Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20893 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20893 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
COGNOME
-intimato –
Avverso la sentenza n. 23/2024 della CORTE D’APPELLO D I TORINO, depositata il giorno 15 gennaio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RESPONSABILITA’ CIVILE DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO PER L’ATTIVITA’ DEL PROMOTORE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3079/2024 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
nonché contro
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne innanzi il Tribunale di Alessandria NOME COGNOME e il Banco Popolare soc. coop. (cui lite pendente sono succeduti dapprima la Banca Popolare di Novara e, di seguito, il Banco BPM S.p.A.) chiedendone la condanna solidale al pagamento di somme di denaro a titolo di risarcimento di danni.
A suffragio della domanda, espose di aver affidato ingenti quantitativi di denaro a NOME COGNOME quale direttore della filiale di Novi Ligure dell’istituto bancario, e di aver sottoscritto, su sua indicazione, sei polizze assicurative (denominate « RAGIONE_SOCIALE ») in tempi differenti (precisamente: quattro nell’anno 2001 ; ulteriori due nell’anno 2004), indicanti l’attore quale unico beneficiario, per un importo complessivo di oltre tre milioni di euro; rappresentò che, alla data di scadenza delle prime polizze, si era avveduto della mera apparenza degli strumenti di investimento, in realtà inesistenti, e della appropriazione da parte del Lapia dell’intera liquidità versata.
Nell’attiva resistenza di ambedue i convenuti, l’adito Tribunale, all’esito del giudizio di prime cure, condannò NOME COGNOME al ristoro dei danni patrimoniali patiti dall’attore, quantificati in euro 3.030.000, rigettando invece la domanda spiegata nei confronti della banca.
Pronunciando sui contrapposti appelli sollevati da NOME COGNOME (in via principale) e dal Banco BPM S.p.A. (in via incidentale), la decisione in epigrafe indicata ha, in riforma della prima sentenza, emesso condanna solidale del Banco BPM S.p.A. e di NOME COGNOME al risarcimento del danno (nella misura determinata in prime cure) nonché condannato NOME COGNOME a manlevare il Banco BPM S.p.A. di quanto corrisposto all’originario attore.
Ricorre per cassazione Banco BPM S.p.A., articolando tre motivi. Resiste, con controricorso, NOME COGNOME Non svolge difese in sede di legittimità NOME COGNOME.
r.g. n. 3079/2024 Cons. est. NOME COGNOME
Le parti costituite hanno depositato memoria illustrativa.
Nel corso del presente giudizio, su istanza di Banco BPM S.p.A., la Corte d’appello di Torino, con ordinanza n. 274/2024 del 13 marzo 2024, ha sospeso l’esecuzione della sentenza qui impugnata.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 -bis. 1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo lamenta che « la Corte di Appello di Torino è incorsa nella violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., in conseguenza di un errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova relativa al collegamento delle malversazioni poste in essere dal Lapia a danno del COGNOME con il ruolo di funzionario della banca ».
Parte ricorrente ravvisa la violazione della indicata norma nell’aver il giudice territoriale « tratto dall’estratto di chiusura del conto presso Banco di Lugano una informazione, ovvero l’esistenza, presso la banca, della provvista per la sottoscrizione delle polizze false del 2001, che è impossibile ricondurre a quel mezzo di prova ».
Analogo vizio deduce in relazione alle polizze sottoscritte nell’anno 2004: a tal proposito, ritiene che la Corte di appello abbia « tratto dai libretti al portatore Centrobanca una informazione che è impossibile ricondurre a quel mezzo di prova, ovvero la proprietà degli stessi in capo al Pagetto e quindi l’esistenza, presso la banca, della provvista per la sottoscrizione delle polizze (false) del 2004 ».
Il secondo motivo eccepisce la nullità della sentenza gravata «ex art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. per omessa/apparente motivazione in punto responsabilità della banca ex art. 2049 cod. civ., in quanto relativa ad un elemento di fatto – il coinvolgimento della banca nel trasferimento di risorse finanziarie che avrebbero dovuto
r.g. n. 3079/2024 Cons. est. NOME COGNOME
costituire oggetto di investimento in polizze assicurative -non risultante in giudizio ».
Il primo motivo è inammissibile.
A dispetto del sintagma adoperato nella rubrica (cioè a dire della evocazione di « un errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova », la quale, peraltro, ove corrispondente al vero, integrerebbe un travisamento denunciabile unicamente con il rimedio della revocazione: Cass., Sez. U, 05/03/2024, n. 5792), la articolata doglianza contesta la logica inferibilità dell’informazione probatoria ritenuta dalla Corte territoriale dal fatto probatorio considerato, ovvero dagli strumenti asseverativi all’uopo considerati.
Così correttamente inquadrato, il motivo in vaglio è inammissibile, per varie, concorrenti ed autonome, ragioni.
3.1. In primo luogo, per inosservanza del principio di specificità (altrimenti detto di « autonomia ») del ricorso, sancito dalle prescrizioni dettate dall’art. 366, primo comma, numm. 4 e 6 , cod. proc. civ., declinate, nella loro concreta operatività, alla stregua delle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza.
Siffatti criteri, come disegnati dal giudice sovranazionale, sono realizzati con la trascrizione – essenziale e per le parti d’interesse -degli atti e dei documenti richiamati (dei quali deve invece escludersi la necessità di una integrale riproduzione), in guisa da contemperare il fine legittimo di semplificare (e non già pregiudicare) lo scrutinio del giudice di legittimità e, allo stesso tempo, garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ( ex multis, Cass. 03/03/2023, n. 6524; Cass. 14/03/2022, n. 8117; Cass. 04/02/2022, n. 3612).
Orbene, detti princìpi risultano nella specie violati.
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Invero, d ei documenti richiamati (l’estratto di chiusura del conto corrente presso Banco di Lugano, i titoli al portatore) manca nel ricorso di adizione di questa Corte una riproduzione adeguata del relativo contenuto (ovvero una trascrizione delle parti essenziali e di interesse di esso), tale da consentire al giudice di legittimità una sufficiente cognizione del fatto processuale: tanto preclude l ‘ invocata verifica sulla correttezza del ragionamento probatorio svolto dal giudice di merito.
3.2. Ancora, ed in secondo luogo, per difetto di decisività dei contenuti informativi asseritamente mal valutati.
Nel diffuso percorso motivazionale sviluppato dalla impugnata sentenza, l ‘affermazione di responsabilità degli originari convenuti si fonda sulla ricostruzione della vicenda fattuale operata sulla base di un apprezzamento dell’intero compendio istruttorio acquisito, ovvero delle risultanze, valutate in prospettiva coordinata e convergente, di una pluralità di fonti probatorie (dichiarazioni stragiudiziali a valenza confessoria, risposte rese in sede di interrogatorio formale, deposizioni testimoniali, trascrizioni di conversazioni telefoniche e registrazioni ambientali, documentazione bancaria).
Nel descritto contesto, le emergenze dell’estratto di chiusura del conto svizzero e dei certificati al portatore si rivelano prive di dirimente concludenza, valendo unicamente a corroborare il convincimento del giudicante, il cui fulcro riposa sulle scritture di natura confessoria e sui colloqui captati dalle registrazioni ambientali e telefoniche: elementi istruttori dai quali la Corte d’appello desume la dimostrazione della detenzione della provvista da parte di NOME COGNOME, de ll’impiego di tale disponibilità in polizze assicurative soltanto apparenti, della condotta appropriativa delle somme perpetrata dal Lapia.
A fronte di ciò è dunque inammissibile la doglianza del ricorrente.
Essa investe, in maniera parcellizzata e frammentaria, alcune delle acquisizioni istruttorie, singulatim analizzate, le quali sono state invece
apprezzate dal giudice territoriale nella considerazione globale ed univoca delle reciproche inferenze e, soltanto così coacervate, reputate idonee a dare riscontro circa la sussistenza dei fatti costitutivi della responsabilità dedotta in giudizio.
3.3. Infine – e funditus -perché l’argomentazione del la ricorrente, seppur ammantata dalla veste della inosservanza dei princìpi in tema di prove, si risolve in una critica alla valutazione dei mezzi istruttori compiuta dal giudice di merito e si concreta, in ultima analisi, nel sollecitare questa Corte ad un riesame del materiale istruttorio acquisito, attività notoriamente estranea, per natura e per funzione, al giudizio per cassazione.
In tal guisa ragionando, allora , il motivo finisce con l’attingere valutazioni (in specie, sulla idoneità asseverativa di taluni documenti) tipicamente riservate al giudice di merito, passibili di controllo in sede di legittimità solo nei circoscritti limiti delle anomalie motivazionali previste dall’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. , come puntualmente definite dal consolidato orientamento di nomofilachia, ovvero quando il vizio attenga all’esistenza della motivazione in sé, consistendo nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di « sufficienza » della motivazione (sul punto, basti il rinvio a Cass., Sez. U, 22/09/2014, n. 19881 e a Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Fuori dal perimetro testé richiamato si colloca la denuncia di « omessa/apparente motivazione » formulata con il secondo motivo di ricorso, da considerarsi pertanto parimenti inammissibile .
Ad onta del tenore della intestazione, infatti, con esso non si rivolgono appunti critici alla struttura della motivazione sviluppata nella
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sentenza gravata e tali da configurare (neanche in abstracto ) una delle descritte anomalie motivazionali rilevanti in sede di legittimità, ma si esprimono osservazioni sulla maggiore o minore attendibilità o concludenza dell’uno o dell’altro mezzo istruttorio, prospettando – in modo peraltro alquanto apodittico – una differente graduazione circa l’attitudine dimostrativa degli stessi, finalizzata, in ultima analisi, ad una diversa ricostruzione dell’andamento fattuale della vicenda.
Si chiede così, nuovamente, un sindacato non consentito al giudice di legittimità, per essere in via esclusiva riservate al discrezionale apprezzamento del giudice di merito la individuazione delle fonti del convincimento, il giudizio di attendibilità e concludenza delle prove, la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti.
5 . Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 81 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, numm. 3 e 4, cod. proc. civ. per avere la Corte territoriale « attribuito la legittimazione ad agire di cui all’art. 81 cod. proc. civ. non ai titolari dei certificati dismessi, ma al soggetto che avrebbe dovuto rivestire la qualità di beneficiario in polizze assicurative mai esistite ».
5.1. Il motivo è infondato.
Con chiarezza ed univocità (pag. 20, lett. b, della sentenza), la Corte d’appello ha individuato il pregiudizio patrimoniale patito da NOME COGNOME , conseguente all’illecito commesso da NOME COGNOME e meritevole di ristoro, nella mancata riscossione del controvalore delle polizze (soltanto apparentemente sottoscritte, ma in realtà inesistenti) recanti quale unico beneficiario il COGNOME medesimo.
In tal modo ravvisato il danno da risarcire, corollario logico, coerente e conforme a diritto appare la legittimazione ad agire, propria ed esclusiva, attribuita all’originario attore, dacché unico soggetto leso dalla condotta appropriativa posta in essere da NOME COGNOME e, quindi,
unico titolare del diritto azionato; irrilevante è, per l’effetto, la eventuale remota provenienza (soltanto ipotizzata dal ricorrente, ma non accertata in giudizio) da altre persone di parte delle somme versate all’atto della sottoscrizione delle polizze rivelatesi poi fasulle.
In conclusione, il ricorso è rigettato.
Da ciò consegue la revoca della sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata disposta ai sensi dell’art. 373 cod. proc. civ. dalla Corte di appello di Torino con l’ ordinanza n. 274/2024.
Il regolamento delle spese del giudizio di legittimità segue la soccombenza, con liquidazione secondo tariffa, come in dispositivo.
Non può trovare accoglimento la richiesta avanzata da Banco BPM S.p.A. di liquidazione delle spese del subprocedimento ex art. 373 cod. proc. civ. svolto innanzi la Corte di appello di Torino e definito con ordinanza di accoglimento dell’istanza, proposta dall’attuale ricorrente, di sospensione dell’esecuzione forzata della sentenza qui gravata.
Pacifico e ribadito che, in caso di rigetto del ricorso per cassazione la liquidazione di dette spese compete esclusivamente alla Suprema Corte, devesi però evidenziare come la procedura di sospensione dell’esecuzione disegnata dall’art. 373 cod. proc. civ. abbia natura e funzione cautelare (Cass. 28/11/2024, n. 30615) e sia strutturalmente incidentale rispetto al giudizio di legittimità (Cass. 24/10/2018, n. 26966; Cass. 30/09/2015, n. 19544; Cass. 25/03/2009, n. 7248).
Da ciò discende che la regola della soccombenza va riferita ed applicata avuto riguardo all’esito del giudizio di legittimità e non già di quello del subprocedimento ex art. 373 cod. proc. civ., che del primo costituisce – per dir così – una parentesi, seppur svolta, per ontologica connotazione della Corte di legittimità, presso il giudice emittente la sentenza oggetto di ricorso per cassazione.
Non può essere dunque adottata la richiesta statuizione sulle spese in favore del Banco BPM S.p.A. in forza del seguente principio di diritto:
« La disciplina delle spese del procedimento ex art. 373 cod. proc. civ. è informata al principio della soccombenza riferito all’esito finale del giudizio, sicché non ha diritto alla refusione delle stesse la parte ricorrente la cui istanza di sospensione dell’esecuzione sia stata accolta dal giudice a quo ma il cui ricorso per cassazione sia stato rigettato ».
Atteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
p. q. m.
Rigetta il ricorso .
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 23.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione