Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21027 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21027 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
Oggetto
Responsabilità Geometra
professionale
–
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27193/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO (p.e.c.: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO,
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. n. 1671/2022, depositata in data 8 agosto 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 luglio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il geom. NOME COGNOME ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello di Firenze -investita del gravame da lui proposto avverso la decisione di primo grado che, nel rigettare la domanda risarcitoria da responsabilità professionale nei suoi confronti proposta da NOME COGNOME, aveva omesso di pronunciarsi sulla sua domanda riconvenzionale di condanna del COGNOME al pagamento dei compensi per l’opera svolta e lo aveva anche condannato alla rifusione delle spese nei confronti della RAGIONE_SOCIALE da lui chiamata in garanzia -ha confermato tale ultima statuizione per la ritenuta inoperatività della polizza e, quanto alla prima, riconosciuta bensì l’omessa pronuncia sulla detta domanda riconvenzionale da parte del primo giudice, procedendo al suo esame l’ha tuttavia ritenuta infondata per essere stata la relativa pretesa oggetto di rinuncia nell’ambi to di dichiarazione di natura confessoria con la quale il COGNOME aveva riconosciuto gli errori commessi e si era fatto carico delle spese e dei danni da essi derivati.
Resistono con controricorsi entrambi gli intimati -vale a dire il COGNOME, da un lato, e la RAGIONE_SOCIALE , dall’altro –
il COGNOME proponendo anche ricorso incidentale affidato a un solo motivo.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE deposita altro controricorso per resistere al ricorso incidentale.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Tutte le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale -rubricato « violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.: violazione e falsa applicazione degli art. 112 c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo del giudizio; violazione degli artt. 1362 e ss. c.c.; omessa/erronea interpretazione della dichiarazione del professionista » –NOME COGNOME si duole del rigetto della domanda relativa ai compensi.
Rileva che dall’esame del documento non emerge in nessun modo la volontà di rinunciare al credito per le prestazioni professionali e che il contrario giudizio espresso dalla Corte territoriale è apodittico e immotivato.
Soggiunge he, trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato, il corrispettivo non perde la sua causa per il fatto che la prestazione sia stata eseguita in modo inesatto o negligente.
Peraltro -osserva ancora- non consta che le attività del COGNOME siano state tutte errate, né risulta che il COGNOME abbia ricevuto diniego ad operare i lavori effettuati da parte della Pubblica amministrazione, come non risulta che l’immobile da lui alienato sia pericolante o, peggio, rovinato, né che l’acquirente lo abbia coinvolto in una causa per una qualche responsabilità connessa al lavoro svolto da esso ricorrente.
Il motivo è fondato e merita accoglimento.
La motivazione sul punto addotta in sentenza risulta assai scarna, tanto da risultare meramente apparente e da rendere la conclusiva valutazione di infondatezza della pretesa relativa ai compensi meramente apodittica.
L ‘assunto ivi espresso, infatti, secondo cui dalla dichiarazione in questione -con la quale il COGNOME riconosceva di aver commesso « un errore di progettazione » e dichiarava di assumersi « ogni responsabilità e onere inerente e riconducibile all’errore su descritto » e di sollevare « indenne il sig. COGNOME da ogni spesa o mancato guadagno dovesse derivargli dall’errore su esposto » -dovrebbe trarsi univoca rinuncia ai compensi spettanti per l’opera prestata, comporta l’attribuzione alle parole usate, singolarmente e nel loro complesso lette, di un significato in nessun modo riconducibile al loro spettro semantico.
Questo invero univocamente indirizza l’interpretazione della dichiarazione nel senso della assunzione di responsabilità da parte del professionista e del corrispondente esonero da qualsiasi onere derivante in capo al cliente solo in relazione ai pregiudizi (da danno emergente o da lucro cessante) derivanti dall’errore di progettazione, quale non è certamente, anche secondo il senso comune, il compenso spettante al professionista.
3. C on il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’ art. 1917 c.c. in relazione alla confermata sua condanna alla rifusione delle spese del giudizio di primo in favore della RAGIONE_SOCIALE chiamata in garanzia.
Afferma che la pronuncia della Corte territoriale -che ha ritenuto inoperante la polizza in caso di errori del professionista concernenti la violazione di vincoli urbanistici, sia in sede di progettazione che di esecuzione -si basa su un presupposto inesistente, ovvero che l’odierno ricorrente abbia introdotto la propria domanda di manleva in relazione all’intera domanda attorea, mentre in realtà egli ha
domandato di essere garantito dalla sua RAGIONE_SOCIALE di assicurazione in relazione alla sola parte dei presunti danni effettivamente rientranti nella copertura assicurativa ( in thesi , quelli correlati alle dimensioni di una finestra e delle scale): precisazione, questa, sempre tenuta presente nel prosieguo del giudizio e alla quale si era anche attenuto il c.t.u..
Sostiene che, pertanto, la condanna alla refusione delle spese di lite a favore della RAGIONE_SOCIALE assicuratrice non ha ragion d’essere . Se, infatti, la domanda risarcitoria del cliente (COGNOME) è stata respinta e la chiamata in causa della RAGIONE_SOCIALE assicuratrice del professionista è stata introdotta legittimamente, sia pure in parte qua , con specifico riferimento alle attività coperte dalla polizza, le spese di giudizio non possono che gravare sull’attore .
Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ..
Esso postula, infatti, un fondamento motivazionale della statuizione impugnata che non emerge dalla sentenza.
L’assunto censorio postula invero che: a) la copertura assicurativa non escludesse tutti gli errori commessi dal professionista ma solo alcuni (quelli relativi all’altezza della stanza ); b) la domanda di manleva fosse limitata agli errori non esclusi dalla copertura ( in thesi , tali sarebbero quelli relativi alle dimensioni di una finestra e delle scale); c) la sentenza avrebbe invece erroneamente ritenuto che la domanda di manleva fosse riferita anche ai primi.
Nessuna di tali affermazioni trova, però, riscontro nella motivazione, la quale ha ben diversamente ritenuto che tutti gli errori del professionista fossero esclusi dalla copertura assicurativa, in quanto tutti frutto della violazione di vincoli urbanistici o di norme edilizie.
Quello dedotto, dunque, è un motivo inidoneo a svolgere la funzione di critica propria di un motivo di impugnazione.
Devesi al riguardo richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.
In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un « non motivo », è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 11/01/2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Id. 5/08/2016, n. 16598; Id. 3/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 5/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 4/03/2005, n. 4741).
Riguardata sotto altro profilo, la censura finisce col porre una questione di fatto, non di diritto, vale a dire la ricognizione in punto di fatto dell’effettivo contenuto e dei limiti della copertura assicurativa, sollecitando in tal modo un sindacato diverso da quello richiesto con la denuncia di error in iudicando e, comunque, non consentito in questa sede.
5. Con l’unico motivo del ricorso incidentale rubricato « violazione
dell’art. 360 n.5 c.p.c. per omesso esame e/o omessa adeguata motivazione circa il mancato esperimento di un’integrazione di ctu » –NOME COGNOME lamenta che erroneamente la Corte d’appello abbia dichiarato inammissibile il gravame incidentale da lui proposto con riferimento al rigetto, da parte del primo giudice, della sua domanda risarcitoria.
Contesta la valutazione dei giudici d’appello secondo cui il motivo di gravame (nella parte in cui censurava la sentenza di primo grado per avere escluso la sussistenza di un danno risarcibile) mancava di una parte argomentativa -rilevando che il motivo era chiaramente inteso a evidenziare come il Tribunale avesse interpretato erroneamente le risultanze della c.t.u. ed avesse anche omesso di disporre un’integrazione della c.t.u..
Prima di esaminare il motivo nel merito, v’è da rilevare come il suo contenuto non sia coerente con la sua intitolazione.
Il ricorrente incidentale, infatti, pur prospettando formalmente un vizio di « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e/o omessa adeguata motivazione », nella sostanza lamenta la violazione d’una regola processuale, così prospettando il differente vizio di cui all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ..
Questo errore nell’inquadramento della censura, tuttavia, non è di ostacolo all’esame del motivo.
Infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. “vizio di sussunzione” (e cioè erri nell’inquadrare l’errore che si assume commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’art. 360 c.p.c.), il ricorso non può per ciò solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 17931 del 24/07/2013).
Nel caso di specie, l’illustrazione contenuta nelle pagg. 5-6 del
ricorso è sufficientemente chiara nel prospettare la violazione, da parte della Corte d’appello, dell’art. 342 cod. proc. civ..
Il motivo va nondimeno detto inammissibile, per inosservanza dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ..
Il ricorrente ha, infatti, omesso sia di individuare e riportare le statuizioni dei capi della sentenza di primo grado – nei confronti dei quali l’impugnazione proposta dovrebbe ritenersi, diversamente da quanto ritenuto dai giudici d’appello, provvista dei requisiti di specificità -, sia di trascrivere per esteso il contenuto dell’atto di appello, così impedendo alla Corte, in difetto della compiuta descrizione del fatto processuale, di procedere alla preliminare verifica di ammissibilità del motivo di ricorso mediante accertamento della rilevanza e decisività del vizio denunciato rispetto alla pronuncia impugnata per cassazione.
Né può soccorrere al ricorrente la diversa qualificazione giuridica del vizio di legittimità come error in procedendo – in relazione al quale la Corte è anche «giudice del fatto», potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito – atteso che, come è stato ripetutamente precisato, anche in quel caso si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077; Cass. 4/02/2022, n. 3612; 23/12/2020, n. 29495; 15/03/2019, n. 7499; 20/07/2012, n. 12664; 13/06/2014, n. 13546; 23/07/2009, n. 17253; 23/01/2006, n. 1221; 7/03/2006, n. 4840), essendo pertanto tenuta la parte ricorrente ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» di cui richiede il riesame, affinché il corrispondente motivo sia ammissibile e
contenga tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. 21/05/2004, n. 9734; 23/03/2005, n. 6225).
In particolare, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (cfr. Cass. 10/10/2022, n. 29357; 10/01/2012, n. 86; 10/11/2011, n. NUMERO_DOCUMENTO, 20/09/2006, n. 20405).
In accoglimento, dunque, del primo motivo del ricorso principale, dichiarato inammissibile il secondo motivo e inammissibile altresì il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata in relazione e la causa rinviata al giudice a quo , al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso principale; dichiara inammissibile il secondo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel
testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza