Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30359 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30359 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18260/2021 proposto da: NOME COGNOME, NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE), quest’ultima in persona del legale rappresentante, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME (EMAIL), NOME COGNOME (EMAIL) e NOME COGNOME (EMAIL);
– ricorrenti –
contro
REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente pro-tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME (EMAIL) e NOME COGNOME (EMAIL) ed elettivamente
domiciliata presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 138/2021 della CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata il 18/1/2021;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio del 17/10/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 18/1/2021, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE per la condanna della Regione Lombardia al risarcimento dei danni asseritamente subiti dagli attori in conseguenza degli indebiti esborsi sostenuti dagli attori al fine di ottenere l’autorizzazione alla gestione della discarica di rifiuti solidi urbani sita in NOME; esborsi direttamente o indirettamente legati al delitto di concussione cui gli stessi attori erano stati sottoposti da parte di taluni esponenti regionali al fine di ottenere lo sblocco del procedimento amministrativo avviato per il rilascio dell’autorizzazione alla gestione della ridetta discarica;
a fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale ha rilevato come il primo giudice avesse correttamente escluso la fondatezza della pretesa risarcitoria avanzata dagli attori nei confronti della Regione, avendo gli attori agito per il risarcimento delle conseguenze connesse alle conAVV_NOTAIOe penalmente rilevanti imputabili a taluni funzionari, laddove il comportamento inerte della Regione si era collocato in epoca successiva ai ridetti fatti delittuosi e si era rivelato del tutto indipendente da questi e dalla conAVV_NOTAIOa concussiva degli imputati;
in particolare, mentre con riguardo al comportamento penalmente illecito dei concussori la responsabilità risarcitoria della Regione doveva ritenersi esclusa dal difetto di alcun nesso di occasionalità necessaria tra il comportamento penalmente illecito di quelli e l’attività istituzionale dell’ente (attesa l’estraneità dei concussori alla giunta regionale, unico organo destinato a decidere sulla gestione delle pubbliche discariche, come rilevato dal primo giudice) -e tenuto altresì conto che, per effetto del pagamento del prezzo della concussione, gli attori avevano ottenuto financo dei vantaggi nella progressione procedimentale -, con riguardo alla paventata responsabilità della Regione ex art. 28 Cost. (contestata con riferimento alla persistente inerzia degli organi regionali pur dopo il parziale pagamento del prezzo della concussione) la stessa doveva escludersi, essendosi gli originari attori sostanzialmente limitati all’invocazione di un generico comportamento ostruzionistico e inerte da parte degli organi regionali, nella specie fondato sul presupposto di una sorta di continuum di illiceità che era rimasto, non solo insufficientemente concretizzato sul piano dell’allegazione argomentativa, ma altresì del tutto sfornito di adeguati riscontri probatori, tenuto altresì conto dell’insussistenza di alcuna certezza in ordine al carattere tecnicamente necessitato dell’adozione di un’eventuale delibera autorizzativa definitiva favorevole agli attori;
ciò posto, non avendo gli attori indicato alcuna conAVV_NOTAIOa sussumibile nell’alveo dell’art. 28 Cost. riferibile a funzionari regionali (sia anteriore che posteriore agli avanzamenti procedimentali medio tempore ottenuti dagli attori per effetto del pagamento del prezzo della concussione), né potendo sottoporsi ad esame una richiesta risarcitoria conseguente all’inerzia regionale successiva al pagamento del prezzo della corruzione -in quanto eventualmente scaturente da omissioni
dell’amministrazione, come tali riservate alla giurisdizione del giudice amministrativo (così come desumibile dalle pronunce della Corte d’appello di Milano e della Corte di cassazione emesse a seguito dell’originaria dichiarazione di difetto di giurisdizione del giudice civile pronunciata dal Tribunale di Milano in relazione alla domanda avanzata nei confronti della Regione Lombardia, riformata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza successivamente confermata in sede di legittimità) -, la domanda di risarcimento dei danni doveva ritenersi priva di fondamento;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME, NOME COGNOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;
la Regione Lombardia resiste con controricorso; i ricorrenti hanno depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, i ricorrenti si dolgono della nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso dall’oggetto della domanda avanzata dagli attori (in tal modo omettendo di pronunciarsi su tutta la domanda proposta) la richiesta risarcitoria complessivamente legata alla mancata apertura e gestione della discarica di NOME quale effetto (anche) dei comportamenti successivi al giugno 1991 e, in particolare, del silenzio-inadempimento della Regione Lombardia a seguito della diffida ad adempiere inoltrata dalla COGNOME il 19 maggio 1992: comportamenti consistiti, non già (o non solo) in atti ed omissioni rilevanti sul piano genericamente amministrativo (e attratti dalla giurisdizione del giudice amministrativo), bensì in illeciti rilevanti ai sensi dell’art. 28 Cost. e causalmente ricollegabili alla mancata
adozione, in favore degli attori, del provvedimento di autorizzazione alla gestione della discarica: richiesta risarcitoria da ritenersi in nessun modo espunta dalle pronunce della Corte d’appello di Milano e della Corte di cassazione emesse, nel corso del presente giudizio, ai fini del riconoscimento della giurisdizione del giudice civile;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come la Corte territoriale, lungi dall’ incorrere in alcuna omissione di pronuncia sulla domanda risarcitoria avanzata dagli attori, ha espressamente considerato l’intero arco temporale deAVV_NOTAIOo in giudizio dai pretesi danneggiati (ivi comprese le contestate inerzie successive al giugno del 1991) e ha ritenuto che, mentre i comportamenti concussivi anteriori a tale ultima data non fossero legati in alcun modo, sul piano causale, al danno denunciato (avendo anzi oggettivamente assunto una funzione positiva sul piano endoprocedimentale, propiziando la dichiarazione di ammissibilità del progetto presentato dagli attori), i pretesi successivi comportamenti illeciti in ipotesi ascrivibili alla Regione non fossero stati, né adeguatamente circoscritti o determinati sul piano concreto, né tantomeno comprovati sul piano istruttorio, con la conseguente insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della pretesa risarcitoria invocata
è appena il caso di rilevare come l’avvenuto riconoscimento, da parte della Corte territoriale, del difetto di giurisdizione del giudice ordinario sulle conseguenze dannose delle omissioni o degli atti della Regione temporalmente collocabili nel periodo successivo a giugno 1991 (in conformità a quanto già sostenuto nei precedenti segmenti processuali d’appello e di cassazione in tema di giurisdizione) non si sia affatto traAVV_NOTAIOo in un’omissione di pronuncia su quella parte di domanda che ai comportamenti regionali relativi a tale periodo
temporale aveva fatto riferimento, essendo bensì consistito in una (corretta) interpretazione della domanda in conformità a quanto effettivamente richiesto dagli attori, ossia all’interpretazione di tale domanda come diretta a identificare (anche) quei comportamenti regionali successivi al giugno 1991 che rilevassero sul piano dell’illiceità civile ai sensi dell’art. 28 Cost.: interpretazione che ha preluso all’accertamento , da parte del giudice a quo , dell’infondatezza di tale domanda per non avere gli attori adeguatamente determinato (né tampoco provato) i comportamenti regionali successivi al giugno 1991 che avrebbero potuto giustificare il riconoscimento di una responsabilità risarcitoria regionale;
dev’essere pertanto conclusivamente esclusa la sussistenza di alcuna omissione di pronuncia da parte del giudice d’appello , ravvisandosi, invece, una corretta interpretazione della domanda proposta dagli attori, anche alla luce dei principi sul riparto della giurisdizione così come riconosciuti dagli stessi giudici di merito e di legittimità investiti sul punto nelle pregresse fasi del presente giudizio;
con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132 comma 2 n. 4 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), nonché degli artt. 2043, 2056, 1223 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la commissione a danno dei ricorrenti del reato di concussione e degli altri comportamenti illeciti accertati in sede penale avessero proAVV_NOTAIOo per essi un risultato positivo (di carattere endoprocedimentale), escludendo così il nesso di causalità con l’evento dannoso della mancata autorizzazione all’apertura della discarica, peraltro ipotizzando il ricorso di un arbitrario spartiacque temporale nel
progresso procedimentale ottenuto a seguito del pagamento (peraltro ancora parziale) del prezzo della concussione;
il motivo è complessivamente infondato;
dev’essere in primo luogo rilevata l’infondatezza della censura avanzata dai ricorrenti con riguardo al preteso carattere apparente della motivazione elaborata dal giudice d’appello;
al riguardo, osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c., il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum ;
infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;
in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica conAVV_NOTAIOa sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie ( ex plurimis , Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);
ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla Corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo la corte d’appello dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili alle fonti di prova esaminate e del grado della relativa attendibilità sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;
l’ iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dai ricorrenti;
devono ritenersi, per converso, integralmente inammissibili le restanti censure articolate dai ricorrenti poiché, nel prospettare una diversa ricostruzione del decorso causale connesso al danno denunciato (e, in particolare, una diversa interpretazione del significato causale della circostanza costituita dal pagamento del prezzo della concussione da parte degli attori), la relativa argomentazione critica si risolve in un obiettivo diverso apprezzamento dei fatti di causa e degli elementi istruttori complessivamente acquisiti, concludendosi nella prospettazione di una rilettura di questi sulla base di un’impostazione valutativa non consentita in sede di legittimità;
con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (ai sensi dell’art. 360
n. 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale illegittimamente imposto a carico dei ricorrenti l’onere della prova (nella specie erroneamente ritenuto non assolto) in ordine alla commissione, da parte della Regione Lombardia e dei suoi funzionari, di comportamenti penalmente rilevanti a carattere ostruzionistico successivi al giugno 1991;
il motivo è complessivamente infondato;
d ev’essere in primo luogo rilevata l’inammissibilità della deduzione, da parte dei ricorrenti, del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., avendo la corte territoriale confermato la sentenza di primo grado sulla base del medesimo apprezzamento dei fatti di causa operato dal primo giudice, con la conseguente improponibilità di tale profilo di illegittimità secondo la previsione de ll’art. 348ter c.p.c.;
nel resto, osserva il Collegio come la Corte territoriale abbia del tutto correttamente ritenuto incombente, a carico degli attori (che agirono al fine di conseguire il risarcimento di un danno aquiliano), l’onere di comprovare i fatti costitutivi della domanda nel pieno rispetto dell’art. 2697 c.c.: onere di seguito ritenuto non adeguatamente assolto, tanto sul piano dell’identificazione concreta dei fatti illeciti, quanto della loro effettiva dimostrazione;
quanto, infine, alla censura concernente l’erroneità della ritenuta infondatezza della domanda risarcitoria, varrà considerare come la stessa si risolva, ancora una volta, nella prospettazione di una rilettura nel merito dei fatti di cause e delle prove, secondo un’impostazione critica non consentita in questa sede;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 10.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione