Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15676 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15676 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23785/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata dal Direttore RAGIONE_SOCIALE pro tempore , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 114/2019 depositata il 31/01/2019, RG NUMERO_DOCUMENTO/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La C orte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 114 del 2019, ha rigettato l’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOMECOGNOME dirigente medico responsabile URAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con cui era stata dichiarata l’illegittimità della sanzione disciplinare conservativa irrogata al lavoratore.
La contestazione si riferiva alle modalità di registrazione dei ricoveri presso l’RAGIONE_SOCIALE, posto che – nel periodo 8 aprile 2013-29 gennaio 2014 – sarebbe emersa una grave irregolarità nella registrazione di otto ricoveri della RAGIONE_SOCIALE, in quanto tali pazienti, accettati e registrati in regime di day surgery , sarebbero stati in realtà trasferiti in regime di ricovero ordinario per una notte, omettendo la registrazione formale del trasferimento.
Il Tribunale aveva accolto la domanda ravvisando plurime illegittimità.
La Corte d’Appello nel rigettare l’impugnazione ha fatto applicazione della cd. ragione più liquida, atteso che la motivazione del Tribunale si fondava su una duplice ratio decidendi .
Se il motivo di appello sulla mancata maturazione del termine decadenziale poteva trovare accoglimento, l’ulteriore autonoma statuizione del Tribunale di mancava la prova in ordine all’elemento soggettivo della condotta disciplinare, che era pacificamente di tipo
omissivo, si sottraeva alle censure mosse con l’appello, di talché persisteva l’illegittimità della sanzione irrogata al lavoratore.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’RAGIONE_SOCIALE prospettando quattro motivi di ricorso.
Il lavoratore è rimasto intimato.
L’ASL di RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 5, 6 ed 8 del CCNL Dirigenza medica veterinaria 6 maggio 2020, dell’art. 7 del d.P.R. n. 128 del 1969, del D.M. 27 ottobre 2000, n. 380 all.1, dell’art. 15, comma VI, del d.lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 1176, comma 2, cod. civ. e dell’art. 55 -sexies , del d.lgs. n. 165 del 2001, con riferimento alla erronea ricognizione della fattispecie astratta prevista dalle suddette disposizioni.
È censurata la statuizione con la quale è stata dichiarata la illegittimità della sanzione disciplinare applicata dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del lavoratore sul presupposto dell’omesso assolvimento dell’onere probatorio quanto alla individuazione dell’elemento soggettivo della responsabilità in capo al medesimo.
Osserva la ricorrente che ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. 128 del 1969 – il primario assume in prima persona la responsabilità del malato, e deve esercitare il potere di vigilanza, diretta ed indiretta, con riferimento a tutte le fasi in cui si articola la prestazione sanitaria.
Lo stesso è, pertanto, tenuto alla diligenza prevista dal comma 2 dell’art. 1176, c.c., che gli impone il rispetto delle regole e delle prescrizioni che costituiscono la conoscenza della professione medica, al punto da non poter sostenere di essere all’oscuro del
percorso ospedaliero praticato dai pazienti affidati alla propria struttura.
Dunque, il primario non poteva sostenere di essere estraneo alle vicende afferenti il ricovero e le dimissioni dei pazienti affidati alla propria struttura, nei termini affermati dalla Corte d’Appello, atteso che lo stesso risulta, per tutta la durata del ricovero, il diretto responsabile della tenuta e conservazione della cartella clinica, assumendo l’ obbligo di provvedere oltre che alla compilazione, alla relativa conservazione, fin tanto che la stessa venga trasferita in capo alla Struttura sanitaria, e quindi alla direzione sanitaria di essa, che deve conservarla in luoghi appropriati.
Il motivo è inammissibile in quanto apparentemente denuncia una violazione o falsa applicazione di norme di legge, ma in realtà mira ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
La complessiva censura travalica il modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti, senza confrontarsi con la ratio decidendi .
Invero, la sentenza impugnata ha convalidato, sulla base della valutazione delle risultanze probatorie acquisite, il giudizio del Tribunale circa la mancanza dell’elemento soggettivo in capo al lavoratore , quale colpa per omesso controllo dell’attività realizzata dai propri ausiliari e collaboratori.
Nell’ambito di tale accertamento, la Corte d’Appello, tra l’altro ha rilevato che il lavoratore non era il medico che aveva disposto il ricovero in tutti e sette i casi oggetto di contestazione, e neppure era
presente nel reparto al momento del passaggio del paziente in regime di ricovero ordinario.
Non era imputabile allo stesso l’omessa verifica della irregolarità commessa in tali occasioni, nel caso provvedendo ad una verifica delle schede di dimissioni ovvero del contenuto della cartella clinica, non avendo alcuna evidenza di ciò a causa della mancata compilazione della cartella clinica.
Nessuna prova in senso contrario era stata fornita dall’RAGIONE_SOCIALE che si era limitata a sostenere la responsabilità disciplinare in ragione della posizione dirigenziale.
Com’è noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito, dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (si v., Cass. n. 11176 del 2017), come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.
La valutazione delle prove raccolte anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass., n. 1234 del 2019, n. 20553 del 2021), se non si dimostra l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio che ne è derivato (in termini, Cass. n. 10847/2007 cit.; più di recente v. Cass. n. 1234 del 2019) e, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti,
così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 (da ultimo v. Cass. n. 28772 del 2022).
Con il secondo motivo di ricorso è prospettata l’omessa pronuncia sugli effetti formatisi, ex art. 416, secondo comma, cod. proc. civ., a fronte della mancata contestazione da parte avversa delle allegazioni, deduzioni e produzioni di parte convenuta in ordine alla sussistenza del danno riportato da parte datoriale a causa della condotta omissiva assunta da parte avversa. Violazione e falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex artt. 112 e 113, cod. proc. civ.- violazi one del regime di cui all’art. 416, comma 3, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ.
Con il terzo motivo di ricorso, in via gradata, è dedotta violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, n.3, cod. proc. civ., dell’art. 8 sexies, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992, del decreto del Ministero della salute 18 ottobre 2012, in relazione al sistema della cd. ‘nomenclatura tariffario’, individuato dalla D.G.R. Lazio, n. 436 del 2007, dell’art. 8, comma VII, lett. I), CCNL Dirigenza medica veterinaria 6 maggio 2020, del decreto del Ministero della salute 27 ottobre 2000 n. 380, all. 1, dell’art. 1226, cod. civ., con riferimento alla erronea ricognizione della fattispecie astratta prevista dalle citate disposizioni.
La Corte d’Appello ha affermato che il semplice riferimento al ‘nomenclatore tariffario’ non poteva ritenersi sufficiente ed esaustivo quanto alla dimostrazione del danno economico arrecato all’RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’Appello aveva definito generica la deduzione secondo cui la condizione di ricovero dei sette pazienti avrebbe determinato un onere in capo alla struttura in termini di costi di degenza, gestione di assistenza, riferiti finanche alla terapia, al vitto somministrato a ciascuno di essi, oltre che all’assistenza medica ed
infermieristica, censurando come la RAGIONE_SOCIALE non avesse neppure specificato le modalità stesse del ricovero e dell’assistenza prestate per ciascuno dei suddetti pazienti.
La ricorrente deduce che il giudice di secondo grado avrebbe omesso di considerare che, ai fini della sussistenza della condotta disciplinare in questione, secondo il codice disciplinare, assume rilievo la sussistenza di un danno per l’RAGIONE_SOCIALE e per i terzi, senza doverne accertare l’esatta determinazione.
I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono inammissibili.
Va osservato che poiché la ratio decidendi della sentenza di appello verte sulla genericità della deduzione secondo la quale la condizione di ricovero dei sette pazienti avrebbe determinato un onere in capo all’RAGIONE_SOCIALE, e sulla mancata specificazione da parte di quest’ultima delle modalità stesse del ricovero e dell’assistenza prestata a ciascuno dei suddetti pazienti, i suddetti motivi di ricorso sollecitano alla Corte una inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie che è invece rimessa al giudice di merito.
Con il quarto motivo di ricorso, sempre in via gradata, è denunciata violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, n.3, cod. proc. civ., dell’art. 8, comma 4, lett. D, del CCNL Dirigenza medica veterinaria 6 maggio 2020, dell’art. 2106 cod. civ., dell’art. 97 Cost., con riferimento all’interven uto rigetto della domanda di conversione/derubricazione della sanzione disciplinare, in relazione all’erronea ricognizione della fattispecie astratta.
La ricorrente censura l’esclusione da parte della Corte d’Appello dell’applicazione, in via subordinata, della conversione/riduzione della sanzione prevista dall’art. 8, comma 4, del CCNL ‘dal minimo della censura scritta fino alla multa da euro 200,00 a euro500,00, nei casi previsti dall’art.8, comma 4, l ett. d)
‘di comportamento negligente nella compilazione, tenuta e controllo, delle cartelle cliniche, referti e risultanze diagnostiche’.
Assume la ricorrente che si verterebbe nel caso in cui i datore di lavoro abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista, perciò, soltanto in una riconduzione a tale limite, ovvero nel caso in cui è consentito al giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, applicare una sanzione più mite perché lo stesso datore di lavoro, costituendosi nel giudizio di annullamento della sanzione, ne abbia chiesto la riduzione sicché l’autonomia datoriale risulterebbe rispettata e si eviterebbe un nuovo ed eventuale giudizio valutativo, avente ad oggetto la sanzione medesima.
Il motivo è inammissibile. La Corte d’Appello ha affermato l’insussistenza di una responsabilità disciplinare per carenza dell’elemento soggettivo di una condotta colposa del lavoratore. Di talché, in mancanza di responsabilità disciplinare, mancano i presupposti per l’applicazione dell’istituto invocato dalla ricorrente come già affermato dalla C orte d’Appello , e manca quindi la rilevanza della censura.
Il ricorso è inammissibile.
Nulla spese atteso che il lavoratore è rimasto intimato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 maggio 2024.
La Presidente NOME COGNOME