Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16745 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16745 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25979/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso l’AVV_NOTAIO con studio in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
NOME e RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale pro tempore , rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, domiciliati ex lege in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Corte di cassazione;
-controricorrenti-
nonché contro
COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale pro tempore ;
-intimati-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Torino n. 198/2020, depositata il 14 febbraio 2020. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22
maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione ritualmente notificato, la RAGIONE_SOCIALE chiedeva al Tribunale di Torino di accertare la responsabilità ex art. 1669 cod. civ., o in subordine ex art. 2043 cod. civ., di NOME COGNOME, della RAGIONE_SOCIALE e del l’ing . NOME COGNOME in solido o ciascuno in relazione alle accertate responsabilità, e quindi di ottenere il ristoro dei danni patiti che quantificava nella misura di euro 54.700,00 , oltre accessori di legge, o, in subordine, nella misura di euro 36.950,00, oltre accessori di legge.
RAGIONE_SOCIALE e l’ing . NOME COGNOME chiedevano l ‘e sclusione dell’art. 1669 cod. civ., eccepivano la decadenza ex art. 1667 cod. civ. e, nel merito, chiedevano il rigetto delle domande proposte. L ‘ing . COGNOME chiedeva di chiamarsi in causa la RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere la manleva nei limiti della propria responsabilità.
RAGIONE_SOCIALE, costituitasi, chiedeva il rigetto delle domande rivolte dal l’ing . COGNOME e da RAGIONE_SOCIALE, la reiezione delle domande di parte attrice, in subordine chiedeva che la manleva fosse disposta unicamente nei limiti dell’accertata responsabilità del l’ing . COGNOME.
NOME COGNOME rimaneva contumace.
Espletata consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Torino rigettava la domanda attorea, escludendo l’applicabilità dell’art. 1669 cod. civ. e ritenendo che quanto emerso in sede di accertamento tecnico non risultasse idoneo a concretare il grave difetto di cui all’art. 1669 cod. civ. Conseguiva la condanna di parte
attrice a rifondere le spese di RAGIONE_SOCIALE e del l’ing . COGNOME. Le spese tra COGNOME ed RAGIONE_SOCIALE erano compensate tra il chiamante ed il chiamato. Le spese di c.t.u. erano poste a carico di un terzo nei confronti di ciascuna parte costituita.
-Avverso detta sentenza, l’RAGIONE_SOCIALE promuoveva appello.
Si costituiva l’ing . COGNOME, in proprio e per la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto delle avverse domande e, in subordine, la condanna della RAGIONE_SOCIALE a tenerlo indenne di ogni eventuale conseguenza pregiudizievole.
RAGIONE_SOCIALE si costituiva e chiedeva in primis il rigetto delle domande proposte da parte appellante, in subordine la reiezione delle domande proposte dal l’ing . COGNOME verso RAGIONE_SOCIALE, in ulteriore subordine chiedeva di disporre la manleva unicamente per l’ing . COGNOME, con esclusione del vincolo di solidarietà; in ogni caso chiedeva che, accertata la violazione contrattuale da parte dell’lng. COGNOME della clausola di gestione della lite ex art. 2.2 delle condizioni generali di polizza, che fosse tenuta indenne RAGIONE_SOCIALE dalla spese sostenute dall’assicurato per i legali e/o tecnici da questo incaricati.
La Corte di appello di Torino, con sentenza depositata il 14 febbraio 2020, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, ha condannato parte appellata, NOME COGNOME, al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 36.950.0, oltre gli interessi dalla domanda al saldo, rigettando ogni altra domanda proposta da parte appellante contro le parti appellate NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME è stato condannato a rifondere a parte appellante le spese di lite. Parte appellante è stata condannata a rifondere alle parti appellate NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE in solido, le spese di lite del grado di appello. Parte appellante, infine, è stata condannata a rifondere ad RAGIONE_SOCIALE le spese di entrambi i gradi di giudizio.
–RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione.
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso.
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE non hanno svolto attività difensiva.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione dell’art. 1669 cod. civ. in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3 cod. proc. civ. per non avere il giudice di merito svolto correttamente la sussunzione delle risultanze di causa nei consolidati principi giurisprudenziali in materia di responsabilità del direttore dei lavori, nonché violazione dell’art. 132 , primo comma, n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 4 cod. proc. civ. per illogicità e contraddittorietà del percorso motivazionale risultante dal testo della sentenza. Parte ricorrente evidenzia che la Corte di appello di Torino – dopo aver correttamente ritenuto che i vizi accertati dal consulente tecnico d’ufficio, in quanto incidenti sulla durata ed utilizzazione del bene, fossero da ritenersi gravi ex art. 1669 cod. civ. – con una motivazione che disattende il costante orientamento della giurisprudenza, ha affermato che non possa ritenersi responsabile il direttore dei lavori per omesso esercizio dei poteri di controllo e vigilanza sulla corretta esecu zione dell’opera, nei casi in cui non vi sia un capitolato e, allorquando, al direttore dei lavori non sia stato attribuito un ulteriore incarico, rispetto alla vigilanza, avente ad oggetto la verifica di fattibilità ed esattezza tecnica del progetto. Tuttavia, si deduce che l ‘assenza di un capitolato di appalto con descrizione delle opere da eseguire, non può costituire una causa di esclusione della responsabilità del direttore dei lavori in quanto, come da pacifico orientamento
giurisprudenziale, ‘rientra nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento della conformità … delle modalità dell’esecuzione delle opere al capitolato e/o alle regole della tecnica’ e, pertanto, in assenza di un capitolato, il direttore lavori deve vigilare sulla ‘corretta applicazione delle regole della tecnica’. L’affermazione, poi, della Corte di appello, secondo cui ‘il direttore dei lavori non può essere corresponsabile con l’appaltatore in tutti quei casi in cui non gli sia stato attributo l’ulteriore compito di verificare la fattibilità ed esattezza tecnica del progetto’ se formalmente corretta e condivisibile, non può trovare applicazione laddove, come nel caso di specie, manchi un progetto. L’errore in cui è incorsa la Corte territoriale sarebbe stato quello di applicare un principio giurisprudenziale a una fattispecie concreta nella quale manca uno degli elementi (nella specie il ‘progetto’) , in relazione al quale il principio è stato elaborato.
La Corte territoriale non avrebbe quindi fatto corretta applicazione del concetto di ‘alta vigilanza’ elaborato dalla giurisprudenza di legittimità quale precipuo obbligo del direttore dei lavori disattendendo, peraltro, le chiare indicazioni fornite, sul punto, anche dal consulente tecnico d’ufficio il quale, in aderenza ai principi giurisprudenziali, aveva evidenziato che ‘vi è anche una ulteriore responsabilità del professionista quale direttore lavori per la mancata vigilanza: egli, nella sua azione di alta sorveglianza durante i lavori, avrebbe dovuto almeno prendere coscienza delle criticità date dalla realizzazione delle converse in metallo e cercare di risolverle comunicando all’RAGIONE_SOCIALE la non adeguatezza della soluzione individuata dall’RAGIONE_SOCIALE o, a lmeno, facendo eseguire opportuni giunti di dilatazione’. La motivazione addotta dalla Corte per disattendere le indicazioni del consulente tecnico, tuttavia, non appare in linea con la corretta interpretazione dell’art. 1669 cod. civ. Infatti, anche qualora si dovesse ritenere provato che il direttore lavori fosse rimasto estraneo nel processo di stipula del contratto di
appalto tra la ricorrente e l’appaltatore, ciò non rileva ai fini di esonerare lo stesso da responsabilità, in quanto, per i richiamati principi giurisprudenziali, l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere, che comporta il controllo della realizzazione dell’opera nelle sua varie fasi e pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’RAGIONE_SOCIALE, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati .
La sentenza della Corte di appello, sotto un ulteriore profilo, presenterebbe delle criticità motivazionali che si risolvono in conclusioni errate per essere incoerenti e contraddittorie con le premesse, in virtù di un macroscopico errore in cui il giudice di merito è incorso.
Nell’evidenziare la contraddittorietà e illogicità del percorso motivazionale, parte ricorrente sottolinea come da un lato la Corte afferma che l’appaltatore è responsabile per aver utilizzato materiali diversi e maggiormente soggetti a degrado rispetto a quelli previsti in contratto lamiera in ferro preverniciata in luogo dell’alluminio spessore 10/10 ma dall’altro sostiene che il direttore dei lavori non è responsabile, in quanto si è limitato a prendere atto della scelta di realizzare il rivestimento di copertura del tetto in lamiera zincata preverniciata essendo rimasto estraneo nella scelta dei materiali.
Nel percorso argomentativo utilizzato per escludere la responsabilità del direttore dei lavori, in sostanza, vi è un errore di percezione nel riportare il materiale oggetto della scelta nel contratto di appalto che, individuato correttamente nella premessa (alluminio spessore 10/10), viene riportato errato nel percorso argomentativo (lamiera in ferro preverniciata), per giungere a una conclusione falsata (l’assenza di responsabilità del direttore lavori). Sarebbe pertanto sufficiente ‘correggere’ nel perco rso motivazionale della Corte l’errore di percezione da questa compiuto, per concludere che
‘il direttore dei lavori è responsabile per non aver vigilato sulla conformità dei materiali utilizzati dall’RAGIONE_SOCIALE a quelli previsti in contratto’.
1.1. -Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
In tema di appalto, il direttore dei lavori ha la funzione di tutelare la posizione del committente nei confronti dell’appaltatore (Cass., Sez. III, 13 dicembre 2021, n. 39448), esercitando per conto del committente i medesimi poteri di controllo sull’attuazione dell’appalto che questi ritiene di non poter svolgere di persona.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che il direttore dei lavori ha il dovere, attesa la connotazione tecnica della sua obbligazione, di vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica, senza che da tale attività derivi la sua corresponsabilità con l’appaltatore per i difetti dell’opera derivanti da vizi progettuali, salvo egli sia stato espressamente incaricato dal committente di svolgere anche l’attività, aggiuntiva rispetto a quella oggetto della sua normale prestazione, di verificare la fattibilità e l’esattezza tecnica del progetto (Cass., Sez. II, 19 settembre 2016, n. 18285).
Nel caso di specie, dalla ricostruzione dei fatti operata, con logico e motivato apprezzamento, dalla Corte d’appello, risulta che il direttore dei lavori (AVV_NOTAIO COGNOME) non era stato incaricato di svolgere l’attività aggiuntiva -rispetto alla normale prestazione di progettazione del voltaico -di verifica della fattibilità ed esattezza tecnica dell’appalto commesso dalla committenza all’RAGIONE_SOCIALE. Non era dunque stata affidata al l’ing . COGNOME nessun ‘ altra attività aggiuntiva, rimanendo egli estraneo alla redazione del capitolato tecnico e del computo metrico estimativo in relazione al contratto di appalto, così come nella stipula del contratto di appalto tra la RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE. La Corte d’appello, sulla base delle risultanze istruttorie, ha altresì escluso
ogni ingerenza del direttore dei lavori nella scelta dei materiali o sulla tipologia del l’intervento dell’appaltatore .
Nella specie -ha osservato ancora la Corte d’appello i vizi accertati consistono nell’utilizzo di materiali diversi da quelli indicati nel capitolato e nell’errata concezione del sistema di raccolta acque. L’appalto per cui è causa non contiene un capitolato e l’unico documento descrittivo dell’opera è l’offerta per i lavori in questione proveniente dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, il progetto per la realizzazione del tetto era volto più all’approvazione burocratica della posa dei pannelli solari che alle soluzioni tecniche della copertura, per cui nulla era descritto su come realizzare i compluvi.
Tali considerazioni, pertanto, determinano -in una vicenda caratterizzata dalla accertata estraneità di NOME e di NOME alla scelta dei materiali utilizzati ed alla tipologia dell’intervento dell’appaltatore COGNOME e dal non coinvolgimento della direzione dei lavori nel processo di stipula del co ntratto di appalto con l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE – l’infondatezza della censura sotto il profilo dell’imputazione della responsabilità in solido con l’RAGIONE_SOCIALE che ha realizzato i lavori, mentre le doglianze risultano inammissibili nella misura in cui intendono condurre la Corte legittimità a una diversa ricostruzione dei fatti, così come accertata in sede di merito, non ravvisandosi incongruenze o illogicità nella motivazione.
2. -Con il secondo motivo del ricorso si contesta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 4 per ultrapetizione, avendo la Corte di appello condannato parte ricorrente, in assenza di un appello incidentale e di una riforma della sentenza, al pagamento delle spese del primo grado di giudizio in favore di RAGIONE_SOCIALE compensate dal Tribunale. Sul punto, si richiama l’orientamento della Suprema Corte (sentenza n. 28718 del 2013 – confermata dalla Corte di cassazione n. 130 del 5 gennaio 2017) secondo cui ‘in materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice d’appello, mentre nel caso di rigetto del gravame
non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, è tenuto a provvedere, anche d’ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell’esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all’art. 336 cod. proc. civ., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese’.
Orbene, nella vicenda in esame, vi è stato un accoglimento parziale dell’appello che, tuttavia, ha interessato solo ed esclusivamente il rapporto processuale e sostanziale tra la RAGIONE_SOCIALE e la parte appellata NOME COGNOME mentre, il gravame è stato rigettato totalmente nei confronti delle parti appellate RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. COGNOME.
Il Tribunale di Torino -anche se succintamente -aveva motivato la compensazione delle spese di lite tra la terza chiamata e l’AVV_NOTAIO, giustificandola con l’affermazione che ‘le questioni sollevate sono state assorbite e non hanno dato luogo ad appesantimenti istruttori” e, pertanto, sarebbe stata necessaria una presa di posizione specifica da parte della RAGIONE_SOCIALE attraverso lo strumento dell’appello incidentale che, come sopra evidenziato, non è stato proposto. Pertanto, la Corte territoriale è incorsa nel vizio di ultrapetizione in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità.
2.1. -Il motivo è fondato.
La parziale riforma della decisione impugnata, da parte della sentenza d’appello, può dar luogo alla modifica del capo relativo alle spese del primo grado di giudizio solo all’esito del rigoroso riscontro di un rapporto di dipendenza tra i due capi, inteso in senso costituzionalmente rispettoso del diritto all’impugnazione, tale cioè da non trasformare la proposizione dell’impugnazione in una
reformatio in pejus per chi abbia impugnato (Cass., Sez. III, 5 luglio 2023, n. 28136).
Nel caso di specie, la riforma parziale della sentenza non ha investito la pronuncia di prime cure riguardo alle posizioni degli appellati NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, chiamata in causa in garanzia. Per cui, in mancanza di un motivo di impugnazione da parte di RAGIONE_SOCIALE si sarebbe dovuto provvedere solo alla liquidazione delle spese di appello, come disposto nei confronti delle parti appellate NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE
3. -Con il terzo motivo del ricorso si denuncia la violazione dell’art. 132 , primo comma, n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. per avere la Corte di appello omesso di motivare la scelta sul quantum risarcitorio in relazione alle due opzioni risarcitorie formulate dal consulente tecnico d’ufficio. Il consulente aveva fornito due possibili e distinti scenari risarcitori: a) minor valore delle opere mantenendo in opera tutti gli elementi in lamiera zincata con l’eliminazione dei difetti principali per un totale di euro 36.950,00; b) rifacimento delle converse con guaina e calcolo del minor valore degli elementi in lamiera zincata secondari per un totale di euro 54.700,00, facendo presente che, nel riferirsi alla soluzione di cui al punto b) , ‘la soluzione qui proposta meglio garantisce la tenuta per l’assenza di dilatazione termiche (a causa dell’adesione della guaina al supporto in calcestruzzo) e per una migliore resistenza all’usura dovuta al passaggio dell’impianto fotovoltaico’. Pertanto, l’assenza di una motivazione sulla scelta operata dalla Corte, unitamente a una relazione di consulenza tecnica che propende per una scelta risarcitoria diversa da quella operata dalla Corte per le maggiori garanzie di tenuta e resistenza all’usura, rende ancor più grave l’omissione, non risultando esplicitate, non soltanto le ragioni della scelta, ma soprattutto le ragioni della non adesione alla soluzione che lo stesso consulente
tecnico d’ufficio definisce ‘più consona alle caratteristiche dell’edificio’. Sebbene la Corte possa discostarsi dalle valutazioni del consulente tecnico l’ufficio, alle quali non è certamente vincolata, è altresì vero che essa deve congruamente motivare le ragioni che l’hanno indotta ad effettuare quella specifica scelta.
3.1. -Il motivo è infondato.
Parte ricorrente si appunta sulla presunta omessa motivazione in ordine alla scelta sul quantum risarcitorio.
La Corte di appello (pag. 24 della sentenza impugnata), tuttavia, ha fornito sul punto una specifica motivazione, ritenendo corretto il conteggio analitico riguardante il minor valore delle opere, mantenendo tutti gli elementi di lamiera zincata con l’ eliminazione dei difetti principali, aderendo alla soluzione prospettata dal consulente stesso.
-Il ricorso deve essere dunque rigettato in relazione al primo e al terzo motivo.
In accoglimento del secondo motivo la sentenza deve essere dunque cassata limitatamente alle spese di primo grado nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Non essendo necessari accertamenti di fatto, decidendo nel merito, ex art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., viene confermata la decisione sulle spese di primo grado riguardo alla RAGIONE_SOCIALE e la liquidazione delle spese d’appello per la medesima parte così come quantificate dalla Corte d’appello, restando ferma nel resto la pronuncia impugnata.
Le spese di legittimità seguono la soccombenza tra le parti e vengono liquidate come da dispositivo in favore dei controricorrenti.
P.Q.M.
rigetta il primo e il terzo motivo del ricorso; in accoglimento del secondo motivo, cassa la sentenza impugnata limitatamente alle spese del primo grado di giudizio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e, decidendo nel merito, conferma la decisione
sulle spese di primo grado riguardo alla sola RAGIONE_SOCIALE e la liquidazione delle spese d’appello per la medesima parte, così come quantificate dalla Corte d’appello, restando ferma nel resto la pronuncia impugnata.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei controricorrenti, in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione