Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1221 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1221 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 5134/2023 r.g. proposto da:
Giuffrè NOMECOGNOME fu NOMECOGNOME nata a Roma l’1/3/1969, in proprio e nella qualità di amministratore di sostegno di COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME, NOME, NOMECOGNOME e NOMECOGNOME nella loro qualità di eredi beneficiari di COGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi, con poteri disgiunti, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME per procura in calce al ricorso, oltre che giusta procura in calce all’atto di costituzione di difensore del 9/12/2024, per gli eredi beneficiari di COGNOME NOME
-ricorrenti –
contro
e
Consorzio RAGIONE_SOCIALE di Messina in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME per procura rilasciata su foglio separato e congiunto al controricorso
-controricorrente-
e
Comune di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, per procura stesa in foglio separato e congiunto al controricorso dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificato indicato
-controricorrente-
e
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimata-
avverso la sentenza della Corte di appello di Messina n. 840/2022 depositata in data 20/12/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Il Consorzio RAGIONE_SOCIALE con delibera n. 1 dell’11/1/1990 approvava il progetto di massima relativo ad un insediamento industriale da
realizzare a sud di Messina; con convenzione dell’1/3/1990 i lavori venivano affidati all’impresa RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria e capogruppo del raggruppamento di imprese formato anche dalla RAGIONE_SOCIALE, dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 12 della convenzione e dell’art. 42 della legge regionale n. 21 del 1985 i procedimenti espropriativi venivano delegati alla concessionaria NOME COGNOME.
Il Comune di Messina con atto del 30/11/1990 autorizzava l’immediata occupazione del terreno di proprietà di NOME COGNOME
La presa di possesso avveniva il 21/1/1991 da parte della società RAGIONE_SOCIALE. I lavori venivano iniziati nel 1991, con l’irreversibile trasformazione del bene verificatasi nel giugno 1991. I lavori terminavano nel luglio 1995.
1.1 Il Tar Sicilia con la sentenza del 25/2/1995 annullava il decreto di occupazione per inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, in quanto carente dei termini di inizio e fine dei lavori.
Con atto di citazione del maggio 1995 NOME COGNOME agiva in giudizio per la dichiarazione di illegittimità dell’occupazione dei terreni 390,391,392,393,394,399,400, 1022, 1066 e 1067.
In particolare, per quel che ancora qui rileva, la richiesta dell’attrice si fondava sulla mancata tempestiva emanazione del decreto di esproprio – mai emesso – (ed irreversibile trasformazione del bene), pur sussistendo i termini di inizio e fine lavori nella dichiarazione di pubblica utilità (occupazione acquisitiva).
Il tribunale di Messina con sentenza del 13/1/1999 condannava al risarcimento dei danni il Consorzio per l’area di sviluppo industriale (Consorzio RAGIONE_SOCIALE), il Comune di Messina e la società mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese NOME COGNOME, con condanna degli stessi in solido al pagamento
della somma di euro 1.870.180,81, per carenza di valida dichiarazione di pubblica utilità (quindi per occupazione usurpativa).
Diversamente, l’attrice, per quel che ancora qui rileva, aveva fondato le proprie ragioni di credito sulla sussistenza dei termini di inizio e di fine dei lavori nella dichiarazione di pubblica utilità, non seguita però dal tempestivo decreto di esproprio – mai emesso essendo intervenuta l’irreversibile trasformazione del bene.
La Corte d’appello di Messina, con sentenza del 3/3/2000, rigettava l’impugnazione proposta dal Consorzio RAGIONE_SOCIALE, dal Comune e dalla società RAGIONE_SOCIALE, reputando sussistere la solidarietà tra i convenuti.
4.1. In data 11/7/2000 decedeva NOME COGNOME
4.2. In data 21/2/2001 il Comune di Messina versava agli eredi di NOME COGNOME la somma di euro 2.912.962,37. Successivamente, in data 1/12/2022 decedeva anche NOME COGNOME erede di NOME COGNOME.
Avverso la sentenza d’appello proponeva ricorso principale la società RAGIONE_SOCIALE sulla base di sei motivi, venendo accolto solo il quarto motivo.
5.1. Con il primo motivo la società deduceva la violazione degli articoli 2043, 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., avendo svolto le proprie funzioni quale semplice delegata al compimento degli atti espropriativi, non sussistendo dunque alcuna colpa nell’adempimento della delega.
5.2. Con il secondo ed il terzo motivo la società deduceva la violazione dell’art. 2055 c.c., dovendo la colpa essere ripartita tra i condebitori solidali, senza che fosse necessaria alcuna domanda riconvenzionale nei confronti degli altri condebitori solidali.
5.3. Con il quarto motivo la società deduceva, quanto al primo profilo, che la Corte d’appello aveva escluso la sussistenza di una
valida dichiarazione di pubblica utilità per la mancata indicazione dei termini delle opere e dei lavori, mai dedotta da parte delle attrici (motivo accolto dalla Corte di cassazione).
5.4. Restavano assorbiti i motivi quinto e sesto.
Avverso la medesima sentenza della Corte d’appello proponeva ricorso per cassazione il Consorzio RAGIONE_SOCIALE sulla base di tre motivi, tutti accolti.
6.1. Con il primo ed il secondo motivo si deduceva la sussistenza di una concessione traslativa, con delega alla società RAGIONE_SOCIALE
6.2. Con il terzo motivo il Consorzio censurava la sentenza della Corte territoriale, in quanto vi era stata una sostituzione d’ufficio dell’azione proposta dall’attrice. Quest’ultima, infatti, aveva chiesto il risarcimento dei danni per essersi verificata una occupazione acquisitiva, in presenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, che recava i termini di inizio e di fine dei lavori, non seguita però dal decreto di esproprio, con l’irreversibile trasformazione del bene.
Al contrario, il tribunale, come pure la Corte d’appello, avevano invece ritenuto trattarsi di occupazione usurpativa, con inefficacia della originaria dichiarazione di pubblica utilità, che non recava l’indicazione dei termini per l’inizio e la fine dei lavori.
Proponeva ricorso incidentale il Comune, sulla base di quattro motivi, con accoglimento del primo da parte della Corte di cassazione.
7.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale il Comune deduceva la violazione degli articoli 345 c.p.c. e 2055 c.c., non essendovi stato alcun concorso del Comune nella verificazione del danno.
Nessuna rilevanza causale da parte del Comune poteva rinvenirsi nell’ordinanza del sindaco di occupazione temporanea dell’area, successivamente annullata dal Tar.
7.2. Restavano assorbiti i motivi secondo, terzo e quarto.
Veniva rigettato il primo motivo di ricorso incidentale dell’attrice NOMECOGNOME
Restava assorbito il secondo motivo.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 15687 del 12/12/2001, accoglieva il quarto motivo di ricorso principale della società RAGIONE_SOCIALE, i motivi primo, secondo e terzo di ricorso incidentale del Consorzio RAGIONE_SOCIALE ed il primo motivo del ricorso incidentale del Comune.
9.1. Questa Corte, in accoglimento del quarto motivo di ricorso principale della società RAGIONE_SOCIALE e del terzo motivo di ricorso incidentale del Consorzio, accertava che l’originaria domanda dell’attrice NOME COGNOME aveva ad oggetto una fattispecie di occupazione acquisitiva, prospettando il mancato rispetto dei termini di inizio e di fine dei lavori indicati nella dichiarazione di pubblica utilità.
Al contrario, i giudici di merito avevano invece ritenuto sussistere una fattispecie di occupazione usurpativa, con conseguente inammissibile mutatio libelli (cfr. pagina 15 della motivazione della sentenza della Corte di cassazione n. 15687 del 2001 «laddove l’occupazione illegittima ravvisata dal tribunale e dalla Corte di appello di Messina ( c.d. usurpativa) presuppone la mancanza in radice della dichiarazione di p.u. e perciò esula dalla materia espropriativa, rientrando fra i comuni fatti illeciti permanenti disciplinati dall’art. 2043 c.c. in cui non è ravvisabile in capo alla PA l’espressione di alcuna funzione amministrativa, né l’esercizio di poteri ablativi»).
Chiariva questa Corte che «l’occupazione espropriativa nasce da un atto di autorità dell’amministrazione espropriante che, pur priva di un titolo legittimo, attua l’irreversibile trasformazione
dell’immobile privato appreso, inglobandolo nell’opera preventivata dalla dichiarazione di p.u. e così acquistandone la proprietà a titolo originario».
Diversamente – precisava la Corte – «tutt’altra situazione è configurabile nell’illegittima occupazione ritenuta di ufficio dalla sentenza impugnata in cui il proprietario, per converso, conserva e mantiene il proprio diritto dominicale sull’immobile, nonché in via primaria, quello di chiederne la restituzione; ed in cui l’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. è esperibile soltanto se (e solo perché) egli, per una propria scelta discrezionale, rinunci ad ottenere il rilascio del bene e preferisca invece, abbandonarono definitivamente all’occupante e conseguire in cambio la completa reintegrazione economica del pregiudizio sofferto».
Si chiariva, dunque, che non era consentito al giudice di merito «sostituire d’ufficio» la domanda di danni da occupazione espropriativa con quella di risarcimento per occupazione usurpativa.
Si rimarcava che «i giudici di appello, dopo aver riferito che l’attrice aveva dedotto di aver subito l’occupazione espropriativa del suo immobile per l’avvenuta decadenza della dichiarazione di p.u., sono incorsi nel lamentato vizio di extrapetizione modificando sia questa causa petendi a sostegno della pretesa risarcitoria (che ne è risultata, perciò del pari modificata) che le circostanze di fatto ad essa sottese, invece individuate nell’originaria mancanza della dichiarazione di p.u.; per cui il giudice di rinvio dovrà procedere a nuovo esame delle richieste e delle ragioni giuridiche della ricorrente incidentale, applicando i principi di diritto ora esposti».
9.2. Questa Corte, con la sentenza n. 15687 del 2001, accoglieva, poi, il primo ed il secondo motivo di ricorso incidentale del Consorzio RAGIONE_SOCIALE ed il primo motivo di ricorso incidentale del
Comune, ravvisando sussistere la fattispecie della concessione traslativa.
La delega in favore della società NOME COGNOME quale capogruppo del raggruppamento temporaneo di imprese, era fondata sull’art. 42 della legge regionale n. 21 del 1985, oltre che nell’art. 12 della convenzione dell’1/3/1990.
La società RAGIONE_SOCIALE, dunque, aveva agito in nome proprio ed era l’unica responsabile del danno verificatosi. La concessionaria era subentrata nella titolarità e nella conduzione del procedimento espropriativo, e ciò sia per l’espletamento legittimo di tale adempimento, sia per la responsabilità extracontrattuale; anche per l’illegittimo protrarsi del periodo di occupazione temporanea. Pur potendo verificarsi un concorso dell’ente concedente, in presenza di determinate circostanze.
Nella specie, dunque, il concessionario «pur restando sottoposto ai poteri di supremazia, di ingerenza e di controllo di detta amministrazione, agisce in nome proprio quale organo indiretto dell’amministrazione ed in tale qualità compie materialmente l’attività ablativa (sia pure per conto di quella) con la conseguenza che è il solo responsabile delle obbligazioni assunte in dipendenza di essa» (cfr. pagina 30 della motivazione della sentenza di questa Corte n. 15687 del 2001).
Tale situazione era «in tutto e per tutto assimilabile alle figure organizzatorie di diritto pubblico aventi rilevanza esterna della delegazione amministrativa intersoggettiva, dell’affidamento improprio e della sostituzione».
Risultava, invece, «decisivo il conferimento al concessionario del compito di predisporre ed espletare anche le operazioni e gli atti necessari per l’espropriazione delle aree necessarie alla realizzazione dell’opera».
In tal modo – a giudizio di questa Corte – «per effetto della sostituzione operata dal provvedimento di concessione, subentra al nella titolarità e nella conduzione della procedura ablativa e risponde direttamente nei confronti dei terzi sia nell’ipotesi in cui la stessa venga espletata legittimamente sia, a maggior ragione atteso il carattere personale della responsabilità aquiliana, per le deviazioni di questa dal modello legale: e quindi non solo per l’illegittimo protrarsi del periodo di occupazione temporanea nonché per l’irreversibile trasformazione dell’immobile senza la preventiva acquisizione del decreto di esproprio, ma anche per ogni altro vizio inficia anche il procedimento espropriativo e tale da determinare l’inesistenza del potere ablativa».
Con la precisazione che la responsabilità del concessionario sussisteva anche «ed a maggior ragione ove l’attività illegittima compiuta esuli dalla funzione espropriativa trasferita dal concedente e si traduca in una mero comportamento materiale attuato in violazione del precetto generale dell’art. 2043 c.c.: a meno che tale illiceità non sia stata causata dal concedente o quest’ultimo vi abbia concorso, dovendosi tuttavia, in tal caso, individuare i fatti costitutivi di detta responsabilità che invece la Corte di appello ha fondato sull’erronea qualifica di ‘ente espropriante’ attribuita al Consorzio RAGIONE_SOCIALE».
10. La Corte d’appello di Palermo, in sede di primo rinvio, con sentenza del 19/7/2004, n. 914, rilevava che l’attrice aveva chiesto l’indennizzo da occupazione acquisitiva, mentre la Corte di cassazione aveva ritenuto che vi era carenza di dichiarazione di pubblica utilità, con il conseguente rigetto della domanda dell’attrice (poi degli eredi della stessa).
Infatti, «l’attrice originaria, NOME COGNOME, aveva proposto una domanda risarcitoria da c.d. occupazione acquisitiva, fondandola sul presupposto che il giudice amministrativo aveva annullato il decreto di occupazione del bene e che, d’altra parte, erano inutilmente scaduti i termini della dichiarazione di p.u., Inizialmente valida ed efficace, sicché la procedura ablativa era proseguita in carenza di potere»; mentre, nel caso di specie, non era «configurabile siffatta ipotesi, in quanto né il decreto di finanziamento dell’opera né la successiva delibera di approvazione del progetto recano la necessaria previsione dei termini, iniziale e finale, di esecuzione dei lavori, con la conseguenza che la radicale mancanza di tali termini renderebbe illegittima ab origine l’eventuale occupazione e successiva trasformazione del bene da parte della PA»; di qui, la conclusione per cui «la domanda risarcitoria deve essere rigettata».
Restava assorbita la questione sulla titolarità passiva del rapporto.
Con il secondo ricorso per cassazione – a seguito del giudizio di rinvio – il Comune chiedeva la restituzione delle somme pagate agli attori, in quanto la Corte d’appello aveva omesso ogni pronuncia su tale domanda in sede di rinvio.
Proponevano ricorso incidentale gli attori, per violazione degli articoli 112 e 295 c.p.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, numeri 3,4 e 5, c.p.c., in ragione della mancata sospensione del giudizio in attesa dell’esito dell’altro giudizio da essi proposto per ottenere il risarcimento del danno da occupazione usurpativa.
Nelle more, infatti, gli eredi della attrice avevano proposto atto di citazione in data 30/12/2002 per ottenere il risarcimento del danno da occupazione usurpativa (oggetto del presente giudizio, che concerne appunto la successiva domanda di occupazione usurpativa).
La Corte di cassazione con sentenza n. 22903 del 2011 accoglieva il ricorso principale del Comune, in relazione all’omessa pronuncia in ordine alla domanda di restituzione delle somme già pagate agli attori, rigettava il ricorso incidentale degli eredi.
In particolare, per quel che ancora qui rileva, questa Corte evidenziava che gli attori avevano presentato (prima della riassunzione) altra domanda di natura risarcitoria per occupazione usurpativa, chiedendo la sospensione di questo giudizio ex art. 295 c.p.c.
Precisava che l’art. 112 c.p.c., e la conseguente violazione, non si applicavano all’omessa pronuncia su provvedimento ordinatorio, quale era quello che respingeva la richiesta di sospensione del giudizio. Tra l’altro, non vi era stata alcuna omissione, trattandosi di rigetto implicito della richiesta.
Tale rigetto implicito era corretto, non ravvisandosi alcuna pregiudizialità tra il giudizio di occupazione acquisitiva, oggetto di esame da parte della Corte di cassazione, e quello di occupazione usurpativa, stante l’autonomia dei due giudizi.
Non sussisteva neppure un’ipotesi di continenza tra i due processi.
L’occupazione acquisitiva, infatti, restava nell’ambito del fenomeno espropriativo, mentre l’occupazione usurpativa apparteneva all’area della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.
Nel secondo giudizio di rinvio il Comune riassumeva la controversia chiedendo la restituzione delle somme incassate pari ad euro 3.672.111,98, oltre interessi e rivalutazione dal pagamento al soddisfo.
15.1. Si costituivano in giudizio gli eredi COGNOME chiedendo la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., in attesa dell’esito del giudizio pendente dinanzi alla CEDU e del giudizio pendente dinanzi
alla Corte d’appello, introdotto con citazione del 30/12/2002 per conseguire il risarcimento del danno da occupazione usurpativa. La domanda era stata accolta in parte dal tribunale di Messina con sentenza n. 2091 del 2006.
Inoltre, gli eredi chiedevano di rispondere della restituzione nei limiti della quota di ciascuno.
Non era dovuta la rivalutazione della somma da restituire e gli interessi erano dovuti dalla data di pronuncia della condanna restitutoria, e non dalla data del pagamento delle somme.
La somma da restituire non era di euro 3.672.211,98, ma di euro 2.912.962,37, perché il Comune aveva operato la ritenuta d’acconto pari a lire 1.359.568.368.
16. La Corte d’appello di Palermo, in sede di secondo giudizio di rinvio, con sentenza n. 122/2018, depositata il 22/1/2018, condannava gli eredi della attrice a restituire al Comune la somma di euro 3.672.111,98.
Per quel che ancora qui rileva, la Corte d’appello rigettava la richiesta di sospensione ex art. 295 c.p.c., con riguardo al giudizio di risarcimento dei danni da occupazione usurpativa, iniziato con atto di citazione del 30/12/2002, non ravvisando alcuna pregiudizialità.
Rigettava anche la richiesta di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. prendendo il giudizio dinanzi alla CEDU, in quanto tale domanda era stata presentata nei confronti dello Stato.
Reputava legittima la ritenuta d’acconto operata dal Comune nella misura del 20% dell’importo, sicché gli eredi COGNOME avrebbero dovuto restituire la somma ricevuta ricomprendete anche l’imposta pagata dal Comune quale sostituto di imposta.
Affermava che la condanna nei confronti degli eredi doveva avvenire pro quota.
Non riconosceva la rivalutazione, mentre reputava spettanti gli interessi a decorrere dalla data del pagamento.
Come premesso, gli attori avevano proposto atto di citazione in data 30/12/2002 nei confronti dei medesimi convenuti per conseguire risarcimento dei danni da occupazione usurpativa.
17.1. Il tribunale di Messina con sentenza del 21/12/2006 aveva rigettato le domande proposte dagli attori nei confronti del Comune e del Consorzio ASI. Era stata invece accolta la domanda di risarcimento dei danni verso l’attrice (poi gli eredi) da NOME COGNOME per la somma di euro 1.870.180,81.
17.2. Nel giudizio di appello si costituiva dapprima il Consorzio ASI in data 2/4/2008.
Successivamente, a seguito di interruzione del giudizio pronunciata all’udienza del 21/1/2013 su dichiarazione che i consorzi RAGIONE_SOCIALE della Regione Sicilia erano stati soppressi e posti in liquidazione ex art. 19 legge regionale n. 8 del 2012 ed era stato costituito l’RAGIONE_SOCIALE, Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive, si costituivano in sede di appello, sia il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione e Gestione Separata RAGIONE_SOCIALE ex art. 64 della legge regionale siciliana n. 3 del 2013, in combinato disposto con l’art. 19, comma 8, della legge regionale Sicilia n. 8 del 2012, in data 8/7/2013, sia l’IRSAP, in data 6/7/2013, con il medesimo difensore NOME COGNOME (il commissario straordinario – per entrambe le parti costituite – era il geometra NOME COGNOME).
17.3. La Corte d’appello con sentenza del 27/5/2014 aveva ritenuto la responsabilità solidale del RAGIONE_SOCIALE e della società RAGIONE_SOCIALE
Una volta esclusa la responsabilità del Comune, per essersi formato il giudicato interno, a seguito della pronuncia della Corte di
cassazione n. 15687 del 2001, veniva però riconosciuta la responsabilità del Consorzio RAGIONE_SOCIALE
Ad avviso della Corte d’appello, dunque, sussisteva la responsabilità del Consorzio RAGIONE_SOCIALE, in quanto i fatti costitutivi della responsabilità andavano rinvenuti, gravando sul consorzio «una ben precisa culpa in vigilando riconducibile all’onere di rilevare le nullità che inficiavano la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera».
17.4. Avverso il ricorso per cassazione proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso e con ricorso incidentale l’RAGIONE_SOCIALE, in persona del commissario straordinario e legale rappresentante geometra NOME COGNOME giusta determinazione n. 47ME dell’8/8/2014, nella qualità di presidente dell’RAGIONE_SOCIALE, e, in quanto tale, ex art. 64 della legge regione Sicilia n. 9 del 2013, ai sensi dell’art. 19, comma 8, della legge regionale Sicilia n. 8 del 2012, quale «legale rappresentante pro tempore del RAGIONE_SOCIALE in liquidazione Gestione Separata RAGIONE_SOCIALE.
17.5. La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 27304 del 26/10/2018, ha rigettato il secondo motivo di ricorso principale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE in ordine alla richiesta di mancata sussistenza di addebito alla stessa, in quanto la PA aveva omesso di fissare i termini per l’inizio e la fine dei lavori.
La Corte di cassazione, con la medesima ordinanza n. 27304 del 2018, ha accolto il ricorso incidentale proposto dalla IRSAP (Istituto Regionale per lo Sviluppo delle Attività Produttive), in qualità di «avente causa» del Consorzio RAGIONE_SOCIALE, ex articoli 1292, 1294 e 2043 c.c., per la dichiarazione di assenza di responsabilità del Consorzio RAGIONE_SOCIALE.
17.6. In particolare, per quel che ancora qui rileva, questa Corte, con ordinanza n. 27304 del 2018, escludeva la responsabilità del Consorzio, accogliendo il primo motivo di ricorso incidentale dell’IRSAP.
Richiamava, in particolare, la sentenza della Corte di cassazione n. 15687 del 2011, «pronunciata nel precedente giudizio svoltosi tra le medesime parti ed avente ad oggetto il risarcimento dei danni per occupazione acquisitiva, dalla quale emergeva che Consorzio RAGIONE_SOCIALE aveva affidato la realizzazione dell’opera in concessione alla NOME COGNOME, delegando alla stessa la gestione delle procedure espropriative e trasferendole i relativi poteri ed oneri, ivi compresi il pagamento delle relative indennità».
Pertanto – aggiungeva la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 27304 del 2018, «alla stregua di tale accertamento, avente efficacia di giudicato tra le parti, la sentenza impugnata ha correttamente confermato la responsabilità dell’impresa, in qualità di autrice della condotta materiale che costituiva fondamento dell’illecito, addebitandole pertanto le conseguenze dell’illegittimità dell’occupazione, ancorché determinata dall’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, annullata dal giudice amministrativo per difetto dell’indicazione dei termini di inizio e compimento dei lavori».
Si era formato, dunque, il giudicato interno in ordine alla responsabilità esclusiva della società RAGIONE_SOCIALE
Proseguiva la Corte di cassazione, sempre con l’ordinanza n. 27304 del 2018, soffermandosi sull’istituto della concessione traslativa, con responsabilità esclusiva della concessionaria. La responsabilità di quest’ultima nei confronti dei terzi si estendeva «ad ogni attività, giuridica immateriale, connessa all’esercizio delle predette funzioni, indipendentemente dalla circostanza che l’illecito sia indirettamente riconducibile ad un’omissione del concedente, la cui concorrente responsabilità resta configurabile esclusivamente nell’ipotesi in cui l’attribuzione di poteri al concessionario e l’accollo
degli obblighi indennitaria un risarcitori da parte dello stesso non trovino fondamento in una norma che espressamente autorizzi».
Chiariva la Corte di cassazione che «tale ipotesi, nella specie non è stata neppure prospettata, e ciò nonostante la Corte di merito ha ritenuto di dover affermare anche la responsabilità del Consorzio, in virtù della mera osservazione che, una volta trasformatasi l’occupazione in usurpativa, gravava anche sulle concedente un obbligo di vigilanza, derivante non più dalla convenzione stipulata con la concessionaria, bensì dei doveri generali discendenti dall’art. 2043 c.c.».
Ad esclusione di ogni forma di responsabilità a carico del Consorzio RAGIONE_SOCIALE, la Corte di cassazione precisava che la responsabilità del concedente (Consorzio) poteva derivare esclusivamente se la legge «non autorizzi il trasferimento ad altri soggetti dei poteri a lui istituzionalmente spettanti o gli riservi un’effettiva potestà di intervento nei confronti del concessionario, tutela dei terzi, al cui mancato esercizio possa quindi farsi risalire direttamente o indirettamente la produzione dell’evento dannoso, del quale altrimenti il concedente non può essere chiamata a rispondere, essendosi spogliato delle proprie attribuzioni in favore del concessionario, che l’esercito in nome proprio».
Peraltro, la responsabilità del concedente era esclusa anche «per l’inconsistenza del fondamento ravvisato dalla Corte di merito, la cui generica identificazione con il principio neminem laedere si pone in contrasto con la natura stessa dell’istituto cui il Consorzio fatto ricorso per l’affidamento dell’opera pubblica».
18. Tornando al giudizio di occupazione acquisitiva (giudizio sorto con atto di citazione del maggio 1995), gli eredi della NOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 122/2018, depositata il 22/1/2018, e quindi
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME fu NOMECOGNOME nata a Roma l’1/3/69, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Hanno resistito con controricorso il Comune di Messina e il Consorzio RAGIONE_SOCIALE Messina, in liquidazione.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 122/2018, depositata il 22/1/2018, ha proposto ricorso per cassazione anche NOME COGNOME nata a Messina il 27/7/1931.
In data 1/12/2022 decedeva NOME COGNOME nata a Messina il 27/7/1931.
I ricorrenti provvedevano all’atto di integrazione del contraddittorio ex art. 371bis c.p.c.
Con sentenza del 5/9/2024, ricorso n. 50827/2011, causa COGNOME e altri c. Italia, la Corte Edu reputava che lo Stato italiano dovesse assicurare, con mezzi adeguati, entro tre mesi, che i ricorrenti ottenessero, in modo definitivo, l’importo liquidato dalla sentenza del tribunale di Messina del 20/12/2006.
In particolare, la CEDU ha evidenziava che «è consapevole del fatto che, benché la sentenza del tribunale di Messina sia passata in giudicato in ordine all’importo del risarcimento sia ancora in corso un procedimento a livello interno finalizzato esclusivamente a determinare quale sia l’ente responsabile. Tuttavia, in considerazione della sola constatazione di violazione di cui sopra, la Corte ritiene che, a prescindere dall’esito di tale procedimento, lo Stato convenuto sia obbligato a pagare il risarcimento per la privazione del terreno subita dalla ricorrente».
La CEDU, dunque, sottolineava che «la constatazione di violazione di cui sopra comporti per lo Stato convenuto l’obbligo di assicurare che ricorrente ottengano, in modo definitivo, l’importo
liquidato dalla sentenza del tribunale di Messina del 20 dicembre 2006».
Precisava la CEDU che «la presente sentenza non impedisce al governo di ottenere la restituzione degli importi eventualmente già versate ricorrente eccedente l’indennizzo liquidato dal tribunale di Messina, o di tentare di pervenire alla compensazione delle pretese dei ricorrenti e dei vari enti interni coinvolti».
La CEDU accordava a tutti i ricorrenti euro 5000,00 per il danno non patrimoniale.
Nel giudizio in cui gli eredi COGNOME hanno chiesto il risarcimento dei danni da occupazione usurpativa (oggetto di specifico esame in questa sede) la Corte d’appello di Messina, con la sentenza n. 840/2022, del 20/12/2022, oggetto di impugnazione in questa sede, chiariva che si era ormai formato il giudicato sulla sussistenza dell’occupazione usurpativa. Come pure si era formato il giudicato in ordine all’esclusiva responsabilità della società RAGIONE_SOCIALE, con esclusione della responsabilità del Consorzio RAGIONE_SOCIALE e del Comune di Messina.
24.1. Rigettava l’eccezione di estinzione del giudizio, in quanto correttamente la riassunzione dello stesso era avvenuta da parte del RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Ed infatti, l’art. 19, comma 8, della legge regionale Sicilia n. 8 del 2012, era stato modificato dall’art. 19 della legge regionale Sicilia n. 8 del 2016, in virtù del quale, «al liquidatore nominato ai sensi del presente comma è attribuita, altresì, la legale rappresentanza della liquidazione».
Per tale ragione, per effetto della cessazione delle gestioni separate, tutti i rapporti giuridici attivi e passivi, facenti capo ai disciolti consorzi ASI, successivamente transitati nelle gestioni separate, dovevano ritenersi permanere in capo agli stessi enti
consortili posti in liquidazione, la cui rappresentanza legale spettava al liquidatore.
Pertanto, «come osservato dal RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, esso era l’unico ente legittimato alla riassunzione, a mezzo del commissario liquidatore, del giudizio di rinvio».
Non era invece passata in giudicato nei confronti del Consorzio RAGIONE_SOCIALE la parte della sentenza della Corte d’appello n. 421 del 2014 che ne aveva riconosciuto la responsabilità.
Il ricorso per cassazione era stato proposto in via principale dalla società RAGIONE_SOCIALE nei confronti degli eredi COGNOME, del Comune di Messina del Consorzio RAGIONE_SOCIALE Separata RAGIONE_SOCIALE, mentre i ricorsi incidentali erano stati presentati solo dagli eredi COGNOME e dall’IRSAP.
La Corte di cassazione aveva accolto il ricorso incidentale dell’IRSAP. Da tali premesse di eredi COGNOME traevano la conclusione, erronea, per cui «non avendo il Consorzio RAGIONE_SOCIALE proposto ricorso per cassazione, la sentenza della Corte d’appello, alla quale l’ente aveva prestato acquiescenza, passata in giudicato nei confronti dello stesso in data antecedente alla pubblicazione dell’ordinanza del supremo collegio».
Tale giudicato, ad avviso degli eredi COGNOME «resisteva nei confronti della successiva decisione, posto che del giudizio di legittimità non aveva fatto parte il Consorzio RAGIONE_SOCIALE».
24.2. La Corte d’appello, con la sentenza n. 840 del 2022, non condivideva la tesi degli eredi COGNOME rilevando che il ricorso incidentale ed il controricorso presentati dall’IRSAP «erano stati proposti in virtù di tale mandato, conferito con la determina n. 47/ME dell’8/8/2014, esplicitamente richiamato nelle relative intestazioni, anche nell’interesse del Consorzio RAGIONE_SOCIALE».
Chiariva la Corte di merito che «il mandato all’Avv. NOME COGNOME COGNOME è stato conferito dal presidente RAGIONE_SOCIALE anche quale legale rappresentante del RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, secondo la normativa all’epoca vigente, giusta determina n. 47/ME dell’8/8/2014».
Del resto, la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 27304 del 2018, aveva dato atto che il controricorso, contenente ricorso incidentale, era stato proposto dall’IRSAP, quale «avente causa del Consorzio RAGIONE_SOCIALE».
Tra l’altro, in sede di rinvio non potevano essere dedotte questioni conoscibili ufficio, tra cui l’esistenza di un giudicato, non rilevate dalla Corte di cassazione.
24.3. Proprio la formazione del giudicato interno, sia in ordine all’esclusiva responsabilità della società RAGIONE_SOCIALE, sia in ordine all’esclusione della responsabilità del Comune di Messina e delle Consorzio RAGIONE_SOCIALE, inducevano la Corte territoriale ad occuparsi «in via esclusiva regolamentazione delle spese».
24.4. Veniva rigettata, invece, la domanda di ripetizione delle somme pagate agli eredi COGNOME dal Consorzio ASI, in quanto la relativa documentazione era stata prodotta dal Consorzio solo in sede di comparsa conclusionale.
24.5. In applicazione del principio di soccombenza le spese dei vari gradi di giudizio venivano poste a carico degli eredi COGNOME, dovendosi tenere conto «del rigetto dell’appello proposto dagli eredi COGNOME», con condanna alle spese degli eredi COGNOME nei confronti del Comune di Messina, nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE e nei confronti del Consorzio RAGIONE_SOCIALE.
Condannava, invece, la società RAGIONE_SOCIALE rimborsare le spese di eredi COGNOME.
25. La Corte di cassazione, poi, con sentenza n. 12047 del 2021 ha rigettato sia il ricorso principale presentato dalla Benedetto RAGIONE_SOCIALE e dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, sia il ricorso incidentale proposto dagli eredi COGNOME, avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 35 del 2018, depositata il 23/1/2018, con cui era stato rigettato il gravame principale proposto dalle 3 società avverso la sentenza del 22/2/2011 pronunciata dal tribunale di patti.
La Corte d’appello, infatti, aveva confermato la declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. nei confronti degli eredi COGNOME, dell’atto notarile del 14 luglio 2004 con cui era stata disposta la scissione della società Benedetto RAGIONE_SOCIALE con la conseguente assegnazione della maggior parte dei suoi immobili alle altre 2 società.
26. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 3369 del 2023 ha poi rigettato il ricorso per revocazione proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE e dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
27.I ricorrenti hanno proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello n. 840 del 2022, chiedendo anche la trattazione della controversia in pubblica udienza e depositando memoria scritta.
Hanno resistito con controricorso il Consorzio RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Messina, depositando entrambi anche memorie scritte.
E’ rimasta intimata la società RAGIONE_SOCIALE che ha depositato la procura alle liti in data 29/3/2023, senza proporre controricorso.
CONSIDERATO CHE:
La richiesta di trattazione della controversia in pubblica udienza non merita accoglimento, non sussistendo i presupposti di cui all’art. 375, primo comma, c.p.c.
La trattazione in pubblica udienza deve essere disposta nei casi di particolare rilevanza, nonché nelle ipotesi di cui all’art. 391quater
c.p.c., ovvero nei ricorsi per revocazione della sentenza della Corte di cassazione per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Nella specie, invece, l’art. 391quater c.p.c. non trova applicazione ratione temporis , essendo stata introdotta tale disposizione dall’art. 3, comma 28, lettera o), del d.lgs. 10/10/2022, n. 149, a decorrere dal 18/10/2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 149 del 2022.
L’art. 35 del d.lgs. prevede la disciplina transitoria, stabilendo che «le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicano i procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 30 giugno 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti».
Si stabilisce, poi al comma 7 dell’art. 35 che solo taluni articoli si applicano anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1 gennaio 2023 per i quali non è stata ancora fissata udienza adunanza in camera di consiglio, ma si tratta degli articoli 372,375,376,377,378,379,380,380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 391-bis c.p.c..
Non vi risulta compreso l’art. 391quater c.p.c..
1.1. Con il primo motivo di ricorso principale degli eredi di NOME COGNOME si deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 101,102,112,231,392 e 394 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.; error in procedendo per avere la Corte di appello omesso di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’IRSAP-Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive».
In particolare, si osserva che nel giudizio di appello definito dalla Corte di merito di Messina con sentenza n. 421 del 2014 hanno
assunto la qualità di parti processuali gli appellanti COGNOME, l’appellato comune di Messina, l’appellata ed appellante incidentale società NOME COGNOME, oltre all’appellato Consorzio RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE stessa, questi ultimi due costituitisi con due separati atti di costituzione, a seguito dell’interruzione e riassunzione del giudizio per la dichiarazione del Consorzio RAGIONE_SOCIALE di essere stato posto in liquidazione. Nel giudizio di appello si era originariamente costituito il Consorzio ASI di Messina.
La Corte d’appello di Messina con la sentenza n. 421 del 2014 aveva reputato il Consorzio RAGIONE_SOCIALE Messina solidalmente responsabile dell’illecito, in concorso con l’impresa RAGIONE_SOCIALE
Nessuna statuizione era stata emessa nei confronti dell’IRSAP. La Corte di cassazione con l’ordinanza n. 27304 del 2018 ha giudicato sul ricorso incidentale proposto dall’IRSAP «in qualità di avente causa del Consorzio RAGIONE_SOCIALE».
Ad avviso dei ricorrenti, dunque, la Corte di cassazione, esaminando il contenuto del controricorso IRSAP, avrebbe statuito «che non aveva proposto ricorso il RAGIONE_SOCIALE Messina in liquidazione-RAGIONE_SOCIALE, e nemmeno il RAGIONE_SOCIALE Messina in liquidazione, ma soltanto l’RAGIONE_SOCIALE, quale avente causa del Consorzio RAGIONE_SOCIALE».
In sede di giudizio di rinvio il Consorzio RAGIONE_SOCIALE ha riassunto il giudizio con atto notificato il COGNOME, al Comune di Messina, alla società RAGIONE_SOCIALE ma avrebbe omesso di notificare l’atto all’IRSAP.
L’IRSAP non avrebbe riassunto separatamente giudizio di rinvio nonostante l’accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale.
La Corte d’appello dunque, in sede di rinvio, avrebbe «omesso di emettere l’ordinanza di integrazione del contraddittorio nei confronti
dell’IRSAP»; di qui l’illegittimità della sentenza impugnata, con rimessione degli atti alla Corte d’appello ai sensi dell’art. 354 c.p.c..
Con il secondo motivo di impugnazione principale i ricorrenti deducono la «violazione e falsa applicazione degli articoli 324,392,394 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.; error in procedendo per violazione del principio secondo cui la Corte di merito in sede di rinvio deve attenersi alle statuizioni e motivazione della decisione della Corte di cassazione».
Ad avviso dei ricorrenti, dunque, poiché il ricorso incidentale per cassazione era stato proposto dall’IRSAP, ma non dal Consorzio RAGIONE_SOCIALE, la sentenza della Corte d’appello n. 421 del 2014, che aveva riconosciuto la responsabilità solidale del Consorzio, era ormai passata in giudicato.
Insomma, il Consorzio RAGIONE_SOCIALE Messina, Gestione Separata RAGIONE_SOCIALE avrebbe prestato acquiescenza alla sentenza della Corte d’appello n. 421 del 2014.
La Corte d’appello di Messina, in sede di rinvio, con la sentenza n. 840 del 2022, avrebbe erroneamente ritenuto che «il controricorso ed il ricorso incidentale fossero stati proposti anche dal Consorzio RAGIONE_SOCIALE Messina in liquidazione-RAGIONE_SOCIALE, e non già soltanto dall’IRSAP (come ha sancito la Corte di cassazione)».
La Corte d’appello avrebbe persino reputato erronea l’affermazione della Corte di cassazione, laddove ha affermato che l’IRSAP aveva agito nella qualità di «avente causa del Consorzio RAGIONE_SOCIALE».
A giudizio del ricorrente, allora, «l’impugnazione incidentale della sentenza della Corte di merito era stata proposta dall’IRSAP e non già dal Consorzio RAGIONE_SOCIALE Messina RAGIONE_SOCIALE-Gestione Separata
RAGIONE_SOCIALE, né dal Consorzio RAGIONE_SOCIALE Messina, il quale con la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 421/2014 era stato condannato al pagamento dell’indennizzo dovuto ai signori RAGIONE_SOCIALE in solido con la società RAGIONE_SOCIALE.
Se così è, e quindi se l’IRSAP ha proposto l’impugnazione esclusivamente quale avente causa del Consorzio RAGIONE_SOCIALE Messina RAGIONE_SOCIALE, ne conseguirebbe «il passaggio in giudicato del capo della sentenza della Corte di appello di Messina n. 421 del 2014 relativo alle spese processuali ed il passaggio in giudicato del capo della sentenza della Corte d’appello relativo alla responsabilità insolito del Consorzio RAGIONE_SOCIALE».
Con il terzo motivo di impugnazione principale i ricorrenti lamentano la «violazione e falsa applicazione degli articoli 112,132, comma 2, n. 4,324 c.p.c., e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Sarebbe erroneo anche l’ulteriore passaggio della motivazione della Corte d’appello n. 840 del 2022, laddove ha reputato che anche a voler ritenere che RAGIONE_SOCIALE non ha proposto ricorso incidentale per cassazione in favore del Consorzio RAGIONE_SOCIALEGestione separata – nel giudizio di rinvio non possono essere dedotte o, comunque, esaminate neppure le questioni conoscibili d’ufficio, tra le quali l’esistenza di un giudicato precedente, non rilevate dalla Corte di cassazione, giacché il loro esame tende a porre nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione in contrasto con il principio della sua intangibilità.
Tuttavia, in relazione alla dedotta non emendabilità dell’errore di diritto nel quale sarebbe incorsa la Corte di cassazione, osservano i ricorrenti che «se l’errore non fosse emendabile in sede di rinvio, la motivazione della sentenza impugnata costituirebbe un evidente
ipotesi di motivazione contraddittoria, al di sotto del minimo costituzionale».
Inoltre, la differenza tra la legge regionale n. 8 del 2016 e l’art. 64 della legge regionale n. 9 del 2013 consiste soltanto nella modifica del legale rappresentante commissario liquidatore: prima con la legge regionale n. 9 del 2013 era il presidente dell’IRSAP, poi invece andava nominato un commissario dei funzionari degli ex consorzi.
La Gestione Separata RAGIONE_SOCIALE non è stata però eliminata, tanto più che «non è stato in sentenza specificato se fosse trascorso infruttuosamente il termine di cui all’articolo 4 dell’art. 19 L.R. 8/2012 né è stato indicato se fossero state chiuse le operazioni di liquidazione entro 180 giorni».
Con il quarto motivo di impugnazione principale i ricorrenti deducono la «violazione e falsa applicazione degli articoli 91,92 e 93 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La nullità della sentenza impugnata del processo determinerebbe la nullità di tutte le statuizioni, comprese quelle sulle spese giudiziali.
In ogni caso, non doveva essere pronunciata la condanna alle spese in favore del comune di Messina, in quanto i ricorrenti COGNOME non avevano proposto in sede di rinvio alcuna domanda contro il Comune.
Le spese non potevano essere riconosciute a favore dell’IRSAP, «perché l’IRSAP non è stata parte nel giudizio di rinvio e non ha svolto alcuna domanda neppure con riguardo alle spese processuali».
Non potevano essere riconosciute le spese in favore del RAGIONE_SOCIALE Messina in liquidazione, in quanto la relativa statuizione di condanna contenuta nella sentenza della Corte d’appello n. 421 del 2014 era passata in giudicato per omessa
impugnazione, mentre dopo la riassunzione, all’ente non aveva svolto alcuna attività processuale.
Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
5.1. Anzitutto, si rileva che, nel caso in cui il giudizio di appello sia stato introdotto in violazione dell’art. 331 c.p.c. e la relativa nullità non sia stata rilevata né dalle parti nè dal giudice, tale violazione può essere fatta valere dalle parti (compresa quella che introdusse l’appello), con ricorso principale o incidentale avverso la sentenza conclusiva del gravame, soltanto qualora la violazione abbia riguardato una situazione di litisconsorzio necessario iniziale (art. 102 c.p.c.) o di litisconsorzio necessario processuale determinata dall’ordine del giudice (art. 107 c.p.c.), atteso che in tali casi, a differenza di ogni altra ipotesi di violazione dell’art. 331 c.p.c. (e, dunque, di litisconsorzio necessario processuale da inscindibilità o da dipendenza), non può operare la regola dell’art. 157, comma 3, c.p.c. trattandosi di violazioni rilevabili d’ufficio dalla Corte di cassazione, circostanza che esclude che la parte abbia perduto il potere di impugnare (Cass. n. 21381/2018); nel caso di specie, al più ricorre un litisconsorzio necessario processuale, per cui doveva applicarsi l’art. 157, terzo comma, c.p.c..
Inoltre, deve aggiungersi che, esaminando lo sviluppo processuale della controversia in esame, si osserva che non vi era alcun obbligo da parte della Corte d’appello, di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’IRSAP, e neppure si è formato il giudicato nei confronti del Consorzio RAGIONE_SOCIALE, in relazione alla sentenza della Corte d’appello n. 421 del 2014, che aveva riconosciuto la responsabilità solidale anche del Consorzio RAGIONE_SOCIALE
Va premesso un breve esame del quadro normativo, in relazione ai rapporti tra il Consorzio RAGIONE_SOCIALE e l’IRSAP, in senso diacronico rispetto agli atti processuali.
6.1. Pendendo il giudizio d’appello proposto dagli eredi COGNOME avverso la sentenza del tribunale di Messina del 21/12/2006, che aveva rigettato le domande proposte nei confronti del Comune del Consorzio ASI, ma aveva accolto la domanda degli attori nei confronti della società Benedetto COGNOME con condanna della stessa al pagamento della somma di euro 1.870.180,81, era stata dichiarata l’interruzione del giudizio, a seguito della dichiarazione da parte del Consorzio ASI della intervenuta messa in liquidazione.
Vi era stata, quindi, inizialmente la costituzione in giudizio del Consorzio ASI in data 2/4/2008.
A seguito della dichiarazione di interruzione, invece, si erano costituite in giudizio sia il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, sia l’IRSAP.
In particolare, la comparsa di costituzione dell’IRSAP, in persona del geometra NOME COGNOME nella qualità di commissario straordinario, risultava dal mandato nel quale si faceva riferimento all’art. 64 della legge regionale Sicilia n. 9 del 2013, «in combinato disposto con l’art. 19, comma 8, della legge regionale Sicilia n. 8 del 2012».
La comparsa di costituzione del Consorzio RAGIONE_SOCIALE ex art. 64 della regionale Sicilia n. 9 del 2013, in combinato disposto con l’art. 19, comma 8, della legge regionale Sicilia n. 8 del 2012, risultava sia dall’intestazione dell’atto, che dal mandato a margine della comparsa di costituzione.
Ciò, in quanto, originariamente l’art. 19 comma 8 della legge regionale n. 8 del 2012 prevedeva che «a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppressi e sono posti
in liquidazione i consorzi per le aree di sviluppo industriale esistenti che assumono la denominazione di consorzi per le aree di sviluppo industriale in liquidazione trascorso infruttuosamente il termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore i rapporti attivi e passivi dei soppressi consorzi per le aree di sviluppo industriale transitano in apposite gestioni a contabilità separata presso l’istituto tale da garantire ed assicurare l’assoluta distinzione delle masse patrimoniali, dei rapporti di credito e delle passività di ogni singolo Consorzio soppresso».
Pertanto, a seguito di tale disposizione, per quel che ancora qui rileva, risultava che i consorzi erano stati posti in liquidazione, assumendo la relativa denominazione di consorzi per le aree di sviluppo industriale in liquidazione. I rapporti attivi e passivi, decorsi 180 giorni, transitavano in «apposite gestioni a contabilità separata».
Nulla si prevedeva con riferimento al legale rappresentanza in giudizio.
Tuttavia, l’art. 64 della legge regionale Sicilia 15/5/2013, n. 9 reca una norma di interpretazione autentica, prevedendo che «il comma 8 dell’art. 19 della legge regionale 12 gennaio 2012, n. 8, si interpreta nel senso che il presidente dell’istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive (RAGIONE_SOCIALE, subentrato ai commissari liquidatori nominati ai sensi del comma 1 del predetto art. 19, è il legale rappresentante, anche ai fini di cui all’art. 7, comma 1, lettera h), della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10, e successive modifiche ed integrazioni, dei singoli soppressi consorzi per le aree di sviluppo industriale in liquidazione, transitati nella Gestione Separata, e che gli stessi mantengono la propria originaria autonoma personalità giuridica sino all’adozione del decreto assessoriale di cui al comma 4, ultimo periodo del citato art. 19 della legge regionale
8/2012. I predetti consorzi aggiungono alla propria denominazione le parole ‘Gestione Separata IRSAP’. In nessun caso è consentito che le singole posizioni debitorie dei soppressi Consorzi RAGIONE_SOCIALE transitino all’IRSAP ovvero nel bilancio della regione».
Pertanto, la legale rappresentanza dei Consorzi per le aree di sviluppo industriale in liquidazione spetta al Presidente dell’IRSAP.
Si spiega, così, la doppia costituzione in giudizio d’appello da parte sia dell’IRSAP, sia del Consorzio per l’area di sviluppo industriale della provincia di Messina in liquidazione-Gestione Separata RAGIONE_SOCIALE ex art. 64 della legge regionale n. 9 del 2013 in combinato disposto con l’art. 19, comma 8 della legge regionale n. 8 del 2012.
La rappresentanza legale in giudizio spettava, all’epoca, proprio al Presidente dell’IRSAP.
La Corte d’appello di Messina con la sentenza n. 421 del 27/5/2014, ha dichiarato «che il Consorzio RAGIONE_SOCIALE per la provincia di Messina è solidalmente responsabile dell’illecito».
A seguito del ricorso per cassazione presentato dagli eredi COGNOME ha resistito, in sede di legittimità, con ricorso e proponendo ricorso incidentale l’RAGIONE_SOCIALE, in persona del commissario straordinario e legale rappresentante pro tempore geometra NOME COGNOME con la nomina del legale «giusta determinazione n. 47ME dell’8/8/2014.
Nella procura a margine si fa riferimento nuovamente all’art. 64 della legge regionale Sicilia n. 9 del 2013, ai sensi dell’art. 19, comma 8, della legge regionale Sicilia n. 8 del 2012, assumendo la legale rappresentanza del RAGIONE_SOCIALE Messina in liquidazione RAGIONE_SOCIALE, il presidente dell’RAGIONE_SOCIALE.
Di nuovo, vi è il pieno rispetto della normativa vigente in tema di rapporti tra l’IRSAP ed il Consorzio RAGIONE_SOCIALE.
La legittimazione processuale del Consorzio RAGIONE_SOCIALE Messina in liquidazione-Gestione Separata RAGIONE_SOCIALE, spettava, infatti, proprio al presidente dell’IRSAP.
Pertanto, non è passata in giudicato in alcun modo la sentenza della Corte d’appello n. 421 del 2014, che aveva dichiarato responsabile in solido anche il Consorzio RAGIONE_SOCIALE
È evidente, infatti, che il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, è stato rappresentato in giudizio proprio dal Presidente dell’IRSAP, ai sensi dell’art. 64 della legge regionale Sicilia n. 9 del 15/5/2013.
La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 27304 del 2018, ha accolto il ricorso incidentale proposto dall’IRSAP, reputandolo «avente causa dal Consorzio RAGIONE_SOCIALE», ma, in realtà, come correttamente rilevato dalla Corte d’appello di Messina, nel giudizio di rinvio, con la sentenza n. 840 del 2022, oggetto di impugnazione, il ricorso incidentale è stato proposto proprio dal Consorzio RAGIONE_SOCIALE, attraverso la rappresentanza legale del Presidente dell’IRSAP.
Il ricorso incidentale, dunque, riguarda proprio la posizione processuale sostanziale del RAGIONE_SOCIALE, sicché non risulta passata in giudicato la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 421 del 2014, che aveva affermato la responsabilità solidale anche del Consorzio RAGIONE_SOCIALE
10.1. Del resto, è sufficiente scorrere la motivazione dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 27304 del 2018, per verificare l’avvenuta impugnazione della sentenza della Corte d’appello di Messina n. 421 del 2014 da parte del Consorzio RAGIONE_SOCIALE, rappresentato dal Presidente dell’RAGIONE_SOCIALE.
Si legge, in particolare, a pagina 5 della motivazione dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 27304 del 2018 che «avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la
NOME COGNOME per 7 motivi . Hanno resistito con controricorso i COGNOME, il Comune e l’IRSAP – Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive, in qualità di avente causa del Consorzio ASI. I COGNOME ed RAGIONE_SOCIALE hanno a loro volta proposto ricorso incidentali».
Tra l’altro, a pagina 6 della motivazione dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 27304 del 2018, si chiarisce che il ricorso incidentale proposto dall’IRSAP, atteneva proprio all’esclusione della responsabilità in solido del Consorzio RAGIONE_SOCIALE, accertata dalla Corte d’appello con sentenza n. 421 del 2014 («va esaminato il primo motivo di ricorso incidentale proposto dall’IRSAP, con cui quest’ultimo denuncia la violazione la falsa applicazione degli articoli 1292 seguenti, 1294, 2043 e 2055 c.c. sostenendo che, nell’affermare la responsabilità solidale del Consorzio per violazione dell’obbligo di vigilanza, la sentenza impugnata non ha considerato che l’affidamento in concessione della realizzazione di un’opera pubblica comporta il trasferimento al concessionario delle pubbliche funzioni connesse procedimento espropriativi »).
10.2. Ed infatti, per questa Corte l’identificazione delle parti contro cui è diretto il ricorso per cassazione deve avvenire, non solo tenendo conto delle relative indicazioni nell’esposizione dei motivi di impugnazione, essendo sufficiente, analogamente a quanto previsto dall’art. 164 c.p.c., che se risultino inequivocabilmente, anche se implicitamente, dal contesto del ricorso, ovvero dalla riferimento ad atti nei precedenti gradi di giudizio, da cui si agevole identificare con certezza la parte intimata (Cass., sez. 3, 28/3/2023, n. 8778; Cass., sez. 2, 7/9/2009, n. 19286; Cass., sez. 2, 21/2/2006, n. 3737; Cass., sez. 2, 2/2/2016, n. 1989).
10.3. La determinazione del presidente RAGIONE_SOCIALE n. 47/ME dell’8/8/2014, reca l’intestazione «RAGIONE_SOCIALEIstituto regionale per lo
sviluppo delle attività produttive- ente pubblico non economico», con a fianco l’indicazione «RAGIONE_SOCIALE Messina in liquidazioneGestione Separata IRSAP».
Con tale determinazione si propone di «costituirsi dinanzi alla suprema Corte di cassazione nel giudizio promosso dagli eredi COGNOME, avverso la sentenza n. 421/2014 emessa dalla Corte d’appello di Messina per una causa risarcitoria da occupazione usurpativa, e proporre eventuale ricorso incidentale avverso la precisata sentenza».
Tra l’altro si fa riferimento nelle premesse all’art. 64 della regionale Sicilia n. 9 del 15/5/2013, con il quale sono state emanate norme di interpretazione autentica del comma 8 dell’art. 19 della legge regionale Sicilia n. 8 del 2012.
Con tale determina n. 47 del 2014, si autorizza la costituzione dinanzi alla suprema Corte di cassazione nel giudizio promosso dagli eredi COGNOME avverso la sentenza n. 421 del 2014 emessa dalla Corte d’appello di Messina «per una causa risarcitoria da occupazione usurpativa e proporre eventuale ricorso incidentale avverso la precitata sentenza».
10.4. Con la determina n. 50 dell’8/8/2014 il direttore generale dell’IRSAP autorizzato la costituzione dinanzi alla suprema Corte di cassazione «per una causa risarcitoria da occupazione usurpativa promossa da eredi COGNOME al fine di eccepire la carenza di legittimazione passiva dell’istituto».
Si dava atto di tale determina n. 5 del 2014 che «in data 9/7/2014 è pervenuta comunicazione dal legale dell’ente della notifica del ricorso per cassazione proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE.
10.5. L’estensione soggettiva della sentenza della Cassazione alla luce del contenuto del motivo (riferito al Consorzio) e degli atti
processuali (la procura a margine del ricorso incidentale e la successiva memoria), in base alla regola applicabile in tema di giudicato (si interpreta anche in base agli atti processuali) è nel senso della pronuncia anche nei confronti del Consorzio (la mancata indicazione nell’intestazione e nella parte in fatto è frutto di errore materiale – e non errore di diritto non emendabile: sul punto va corretta la motivazione, il cui rilievo comunque non costituisce ratio decidendi , tale essendo la portata soggettiva della sentenza di legittimità)
11. L’atto di riassunzione, a seguito dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 27304 del 2018, è stato predisposto correttamente dal RAGIONE_SOCIALE Messina liquidazione, con atto del 18/1/2019.
A tale data, infatti, la normativa era ulteriormente cambiata.
11.1. Infatti, l’art. 19 della legge regionale Sicilia n. 8 del 17/5/2016 ha sostituito il comma 8 dell’art. 19 della legge regionale n. 8 del 2012 prevedendo che «trascorso infruttuosamente il termine di cui al comma 4, i rapporti attivi e passivi dei soppressi consorzi per le aree di sviluppo industriali della regione permangono in capo agli stessi, posti in liquidazione, e ciò sino alla definitiva chiusura delle operazioni di liquidazione. In nessun caso è consentito che le singole posizioni debitorie dei soppressi consorzi ASI transitino all’IRSAP ovvero nel bilancio della regione. Ogni singola liquidazione di cui al presente comma è amministrata, ai fini della celere conclusione delle operazioni di liquidazione, da un commissario liquidatore nominato dall’assessore regionale per le attività produttive 3 dirigenti degli ex consorzi ASI, competenti per territorio, con qualifiche d’anzianità complessiva di servizio più elevata, o, in mancanza, tra i funzionari degli ex consorzi in possesso dei requisiti di legge».
In particolare, si sottolinea che «al liquidatore nominato ai sensi del presente comma è attribuita, altresì, la legale rappresentanza della liquidazione».
Questa è la ragione per cui l’atto di riassunzione stato predisposto, non dall’IRSAP, in persona del presidente, ma proprio dal RAGIONE_SOCIALE Messina in liquidazione.
Pertanto, non vi era ragione per ordinare l’integrazione del contraddittorio, da parte della Corte d’appello di Messina, nei confronti dell’IRSAP, in quanto, a seguito della modifica normativa di cui all’art. 19 della legge regione Sicilia n. 8 del 17/5/2016, a quell’epoca, e quindi il 18/1/2019, la legale rappresentanza della liquidazione spettava al liquidatore, e non più al presidente dell’IRSAP.
12.1. Allo stesso modo, non è passata in giudicato la statuizione della Corte d’appello di Messina n. 421 del 2014, che aveva reputato sussistere la responsabilità solidale del RAGIONE_SOCIALE unitamente a quella della società RAGIONE_SOCIALE
Tale sentenza è stata impugnata correttamente con ricorso incidentale da parte RAGIONE_SOCIALE con atto del 18/9/2014, precedente dunque alla modifica di quella regionale Sicilia n. 8 del 2016, ma successivo all’art. 64 della legge regionale Sicilia n. 9 del 15/5/2013, che attribuiva al Presidente dell’RAGIONE_SOCIALE la legale rappresentanza dei singoli consorzi soppressi per le aree di sviluppo industriale in liquidazione.
Per tale ragione, si dava atto nel controricorso al ricorso incidentale della delibera n. 47ME dell’8/8/2014, con riferimento, appunto, all’art. 64 della regionale Sicilia n. 9 del 2013, ai sensi dell’art. 19, comma 8, della legge regionale Sicilia n. 8 del 2012, con attribuzione al Ppresidente dell’IRSAP della legale rappresentanza
pro tempore del RAGIONE_SOCIALE Messina in liquidazione-Gestione Separata RAGIONE_SOCIALE.
L’ordinanza della Corte di cassazione n. 27304 del 2018, che ha travolto la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 421 del 2014, escludendo la responsabilità solidale del Consorzio RAGIONE_SOCIALE ha impedito la formazione del giudicato sulla responsabilità di quest’ultimo.
12.2. Risultano, poi, inammissibili, in quanto nuove, le censure in ordine al mancato decorso del termine di cui al comma 4 dell’art. 19 della legge regionale Sicilia n. 8 del 2012.
Inoltre, la terza censura è inammissibile perché attinge una seconda ratio decidendi , mente persiste la prima.
Il quarto motivo di ricorso è infondato.
La Corte d’appello di Messina, con la sentenza n. 840 del 2022, si è limitata a fare applicazione del principio della soccombenza.
Si è tenuto conto dell’esito complessivo del giudizio, che ha visto soccombenti gli eredi COGNOME nel rapporto con il Comune di Messina.
La Corte ha fatto applicazione del criterio della soccombenza in base all’esito complessivo finale e questo giustifica le spese in favore del Comune; per l’IRSAP non c’è stata liquidazione delle spese per il giudizio di rinvio; circa il Consorzio le spese seguono la soccombenza (e la compensazione è riservata al giudice del merito).
15.Le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, essendo intervenuta la recente sentenza della Corte edu del 5 settembre 2024, causa COGNOME RAGIONE_SOCIALE cRAGIONE_SOCIALE
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 gennaio