è affatto improbabile che la c.d. barriera sia varcata », al che seguirebbe « non solo la vanificazione del bonus ma anche il pregiudizio all’integrità del capitale investito »; (ii) erano soggetti alla modifica delle condizioni dell’emittente con relativa conseguenza in termini di valore di scambio del titolo e quindi loro liquidabilità;
osservato che detta pluralità di variabili rendevano la possibilità di rapido disinvestimento unico mezzo efficace di protezione dal rischio di perdite, possibilità « che però richiede all’investitore il costante monitoraggio dell’investimento… e soprattutto la capacità di saper cogliere dai primari mercati dove i certificati venivano quotati (sempre secondo le indicazioni della banca) i segnali rivelatori tanto dell’eventuale andamento negativo del sottostante quanto del possibile dissesto dell’emittente »;
concluso che « la descritta complessità dei certificates induce a considerare il relativo acquisto come considerevolmente rischioso » per un risparmiatore ordinario;
proceduto (v. punto 5.5) alla valutazione dell’adeguatezza dell’acquisto rispetto alle caratteristiche soggettive del cliente osservando che: (i) il pregresso acquisto di titoli dello stesso tipo eccepito dalla banca non si pone come fatto intrinsecamente informativo della propensione dell’investitore ad un rischio elevato, ciò « almeno sin quando non si acquisisca il dato che, al tempo dell’operazione che viene concretamente a rilevare, le dette operazioni a rischio non avessero già manifestato significativi sintomi di esiti negativi » (Cass. n. 29106 del 2019); (ii) « l’acquisto di ben undici titoli della medesima tipologia, connotati dalla descritte variabili di rendimento, di possibilità di rimborso e di
liquidabilità, non rappresenta una razionale suddivisione delle risorse finanziarie dell’investitore, così da ridurre i rischi connessi all’insolvenza degli emittenti o alle fluttuazioni dei vari parametri di indicizzazione prescelti; sicché l’operazione, anche in ragione del volume delle somme investite – 520.488 € ovvero il 25% del patrimonio mobiliare dell’investitore – nell’arco temporale di solo un anno e mezzo, si risolve, piuttosto, nell’esposizione del cliente alla moltiplicazione dei descritti fattori di rischio e ciò del tutto irrazionalmente, perché non è dimostrato che preventivamente sia stata accertata la sua effettiva capacità di gestire un investimento di queste caratteristiche e proporzioni »; (iii) l’inadeguatezza anche rispetto al profilo di propensione al rischio dell’operazione di investimento – « ammessa dalla banca sia pure limitatamente a due degli acquisti effettuati dal cliente evidenziando i ridotti volumi delle acquisizioni e il loro frazionamento nel tempo » andava riconosciuta con riguardo anche agli altri acquisti, per i quali la banca l’aveva esclusa « senza porre tuttavia i parametri valutativi della dimensione e della frequenza dei singoli investimenti in relazione alle caratteristiche del prodotto finanziario venduto, e senza spiegare perché gli elevati fattori di rischio intrinseci ai «certificates» dovrebbero cessare di essere tali quando i titoli vengano acquistati in minor quantità e a maggior distanza di tempo l’uno dall’altro » , essendo evidente che la minor quantità di risorse impiegate per acquistare il titolo implica soltanto che, in caso di andamento negativo, la perdita sarà di entità più contenuta e che il frazionamento nel tempo degli acquisti, in caso di esito negativo, avrà come conseguenza solo il dilazionamento delle perdite, ma in nessuno dei due casi il contenimento della loro oggettiva rischiosità.
3.2. – Ciò detto appare evidente che le critiche di legittimità mosse dalla ricorrente alla decisione sul punto versano tutte « in fatto » non « in diritto ».
3.2.1. – Come è noto, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( ex aliis : Cass. n. 16698/2010; Cass. n. 7394/2010).
3.2.2. -Nella specie la ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione di una carente ricostruzione della fattispecie concreta che la Corte d’Appello avrebbe fatto solo in astratto; perciò, in realtà, non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un vizio – motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., che nella versione ratione temporis applicabile -lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al «minimo costituzionale» il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014); vizi questi non dedotti e non ricorrenti nel caso in esame, ove la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.
– Il quarto motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 29 comma 3 Reg. Consob n. 11522/98 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per aver la Corte d’appello ritenuto che l’informazione fornita per iscritto dalla banca con riguardo ai due acquisti del 1.2.2007 non fosse sufficiente a proposito dei profili di inadeguatezza determinati dalla tipologia, complessità e rischiosità del tipo di investimento in oggetto nonché dalla dimensione e della tempistica dei due investimenti. Reputa la ricorrente che la norma del regolamento intermediari di cui invoca la violazione prescriva solo che vada segnalata in forma scritta l’inadeguatezza di un’operazione, mentre le ragioni di tale inadeguatezza non debbono essere rese per iscritto, sicché l’indicazione nei due ordini in argomento della inadeguatezza dell’operazione mediante la dicitura «oscillazione del sottostante» costituirebbero un comportamento ancora più diligente di quanto la stessa disposizione normativa richiedeva; né il dovere di informazione -ad avviso della ricorrente – deve ritenersi esteso a profili che – in relazione alle caratteristiche concrete dell’investitore o a quelle dello strumento finanziario – siano di immediata comprensione, come lo sarebbe stato nella specie il rischio connesso ad un investimento, nello stesso giorno, di euro 198.910,00 (di gran lunga superiore agli altri investimenti in certificati oggetto di causa) in titoli che, benché comportanti per tipologia un rischio di grado medio, laddove di importo così consistente, era evidentemente e intuitivamente inadeguato, per dimensione caratteristiche e modalità temporale a fronte di un esponenziale aumento del rischio di perdite in caso di oscillazione del sottostante.
– Il quinto motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c. in relazione all’art 360 comma 1 n. 3 e n. 4 per aver la Corte d’appello rigettato l’istanza di prova testimoniale del capitolo di prova n. 42 – relativo al presunto inadempimento degli obblighi di informazione circa le ragioni di inadeguatezza dei due
investimenti predetti – per genericità e, prima ancora, perché non era soddisfatto il preliminare onere di allegazione delle circostanze oggetto della prova stessa; la ricorrente censura la decisione perché in contrasto coi principi giurisprudenziali in punto genericità della prova orale dedotta, e perché le circostanze oggetto della prova sarebbero state allegate già nella comparsa di risposta in primo grado, ove la banca aveva rilevato che il funzionario – a fronte di due ordini di acquisto lo stesso giorno di quell’importo aveva richiamato il sig. COGNOME « alla prudenza », così allegando i due aspetti fattuali rilevanti ai fini della «inadeguatezza», quali la tempistica è l’importo dell’investimento .
– Il sesto motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 101 comma 2 ai sensi dell’art.360 comma 1 n. 3 e 4 c.p.c. per aver la sentenza statuito « a sorpresa » sul presunto difetto di allegazione delle circostanze di cui al capitolo di prova n. 42 questione rilevabile d’ufficio -senza prima instaurare il contraddittorio tra le parti che avevano discusso solo della genericità della formulazione letterale del capitolo, ed invoca la giurisprudenza per cui il giudice deve sottoporre a contraddittorio tra le parti « tutte quelle circostanze che modificando il quadro fattuale comportino nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti ».
6.1 – Il quarto, quinto e sesto motivo possono essere esaminati insieme in quanto connessi, riguardando tutti la statuizione della Corte d’appello in punto inidoneità dell’informativa fornita a proposito dei due investimenti per i quali risultava segnalata l’inadeguatezza.
6.1.1. – Si osserva che, con riguardo ai due acquisti effettuati il 1.2.2007, la Corte d’appello osserva che la banca aveva dedotto di aver documentato e offerto di provare oralmente di avere esaurientemente informato l’investitore della loro inadeguatezza al fine di farlo desistere dall’iniziativa, laddove l’investitore
rimproverava alla banca di non averlo adeguatamente ammonito circa l’elevato grado di rischio dei titoli venduti, limitandosi ad una annotazione scritta sugli ordini di acquisto circa l’oscillazione del parametro di indicizzazione, e offrendo, poi, sul contenuto delle ulteriori informazioni asseritamente fornite, soltanto inammissibili prove generiche; richiama, poi, il passaggio argomentativo del giudice di primo grado oggetto di gravame « principale », in cui si sottolinea che l’annotazione « oscillazione dei valori base », non era da sola sufficiente per comprendere la reale inadeguatezza delle operazioni stesse perché non faceva altro che indicare una caratteristica basilare dei titoli di cui è causa, onde mancava un’indicazione specifica « che attiri l’attenzione del cliente sulla ritenuta inadeguatezza collegata all’ammontare degli ordini e alla contestualità degli stessi correlata alle specifiche caratteristiche dei titoli oggetto delle segnalazioni ».
Ciò premesso la Corte d’appello sottolinea, quanto alle regole sulla prova dell’adempimento dell’obbligo informativo in tema di operazioni inadeguate, il principio consolidato per cui la sottoscrizione della clausola in calce al modulo d’ordine della segnalazione di inadeguatezza dell’operazione, fa presumere assolto l’obbligo di cui all’art. 29 comma 3 Reg. Consob n. 11592/98, ma, a fronte di contestazioni specifiche dell’investitore relative a carenze informative, incombe sull’intermediario l’onere di provare di avere informato diligentemente l’investitore, ciò « coerentemente con la natura funzionale degli obblighi di forma nei contratti caratterizzati dalla simmetria formativa tra le parti contraenti per cui la forma scritta e garanzia dell’osservanza dell’obbligo di trasparenza del contenuto del contratto ma ove si estenda al riscontro dell’assolvimento di obblighi contrattuali posti a carico di una parte a contenuto complesso e aventi, come rilevato, un’articolazione procedimentale predeterminata, non può
esaurire l’onere della prova, peraltro rafforzato dall’art. 23 d. lgs. n.58/98, gravante l’obbligato ». Ciò premesso osserva che:
(i) la mera annotazione relativa alle «oscillazioni dei valori base» non provava il rispetto dell’intera sequenza procedimentale degli obblighi contrattuali dell’intermediario « men che meno indica le informazioni in concreto fornite al cliente »;
(ii) la carenza maggiore riguardava soprattutto la segnalazione delle competenze richieste all’investitore per poter simultaneamente ed efficacemente controllare tutti i fattori di rischio generati dalla gestione del complesso dei titoli da lui sino ad allora acquistati, e, in particolare, la capacità di monitorare costantemente le relative quotazioni, tenuto conto, oltretutto, che al 1.2.2007 gli investimenti di questo tipo erano quattro con quattro parametri diversi di riferimento;
(iii) non era stata documentata alcuna segnalazione in ordine al volume dei due investimenti « e questo benché la stessa banca nel presente giudizio ne riconosca l’inadeguatezza per dimensioni »; che lo stesso valeva per la loro frequenza, rispetto alla quale mancava qualsiasi avvertenza;
(iv) quindi, « alla luce del numero e dell’estensione degli adempimenti informativi non documentati, è esatto il giudizio di generici espresso dal primo giudice sui capitoli di prova orale offerti », mentre le deduzioni in contrario della banca non chiarivano se una «negoziazione» dei titoli fosse mai avvenuta o se la conclusione dei contratti fosse stata risolta nella semplice sottoscrizione dei moduli d’ordine con l’apposizione della citata clausola, avendo dedotto solo « che i contenuti contrattuali erano ‘autoevidenti’ e che l’allegata documentazione forniva intuitivamente ogni informazione necessaria per le consapevoli determinazioni negoziali » id est gli stessi argomenti di gravame qui riproposti), e che, quindi, « gli elementi di valutazione concretamente forniti non solo non erano dettagliati nei capitoli di
prova offerti, ma nemmeno erano estrapolabili dai suoi atti e dalle sue deduzioni »; il che convinceva dell’inammissibilità – già ritenuta dal primo giudice – della prova orale offerta con il capitolo n. 42, non solo per la genericità della sua formulazione, ma perché non era sorretta dalla preliminare allegazione delle circostanze di fatto, vale a dire delle informazioni concretamente fornite, sulla cui base andrebbe verificato l’adempimento dell’obbligo di protezione del cliente.
6.1.2. – Ciò premesso sulla motivazione in punto della sentenza gravata, si deve concludere che i tre motivi di cassazione sono inammissibili in quanto versati « in fatto » a proposito della articolata e completa valutazione di merito (peraltro conforme al giudice di primo grado) compiuta a proposito dell’idoneità dell’informazione resa all’investitore a proposito dell’inadeguatezza degli acquisti (quarto mezzo), ovvero della « genericità » della prova orale dedotta per provare il contrario (quinto mezzo), laddove l’ error in procedendo dedotto con riguardo alla violazione dell’art. 101 c.p.c. (sesto mezzo) per aver la Corte di merito rilevato «a sorpresa» che il capitolo di prova n. 42 non era ammissibile « non solo per genericità della sua formulazione » ma perché non era sorretto dalla preliminare allegazione delle circostanze di fatto (vale a dire delle informazioni concretamente fornite sulla cui base andrebbe verificato l’adempimento dell’obbligo di protezione del cliente) riguarda, in effetti, come risulta evidente dalla motivazione in proposito resa dalla Corte distrettuale, un’« ulteriore » argomento atto a rafforzare la valutazione già abbondantemente esplicitata circa la « genericità » della prova orale dedotta.
Quindi se a proposito dell’idoneità dell’informazione e della genericità della prova contraria offerta in proposito si deve rilevare che si tratta di aspetti valutativi incensurabili in sede di legittimità, se non attraverso il vizio di motivazione nei limiti però in cui può rilevare l’anomalia motivazionale in quanto non conforme al
« minimo costituzionale » (v. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014), quanto alla pretesa violazione del contraddittorio, va rilevata l’assenza di interesse della ricorrente a provare un vizio che attiene ad un argomento non dirimente, bastando evidentemente a sorreggere la ratio decidendi circa l’inammissibilità della prova orale in questione, la decisione ampiamente motivata in punto «genericità» della formulazione del capitolo in sé.
6.2.2 – Peraltro deve, altresì, rilevarsi che a fronte della motivazione di primo grado – riportata dalla Corte d’appello onde conformarvisi – che esplicita la mancanza di « un’indicazione specifica che attiri l’attenzione del cliente sulla ritenuta inadeguatezza collegata all’ammontare degli ordini e alla contestualità degli stessi correlata alle specifiche caratteristiche dei titoli oggetto delle segnalazioni », il motivo di gravame proposto in appello ben avrebbe potuto e, quindi, dovuto contestare detta mancanza di «indicazione specifica» di indici di inadeguatezza « collegata all’ammontare degli ordini e alla contestualità degli stessi » , che, invece, non risulta fosse stata sottoposta alla Corte di secondo grado, con la conseguenza che la ricorrente non può sottoporre ora alla Corte di legittimità la «presenza», invece, di indicazione di quegli indici, finendo detta doglianza per sottoporre in modo inammissibile in sede di legittimità una questione «di fatto» (ovvero la asserita presenza della allegazione sul punto) laddove, oltretutto, detta assenza risultava già accertata nel giudizio di primo grado senza che sul punto la sentenza fosse stata impugnata.
7. -Il settimo motivo denuncia « violazione o falsa applicazione dell’art. 1453 c.c. ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per aver la Corte d’appello statuito la risoluzione dei singoli contratti di investimento in base alla affermata violazione di obblighi precontrattuali» quali sarebbero quelli di informazione gravanti sull’intermediario, non potendo essere pronunciata la risoluzione
del contratto per violazione di obblighi che ne precedono la conclusione.
7.1 – Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis comma 1 c.p.c. Invero gli obblighi che la Corte d’appello ha ritenuto inadempiuti, sono di natura contrattuale e non precontrattuale, in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia di intermediazione finanziaria.
7.1.1 – Come ricordato da Cass. n. 32226/2024 non è il contratto quadro a determinare il singolo investimento o disinvestimento: è con il singolo « ordine » che l’investitore decide quale atto porre concretamente in essere avvalendosi dell’operato dell’intermediario (ad esempio, concludendo direttamente con detto soggetto contratti relativi a titoli che quegli già detenga nel proprio portafoglio, o conferendo al medesimo uno specifico mandato avente ad oggetto l’acquisto o la vendita di alcuni prodotti finanziari, o, ancora, incaricandolo di una mera attività di trasmissione del proprio ordine all’intermediario negoziatore). Pertanto le operazioni di investimento sono atti di natura negoziale autonomi rispetto al contratto quadro.
7.1.2 – Nelle operazioni di investimento vengono in discussione, per l’intermediario, obblighi particolari, che vanno tenuti distinti da quello consistente nel mero porre in essere l’atto dispositivo indicato dall’interessato. Come è noto, l’art. 21 T.U.F. (d.lgs. n. 58 del 1998) e la normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 11522/1998 come quella precedente – pongono obblighi di comportamento che risultano finalizzati al rispetto della clausola generale che attribuisce all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nella cura dell’interesse del cliente. Taluni di questi obblighi si collocano nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro di intermediazione finanziaria; altri, invece, hanno ragione di configurarsi dopo la conclusione del contratto quadro (v. analiticamente sul punto Cass. 32226/2024 in
motivazione paragrafi da 1.2.1 a 1.2.6). Dalla disciplina, legislativa e regolamentare si ricava che l’intermediario non può limitarsi a rendere possibile il trasferimento del titolo (cedendolo in contropartita diretta, o acquistandolo sul mercato e rivendendolo poi all’investitore in attuazione di un mandato per conto altrui, o infine trasmettendo l’ordine di acquisto a chi lo offra sul mercato), ma che lo stesso è tenuto ad una precisa attività, funzionale al corretto apprezzamento, da parte dell’investitore, della natura, delle implicazioni e dei rischi delle singole operazioni; ciò che fa dell’intermediario un vero e proprio ausiliario del proprio cliente nella scelta delle medesime.
7.1.3 – In tale prospettiva, segnata dall’esistenza, in capo all’intermediario, dell’obbligo di dare, non già esecuzione agli « ordini » di investimento ricevuti, quanto, piuttosto, di dare esecuzione ad «ordini» di investimento sui quali il proprio cliente sia stato convenientemente edotto e che riguardino operazioni pienamente conformi all’esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, alla situazione finanziaria, agli obiettivi di investimento e alla propensione al rischio del cliente, trova, peraltro, giustificazione il rimedio risolutorio: in assenza di un consenso informato dell’interessato, il sinallagma del singolo negozio non trova difatti piena attuazione, con conseguente risoluzione per inadempimento del medesimo (cfr. sul punto, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 16861 e 20617 del 2017; Cass. n. 3261 del 2018; Cass. n. 8997 del 2021).
8.1.4. – È escluso, perciò, che – guardando al singolo « ordine » di investimento – la responsabilità dell’intermediario possa essere relegata nell’area della responsabilità precontrattuale: una tale conclusione potrebbe sostenersi ove si reputasse che gli obblighi di informazione attiva (che attengono al singolo strumento finanziario) si delineino solo nella fase che precede la conclusione del contratto diretto alla negoziazione del titolo (l’«ordine» di
investimento). Invece – come detto – la disciplina legislativa e regolamentare dà ragione di come l’obbligo, da parte dell’intermediario, di rappresentare all’investitore le connotazioni specifiche dell’operazione finanziaria si collochi anche nello stadio successivo, allorquando, cioè, l’« ordine » è stato impartito e si tratti di darvi esecuzione, tanto è vero che il Reg. Consob n. 11522/1998 all’art. 28, comma 2, stabilisce che gli intermediari autorizzati non possono « effettuare » operazioni « se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento », chiarendo, dunque, che, ricevuto l’ordine, l’intermediario non possa limitarsi ad eseguirlo ove il cliente non sia stato in precedenza puntualmente istruito sui termini dell’operazione da compiersi, per modo che, una volta edotto, lo stesso possa, se del caso, manifestare all’intermediario le ulteriori sue determinazioni, prima che l’operazione abbia corso.
7.1.4 – Fermo quanto precede, poiché nell’odierna fattispecie si tratta della violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario circa l’inadeguatezza dell’investimento rispetto al profilo di rischio dell’investitore, e cioè, in ultima analisi, l’inadempimento dell’intermediario posto in essere al momento del conferimento dell’ordine di acquisto, correttamente la Corte d’Appello l’ha ritenuta fonte di una responsabilità « contrattuale », potendo la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario dar luogo a responsabilità « precontrattuale », con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. « contratto-quadro »); dà luogo, invece, a responsabilità
«contrattuale», ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del « contratto-quadro » (Cass., SU, n. 26724/2007 e successivamente, tra le altre, da Cass. n. 25222/2010; Cass. n. 8462/2014; Cass. n. 525/2020; Cass. nn. 15099 e 15099 del 2021; Cass. n. 10646/2023; Cass. n. 32226/2024) e « l’inadempimento degli obblighi gravanti sull’intermediario per la sua importanza, si riveli idoneo a determinare un’alterazione dell’equilibrio contrattuale » (Cass. n. 24648/2023, conforme a Cass. n. 16820/2016, che a sua volta si richiama in modo espresso al precedente di Cass. n. 23717/2014). Invero, è bene pure puntualizzare, con riferimento allo svolgimento effettivo dei servizi di investimento, ciò che l’investitore, quale attore « in risoluzione », imputa all’intermediario non è il cattivo esito di un dato investimento, bensì l’inadempimento degli obblighi, cui quello è tenuto per legge e per Regolamento Consob, con riferimento a quel dato investimento.
Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di parte controricorrente liquidate nell’importo di euro 8.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione