Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3222 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1   Num. 3222  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13802/2018 R.G . proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato NOME  COGNOME  (CODICE_FISCALE),  che  la  rappresenta  e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
 contro
COGNOME  NOME , domiciliato ex  lege in  Roma,  INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
 nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso  sentenza  di  Corte  d’appello    di  Milano  n.  618/2018 depositata il 7.2.2018.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16.1.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 9.3.2015 il Tribunale di Sondrio ha rigettato la domanda  con  la  quale  la  RAGIONE_SOCIALE.  NOME  aveva chiesto la condanna del RAGIONE_SOCIALE. NOME COGNOME, in alternativa al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Teglio,  al  pagamento    in  suo  favore  dell’importo  di  € 58.511,16.
Tale importo era stato richiesto dalla società RAGIONE_SOCIALE quale corrispettivo delle opere in variante da essa eseguite in adempimento di un appalto pubblico assegnatole dal RAGIONE_SOCIALE di Teglio, nell’ambito del quale il convenuto RAGIONE_SOCIALE. NOME COGNOME aveva svolto le funzioni di direttore dei lavori; la società RAGIONE_SOCIALE aveva sostenuto che il RAGIONE_SOCIALE. NOME COGNOME le aveva commissionato le opere che il RAGIONE_SOCIALE si era rifiutato di pagare, in difetto della formale autorizzazione prevista dall’art.28 del capitolato speciale, e che il RAGIONE_SOCIALE. NOME COGNOME aveva omesso di adempiere all’obbligazione di rilascio del certificato di regolare esecuzione.
Nella causa il RAGIONE_SOCIALE. NOME COGNOME aveva chiamato in manleva la sua compagnia assicuratrice, la RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale, dopo aver, con sentenza parziale, dichiarato il difetto di giurisdizione nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di Teglio, aveva qualificato come extracontrattuale la responsabilità del direttore dei
lavori  nei  confronti  dell’impresa  e  aveva  accolto  l’eccezione  di prescrizione sollevata dal RAGIONE_SOCIALE. NOME COGNOME, rigettando così la domanda della società RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello la  società  RAGIONE_SOCIALE,  a  cui  hanno  resistito  gli  appellati  RAGIONE_SOCIALE. NOME  COGNOME  e  NOME,  quest’ultima  sollecitando  il  rigetto  della domanda  di  garanzia  nei  suoi confronti, perché  rinunciata e infondata.
La Corte di appello di Milano con sentenza del 7.2.2018 ha respinto il gravame, con l’aggravio delle spese nei confronti degli appellati.
La Corte di appello ha ritenuto infondato l’assunto dell’appellante inteso a equiparare il direttore dei lavori e gli amministratori, funzionari e dipendenti dell’ente locale ai fini di cui all’art. 35 del d.lgs. 77 del 1995, in quanto soggetto funzionalmente inserito nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione; ha confermato la qualificazione della responsabilità come aquiliana e la conseguente durata quinquennale del termine prescrizionale ex art.2947 cod. civ., con assorbimento di ogni altra questione.
Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 24.4.2018 ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE, svolgendo due motivi.
Con  atto  notificato  il  2.5.2018  ha  proposto  controricorso  NOME COGNOME, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
L’intimata AXA non si è costituita.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3  e  n.5,  cod.proc.civ.,  la  ricorrente  denuncia  violazione  o  falsa applicazione dell’art.35 del d.lgs. 77/1995, nonché omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa tale punto decisivo della  controversia,  nonché  disparità  di  trattamento  in  relazione  a situazioni identiche.
La ricorrente insiste sulla sussistenza di un rapporto di servizio del direttore dei lavori con la Pubblica Amministrazione e contesta la delimitazione ai soli fini del riparto di giurisdizione, operata dalla Corte milanese, dell’equiparazione a funzionari, impiegati e amministratori compiuta dalla sentenza delle Sezioni Unite n.5781 del 2004. Secondo la ricorrente, tale equiparazione valeva anche ai fini del regime di responsabilità di cui all’art.35 del d.lgs. n.77 del 1995, con le debite conseguenze in punto prescrizione.
L’art.35 del d.lgs. 25.2.1995, n. 77 e a sua volta poi abrogato e sostituito in continuità da analoga disposizione contenuta attualmente nell’art.191 del d.lgs. 18.8.2000 n. 267, recante il Testo unico enti locali, ha previsto che nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione di beni o servizi in violazione dell’impegno contabile e della copertura finanziaria il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura. Nel caso la ricorrente fa riferimento ratione temporis al testo della norma introdotto nel 1995.
La tesi sostenuta dalla ricorrente è che la responsabilità in questione a carico dell’amministratore o del funzionario gravi anche sul direttore dei lavori nominato dall’Amministrazione committente e sia, pur temporaneamente e straordinariamente, inserito nell’apparato della Pubblica Amministrazione.
Giova  premettere  che  la  questione  ha  natura  di  puro  diritto, riguardando la corretta interpretazione della norma istitutiva della responsabilità  diretta  del  funzionario  e  non  rileva  quindi  il  vizio
motivazionale pur denunciato con lo stesso primo motivo, peraltro secondo l’obsoleto paradigma normativo del mezzo di cui all’art.360,  comma  1,  n.5,  cod. proc.  civ.,  superato  dalla  riforma del 2012.
Effettivamente, come ricorda la ricorrente, la giurisprudenza di questa Corte afferma la giurisdizione della Corte dei Conti in ordine alla responsabilità del direttore dei lavori nei confronti della stazione appaltante che lo ha preposto a dirigerli.
Secondo le Sezioni Unite (Sez. U, n. 5781 del 23.3.2004; Sez. U, n. 3165 del 9.2.2011) l’incarico per la progettazione di opera pubblica affidato a libero professionista non determina l’instaurazione di un rapporto di servizio con l’ente pubblico committente, in quanto non implica l’inserimento del professionista privato nell’apparato organizzativo e/o nell’ iter procedimentale della P.A. né l’esercizio, da parte di costui, di poteri propri della P.A. (e ciò diversamente da quanto avviene nell’attività del direttore dei lavori, ove viene in rilievo anche l’imputabilità in via diretta ed immediata alla P.A. dell’attività con rilevanza esterna del soggetto, il quale assume la rappresentanza del committente), l’attività del progettista assumendo rilevanza pubblica solo in forza dell’approvazione del progetto da parte dell’ente pubblico committente: ne deriva che, con riferimento alla responsabilità per danni cagionati all’amministrazione dal progettista nell’esecuzione dell’incarico affidatogli, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, e non quella della Corte dei conti.
Si  è  anche  aggiunto  che  spetta  alla  giurisdizione  del  giudice ordinario,  e  non  a  quella  della  Corte  dei  conti,  la  controversia avente  ad  oggetto  l’azione  di  rivalsa  esercitata  da  un  RAGIONE_SOCIALE  chiamato a rispondere dei danni cagionati ad un privato dalle opere appaltate  dall’ente  –  nei  confronti  del  professionista  che  abbia svolto  l’incarico  di  progettista  e  poi  di  collaboratore  alla  direzione dei  lavori  (quale  direttore  operativo,  componente  dell’ufficio  di
direzione dei lavori), non essendo configurabile nella relazione tra l’autore  dell’illecito  e  l’ente  pubblico  danneggiato  un  rapporto  di servizio, neppure in senso lato. (Sez. U, n. 21691 del 26.8.2019).
Da  questa  premessa  non  possono  tuttavia  farsi  discendere  le conseguenze propugnate dalla ricorrente.
Una cosa è infatti l’imputabilità in via diretta ed immediata alla P.A. dell’attività con rilevanza esterna del direttore dei lavori quale rappresentante del committente, che costituisce l’ affermato presupposto della giurisdizione contabile, altra è che il direttore dei lavori possa essere considerato un funzionario dell’Ente, inserito nel suo apparato per l’assunzione degli impegni di spesa e la verifica della loro copertura finanziaria e gravato di conseguenza degli obblighi sanzionati con la responsabilità diretta verso il fornitore in caso di loro inosservanza.
Secondo l’art.52 del r.d. 12.7.1934 n.1214 (Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti) i funzionari impiegati ed agenti, civili e militari, compresi quelli dell’ordine giudiziario e quelli retribuiti da amministrazioni, aziende e gestioni statali a ordinamento, autonomo, che nell’esercizio delle loro funzioni per azione od omissione imputabili anche a sola colpa o negligenza cagionino danno allo Stato e ad altra amministrazione dalla quale dipendono sono sottoposti alla giurisdizione della Corte nei casi e modi previsti dalla legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e da leggi speciali.
Come chiarito dalle Sezioni Unite n.21691 del 2019, il predetto r.d. n. 1214, art. 52 (applicabile agli amministratori ed al personale degli enti locali, in forza della l. 8.6.1990, n. 142, art. 58 e poi trasfuso, dopo la sua abrogazione, nel d.lgs. 18.8.2000, n. 267, art. 93) individua, anzitutto, i soggetti tutelati dall’istituzione della responsabilità amministrativa che sono soltanto lo Stato ed ogni altro ente pubblico, manifestando l’intendimento di non limitare la categoria dei «responsabili» ai soli soggetti che hanno instaurato
con taluno di detti enti un «rapporto di impiego», dato che agli «impiegati» ha aggiunto le categorie degli «ufficiali» o «funzionari» (esercitanti un pubblico ufficio o una pubblica funzione indipendentemente dal titolo, che può essere anche onorario), dei «dipendenti» (anche a titolo obbligatorio), nonché degli «amministratori» (per nomina dall’alto o per elezione dal basso), per poi concludere con il termine «agenti», che in sé stesso tende a ricomprendere qualunque soggetto che, a qualsivoglia titolo e perfino per incarico occasionale, esplichi attività per conto dell’amministrazione.
Per questa ragione, onde individuare l’ambito di estensione della giurisdizione della Corte dei Conti in relazione alla posizione dell’autore responsabile del danno erariale, occorre avvalersi anzitutto del criterio c.d. dell’appartenenza, cioè dell’essere il soggetto parte integrante (e costitutiva) di una P.A. – soprattutto in virtù di un rapporto organico, o di pubblico impiego e quindi hanno enucleato la nozione di rapporto di (semplice) servizio (in senso lato). Il quale, come è noto, è configurabile tutte le volte in cui il soggetto, persona fisica o giuridica, benché estraneo alla Pubblica Amministrazione, venga investito, anche di fatto, dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore della medesima Pubblica Amministrazione, nella cui organizzazione, perciò, si inserisce, assumendo particolari vincoli e obblighi funzionali ad assicurare il perseguimento delle esigenze generali, cui l’attività medesima, nel suo complesso, è preordinata (Sez. Un., 11229/2014; 3165/2011; 15599/2009; 22652/2008; 24002/2007; 22513/2006; 1377/2006).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di appalto di opere pubbliche, l’appaltatore che ha eseguito varianti in corso d’opera  non  previste  dal contratto non  ha  diritto, per ovvie necessità di protezione del pubblico interesse, ad alcun compenso o indennizzo  di  sorta,  neppure  a  titolo  di  indebito  arricchimento
dell’ente committente, dovendo altresì ritenersi che il direttore dei lavori, che ne abbia disposto l’esecuzione, abbia agito al di fuori di suoi poteri, e, perciò, quale falsus procurator dell’ente. Invero, l’art. 342, comma 2, della l. n. 2248 del 1865, all. F, e l’art. 25 della l. 109 del 1994, hanno sancito il divieto di introdurre varianti come regola generale assoluta, a meno che non siano approvate tramite una regolare procedura di affidamento ex artt. 20 e ss. della legge da ultimo cit. (Sez. 1, n. 15029 del 21.7.2016).
La  norma  invocata  dalla  ricorrente,  al  pari  di  quella  che  l’ha preceduta  e  quella  che  l’ha  sostituita,  ha  natura  eccezionale,  in deroga ai principi generali sulla rappresentanza organica, e mira a responsabilizzare  i  pubblici  funzionari  al  rispetto  delle  regole  in tema  di  impegni  di  spesa  e  copertura  finanziaria  nell’attività negoziale della Pubblica Amministrazione.
Il direttore dei lavori, quale professionista preposto al controllo dei lavori e investito solo della rappresentanza tecnica dell’appaltatore, non  è  tuttavia  tributario  di  poteri  negoziali  e  non  è  inserito organicamente nella struttura dell’Ente.
Ciò tuttavia non esclude affatto che egli non debba rispondere nei confronti dei terzi e della stessa impresa appaltatrice del danno che abbia provocato agendo antigiuridicamente nell’esercizio della sua attività, ma ciò avviene -come ha correttamente ritenuto la Corte territoriale  –  a  titolo  aquiliano,  principio  questo  che  comporta necessariamente  l’applicazione  del  diverso  regime  prescrizionale (quinquennale) dell’azione.
Con  il  secondo  motivo  di  ricorso,  proposto ex art.360,  n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia consequenzialmente violazione o  falsa  applicazione  di  legge  in  relazione  agli  artt.  2946  e  2947 cod.civ. in punto prescrizione.
Il motivo ha natura meramente consequenziale e cade con il cadere del primo.
Il  ricorso  deve  quindi  essere  rigettato  e  la  ricorrente  deve essere condannata al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese 5.400,00 per compensi, € 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, in favore del controricorrente, liquidate nella somma di € oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione