Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6774 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6774 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23205/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
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-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, MARCIANO ROCCO
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di NAPOLI n. 758/2020 depositata il 18/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE -la
R.G. 23205/2020
COGNOME.
Rep.
C.C. 2/2/2024
C.C. 14/4/2022
RESPONSABILITÀ CIVILE. INCIDENTE IN CANTIERE.
quale chiamò in garanzia NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE -chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni da lui subiti in occasione di un sinistro verificatosi nel cantiere edile della società convenuta.
Espose, a sostegno della domanda, che, mentre si trovava all’interno del cantiere, egli era stato colpito alla testa da una pietra precipitata dall’alto, riportando danni alla salute.
Si costituirono in giudizio la società convenuta e la società assicuratrice, chiedendo il rigetto della domanda, mentre il COGNOME rimase contumace.
Il Tribunale rigettò la domanda.
La pronuncia è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 18 febbraio 2020, ha accolto l’appello e, in riforma della decisione del Tribunale, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME al risarcimento dei danni, liquidati nella complessiva somma di euro 18.134,66, nonché al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di residuo interesse in questa sede, che era da ritenere dimostrato, in base alle risultanze di causa, che il danno era stato determinato dalla caduta dall’alto di un forato di terracotta, determinata dalla negligenza di NOME COGNOME, dipendente della società RAGIONE_SOCIALE. Da tale premessa derivava, in conformità all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, che, trattandosi di violazione di diritti assoluti, era da ritenere ammissibile il concorso dell’azione contrattuale con quella extracontrattuale; per cui la condotta dannosa, astrattamente riconducibile all’art. 2087 cod. civ., poteva essere ricondotta entro il paradigma dell’art. 2043 cod. civ., a condizione che tale inquadramento avesse ad oggetto i fatti prospettati dalle parti. E poiché l’attore aveva espressamente invocato la lesione degli artt.
2043 e 2051 cod. civ., l’azione era da ritenere fondata su di un titolo extracontrattuale, al cui accoglimento era sufficiente l’accertata circostanza dell’essere rimasta la vittima ferita a causa della caduta di un oggetto dall’alto.
Quanto alla domanda di manleva proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società di assicurazione, la stessa non era stata riproposta in appello ed era, pertanto, da considerare abbandonata.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con atto affidato a quattro motivi.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
La società ricorrente ha depositato una memoria tardiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 cod. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente la responsabilità della società ricorrente senza considerare che la vittima aveva tenuto un comportamento rischioso di per sé sufficiente a determinare l’evento e per non aver considerato l’assenza di responsabilità derivante da cose in custodia.
Osserva la parte ricorrente che la presenza indebita di terzi nel luogo di lavoro, come nella specie, interrompe il nesso di causalità tra il fatto dannoso e il danno; il danneggiato COGNOME si trovava clandestinamente sul luogo dell’incidente, per cui la sua negligenza era da ritenere sufficiente a determinare il danno; il quale danno, poi, non deriverebbe da cose in custodia, bensì dall’operato di terzi, pacifico essendo che il mattone forato che aveva colpito l’attore era stato gettato dall’alto da NOME COGNOME.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta in via subordinata, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 1227 cod. civ., per non avere la Corte d’appello valorizzato la cooperazione colposa del danneggiato, da ritenere concausa del sinistro.
Questi due motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi tra loro, sono entrambi inammissibili.
Osserva la Corte, innanzitutto, che il ricorso è formulato con una tecnica non rispettosa dell’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., in quanto è sostanzialmente privo di un’esposizione sommaria dei fatti.
Tale rilievo, che ha natura preliminare e generale, riferibile quindi al ricorso nella sua globalità, viene in evidenza in modo particolare in rapporto ai due motivi ora in esame, perché la società ricorrente contesta una serie di profili di fatto -relativi alla presenza della vittima, asseritamente indebita, sul luogo del sinistro -che non è dato sapere se e quando furono proposti ed esaminati in sede di merito o comunque oggetto di discussione. Ne consegue che le censure prospettate, risolvendosi nell’indebito e surrettizio tentativo di sollecitare in questa sede un diverso esame del merito, sono entrambe inammissibili.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello pronunciato in ultrapetizione.
Secondo la ricorrente, poiché la vittima aveva chiesto un risarcimento pari ad euro 8.176, la Corte d’appello, liquidando il danno nella maggiore somma di euro 18.134,66, sarebbe incorsa in ultrapetizione.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Fermo restando il rilievo generale fatto a proposito dei due motivi precedenti, la Corte osserva che questo motivo -che pure potrebbe, in astratto, essere fondato -non è esaminabile in questa sede, in assenza di ogni riscontro relativo al giudizio di merito. La società ricorrente, infatti, non ha riprodotto il contenuto dell’atto di appello proposto a suo tempo dal danneggiato poi risultato vincitore; per cui, essendo quest’ultimo rimasto intimato nel presente giudizio di cassazione, l’argomento proposto dalla parte ricorrente non è verificabile, nel senso che non è dato sapere quale fosse la domanda proposta da controparte, né questa Corte può supplire d’ufficio all’inerzia della parte che è tenuta a dimostrare la fondatezza delle proprie censure.
Rileva la Corte, inoltre, ad ulteriore conferma dell’inidoneità del motivo in esame a superare la decisione impugnata, che la Corte d’appello ha liquidato il danno subito dalla vittima esprimendolo in valori attuali, cioè con la rivalutazione; sulla somma così calcolata, poi, la Corte napoletana ha conteggiato anche gli interessi compensativi, con il sistema della devalutazione della somma alla data dell’incidente e successiva rivalutazione della stessa anno per anno (attenendosi ai criteri della ben nota sentenza 17 febbraio 1995, n. 1712, delle Sezioni Unite di questa Corte).
Rimane tutto da dimostrare, dunque, tenendo conto anche del lungo tempo trascorso dalla data dell’incidente fino a quella della liquidazione, che la sentenza qui impugnata sia davvero incorsa nel vizio di ultrapetizione.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 346 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto rinunciata la domanda di manleva avanzata contro la società di assicurazione, senza considerare che il Tribunale, avendo rigettato la domanda principale, aveva omesso
di pronunciarsi sulla domanda di manleva, per cui la mancata riproposizione non era sufficiente a far ritenere la domanda abbandonata.
5.1. Il motivo è privo di fondamento.
Ed infatti, ribadito ancora il preliminare rilievo di inammissibilità compiuto riguardo ai primi due motivi, la Corte osserva che la domanda di manleva andava comunque riproposta in grado di appello ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., come da insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 12 maggio 2017, n. 11799).
La domanda di manleva, infatti, non era stata evidentemente esaminata dal Tribunale, atteso l’esito di rigetto della domanda risarcitoria. Ne consegue che, una volta messa in discussione la decisione di primo grado con l’atto di appello, l’odierna ricorrente, benché non fosse tenuta alla proposizione dell’appello incidentale sul punto, era tenuta, invece, alla riproposizione della domanda di manleva, dovendosi ritenere in caso contrario l’abbandono della stessa.
La prospettata violazione di legge, quindi, non sussiste.
Il ricorso, pertanto, è rigettato.
Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.
Sussistono tuttavia le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza