Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14763 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14763 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26102/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL –EMAIL;
-ricorrente-
contro
NOME, NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti-
RESPONSABILI TÀ CIVILE IN GENERALE ATTIVITÀ PERICOLOSA
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE NOME;
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n. 1025/2022 depositata il 30/08/2022, notificata in data 31/08/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano dinanzi al Tribunale di Brescia RAGIONE_SOCIALE COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE, per sentirli condannare in solido, ai sensi degli artt. 2049, 2051 o 2050 cod.civ., al risarcimento dei danni cagionati dall’incendio del capannone industriale, di proprietario del primo, adibito dalla seconda a sede della sua attività di RAGIONE_SOCIALE di biancheria e cuscini, quantificati, rispettivamente, in euro 121.050,00 e 35.095,00.
A tal fine allegavano che in data 20 maggio 2009, mentre erano in corso lavori di demolizione/ristrutturazione della copertura del capannone della RAGIONE_SOCIALE, presso la porzione di fabbricato adibito a magazzino dell’RAGIONE_SOCIALE, divampava un incendio, propagatosi anche sul lato nord del medesimo fabbricato ove operava l’RAGIONE_SOCIALE; detto incendio, a loro avviso, era stato cagionato dalle scintille prodotte dal flessibile utilizzato da un artigiano, collaboratore della società RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, a poca distanza dal muro di confine tra i due fabbricati; dette scintille erano filtrate attraverso una feritoia di pochi centimetri presente nel muro divisorio tra il capannone di NOME COGNOME ed il
magazzino della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e da lì erano cadute sulle spugne e i tessuti ivi presenti. Gli attori ritenevano, dunque, NOME COGNOME, responsabile, ai sensi dell’art. 2051 cod.civ., in qualità di proprietario del fabbricato limitrofo da cui era scoccata la scintilla che aveva cagionato l’incendio, e la RAGIONE_SOCIALE, responsabile, ai sensi degli artt. 2050 e/o 2049 cod.civ., per il danno arrecato nello svolgimento di attività pericolosa e/o comunque per fatto commesso dal proprio collaboratore.
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, costituitisi in giudizio, indicavano quale causa dell’incendio la presenza, al momento del sinistro, presso la sede dell’RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE di materiale altamente infiammabile custodito senza le necessarie cautele e le prescritte autorizzazioni, negavano che il giorno del sinistro fossero in corso opere di rimozione e/o rifacimento della copertura del capannone industriale, chiedevano comunque di essere manlevati dalla RAGIONE_SOCIALE SRAGIONE_SOCIALE, la quale, costituitasi in giudizio, eccepiva l’inoperatività della garanzia di cui alla polizza assicurativa a suo tempo stipulata, allegando che l’incendio era scaturito dall’esercizio di attività del tutto estranea all’oggetto sociale della RAGIONE_SOCIALE e, di conseguenza, non oggetto della polizza stessa.
Con sentenza n. 334/2016, il Tribunale di Brescia rigettava la domanda di condanna proposta ai sensi dell’art. 2051 cod.civ. nei confronti di NOME COGNOME, per difetto del necessario rapporto di custodia, accertava, invece, la concorrente responsabilità dell’attrice NOME COGNOME nella causazione dell’incendio oggetto di causa nella misura del 30%, per aver tenuto una condotta imprudente, determinata dall’aver depositato materiale altamente infiammabile in prossimità della feritoia presente nel muro divisorio tra i due magazzini industriali, nonostante fosse a conoscenza che nel capannone limitrofo la RAGIONE_SOCIALE produceva serramenti in alluminio, utilizzando dei flessibili dai quali potevano sprigionarsi
scintille e per non aver conservato i materiali infiammabili in un luogo isolato o in un locale separato munito di porte antifuoco, imputava il restante 70% in capo alla convenuta RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto, in parziale accoglimento della domanda proposta ai sensi degli artt. 2049 e 2050 cod.civ., condannava detta società alla corresponsione di euro 38.500 00, in favore di NOME COGNOME, e di euro 6.274,00 a favore di NOME COGNOME; rigettava la domanda di manleva spiegata dalla convenuta RAGIONE_SOCIALE S.n.c. nei confronti della terza chiamata RAGIONE_SOCIALE
Avverso detta pronuncia interponevano appello tanto la società RAGIONE_SOCIALE (appellante principale) quanto NOME COGNOME e NOME COGNOME (appellanti incidentali).
Con sentenza n. 1025/2022, pubblicata in data 30/08/2022, notificata il 31/08/2022, la Corte d’appello di Brescia ha rigettato l’appello principale, ha accolto parzialmente l’appello incidentale e, per l’effetto, ha condannato la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 42.350,00 in favore di NOME COGNOME e di quella di euro 18.800,00 in favore di NOME COGNOME.
Segnatamente, la Corte d’appello ha ritenuto che l’appellante principale avesse messo in discussione la sussistenza del nesso di causalità tra l’operato di NOME COGNOME, che la mattina dell’incendio stava tagliando una trave all’interno del suo capannone, e l’incendio divampato nel capannone limitrofo, sulla scorta di mere congetture, ha confermato il riparto di responsabilità già accertato dal Tribunale, attesa l’imprudenza di NOME COGNOME nel manovrare un flessibile vicino ad una fessura nel muro del capannone di terzi, ha escluso che la condotta di NOME COGNOME potesse essere considerata la causa autonoma dell’incendio, ha disatteso il motivo di appello con cui veniva lamentata la maggiorazione Iva sull’importo riconosciuto a favore di NOME COGNOME; ha confermato il rigetto della domanda di garanzia nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, perché dal verbale redatto dai
Carabinieri intervenuti sul luogo del sinistro, facente pubblica fede sino a querela di falso, risultava che presso la sede della società RAGIONE_SOCIALE il 20 maggio 2009 erano in corso lavori di ristrutturazione del capannone industriale e che il flessibile, da cui si erano sprigionate le scintille, era stato utilizzato in quel frangente per smontare il tetto.
Ha accolto parzialmente il secondo motivo dell’appello incidentale, riformando la sentenza di primo grado nella parte in cui, liquidando il danno in euro 38.500,00, pur riconoscendone la natura di credito di valore, non aveva attualizzato la somma dovuta ad NOME COGNOME per il periodo intercorrente tra la stima del Ctu e la data della sentenza; ha accolto parzialmente anche il terzo motivo, riformando la sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva riconosciuto il danno per le spese di locazione di altro capannone sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE tra il giugno 2009 e il giugno 2011, ha accolto anche il quarto motivo sulle spese di soccombenza dovute ad NOME COGNOME
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre, formulando cinque motivi, per la cassazione di detta sentenza.
Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME non hanno svolto attività difensiva in questa sede, restando intimati.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., sono denunciate la violazione e falsa applicazione dell’art. 2700, dell’art. 2733 cod. civ. e dell’art. 246 cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente considerato non
operante la copertura di polizza perché era risultato provato, sulla scorta delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME e da NOME COGNOME ai Carabinieri intervenuti sul posto, alle quali è stata attribuita pubblica fede fino a querela di falso, che al momento dell’incendio presso i locali della società RAGIONE_SOCIALE non si stava svolgendo la ordinaria attività lavorativa di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ma erano in corso eccezionali lavori di ristrutturazione del capannone industriale non ricompresi appunto nella copertura assicurativa.
La Corte territoriale sarebbe incorsa, secondo la prospettazione della società RAGIONE_SOCIALE, in duplice errore: a) attribuire valore confessorio al contenuto delle predette dichiarazioni, con ciò ponendosi in contrasto con il costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la quale è univoca nel limitare l’efficacia probatoria dell’atto pubblico (e tale è il verbale di s.i.t.) ai soli fatti che il Pubblico Ufficiale attesti avvenuti in sua presenza e alla provenienza delle dichiarazioni -il cd. contenuto estrinseco -senza implicare l’intrinseca veridicità delle stesse o la rispondenza alla effettiva intenzione delle parti -il cd. contenuto intrinseco -; b) ritenere, sulla scorta di dette dichiarazioni, che NOME COGNOME e NOME COGNOME intendessero affermare che il giorno del sinistro le opere di ristrutturazione del capannone fossero in corso, che il personale della RAGIONE_SOCIALE fosse direttamente impiegato nella loro esecuzione e, vieppiù, che l’incendio occorso fosse scaturito dalla esecuzione delle predette opere. I dichiaranti avevano, invece, solo riferito, rispondendo ad una domanda dei Carabinieri, che in quel periodo l’immobile era interessato da lavori di ristrutturazione, appaltati a terzi, e non già che il giorno dell’incendio i lavori erano in corso di svolgimento e che NOME COGNOME era impegnato ad eseguirli.
Dall’istruttoria espletata sarebbe emerso infatti che le opere di rimozione della preesistente copertura, appaltate alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE,
erano iniziate e terminate il giorno prima dell’incendio, che il 19 maggio la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva smaltito il tetto del capannone, che le opere di rifacimento della nuova copertura, appaltate alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, eran iniziate 8-9 giorni dopo la data dell’incendio e che la mattina del 20 maggio 2009 NOME COGNOME, suo collaboratore artigiano, stava svolgendo la consueta e ordinaria attività di taglio di laminati e profilati di metallo per la realizzazione dei controtelai necessari all’installazione di serramenti.
La Corte d’appello, in aggiunta, avrebbe negato la capacità di testimoniare di NOME COGNOME, espungendo la sua testimonianza dal corredo probatorio, sebbene egli fosse un mero esecutore delle direttive e/o istruzioni ricevute dalla Te.RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è complessivamente inammissibile.
Benché formulate con riferimento a pretesi errori di diritto, tutte le riferite obiezioni nella misura in cui investono il modo con il quale la Corte territoriale ha apprezzato le risultanze istruttorie del processo e, riproponendo l’esame degli elementi fattuali già sottoposti ai giudici di seconde cure e da questi disattesi, mirano ad un’ulteriore valutazione delle stesse; e ciò sebbene a questa Corte non sia riconosciuto dalla legge il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
Va, poi, rilevato, che il giudice a quo ha escluso la capacità di testimoniare di NOME COGNOME ‘in quanto avrebbe potuto essere convenuto nel giudizio in veste di autore della condotta dannosa’. Il che rende le argomentazioni difensive introdotte a sostegno della dedotta violazione dell’art. 246 cod.proc.civ. del
tutto eccentriche -e quindi inammissibili – rispetto alla ratio decidendi dell’impugnata sentenza.
Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., è denunciata la violazione degli artt. 1917 e 1362 ss. cod. civ
La Corte d’appello, nel respingere il quarto motivo di appello principale, si sarebbe limitata a ripetere pedissequamente che andava attribuita pubblica fede alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME e da NOME COGNOME ai Carabinieri, intervenuti sul posto in occasione dell’incendio, nonché che doveva essere attribuita alle stesse valenza confessoria, ma non avrebbe tenuto conto del fatto che RAGIONE_SOCIALE non poteva svolgere alcuna attività edilizia, essendo una RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e un’officina meccanica.
L’equivoco sarebbe stato ingenerato dall’affermazione di NOME COGNOME che aveva dichiarato che stava tagliando una trave, cioè una struttura RAGIONE_SOCIALE, destinata ad essere impiegata nella costruzione dei serramenti che RAGIONE_SOCIALE provvede ad installare.
La Corte d’appello non avrebbe peraltro considerato che comunque NOME COGNOME non era un suo dipendente, bensì un artigiano che lavorava su commissione, munito di una sua partita IVA, perciò la polizza assicurativa avrebbe dovuto coprire i danni da lui cagionati, giacché la assicurazione escludeva solo i danni derivanti da ampliamenti, sopraelevazione o demolizione nonché da lavori di manutenzione straordinaria, salvo il caso in cui l’assicurato avesse rivestito la qualifica di committente. In altri termini, sia che NOME COGNOME stesse svolgendo attività di RAGIONE_SOCIALE sia che stesse ristrutturando il tetto del capannone, come commissionatogli dalla società RAGIONE_SOCIALE, avrebbe dovuto operare la copertura assicurativa.
Il motivo è inammissibile.
Innanzitutto, va osservato che la tecnica argomentativa utilizzata non ha individuato il vizio cassatorio denunciato, cioè l’ error iuris
inerente alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1917 cod.civ., il quale postula la individuazione di un errore del giudice di merito nella ricerca e nell’interpretazione della norma regolatrice del caso concreto ovvero nell’applicazione della norma stessa, una volta correttamente individuata ed interpretata. La giurisprudenza di questa Corte è costante nel rilevare che il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o nell’affermazione erronea della esistenza o della inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra, invece, nell’ambito applicativo dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta tramite le risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. 21/10/2022, n.31211).
Non può non aggiungersi che anche la denunciata violazione dei canoni di interpretazione della polizza assicurativa è del tutto assertiva, dovendosi ribadire che la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod.civ., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato (Cass., 28/11/2017, n. 28319; Cass. 09/04/2021, n. 9461).
2) Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ, i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 2729, 2049 e 2050 cod. civ., e, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ., dell’omesso esame di un punto decisivo della controversia di cui si è discusso nel corso del giudizio, in particolare dello svolgimento, nel capannone incendiato, di un’attività di RAGIONE_SOCIALE in essere, analoga a quella svolta da RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello avrebbe fatto leva su circostanze meramente ipotetiche, non suffragate da indizi certi e anzi in parte smentite dalle emergenze istruttorie, per ritenerla responsabile dell’incendio e non avrebbe tenuto in considerazione la indicata sequenza causale alternativa.
L’unica circostanza da cui è stata desunta la sua responsabilità è che il giorno dell’incendio NOME COGNOME stesse utilizzando la strumentazione ordinariamente impiegata (flessibile producente scintille) poggiato sul suo banco di lavoro, posto a poca distanza dal muro divisorio in comproprietà tra i due fabbricati, provvisto di una “feritoia di pochi centimetri’, ma non sarebbe stato considerato che presso il capannone di proprietà di NOME COGNOME aveva sede ed operava, oltre alla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, anche l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME, la quale esercitava la stessa attività, parimenti implicante l’utilizzo di strumentazione producente fiamme e/o scintille, per giunta, in assenza di qualsivoglia misura atta a prevenire il rischio d’incendio, che il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi hanno presuntivamente individuato come causa dell’incendio.
Il motivo è inammissibile.
Anche ammesso che la Corte d’appello abbia ricostruito in via presuntiva il nesso causale, mette conto ribadire che le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere
discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione; spetta quindi al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l’attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche; la delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori o che, come nel caso in esame, siano state trascurate determinate circostanze fattuali; in sostanza, chi censura un ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito (Cass. 2/11/2021, n. 31071).
3) Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., sono dedotte la violazione degli artt. 2049 e 2050 cod.civ. nonché la falsa applicazione dell’art. 1227, 1° comma, cod.civ., per averle la Corte d’appello imputato la responsabilità prevalente, nella misura del 70%, nonché, ex art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ., per avere omesso di considerare la mancata adozione delle minime cautele da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME, limitandosi a ripetere senza alcuna motivazione e in modo apodittico che il riparto di responsabilità stabilito in primo grado era corretto, sebbene non risultasse alcuna autorizzazione amministrativa a favore della RAGIONE_SOCIALE che produceva cuscini, il muro lungo il quale era stato immagazzinato materiale altamente
infiammabile fosse quello divisorio e la manutenzione del muro comune nel quale era presente la feritoia attraverso cui si erano infiltrate le scintille provenienti dal flessibile azionato nel capannone adiacente spettasse anche ai controricorrenti.
Il motivo è inammissibile, perché dedotto senza confrontarsi con i passaggi argomentativi del provvedimento impugnato, dai quali, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, si inferisce la ragione per la quale è stato determinato il riparto di responsabilità censurato: ragioni che tengono persino conto proprio dei rilievi che la ricorrente apporta a supporto delle sue confutazioni.
Va ribadito peraltro che allorquando ravvisa un concorso di colpa nella causazione di un sinistro il giudice è tenuto a congruamente motivare circa la maggiore o uguale gravità dell’una o dell’altra colpa, poiché l’accertamento in termini percentuali del concorso di colpa della vittima nella causazione del danno costituisce il frutto di un procedimento logico e non matematico e, come tale, insuscettibile di giustificazione analitica; si sottrae alle censure di legittimità il provvedimento che -come avvenuto nel caso di specie – dia debitamente conto del criterio logico seguito per addivenire alla formazione del convincimento nell’operata determinazione della relativa misura percentuale (Cass. 16/03/2022, n.8487;Cass. 25/09/2018, n. 22549).
4) Con il quinto motivo, ex art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., è denunciata la violazione dell’art. 2697 cod.civ., per aver ritenuto il giudice a quo risarcibile il danno da canoni di locazione pagati da NOME per lo spostamento della sua attività per due anni a causa dell’incendio in assenza di prova, nonché la violazione dell’art. 345 cod.proc.civ., per aver consentito a NOME, solo in grado d’appello, di allegare il contratto di comodato verbale intercorso con il marito NOME COGNOME a giustificazione della sua presenza presso il capannone.
Il motivo è inammissibile.
Le censure mosse alla sentenza impugnata sono del tutto assertive.
La Corte d’appello ha ritenuto certo che l’incendio del capannone ove aveva sede la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE l’avesse privata della sede operativa e provato attraverso la testimonianza del locatore, NOME COGNOME, che NOME COGNOME aveva preso in locazione un altro opificio al canone annuale di euro 7.500 sino al giugno 2011.
Per scalfire detta statuizione, non basta che la ricorrente lamenti la violazione dell’art. 2697 cod.civ. e dell’art. 345 cod.proc.civ. Quanto a detta ultima censura, anche se con essa si denuncia un vizio processuale, rispetto al quale questa Corte è giudice del fatto, la ricorrente non era esonerata dall’onere di soddisfare le prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ. Anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia, la quale ha ribadito che il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione) e che ha investendo questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950; Cass. 19/04/2022, n. 12481)
In merito alla asserita violazione dell’art. 2697 cod.civ ., non può che richiamarsi il costante orientamento di questa Corte secondo cui un motivo denunciante la violazione dell’art. 2697 cod.civ. si configura effettivamente e, dunque, dev’essere scrutinato come tale solo se in esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia
applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., Sez. Un., 5/08/2016, n. 16598 e successiva giurisprudenza conforme).
Per le ragioni esposte, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in euro 3.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a favore dell’ufficio del merito competente, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della