Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7571 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7571 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15748/2023 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in Taranto INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende -ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in TARANTO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente –
Oggetto: Pubblica amministrazione -Rapporto contrattuale -Prosecuzione successiva alla scadenza -Responsabilità -Art. 191, d.P.R. n. 267/2000
R.G.N. 15748/2023
Ud. 12/03/2025 CC
nonché contro
COMUNE DI TARANTO , in persona del Sindaco pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO LECCE -SEZ. DISTACC. TARANTO n. 32/2023 depositata il 25/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 12/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 32/2023, pubblicata in data 25 gennaio 2023, la Corte d’appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto, nella regolare costituzione degli appellati COMUNE DI TARANTO e NOME COGNOME – Dirigente del settore Ambiente Salute e Qualità della Vita del medesimo Comune ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Taranto n. 1928/2020, pubblicata in data 2 novembre 2020, la quale, a propria volta, aveva respinto la domanda dell’odierna ricorrente volta a conseguire la condanna degli odierni controricorrenti alla corresponsione dell ‘importo di 246.745,62, a titolo di corrispettivo per la gestione di un canile avvenuta in proroga.
La Corte d’appello, confermando l’impostazione seguita dal giudice di prime cure, ha, in primo luogo, escluso che potesse ravvisarsi una responsabilità del COMUNE DI TARANTO, richiamando il chiaro disposto di cui all’art. 191, d.P.R. n. 267/2000, eviden ziando che il rapporto contrattuale – proseguito senza un previo e regolare atto
amministrativo e senza l’osservanza dei controlli contabili relativi alla relativa spesa – si era in realtà instaurato con NOME COGNOME
Operata tale premessa, ed osservato che nella fase di proroga della gestione RAGIONE_SOCIALE aveva emesso fatture mensili con la stessa periodicità che era stata precedentemente osservata nel periodo di vigenza del regolare rapporto contrattuale con il Comune, la Corte d’appello ha, conseguentemente, ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 4), c.c.
La Corte territoriale, infatti, ha rilevato in fatto che il termine di prescrizione era stato tardivamente interrotto soltanto nell’ottobre 2016, a fronte della cessazione del servizio di gestione del canile risalente al novembre 2007 ed ha escluso che un effetto interruttivo potesse essere ricollegato alla precedente controversia instaurata nel 2008 nei confronti del COMUNE DI TARANTO, non sussistendo una responsabilità solidale di quest’ultimo ex art. 1310 c.c.
La Corte territoriale, conseguentemente, ha ritenuto insussistente la fattispecie di azione surrogatoria ex art. 2900 c.c., non sussistendo un debito di NOME COGNOME verso l’appellante e, conseguentemente, un debito del COMUNE DI TARANTO verso NOME COGNOME.
La Corte d’appello, infine, ha evidenziato che in ogni caso l’azione della RAGIONE_SOCIALE sarebbe risultata infondata anche ritenendo applicabile la prescrizione ordinaria decennale, rilevando che la responsabilità diretta dell’amministratore o funzi onario pubblico ex art. 191 d.P.R. n. 267/2000 postula pur sempre la concreta possibilità di scelta discrezionale da parte del medesimo funzionario, laddove nella specie non solo la proroga della gestione aveva avuto inizio ben due anni e mezzo prima che il funzionario assumesse la carica ma anche NOME COGNOME aveva posto in essere plurime condotte volte
ad evidenziare la irregolarità della proroga, risultando quindi insussistente qualsiasi comportamento commissivo o omissivo del medesimo appellato che avesse determinato o consentito l’irregolare prosecuzione della gestione del canile.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Taranto ricorre RAGIONE_SOCIALE
Resistono con separati controricorsi COMUNE DI TARANTO e NOME COGNOME.
In data 25 settembre 2023, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza della parte ricorrente per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La ricorrente ed il controricorrente COGNOME hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nella proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. -cui si può rinviare anche per la sintesi dei motivi di ricorso -si osserva testualmente
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art.115 c.p.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. per aver la Corte territoriale posto a fondamento della decisione prove documentali inesistenti, con riferimento all’assenz a di contratto nel periodo di fatturazione con periodicità di fatto mensile delle prestazioni per cui è causa.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli art. 2946 e 2948 c.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c., sempre con riferimento alla ritenuta prescrizione quinquennale Con il terzo motivo la ricorrente denuncia errore in iudicando e in procedendo con riferimento allo stesso argomento e al carattere volontario della fatturazione mensile delle prestazioni eseguite.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia falsa e/o omessa applicazione degli artt. 1173 e 1218 del c.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c., con riferimento all’istituto del ‘contratto sociale qualificato’ e alla decennalità della prescrizione della responsabilità da esso scaturente.
Tutti e quattro motivi aggrediscono, in differenti prospettive, l’affermazione della Corte di appello, conforme alla decisione di primo grado, circa la applicabilità della prescrizione quinquennale, e non decennale, all’azione proposta ex art.191 d.lgs. 26 7/2000 nei confronti dell’arch. COGNOME con ripercussione sull’azione surrogatoria proposta nei confronti del Comune di Taranto ex art.2900 c.c.
A pagina 5 e seguenti la Corte di appello ha tuttavia addotto una seconda ratio decidendi, di per sé idonea a sorreggere il decisum sul piano logico e giuridico, rimasta esente da pertinenti e specifiche censure, allorché ha affermato che «A non dissimili conclusioni si dovrebbe comunque giungere anche ritenendo applicabile al caso di specie la ordinaria prescrizione decennale, come ritiene la parte appellante, poiché la responsabilità diretta dell’amministratore o funzionario pubblico ex art 191 DPR 267/2000 postula pur sempre la concreta possibilità di scelta discrezionale da parte dello stesso, che abbia quanto meno ‘consentito’ la fornitura del servizio o del bene alla P.A..»
A tale affermazione segue ulteriore ampia motivazione, che ha condotto la Corte di appello a concludere che «dagli atti processuali non emerge alcun comportamento commissivo o omissivo dell’odierno appellato che possa aver determinato o soltanto ‘consentito’ l’irregolare prosecuzione della gestione del canile per cui è causa da parte della RAGIONE_SOCIALE».
I motivi appaiono quindi tutti inammissibili perché rivolti solo nei confronti di una concorrente ratio decidendi del provvedimento impugnato, che si fonda su di una pluralità di ragioni, distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerlo sul piano logico e giuridico con il conseguente difetto di interesse delle censure che non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione (Sez. 1, n. 18641 del 27.7.2017; Sez. 6 – 5, n. 9752 del 18.4.2017; Sez. 1, n. 18119 del 31.8.2020; Sez. U, n. 7931 del 29.3.2013) ‘ .
Questa Corte ritiene di dover confermare le conclusioni formulate nella proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c., in quanto la carenza fondamentale che affligge il ricorso -rendendolo inammissibile (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019) – è costituita dalla mancata impugnazione della seconda ratio decidendi posta a fondamento della sentenza impugnata.
Ciò non esime questa Corte dall’evidenziare, peraltro, l’autonoma inammissibilità dei singoli motivi di ricorso, dovendosi osservare, in sintesi, che:
il primo motivo di ricorso si traduce in una – generica -censura rivolta alla valutazione delle prove operata dal giudice di merito e ad esso riservata (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022;
Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004), non senza rilevare, ulteriormente, che il motivo fallisce anche nel cogliere il nucleo del ragionamento seguito dalla decisione impugnata, la quale si è limitata a rilevare che le fatture venivano emesse con la stessa periodicità del periodo di vigenza del contratto, senza invece affermare -come invece sembra opinare la ricorrente -che le stesse fatture -pacificamente esistenti – si venivano a basare su un contratto;
il secondo motivo mira a censurare -in modo inammissibile – la valutazione del giudice del merito in ordine alla individuazione, sulla base delle allegazioni della parte, del termine di prescrizione e cioè un giudizio che non è utilmente censurabile in cassazione, posto che esso si colloca sul terreno dell’ermeneusi della domanda giudiziale e trova unico limite nel rispetto della regola della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato;
il terzo motivo non viene ad evidenziare alcun concreto error in procedendo della Corte d’appello, ma si sostanzia di un una censura indirizzata, ancora una volta, alla ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito;
il quarto motivo -sul quale la ricorrente insiste anche nella propria memoria ex art. 380bis .1 c.p.c., impropriamente intestata ‘comparsa conclusionale’ viene, in realtà, a dedurre un profilo che non risulta essere stato in alcun modo affrontato nella decisione impugnata e che parte ricorrente non deduce di aver sollevato nei precedenti gradi di giudizio – individuando, in ossequio all’art. 366 c.p.c., l’atto o gli atti nei quali sarebbe
avvenuta tale deduzione – con conseguente applicazione del principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, per cui qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013).
Quanto alle argomentazioni ulteriormente spese dalla ricorrente sia nella propria istanza di decisione sia nella memoria ex art. 380bis.1 c.p.c., si può osservare, sinteticamente, che:
-il richiamo alla sentenza 28 ottobre 2021 della Corte EDU risulta del tutto non pertinente, per un duplice ordine di ragioni:
questa Corte, sulla scorta della decisione della Corte EDU, ha rimodulato l’interpretazione della regola di specificità di cui all’art. 366, primo comma, n. 4 e n, 6, c.p.c., fissandone la declinazione secondo criteri di sinteticità e chiarezza tali da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza
del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; ma cfr. anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021);
questa Corte sta dando conferma ad un ben diverso principio che concerne il distinto profilo della inammissibilità della deduzione, in sede di legittimità, di profili che non risultino affrontati nei precedenti gradi di merito -nella specie la deduzione di un titolo di responsabilità del tutto distinto da quello originariamente dedotto -rispondendo detto principio ad un’esigenza, non di mero formalismo, bensì di garanzia del diritto di difesa dell’altra parte del giudizio , non potendosi ritenere equo il processo che sfoci in una decisione fondata su elementi di fatto o di diritto che non sono stati discussi durante il procedimento medesimo e che danno alla controversia una svolta che neppure una parte diligente avrebbe potuto anticipare, integrandosi, diversamente, una violazione dell’art. 6 CEDU (cfr. Corte europea diritti dell’uomo, 29 giugno 2023, COGNOME c. Italia ; Corte europea diritti dell’uomo, 3 novembre 2022, RAGIONE_SOCIALE Belgio );
-non può ravvisarsi alcun effetto riflesso di giudicato in ordine alla posizione del controricorrente NOME COGNOMEe quindi sulla sua ipotizzata responsabilità -per effetto dell’ordinanza di questa Corte Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26199 del 2017 in quanto, al di là dalla circostanza per cui il provvedimento è stato adottato in un giudizio nel quale il
medesimo NOME COGNOME non era parte, trova comunque applicazione il principio per cui l’invocata ‘efficacia riflessa’ del giudicato verso i terzi non solo non opera quando a venire in rilievo è un diritto soggettivamente ed oggettivamente autonomo (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 15380 del 13/05/2022) ma anche postula che non si determini, nei confronti dei terzi stessi, un “pregiudizio giuridico” derivante dalla precedente decisione (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 8101 del 23/04/2020), come invece verrebbe a verificarsi nel caso di specie.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore della ricorrente soccombente al pagamento, in favore dei controricorrenti, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause
originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida, per ciascuno di essi, in € 5.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti , della somma equitativamente determinata in € 5.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima