SENTENZA CORTE DI APPELLO DI SALERNO N. 1007 2025 – N. R.G. 00001163 2024 DEPOSITO MINUTA 23 11 2025 PUBBLICAZIONE 23 11 2025
N. 1163/2024 Ruolo Generale
CORTE DI APPELLO DI SALERNO SECONDA SEZIONE CIVILE
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Salerno, Seconda Sezione Civile, riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Sigg. Magistrati:
AVV_NOTAIO NOME COGNOME – Presidente Relatore
AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME – Consigliere
AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al n. 1163/2024 Ruolo Generale avente ad oggetto: appello avverso la sentenza n. 956/2024, emessa dal Tribunale di Vallo della Lucania, in composizione monocratica, nel proc. n. 1431/2012 R.G., datata 29/7/2024, pubblicata in data 30/7/2024, avente ad oggetto ‘ lesione personale ‘ , e vertente
TRA
, rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO, per procura depositata in via telematica, domiciliato presso lo studio legale del predetto difensore in Agropoli (SA), INDIRIZZO;
APPELLANTE
E
con sede in Agropoli, alla INDIRIZZO, in persona del legale rapp.te, il Sindaco p.t., dott. rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, per procura depositata in via telematica, elettivamente domiciliato presso lo studio del predetto avvocato in Eboli (SA), alla INDIRIZZO;
APPELLATO
Conclusioni.
Le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni come da note di trattazione scritta in relazione all’ udienza del 6/11/2025, nei termini specificati nelle note stesse. La causa, quindi, è stata rimessa in decisione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione in appello iscritto a ruolo in data 11/11/2024 ha proposto appello avverso la sentenza n. 956/2024, emessa dal Tribunale di Vallo della Lucania, in composizione monocratica, nel proc. n. 1431/2012 R.G., datata 29/7/2024, pubblicata in data 30/7/2024, nei confronti del Con tale atto l’ appellante ha formulato, in particolare, le seguenti conclusioni: «conclusioni»: «1. In riforma dell’impugna sentenza, accertare e dichiarare la responsabilità del nella causazione del sinistro occorso al sig. e per l’effetto condannare l’Ente al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma di € 15.413,20 o di quell’altra somma maggiore o minore che il Giudice di appello riterrà opportuno liquidare anche all’esito della CMU gravata da interessi e rivalutazione dall’epoca del sinistro; 2. In subordine e nel caso in cui venga confermata la soccombenza del sig. in primo grado, Voglia la Corte rimodulare la liquidazione delle spese di primo grado ai parametri minimi; 3. In ogni caso con vittoria di spese anche per il doppio grado di giudizio, secondo i vigenti parametri».
L’appellato si è costituito e ha chiesto il rigetto dell’appello , con integrale conferma della sentenza impugnata, il tutto con vittoria di spese e competenze del secondo grado d giudizio.
Le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni come da note di trattazione scritta in relazione all’udienza del 6/11/2025, nei termini specificati nelle note stesse.
La causa, quindi, è stata rimessa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La vicenda dedotta in giudizio .
La sentenza appellata è stata emessa nell’ambito di un giudizio instaurato con atto di citazione proposto nell’interesse di nei confronti del Nell’atto di appello la parte ora appellante ha dedotto, in particolare, quanto segue, a sostegno delle
sue domande: «Con atto di citazione regolarmente notificato il sig. , nel premettere – che il giorno 05.08.2011 alle ore 11.00 circa si trovava in Agropoli (Sa) e percorreva a piedi la scalinata che collega INDIRIZZO a INDIRIZZO, con direzione in discesa (quindi verso il porto turistico) quando nell’atto di scendere l’ultimo gradino e giungere alla strada pavimentata scivolava cadendo violentemente in terra; che in tale circostanza la pavimentazione già molto scivolosa ed in forte pendenza era anche bagnata per il sistema di irrigazione del verde pubblico adiacente a tale passaggio pedonale; – che al momento della caduta non era percepibile la scivolosità della pavimentazione né vi erano ringhiere o appigli e che, inoltre, il sig. non era un frequentatore abituale in quanto all’epoca abitava nel comune di Moglia (MN); – che a causa della caduta riportava la frattura del malleolo tibiale e del perone destri trattati chirurgicamente e con ingessatura riportando un danno complessivo di € 15.413,20 come da valutazione medico legale di parte che riconosceva un danno biologico permanente pari al 5% in punti percentuale, un periodo di malattia di 120 gg per ITT, 90 gg per ITP al 50%, spese mediche per € 1.085,77 ed il danno morale pari ad ¼ della somma totale (secondo le Tabelle di cui al DM Ministero Sviluppo Economico del 12.06.2007 e smi); – che il fatto lesivo era da addebitare alla esclusiva responsabilità del
quale ente proprietario della strada; che l’Ente costituito in mora non intendeva provvedere al risarcimento; su tali premesse il sig. citava innanzi al Tribunale di Vallo della Lucania il per sentirlo condannare al risarcimento del danno quantificato nella complessiva somma di € 15.413,20 oltre interessi e rivalutazione, e spese di lite ».
Il si è costituito in primo grado e ha chiesto, f ra l’altro, il rigetto della domanda .
Il primo grado di giudizio si è concluso con la sentenza impugnata, con la quale il Tribunale, in particolare, così ha provveduto: «P.Q.M. Il Tribunale di Vallo della Lucania, Sezione Civile, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta come in narrativa, così provvede: Rigetta la domanda; – Condanna al pagamento delle spese di lite che si liquidano in € 5.077,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, IVA e C.P.A., se dovute, come per legge».
I motivi della impugnazione .
ha proposto appello. I motivi dell’appello possono essere sintetizzati nei termini qui di seguito specificati: sussiste violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art 111 Cost., co. 6 , nonché carenza di motivazione e vizio di motivazione apparente della sentenza appellata; il Tribunale incorre nella grave violazione di legge e dei principi costituzionali per avere dettato, a fondamento del rigetto della domanda di risarcimento del una motivazione meramente apparente; il Tribunale non ha fornito alcuna idonea motivazione alla sua decisione, atteso che la stessa, pur graficamente esistente (benché minimalista), è stata espressa in termini meramente assertivi, e ridotta ad affermazioni apodittiche e inesplicate, senza esaminare in alcun modo gli elementi peculiari della fattispecie e tale da non esprimere il ragionamento logico-giuridico seguito dal Giudice per giungere alla decisione resa; la prova del nesso causale esiste negli atti di causa, vuoi per la foto che ritrae il a terra vicino ad un rivolo d’acqua, vuoi per le dichiarazion i dell’agente che ha illustrato al Tribunale che era nota all’Ente la scivolosità del punto e la presenza dell’irrigazione automatica in loco, tanto da spingersi a riferire che il dopo l’ennesima caduta (quella del non era stata l’unica) ha provveduto a riconfigurare la scalinata e a buccerare la pavimentazione per renderla meno pericolosa; la sentenza appellata ha by-passato ogni valutazione su tali punti e pertanto non rispecchia i requisiti richiesti dalla legge; sussiste violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art 111 Cost., co. 6 , nonché contraddittorietà di motivazione della sentenza appellata; il nello scendere la scalinata che porta da INDIRIZZO a INDIRIZZO nell’atto di scendere dall’ultimo gradino scivolava in terra per colpa della forte pendenza della strada e per la scivolosità della pavimentazione pubblica resa ancora più viscida per la presenza di acqua ; l’attore fin dalle prime cure aveva legato l’evento cadu ta a due concause, lamentando sia il carattere di forte pendenza della strada che la scivolosità della pavimentazione nonché per la presenza di acqua proveniente dal sistema di irrigazione del verde pubblico (elemento che avrebbe solo peggiorato la scivolosità della strada); tali cause non sono state prese in considerazione dal Giudice di primo grado che, invece, si è preoccupato di richiamare in sentenza le dichiarazioni dei testi e sulle condizioni di manutenzione del gradino; tale prospettazione, cioè lo stato di manutenzione del gradino, non è mai stata addotta dall’attore quale causa dell’evento caduta ; ciò era
avallato anche dalla documentazione fotografica prodotta dall’attore in primo grado, che giammai mostra un gradino rotto, ma piuttosto una scalinata molto ripida che termina su un marciapiede altrettanto ripido il tutto privo di un corrimano o di una ringhiera per il sostegno dei pedoni, e al centro di questo attraversamento delle aiuole ricolme di fango e melma; tali condizioni sono state confermate dai testimoni e ; entrambi hanno confermato che non vi sono né ringhiere né sostegni per i pedoni e che la strada è fortemente in discesa; l’eventuale presenza di acqua sarebbe stata solo una concausa, ma non l’elemento causale principale; l’Ente ha poi provveduto a modificare lo stato dei luoghi per renderlo meno pericoloso; se il Giudice di prime cure avesse compreso la modalità della caduta (a causa della pendenza della strada, della scivolosità intrinseca in ragione della eccessiva pendenza aggravata, eventualmente dalla presenza di acqua), non sarebbe incorso nella seconda contraddizione ovvero la sua non ‘riconducibilità’ al bene pubblico ; tutti i testi riferiscono di una strada in forte pendenza e di un sistema di irrigazione del verde che si attivava ogni mattina; il con prova per testi e documenti, ha provato di essere caduto il giorno 5/8/2011 in Agropoli nell’atto di scendere la scalinata di INDIRIZZO e tanto accadeva a causa della forte pendenza della strada, senza ringhiere e scivolosa; la circostanza che i primi due testi ( e ) non siano riusciti a riferire della presenza di acqua, non appare un elemento decisivo per il rigetto della domanda di risarcimento se si pone a confronto la circostanza che i testi hanno, invece, riferito chiaramente e concordemente che esisteva un sistema di irrigazione che si attivava tutte le mattine e che la strada fosse percorsa dal in discesa e che tale discesa fosse ripida ed anche scivolosa di per sé, anche senza acqua (dichiarazione del sig. ); sussiste omessa pronuncia su punti decisivi della controversia, nonché erronea valutazione del materiale probatorio, violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cc , avuto riguardo al nesso di causalità tra evento e danno; il Giudice di primo grado non ha fatto buon governo delle prove portate dall’attore ; il ha provato che l’evento sia avvenuto per caso fortu ito o per colpa del danneggiato o del terzo; sussiste violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014 e dell’art. 91 c .p.c.; il Giudice nel liquidare le spese di lite ha condannato l’attore alla refusione a favore dell’ Ente della somma di € 5.077,00 oltre accessori ‘ avuto riguardo ai valori medi dello scaglione di riferimento ‘ ; il giudizio non ha ad oggetto particolari questioni in fatto ed in diritto; ha richiesto da parte del
il deposito di una comparsa di costituzione e risposta; il non ha depositato ulteriori memorie istruttorie; il non ha indicato mezzi istruttori; il Giudice non ha concesso i termini di cui all’art. 190 cpc né l’autorizzazione al deposito di note conclusionali scritte; non è stata espletata CTU; la durata ultradecennale del giudizio è stata causata da rinvii di ufficio ben noti ai fruitori del disastrato Tribunale di Vallo della Lucania; la Corte vorrà riformare anche sotto tale profilo la sentenza rimodulando la liquidazione delle spese legali ai parametri minimi nel caso in cui volesse confermare la soccombenza del nel caso in cui la Corte ritenga emendabile la sentenza appellata, nel senso dell’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni fisici patiti da vorrà disporre CMU per la valutazione degli stessi.
In ordine ai suindicati motivi dell’appello va rilevato quanto qui di seguito esposto.
Dalle deduzioni anche di fatto della parte appellante emerge che risulta, in ipotesi, applicabile sia della disciplina di cui all’art. 2051 c.c., sia la disciplina di cui all’art. 2043 c.c.. Va, a questo punto, osservato che la disciplina da applicare al caso in esame, anche alla luce dei più recenti indirizzi giurisprudenziali della Suprema Corte, è senz’altro, in prima battuta, quella di cui all’art. 2051 c.c..
La giurisprudenza .
La cassazione ha, in particolare, affermato che l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l’evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile .
La cassazione ha anche precisato che l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito risponde ai sensi dell’art. 2051 c.c., per difetto di manutenzione, dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo, e che, nel compiere tale ultima valutazione, si dovrà tener conto che quanto più questo è suscettibile di essere previsto e
superato attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all’ente e l’evento dannoso .
La Suprema Corte ha, peraltro, puntualizzato che il principio secondo cui, ricorrendo la fattispecie della responsabilità da cosa in custodia, il comportamento colposo del danneggiato può – in base ad un ordine crescente di gravità – o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c.), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell’art. 2051 c.c.), deve a maggiore ragione valere ove si inquadri la fattispecie del danno da insidia stradale nella previsione di cui all’art. 2043 c.c. .
Va, poi, evidenziato che, nella materia della responsabilità degli enti per i sinistri cagionati da cattiva manutenzione delle strade, autorevole giurisprudenza della Suprema Corte si è orientata nel senso della condivisibile tesi secondo la quale l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, essendo tale responsabilità esclusa solo dal caso fortuito, che può consistere sia in una alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o
segnalabile ai conducenti nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia nella condotta della stessa vittima, ricollegabile all’omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe .
La Suprema Corte ha, inoltre, precisato che la PRAGIONE_SOCIALEA., per escludere la responsabilità che su di essa fa capo a norma dell’art. 2051 c.c., deve provare che il danno si è verificato per caso fortuito, non ravvisabile come conseguenza della mancata prova da parte del danneggiato dell’esistenza dell’insidia, mentre la vittima non deve provare quest’ultima (l’insidia), così come non ha l’onere di provare la condotta commissiva od omissiva del custode, essendo sufficiente che provi l’evento danno ed il nesso di causalità con la cosa .
La Cassazione ha, peraltro, puntualizzato che l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri causati dalla particolare conformazione della strada o delle sue pertinenze, e che tale responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, che può consistere sia in una alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia nella condotta della stessa vittima, consistita nell’omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe e che, attraverso l’impropria utilizzazione del bene pubblico, abbia determinato l’interruzione del nesso eziologico tra lo stesso bene in custodia ed il danno .
Più specificamente la Cassazione ha affermato che nel caso in cui l’evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, si verifica un’ipotesi di caso fortuito che libera il custode dalla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. , e che non sussiste responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. per le cose in custodia, qualora il danneggiato abbia fatto della cosa un
uso improprio, cioè diverso rispetto a quello da ritenersi riconducibile alla sua ordinaria destinazione .
Occorre, quindi, preliminarmente accertare se sia ipotizzabile una responsabilità di una qualsivoglia Pubblica Amministrazione, tenuta alla manutenzione della strada, in ordine al risarcimento dei danni cagionati dal sinistro in questione.
Va, peraltro, innanzi tutto osservato che nel caso in esame non sussiste idonea contestazione in ordine alla sussistenza del rapporto di custodia fra il e la cosa (scalinata o pavimentazione scivolosa e/o bagnata) a causa della quale si sarebbe verificato il sinistro.
La cassazione ha, in particolare, affermato, in maniera condivisibile, che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode, posto che funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, intendendosi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta, salva la prova, che incombe a carico di tale soggetto, del caso fortuito, inteso nel senso più ampio di fattore idoneo ad interrompere il nesso causale e comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato .
Grava, quindi, sull’attore l’onere di fornire adeguata prova del verificarsi dell’evento dannoso e del la sussistenza del rapporto di causalità fra il bene in custodia e l’evento stesso.
La vicenda dedotta in giudizio. La decisione .
Nel caso qui esaminato, dalle risultanze processuali si evince che la parte attrice, ora appellante, non ha fornito la prova della sussistenza del nesso causale fra la cosa in custodia (scalinata o pavimentazione scivolosa
e/o bagnata) e l’evento dannoso verificatosi (lesioni alla parte attrice, ora appellante).
Va evidenziato che dalle deduzioni esposte in primo grado dalla parte attrice e dalle dichiarazioni dei testi escussi in primo grado, non si desumono, fra l’altro, elementi dai quali possa evincersi una adeguata prova della riconducibilità del sinistro alle condizioni del scalinata / pavimentazione e non alla eventuale condotta imprudente del pedone danneggiato.
In primo grado il giudice ha, fra l’altro, così motivato la decisione adottata: « In definitiva, l’azione di responsabilità per danno cagionato da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., non esonera il danneggiato dall’onere di dimostrare la sussistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo. Ebbene, nel caso di specie, dalla documentazione versata in atti e dalla prova testimoniale espletata è senz’altro emersa la prova del fatto storico della caduta e delle lesioni riportate dall’att ore; ciò che invece non risulta adeguatamente provato è proprio l’esistenza di un valido nesso causale tra la cosa e il danno. Sul punto, i testimoni escussi non hanno reso dichiarazioni univoche e tali da far chiarezza sull’effettiva dinamica del sinistro verificatosi e, dunque, sulla causa effettiva dello stesso. In particolare, la sig.ra , cognata dell’attore, riferiva di aver assistito personalmente alla caduta, verificatasi sul tratto di strada (in pendenza) descritto dal ma negava espressamente la presenza di acqua sui gradini e sulla strada, precisando altresì che ‘il gradino era in buono stato di manutenzione’. Il sig. affermava di poter riferire in ordine all’accaduto, essendo titolare di un bar posto nelle vicinanze del luogo teatro del sinistro, ma di non essere in grado di riferire se ci fosse o meno acqua sulla scalinata o sui gradini, precisando poi che ‘i gradini sono in discreto stato di manutenzione’ . Soltanto il terzo ed ultimo testimone, , ufficiale della polizia municipale del Comune di Agropoli e conoscente dell’attore, pur riferendo di non aver assistito personalmente alla caduta, essendo giunto sul posto in un momento successivo, confermava le circostanze addotte dall’attore. L’incertezza circa la modalità in cui si è verificata la caduta e la riconducibilità della stessa al bene in custodia dell’ente convenuto si risolve nel mancato assolvimento dell’onere della
prova da parte dell’attore con conseguente rigetto della domanda proposta. Per le ragioni indicate non si è provveduto ad espletare la consulenza tecnica d’ufficio, benché richiesta da parte attorea, in quanto si sarebbe rivelata esplorativa».
Questa motivazione va senz’altro condivisa nel senso e con le precisazioni qui di seguito esposte.
Il teste , Ufficiale della Polizia Municipale, ha, fra l’altro, affermato quanto segue: «Non ho assistito alla caduta dell’attore, che conosce in quanto residente in Agropoli»; «sì, l’intervento di arredo urbano aveva provocato ripetuti sinistri nell’area, in particolare per la caduta dei pedoni, al punto che l’Ente successivamente è stato costretto ad attuare degli interventi correttivi rendendo la pavimentazione meno scivolosa e sospendendo l’irrigazione automatica delle aiu ole»; «Sì, hanno bucciardato la pavimentazione per renderla meno scivolosa».
La teste , cognata di , ha, fra l’altro, dichiarato quanto segue: «… nelle indicate3 circostanze di tempo e di luogo mi trovavo a percorrere la predetta scalinata insieme a mio cognato. Nella circostanza seguivo il sig. Posso riferire che nel mettere il piede nell’ultimo gradino scivolava e rovinava in terra»; «… preciso che non vi era acqua né sui gradini né sulla strada, preciso che il gradino era in buono stato di manutenzione, di solito la mattina presto vi è acqua sia sul gradino che sulla strada in quanto vi è un sistema d’irrigazione di verde pubblico nei pressi del passaggio pedonale»; «Posso precisare tuttavia che nella circostanza non vi erano né ringhiere, né appoggi per i pedoni, mentre posso altresì precisare che la strada ove è avvenuto l’evento è in notevole pendenza»»; «Non sono in grado di riferire se successivamen te all’evento siano stati effettuati interventi di messa in sicurezza. Posso solo riferire che per raggiungere il porto evito di percorrere la strada ove è avvenuto l’evento in quanto la ritengo pericolosa in ragione del sinistro».
Il teste , poi, ha, fra l’altro, affermato quanto segue: «… il sig. è il fratello di mio cognato»; «… preciso che in adiacenza alla scalinata di è un sistema d’irrigazione del comune che di solito si attiva nella mattinata. Nella circostanza non sono in grado di riferire se ci fosse acqua sulla scalinata o sui gradini»; «Preciso che i gradini essendo stati rifatti
circa 10 anni orsono sono in discreto stato di manutenzione»; «… non sono in grado di riferire se il comune ha fatto un’ordinanza per mettere in sicurezza la zona; tuttavia posso affermare che … al mome n to dell’evento, non mi ricordo se vi fossero ringhiere, passamano o appoggio per i pedoni. Non sono in grado di riferire se allo stato attuale vi sono appoggi per i pedoni».
Occorre, innanzi tutto, evidenziare che il sinistro risulta avvenuto in data 5/8/2011, alle ore 11 circa; al momento del sinistro, quindi, vi era senz’altro ottima visibilità, tale da consentire che i pedoni avessero una visuale ottimale del tratto di scalinata / pavimentazione percorso; non emerge, sul punto, alcun elemento in contrario.
Va, poi, osservato che non emerge alcun elemento da cui possa desumersi che la scalinata / pavimentazione fosse in stato di manutenzione non buono. La parte appellante, peraltro, ha affermato, nell’atto di appello di non aver mai addotto lo stato di manutenzione quale causa dell’evento caduta. In ogni caso, dalle dichiarazioni rese dai testi e emerge che i gradini erano in stato di manutenzione buono / discreto; non emerge, in definitiva, alcun elemento da cui possa desumersi uno stato di manutenzione non buono della scalinata / pavimentazione, anche in considerazione dei rilievi fotografici in atti.
Si deve, poi, rilevare che può senz’altro affermarsi che la scalinata / pavimentazione non era bagnata al momento del sinistro. La teste
, presente all’evento, ha dichiarato che al momento del sinistro ‘non vi era acqua né sui gradini né sulla strada’; il teste ha dichiarato di non avere assistito alla caduta, e comunque non riferisce della presenza, al momento del sinistro, di acqua sulla gradinata / pavimentazione; il teste ha affermato di non essere in grado di riferire se vi fosse acqua sulla scalinata o sui gradini nella circostanza in esame. Dato che l’unica teste che ha affermato di essere presente sui luoghi al momento della caduta ha dichiarato che non vi era acqua né sui gradini né sulla strada, può senz’altro affermarsi che, al momento del sinistro, la scalinata / pavimentazione era asciutta.
In ordine alla circostanza, affermata dall’appellante, della ‘scivolosità intrinseca nel progetto originario del bene comunale’, va osservato quanto
segue. Dalle risultanze processuali emerge che la scalinata / pavimentazione era in pendenza accentuata. Dalle dichiarazioni rese dal teste emerge che ‘… l’intervento di arredo urbano aveva provocato ripetuti sinistri nell’area, in particolare per la caduta dei pedoni’ ; ne consegue che doveva essere ben nota la eventuale pericolosità del tatto in questione. Dalle dichiarazioni rese dalla teste emerge, fra l’altro, che la teste afferma di poter riferire che per raggiungere il porto ella evita di percorrere la strada ove è avvenuto l’evento in quanto la rit iene pericolosa in ragione del sinistro. A ciò va aggiunto che il sinistro è avvenuto in un giorno e in un orario in cui la luce solare è abbondante e tale da consentire a
di percepire perfettamente la pendenza della strada. Dai rilievi fotografici in atti, poi, si desume che la pavimentazione su cui è ritratto il soggetto presente a terra nelle foto non è liscia, ma presenta scanalature; ne consegue che tale pavimentazione presentava comunque caratteristiche strutturali tali (le scanalature) da ridurre la scivolosità della pavimentazione stessa.
Da quanto esposto deriva che l’appellante era perfettamente in condizione di percepire le condizioni del suolo su cui poneva i piedi mentre camminava. Dalle dichiarazioni rese dalla teste inoltre, si evince che era ben possibile scegliere percorsi diversi per evitare il tratto di suolo in questione.
Dai rilievi fotografici e dalle dichiarazioni rese dai testi si desume, quindi, che , con una normale attenzione ben poteva avvedersi della accentuata pendenza del tratto di suolo percorso e poteva, pertanto, percorrere quel tratto con maggiore prudenza o poteva, addirittura evitare di percorrerlo. Proprio le caratteristiche della scalinata / pavimentazione, anzi, avrebbero dovuto consigliare al di procedere con maggiore cautela.
Va, inoltre, ribadito che la caratteristiche anche strutturali del tratto di suolo (gradinata / pavimentazione) percorso da erano perfettamente percepibili dal stesso, il quale avrebbe potuto o procedere con adeguata cautela nel camminare oppure avrebbe potuto scegliere percorsi diversi (come ben possibile, alla luce, fra l’altro, delle dichiarazioni rese dalla teste ).
Da tutto quanto sinora esposto consegue che il qualora avesse prestato una normale attenzione nel percorrere il tratto di suolo in questione, avrebbe potuto facilmente avvistare la eventuale scivolosità del tratto in pendenza percorso e avrebbe ben potuto o evitarlo o percorrerlo in modo da non cadere e da non riportare danni.
Dalle risultanze processuali, in definitiva, si evince che la eventuale scivolosità / pericolosità del tratto di suolo in questione ben poteva essere vista da un pedone che procedesse con la dovuta attenzione e quel tratto poteva essere attraversato con maggiore attenzione o poteva essere evitato.
La motivazione del primo giudice risulta, quindi, corretta nei termini più sopra indicati. La parte attrice, ora appellante, in definitiva, non ha fornito idonea prova della non visibilità delle caratteristiche del tratto di suolo percorso, della non evitabilità di tale tratto, della non possibilità di percorrere con maggiore attenzione quel tratto. L’appellante non ha, in ogni caso, dimostrato che il tratto di suolo percorso avesse caratteristiche strutturali anomale e tali da poter determinare, per le sue caratteristiche intrinseche, il sinistro verificatosi, qualora il pedone avesse adottato una ordinaria cautela nel porre il piede sul tratto di suolo predetto.
Come più sopra rilevato, peraltro, la Cassazione ha puntualizzato che l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri causati dalla particolare conformazione della strada o delle sue pertinenze, e che tale responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, che può consistere, in particolare, in una alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza .
Nel caso in esame non risulta provato che il tratto di suolo (scalinata / pavimentazione) in questione, avesse, nel suo complesso, caratteristiche strutturali tali da costituire insidia o trabocchetto, o che comunque avesse caratteristiche tali da poter determinare un sinistro del tipo di quello verificatosi per un pedone che procedesse con ordinaria attenzione.
Deve, in definitiva, affermarsi che con una condotta sufficientemente diligente e adeguata allo stato dei luoghi, anche in ordine , fra l’altro, alla
opportuna attenzione alle condizioni del tratto di suolo percorso, il pedone ben avrebbe potuto avvistare e /o evitare il tratto di suolo predetto, e avrebbe potuto comunque percorrerlo senza danni. E’ evidente, quindi, che il danno riportato dalla parte ora appellante è frutto della condotta non diligente della parte appellante stessa, la quale evidentemente non ha tenuto una condotta sufficientemente attenta nel percorrere il tratto di suolo in questione.
Anche a ritenere provata la dinamica del sinistro quale riferita dalla parte ora appellante, quindi, sussistevano tutti gli elementi perché l ‘ appellante potesse tenere una condotta idonea ad evitare il prodursi del sinistro in questione e delle relative conseguenze dannose.
La condotta della parte ora appellante, pertanto, di per sé costituisce una condotta non diligente e tale da comportare la esclusione del nesso causale fra il danno lamentato e la cosa in custodia (la scalinata o pavimentazione scivolosa e/o bagnata), avendo, in sostanza, il pedone fatto della cosa un uso improprio e non avendo il medesimo adottato le idonee cautele occorrenti per scongiurare il rischio di eventi dannosi del tipo di quello dedotto.
In definitiva, alla luce di quanto più sopra osservato, va affermato che, in base alla complessive risultanze processuali, ivi comprese le complessive dichiarazioni rese dai testi escussi e i rilievi fotografici in atti, non risulta provata la sussistenza del nesso di causalità tra lo stato del tratto di suolo (la scalinata o pavimentazione scivolosa e/o bagnata) in questione e i danni lamentati dalla parte ora appellante, e che non risulta provata, fra l’altro, la non prevedibilità e la non evitabilità della presenza del tratto che si assume scivoloso in atti descritto . L’onere di provare la sussistenza del nesso di causalità, peraltro, grava sul danneggiato anche nella ipotesi, affermata nella presente sentenza, che si applichi al caso in esame la disciplina di cui all’art. 2051 c.c.. Tale onere, comunque, grava sul danneggiato anche nel caso in cui, per ipotesi, si dovesse ritenere applicabile la disciplina di cui all’art. 2043 c.c.. .
La cassazione ha, in particolare, anche affermato che, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a
seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione -anche ufficiosa -dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro .
Da tutto quanto sinora osservato consegue che l’evento in questione non è ascrivibile alla cosa (la scalinata o pavimentazione scivolosa e/o bagnata) in custodia della P.A., non risultando, fra l’altro, che il tratto che si assume scivoloso avesse caratteristiche tali da non poter essere evitato o tali da poter generare (in condizioni normali) un evento del tipo di quello verificatosi, dovendosi, in ogni caso, ascrivere l’evento dannoso alla imprudenza della parte ora appellante (costituita dal porre il piede sul tratto di suolo in questione senza la opportuna prudenza), evento da qualificarsi come del tutto fortuito e imprevedibile da parte della P.A., con riguardo allo specifico sinistro verificatosi, con conseguente esclusione della responsabilità della P.A. stessa. Va, d’altra parte, ribadito che l’onere di provare che il verificarsi dell’evento dannoso sia in rapporto di causalità con
la cosa indicata quale causa del sinistro grava sul danneggiato, come più sopra rilevato, sia con riguardo alla disciplina di cui all’art. 2051 c.c., sia con riguardo alla disciplina di cui all’art. 2043 c.c..
Le complessive risultanze processuali, in definitiva, non offrono idonei elementi per ritenere che il danno patito dalla parte ora appellante, sia causalmente riconducibile alla natura o alle condizioni del tratto di suolo in questione.
La Cassazione ha, peraltro, affermato, in maniera condivisibile, che, in tema di responsabilità da cose in custodia, la presunzione di colpa stabilita dall’art. 2051 c.c. presuppone la dimostrazione della esistenza del nesso causale tra cosa in custodia e fatto dannoso, con la conseguenza che, anche in presenza di insidia o trabocchetto (concetti propri della diversa ipotesi contemplata dall’art. 2043 c.c., specie in materia di responsabilità della P.A.), la situazione di pericolo occulto richiede, per costituire fonte di responsabilità, l’accertamento della efficienza causale nella determinazione dell’evento dannoso, accertamento demandato al giudice del merito, la cui valutazione, ove congruamente motivata, è insindacabile in Cassazione . Nel caso in esame, invece, la parte attrice, ora appellante principale, non ha fornito adeguata prova della sussistenza del nesso causale fra l’evento dannoso e la natura intrinseca o le condizioni di manutenzione del marciapiede in questione. Va, di conseguenza, esclusa ogni responsabilità, ai sensi dell’art. 2051 c.c., in capo alla RAGIONE_SOCIALE. in ordine al sinistro verificatosi in danno della parte ora appellante.
Qualora si volesse avere riguardo specificamente alla disciplina di cui all’art. 2043 c.c., va, d’altra parte, osservato che la cassazione ha affermato, in maniera condivisibile, che, in tema di responsabilità extracontrattuale, con riferimento al cosiddetto caso di insidia o trabocchetto (del manto stradale, in esso ricomprendendosi i pertinenti marciapiede, nel caso esaminato dalla cassazione), la parte danneggiata, in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., ha l’onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva, mentre l’ente pubblico, preposto alla sicurezza dei
pedoni e detentore del dovere di vigilanza tra l’altro – sulla sicurezza dei tombini che possono aprirsi sui marciapiede, ha l’onere di dimostrare o il concorso di colpa del pedone o la presenza di un caso fortuito che interrompe la relazione di causalità tra l’evento e il comportamento colposamente omissivo dell’ente stesso . Anche sotto questo profilo, quindi la parte attrice, ora appellante, nel caso in esame, non ha fornito adeguata prova della sussistenza del nesso causale fra evento dannoso e marciapiede, come più sopra già evidenziato. Ne consegue che comunque resta esclusa la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE nella produzione del sinistro in questione, anche ad avere riguardo alla disciplina di cui all’art. 2043 c.c..
Da tutto quanto sinora esposto consegue che non risulta configurabile, nel caso in esame, alcuna responsabilità di qualsivoglia Pubblica Amministrazione.
La domanda della parte attrice, ora appellante, è stata, quindi, correttamente rigettata dal tribunale, nel senso e con le precisazioni più sopra esposte. Risulta, peraltro, assorbita in questa decisione ogni ulteriore questione.
Da tutto quanto sinora esposto consegue che la sentenza impugnata va confermata.
Gli elementi presenti agli atti consentono di pervenire alla decisione senza che occorra procedere a ulteriori approfondimenti di carattere istruttorio. Ogni ulteriore questione resta assorbita in quanto sinora osservato. La decisione va contenuta nei limiti dei motivi di impugnazione proposti.
Le spese di giudizio .
In ordine alle spese di giudizio del primo grado, poi, la sentenza impugnata ha disposto la condanna di parte attrice ala pagamento di tali spese, in ragione della soccombenza. Questa previsione risulta senz’altro corretta. Il giudice di primo grado ha liquidato i compensi professionali di tale grado avendo riguardo al valore della causa parametrato sul valore della domanda di parte attrice rigettata con la sentenza impugnata; il giudice di primo grado, peraltro, ha liquidato le spese applicando esattamente i valori medi previsti dalla tariffa professionale; il tribunale, quindi, non era tenuto a
fornire alcuna motivazione sul punto . La statuizione del giudice di primo grado è senz’altro corretta, avendo tale giudice rispett ato i parametri della tariffa professionale; dai motivi di impugnazione proposti in proposito non emerge alcun elemento da cui possa desumersi la non correttezza della statuizione adottata. La sentenza impugnata va, pertanto, confermata anche in relazione alle disposizioni concernenti le spese di giudizio del primo grado.
Le spese del secondo grado vanno, poi, poste a carico della parte appellante, in ragione della soccombenza, nei confronti della parte appellata. Tali spese vanno liquidate nella misura, ritenuta congrua, specificata in dispositivo, tenuto conto del valore della causa e delle attività difensive espletate nel corso del giudizio , avendo riguardo allo scaglione da € 5.200,01 a € 26.000,00 , con applicazione dei valori minimi in ragione della non particolare complessità delle questioni trattate in appello.
Va, poi, dato atto della sussistenza dei presupposti perché la parte appellante sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del comma 1 -quater dell’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 30/5/2002.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Salerno, Sezione Civile, definitivamente pronunciando, in particolare, in ordine, in particolare, all’appello proposto nell’interesse di , nei confronti del con sede in Agropoli, alla INDIRIZZO, in persona del legale rapp.te, il Sindaco p.t., dott. nonché in ordine alle complessive deduzioni e istanze delle parti, essendo l’appello proposto avverso la sentenza n. 956/2024, emessa dal Tribunale di Vallo della Lucania, in composizione monocratica, nel proc. n. 1431/2012 R.G., datata 29/7/2024, pubblicata in data 30/7/2024, disattesa o assorbita ogni diversa istanza, domanda, deduzione o eccezione, così provvede:
rigetta l’appello;
conferma la sentenza impugnata, anche in relazione alle disposizioni concernenti le spese del primo grado di giudizio;
condanna l’ appellante al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio in favore del con sede in Agropoli, alla INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore , e liquida tali spese in € 20,00 per esborsi, ed € 2.904,50 per compensi professionali della difesa, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 % sui compensi predetti, oltre I.V.A. e C.N.A. nella misura di legge sull’imponibile , con attribuzione all’AVV_NOTAIO;
la Corte di Appello dà atto della sussistenza dei presupposti perché la parte appellante sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del comma 1 -quater dell’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 30/5/2002.
Salerno, 18/11/2025
Il Presidente Relatore AVV_NOTAIO NOME COGNOME