Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9514 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9514 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 794/2021 proposto da: COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO (EMAIL);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (EMAIL);
– controricorrente e ricorrente incidentalenonché
RAGIONE_SOCIALE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 251/2020 della CORTE D’APPELLO DI CAMPOBASSO, depositata l’1 /09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’11 /03/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 1/09/2020, la Corte d’appello di Campobasso, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello proposto da NOME COGNOME e in parziale riforma della decisione di primo grado, ha rideterminato (in diminuzione) l’entità della condanna già pronunciata dal primo giudice a carico del COGNOME a titolo di risarcimento, in favore del RAGIONE_SOCIALE in Venafro, dei danni da quest’ultimo subiti a seguito degli inadempimenti in cui il COGNOME era incorso nell’adempimento dell’incarico di direttore dei lavori svolto nell’interesse del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in occasione dello svolgimento di lavori affidati in appalto all’RAGIONE_SOCIALE;
a fondamento della decisione assunta, per quel che ancora rileva in questa sede, la corte territoriale ha evidenziato come il COGNOME avesse trascurato di procedere in modo adeguato al controllo dell’esecuzione dei lavori da parte della società appaltatrice, rendendosi in tal modo corresponsabile dei danni conseguitine a carico del condominio, nella specie risarcibili in una misura inferiore a quella più elevata stabilita dal primo giudice sulla base di un errore materiale in cui era incorso nella lettura della c.t.u. d’ufficio;
sotto un diverso profilo, la corte territoriale ha rilevato come il condominio attore non avesse fornito un’adeguata prova delle spese sostenute per la messa in sicurezza del manto di copertura dell’immobile condominiale, dovendosene conseguentemente escludere il computo tra le somme risarcibili;
avverso la sentenza d’appello NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
il RAGIONE_SOCIALE volta ricorso incidentale sulla base di un unico motivo l’Immobiliare entrambe le parti costituite hanno depositato memoria;
resiste con controricorso, proponendo a sua d’impugnazione; RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese in questa sede;
considerato che :
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1667 e 1669 c.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato il potere dell’amministrazione condominiale di agire, in forza dell’art. 1669 c.c., per il risarcimento del danno subito dai singoli appartamenti di proprietà esclusiva, sulla base dell’erronea convinzione secondo cui le macchie di umidità comparse negli appartamenti di proprietà esclusiva fossero espressive di gravi difetti di costruzione dell’immobile condominiale, là dove, al contrario, tali vizi, proprio in ragione delle caratteristiche e della relativa natura, dovevano ritenersi tali da non integrare gli estremi dei gravi difetti tutelabili ai sensi dell’art. 1669 c.c.;
peraltro, tali vizi, in quanto non occulti, non avrebbero più legittimato alcuna contestazione, parte del condominio committente, a seguito dell’avvenuta accettazione dell’opera, e avrebbero, sotto altro profilo, dovuto indurre il giudice a quo a ritenerne del tutto estraneo l’odierno ricorrente (in qualità di direttore dei lavori), non avendo il COGNOME ricoperto alcun ruolo di progettista delle opere di isolamento termico;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come l’integrale esposizione della censura in esame muova dal presupposto consistente nella denunciata erronea
valutazione compiuta dal giudice d’appello in ordine ai caratteri e alla natura delle macchie di umidità comparse negli appartamenti di proprietà esclusiva e, dunque, dell’errata qualificazione delle stesse quali gravi difetti di costruzione (rilevanti ai sensi dell’art. 1669 c.c.) o quali vizi di minore entità;
allo stesso modo, la seconda parte della denuncia risulta fondata sul presupposto consistente nella natura palese e non occulta di tali vizi e della riconducibilità degli stessi ad una (pretesa) errata esecuzione delle opere di isolamento termico dell’edificio rispetto al quale il COGNOME non avrebbe (in ipotesi) ricoperto alcun ruolo di progettista;
ciò posto varrà rilevare come entrambe le contestazioni, lungi dal denunciare la violazione dei parametri normativi evocati con il motivo in esame, si limitino a prospettare un’erronea lettura dei fatti di causa da parte del giudice di merito, apparendo del tutto indiscutibile l’entità di questioni di mero fatto, tanto della natura delle macchie di umidità deAVV_NOTAIOe (quali gravi difetti di costruzione o quali vizi di minore entità), tanto la loro obiettiva riconoscibilità al momento dell’accettazione dell’opera, quanto, infine, la relativa riconducibilità all’errata esecuzione di opere di isolamento termico;
si tratta, pertanto, di argomentazioni critiche destinate a contestare la valutazione delle risultanze probatorie (e dunque un vizio di motivazione), con la conseguente relativa inammissibile proposizione sotto il profilo della violazione di legge, non potendo neppure trattarsi di un’ipotesi di falsa applicazione di legge, avendo il ricorrente prospettato le proprie doglianze sulla base di una differente ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quella fatta propria dal giudice a quo ;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente riconosciuto la responsabilità del direttore dei lavori per l’errato ancoraggio dei coppi sul tetto dell’edificio condominiale, dovendo integralmente ricondursi, tale responsabilità, a carico degli operai della ditta appaltatrice o, tutt’al più, del direttore di cantiere (non direttore dei lavori);
il motivo è inammissibile;
anche in relazione alla proposizione della censura in esame, il ricorrente torna a contestare, sotto l’apparente prospettiva della violazione di legge, una pretesa erronea lettura dei fatti di causa e delle prove da parte del giudice d’appello, segnatamente nella parte in cui avrebbe erroneamente omesso di rilevare che i vizi riguardanti l’ancoraggio dei coppi fossero dovuti a una colpevole esecuzione dei propri obblighi da parte degli operai della ditta appaltatrice o del direttore di cantiere, escludendo che, in concreto, il direttore dei lavori potesse ritenersi di fatto abilitato (come invece ritenuto dal giudice a quo ) all’opportuno controllo dell’esatta esecuzione di tale aspetto;
ancora una volta, la censura avanzata dal ricorrente si risolve in una contestazione nel merito dei fatti di causa, secondo una prospettiva critica non consentita in sede di legittimità;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la corte territoriale dettato una motivazione del tutto contraddittoria in relazione al punto concernente la responsabilità del direttore dei lavori per lo scivolamento dei coppi dal tetto dell’edificio, trattandosi di un vizio rimasto privo di adeguata dimostrazione, avendone il c.t.u. dato conto solo sulla base delle
fotografie allegate alla perizia di parte attrice e non già seguito di una diretta visione dei luoghi;
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la corte territoriale dettato una motivazione del tutto contraddittoria in relazione al punto concernente la responsabilità del direttore dei lavori per la mancata sistemazione degli scavi archeologici, avendo il condominio accettato l’opera in presenza di tale vizio che, in quanto non occulto, non avrebbe più potuto essere successivamente contestato, essendo peraltro relativo a una attività di sistemazione in relazione alla quale il COGNOME non aveva ricevuto alcun incarico;
entrambi i motivi -congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione -sono inammissibili;
premessa l’irriconducibilità dei due motivi in esame al vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (non avendone il ricorrente, né richiamato il ricorso, né adeguatamente evocati i presupposti), gli stessi non possono che essere valutati (in conformità al senso della volontà concretamente manifestata dal ricorrente) sotto il profilo del vizio di motivazione rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4 c.p.c.;
ciò posto, le doglianze riviste da tale prospettiva devono ritenersi inammissibili, non solo (e non tanto) in ragione dell’agevole ricostruibilità e della piena comprensibilità del l’ iter logico-giuridico seguito nella motivazione del giudice a quo , ma (soprattutto) perché il vizio di motivazione viene qui denunciato dal ricorrente (nei due diversi motivi) in rapporto ad elementi desumibili aliunde rispetto al testo della medesima motivazione, ossia ad elementi (come le prove concernenti la responsabilità per lo scivolamento dei coppi o la sistemazione degli scavi archeologici) del tutto estranei al testo motivazionale in sé
considerato; testo unicamente all’interno del quale deve ritenersi legittimamente invocabile l’eventuale vizio rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4 c.p.c.;
con l’unico motivo di ricorso incidentale, il RAGIONE_SOCIALE censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente escluso il diritto del condominio a vedersi riconosciuto il rimborso delle spese sostenute per la messa in sicurezza del manto di copertura dell’immobile condominiale, ritenendo ingiustificatamente non raggiunta la prova del corrispondente esborso;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la censura illustrata dal ricorrente non contenga alcuna denuncia del paradigma di cui all’art. 115 c.p.c., limitandosi a denunciare unicamente una pretesa erronea valutazione di risultanze probatorie;
sul punto, varrà rimarcare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, ai sensi del quale, per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove deAVV_NOTAIOe dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma (cioè dichiarando di non doverla osservare), o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introAVV_NOTAIOe dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella
mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla ‘ valutazione delle prove ‘ ((cfr. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892 – 01);
sotto altro profilo, l’ammissibilità della doglianza relativa alla violazione dell’art. 116 c.p.c. è consentita solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02);
nella specie, il ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo , del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale), – ovvero lungi dall’evidenziare l’omesso esame, da parte del giudice a quo , di uno specifico fatto decisivo idoneo a disarticolare, in termini determinanti, l’esito della scelta decisoria aAVV_NOTAIOata o un vizio costituzionalmente rilevante della motivazione (entro lo schema di cui
all’art. 360 n. 5 c.p.c.) -si è limitato a denunciare un (pretesa) cattivo esercizio, da parte della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità di entrambi i ricorsi;
la reciprocità della soccombenza vale, ad avviso del Collegio, a giustificare l’integrale compensazione, tra le parti costituite, delle spese del presente giudizio di legittimità;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale ed il ricorso incidentale, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili il ricorso principale e il ricorso incidentale.
Dichiara integralmente compensate tra le parti costituite le spese del presente giudizio di legittimità.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale ed il ricorso incidentale, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione dell’11 marzo 2024.
Il Presidente
NOME COGNOME