Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4250 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4250 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/02/2024
Oggetto: deposito
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28610/2018 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio in Roma, alla INDIRIZZO.
-RICORRENTE –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, e NOME COGNOME, con domicilio in Roma, INDIRIZZO.
-CONTRORICORRENTE-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1371/2018, pubblicata in data 10.9.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30.11.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (da ora RAGIONE_SOCIALE), società di gestione di depositi doganali, ha convenuto in giudizio dinanzi al
Tribunale di Genova la RAGIONE_SOCIALE, impresa di import-export di filati, sostenendo di aver custodito in deposito prodotti di proprietà della convenuta su incarico dello spedizioniere RAGIONE_SOCIALE, cui aveva poi riconsegnato 34 partite di merce, e che l’Amministrazione doganale, all’esito di un’ispezione in magazzino, aveva contestato che parte della merce dichiarata all’ingresso non era stata rinvenuta ed era stata sottratta ai controlli, ingiungendo all’attrice il pagamento dei diritti doganali e delle sanzioni, per £. 465.397,00, somme di cui ha chiesto il rimborso, unitamente al versamento degli oneri di custodia, per £. 399.882.025, anche a titolo di surroga nei diritti dell’amministrazione o quale risarcimento del danno, in aggiunta ad eventuali ulteriori somme maturate o maturande per il deposito delle merci.
Si è costituita la società convenuta, denunciando l’ammanco delle 34 partite di filato, alcune delle quali già sdoganate e altre ancora allo stato estero, ammanco di cui NOME COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, si era assunto ogni responsabilità, riconoscendo di essersi impossessato della merce mediante consegna di semplici fotocopie delle bollette, attestanti falsamente il versamento dei diritti doganali, documenti che, non essendo stati esibiti in originale, non davano titolo all’uscita della merce dai depositi o alla restituzione allo spedizioniere.
Ha chiesto, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno per gli effetti del sequestro delle merci ottenuto dalla RAGIONE_SOCIALE, la riduzione della misura cautelare ante causam, di dichiarare l’inesistenza di qualsivoglia obbligazione nei confronti della depositaria, instando in via riconvenzionale per il risarcimento dei danni subiti a causa della condotta negligente della società attrice, consistita nell’aver agevolato la sottrazione della merce, nell’aver arbitrariamente aumentato le tariffe di deposito e nell’aver esercitato
infondatamente il diritto di ritenzione ed abusato del provvedimento cautelare, oltre al rimborso degli importi pagati a titolo di oneri di magazzino non dovuti.
Espletata consulenza tecnica d’ufficio, all’esito il Tribunale di Genova ha respinto le domande della RAGIONE_SOCIALE e, in parziale accoglimento della riconvenzionale, ha condannato l’attrice a versare a RAGIONE_SOCIALE l’importo di € 179.430,23, quale ricavato dalla vendita delle merci sequestrate, respingendo ogni altra istanza.
La sentenza, impugnata da entrambe le parti, è stata parzialmente riformata in appello.
La Corte distrettuale ha evidenziato, con riferimento alle questioni ancora dibattute, che, diversamente da quanto sostenuto dal giudice di primo grado, la COGNOME non aveva operato quale semplice mandataria senza rappresentanza, ma aveva stipulato il contratto di deposito in qualità di spedizioniere per conto di RAGIONE_SOCIALE; ha negato che la RAGIONE_SOCIALE potesse esigere il pagamento del corrispettivo per le attività di deposito espletate fino al 17.5.1999, avendo consentito, in violazione degli obblighi di custodia e di sorveglianza in tema di immagazzinamento nei depositi doganali, l’uscita irregolare delle merci dal magazzino, anche mediante l’esibizione di semplici fotocopie delle bollette modNUMERO_DOCUMENTO, già utilizzate in passato per altre merci, che attestavano falsamente il pagamento dei diritti doganali.
Ha accolto parzialmente l’appello incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e ha ordinato il rimborso dell’importo dei diritti doganali e delle sanzioni pecuniarie versate dopo il 17.5.1999, pari ad € 216.851,00, con esclusione del compenso per la custodia dei beni per il periodo di efficacia del sequestro.
La cassazione della sentenza è chiesta dalla RAGIONE_SOCIALE con ricorso affidato a 16 motivi.
La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
In prossimità dell’adunanza le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso, non essendo sollecitato un mero riesame del merito ma essendo sollevati quesiti in diritto riguardo ai presupposti e ai limiti di responsabilità del depositario doganale, con un’adeguata illustrazione delle vicende e dei fatti rilevanti per la decisione.
2. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 1768 e 2043 c.c. e dei principi in materia di cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, sostenendo che la violazione degli obblighi di custodia non legittimava alcuna pretesa risarcitoria da parte della proprietaria dei filati, che non era parte del rapporto di deposito, non essendo ammissibile configurare una responsabilità extracontrattuale della società depositaria, concorrente con quella contrattuale gravante sulla RAGIONE_SOCIALE poiché il danno era diretta conseguenza dell’inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto di deposito.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha affermato che il contratto di deposito presso i magazzini doganali privati gestiti da RAGIONE_SOCIALE era stato concluso da RAGIONE_SOCIALE nella veste di spedizioniere depositante per conto della RAGIONE_SOCIALE.
In tale qualità la RAGIONE_SOCIALE era tenuta per legge ad assolvere ad un dovere di temporanea custodia della merce (1718 e 1737 c.c.), dovendo rispondere ai sensi degli artt. 1768 e 1780 c.c. per la perdita o la sottrazione del carico nei confronti del mandante (Cass. 3996/1977; Cass. 544/1982).
Tale obbligo contrattuale di custodia era stato, in concreto, assolto proprio mediante la stipula del contratto di deposito doganale,
essendosi la RAGIONE_SOCIALE avvalsa della depositaria quale proprio ausiliare (art. 1228 c.c.) nell’esecuzione del contratto di spedizione, dovendo escludersi che il deposito integrasse un contratto a favore del proprietario delle merci ai sensi dell’art. 1411 c.c. (in tal senso, per l’analoga soluzione in tema di responsabilità dell’Handler aeroportuale ai sensi dell’art. 1228 c.c., in caso di responsabilità del vettore aereo per la perdita del bagaglio: Cass. s.u. 21850/2017; Cass. 2544/2019).
E’ difatti la stessa ricorrente ad affermare che l’esercizio dei diritti nascenti dal contratto di deposito e la restituzione della merce competevano esclusivamente alla depositante RAGIONE_SOCIALE, e non alla RAGIONE_SOCIALE, dovendo inoltre porsi in rilievo che, come emerge dalla sentenza impugnata, la società depositaria (cfr. sentenza, pagg. 49-50) era a conoscenza del ruolo di semplice spedizioniere della RAGIONE_SOCIALE e del fatto che la merce fosse di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, dovendo -già in astratto – eseguire il contratto con la diligenza professionale necessaria a preservare le ragioni del terzo interessato alla corretta esecuzione del deposito secondo un metro conforme all’art. 1176, comma secondo, c.c., norma operante anche in ambito extra contrattuale, in ragione della particolare natura dell’attività esercitata.
La RAGIONE_SOCIALE aveva, quindi, stipulato a proprio nome il deposito in adempimento di un obbligo di natura accessoria assunto in qualità di spedizioniere, avvalendosi della ricorrente per l’esecuzione del dovere di temporanea custodia delle merci ai sensi dell’art. 1228 c.c. e 1737 c.c..
Con la responsabilità contrattuale dello spedizioniere verso il mandante concorreva, pertanto, quella, di carattere aquiliano, del depositario doganale: costante è nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che, in generale, l’ausiliario del debitore risponde a
titolo aquiliano nei confronti del creditore per i danni causati dalla violazione dei doveri nascenti dal contratto (cfr., per l’applicazione del principio nei diversi settori: Cass. 7922/2023, Cass. 13066/2004, Cass. 13953/2007, Cass. 8826/2007 in tema di responsabilità medica; Cass. 10348/2021 in tema di sperimentazione farmaceutica; Cass. 3685/2018 in tema di responsabilità da emotrasfusioni; Cass. 6756/2001 e Cass. 6033/2008, in tema di responsabilità bancaria; Cass. s.u. 21850/2017 e Cass. 12015/2001 in tema di responsabilità nel trasporto aereo), occorrendo che il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile allo svolgimento dell’attività dell’ausiliare (Cass. 6033/2008).
E’, in ogni caso, generalmente ammessa da questa Corte la responsabilità del terzo che abbia concorso con il proprio comportamento colposo o doloso a provocare la lesione o la perdita di un diritto assoluto o relativo (in quanto nascente da un contratto o da un rapporto cui il terzo corresponsabile sia rimasto estraneo; cfr. in tema di doppia alienazione immobiliare: Cass. 4090/1988, Cass. 2021/2016; in tema di risarcimento dal danno per la morte o dell’invalidità del dipendente provocato da terzi: Cass. 22402/2011; Cass. 3729/2019; in tema di danno patito dal familiare per perdita del diritto al mantenimento: Cass. 6672/1987 o nei casi di tutela aquiliana dei diritti di godimento), responsabilità che può nascere in capo al terzo anche per cd. interferenza , ossia per complicità o cooperazione nell’altrui inadempimento (nella specie, dello spedizioniere; cfr. Cass. 17110/2002; Cass. 21130/2008; Cass. 3536/2018; Cass. 7272/2023).
Nel caso in esame, è rimasto accertato che fu l’amministratore della RAGIONE_SOCIALE ad appropriarsi della merce e delle somme destinate al pagamento dei diritti doganali servendosi dell’ausilio dei dipendenti
della depositaria, che consentirono lo sdoganamento dei filati su semplice esibizione di fotocopie falsificate di bollette già impiegate per la restituzione di altre merci, attestanti il pagamento dei diritti. 3. Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 1777, 2043 c.c.,95,96,97,98, nonché degli artt. 159 del D.P.R. 43/1973, 98,99, 100,101,102,103,104,105, 106,107,108, 109,110,111,112 e 113 del Codice doganale comunitario di cui al Regolamento CEE n. 2913/1992, sostenendo che la consegna delle merci depositate era regolarmente avvenuta a favore della RAGIONE_SOCIALE, che era l’unico soggetto legittimato ad ottenerne la restituzione, essendo parte del contratto di deposito stipulato a nome proprio, mentre il proprietario delle merci non poteva esigere la riconsegna per non aver esercitato l’azione di rivendicazione, non avendo rilievo che le merci fossero state trafugate dal depositante, mancando un rapporto di causalità tra la condotta della ricorrente e l’illecita sottrazione dei beni, dovendosi inoltre rilevare che la violazione delle disposizioni del codice doganale che stabiliscono regole di comportamento del depositario sono dirette alla tutela dell’interesse dello Stato alla riscossione dei diritti, non potendo fondare pretese risarcitorie del proprietario delle merci trafugate o smarrite.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 2043 c.c., 95,96,97,98 e 159 del D.P.R. 43/1973, nonché degli artt. 98,99, 100,101,102,103,104,105, 106,107,108, 109,110,111,112 e 113 del Codice doganale comunitario di cui al Regolamento CEE n. 2913/1992, lamentando che la Corte d’appello nessuna verifica abbia svolto in merito alla colpa della ricorrente nella causazione del danno, indebitamente desunta dalla sola violazione delle disposizioni del testo unico delle leggi doganali.
Il quarto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., per aver la sentenza omesso di indagare sulla sussistenza di specifici profili di negligenza nella condotta della depositaria in applicazione delle norme generali in tema di illecito extracontrattuale.
Il quinto motivo denuncia la violazione degli articoli 111 Cost. e 132, comma primo, n. 4 c.p.c., censurando la sentenza per carenza assoluta di motivazione in ordine all’accertamento della colpa della depositaria.
I quattro motivi sono infondati.
La sentenza ha individuato in concreto gli specifici profili di corresponsabilità della RAGIONE_SOCIALE, tramite i suoi dipendenti (art. 2049 c.c.), nell’esercizio della custodia, evidenziando che l’appropriazione dei filati, quale condotta anche penalmente rilevante, era stata consumata dall’COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE, con l’ausilio del personale della ricorrente: le disposizioni del Testo unico delle leggi doganali o del Codice doganale comunitario hanno funto da riferimento specificativo degli adempimenti che la depositaria avrebbe dovuto osservare nella gestione del magazzino, essendo invece palesi le gravi irregolarità ed anomalie che avevano reso possibile la sottrazione della merce.
Nella sentenza è posto in rilievo, in particolare, che parte della merce, registrata in entrata, non era stata rinvenuta e che inoltre la RAGIONE_SOCIALE, in violazione delle leggi doganali, aveva ottenuto la restituzione di talune partire di filati mediante la semplice esibizione di fotocopie di bollette (mod. IMNUMERO_DOCUMENTO), recanti codici identificativi già utilizzati per l’uscita di altre merci, falsamente attestanti il pagamento dei diritti doganali.
Era perciò ininfluente che solo la RAGIONE_SOCIALE potesse richiedere la restituzione o che a tanto non fosse legittimata anche la RAGIONE_SOCIALE
per non aver esercitato l’azione di rivendica (art. 1777 c.c.), essendo in discussione la cooperazione della depositaria nell’attività di illecita appropriazione della merce, non potendo neppure lo spedizioniere pretendere la restituzione della merce senza la rigorosa osservanza degli adempimenti della disciplina doganale, data – per quanto si dirà – la responsabilità del depositario in caso di sottrazione della merce al controllo doganale.
4. Il sesto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la sentenza dichiarato la RAGIONE_SOCIALE responsabile del danno senza considerare che il trafugamento della merce era stata opera della società depositante, che aveva stipulato il contratto di deposito quale ausiliario della RAGIONE_SOCIALE, sicché a quest’ultima andava ascritta la responsabilità per intero o almeno in via concorrente ai sensi degli artt. 1227 e 1228 c.c..
Il settimo motivo denuncia la violazione degli articoli 111 Cost. e 132 n. 4 c.p.c., per non aver la Corte d’appello dato conto in motivazione e non aver considerato che la condotta della RAGIONE_SOCIALE, appropriatasi della merce in deposito e delle somme destinate al pagamento dei diritti doganali, era stata causa esclusiva del danno. I due motivi sono inammissibili.
Il tema della corresponsabilità della RAGIONE_SOCIALE per fatto dell’ausiliario (ossia per le appropriazioni consumate dalla RAGIONE_SOCIALE in qualità di spedizioniere) ai sensi degli artt. 1227 e 1228 c.c. era stato oggetto di pronuncia esplicita in primo grado (come è evidenziato nel controricorso, pag. 48); l’eccezione era stata respinta dal Tribunale che aveva condiviso, richiamandole per relationem , le argomentazioni del giudice del sequestro (di cui all’ordinanza del 2.10.1999) per il quale l’art. 1228 c.c. non poteva trovare applicazione essendo la RAGIONE_SOCIALE controparte contrattuale della RAGIONE_SOCIALE, laddove -sempre secondo il giudice -la norma
presupporrebbe un rapporto di subordinazione tra l’ausiliario e il responsabile del danno.
Come ha dedotto la stessa ricorrente (ricorso, pag. 20), l’eccezione era stata riproposta solo con le comparse conclusionali di secondo grado, essendo ormai precluse, non essendo la Corte di merito tenuta a pronunciarsi in proposito.
Era difatti onere della RAGIONE_SOCIALE, risultata vittoriosa sulla riconvenzionale di danno, portare la questione dell’eventuale concorso colposo (o della responsabilità esclusiva) della RAGIONE_SOCIALE all’esame della Corte di merito mediante l’impugnazione incidentale, che ha invece attinto altri profili (cfr. sentenza pagg. 30-35).
E’ orientamento di questa Corte che, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345, comma 2, c.p.c. (Cass. 117799/2017; Cass.
24685/2017; Cass. 14899/2021; Cass. 14899/2022; Cass. 22673/2022; Cass. 33011/2023; Cass. 33190/2023).
5. L’ottavo motivo denuncia la violazione degli artt. 111 Cost., 132 comma primo, n. 4 c.p.c., 38 e 56 del D.P.R. 43/1973 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Lamenta la ricorrente di aver chiesto sin dal primo giudizio la condanna della RAGIONE_SOCIALE al rimborso degli oneri doganali, pari a £. 465.397.070 versati all’amministrazione doganale e che la domanda, relativamente ai diritti maturati in periodi diversi da quello compreso tra il 10.7.1997 ed il 17.5.1999, sia stata respinta a causa del grave inadempimento della RAGIONE_SOCIALE nella custodia della merce, trascurando non solo che nessun addebito poteva esser mosso dalla depositaria per la sottrazione dei filati, ma soprattutto che di detti oneri doveva rispondere la proprietaria della merce in deposito, obbligata a titolo di rivalsa verso il depositario indipendentemente dall’esistenza di un rapporto contrattuale diretto.
Il nono motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e la violazione degli articoli 111 Cost. e 132, comma primo, n. 4 c.p.c., sostenendo che la sentenza abbia, in totale carenza di motivazione, respinto l’azione di rivalsa proposta dalla ricorrente anche per il rimborso delle somme versate a titolo di sanzioni per il ritardato pagamento degli oneri doganali.
I due motivi sono infondati.
La violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. è insussistente: la norma contempla un autonomo vizio della sentenza che deriva dall’omessa considerazione di un fatto storico, inteso come accadimento oggettivo rilevante in causa. Costituisce un ‘fatto’, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una ‘questione’ o un ‘punto’, ma un vero e proprio ‘accadimento’, in senso storico e
normativo, una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 7983/2014; Cass. 17761/2016; Cass. 29883/2017; Cass. 21152/2014; Cass. s.u. 5745/2015; Cass. 5133/2014, n. 5133), con esclusione delle domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, o dei motivi di appello (Cass. 1539/2018; Cass. 21257/2014; Cass. 22799/2017; Cass. 6835/2017).
La Corte di merito ha, peraltro, esaminato la richiesta di rimborso dei diritti doganali avanzata dalla depositaria, ritenendola infondata sulla scorta della ritenuta prevalenza dell’inadempimento degli obblighi di custodia e di immagazzinamento della merce da parte della RAGIONE_SOCIALE (cfr. sentenza, pag. 51) e, infine, il reclamato diritto di rivalsa è insussistente in caso di sottrazione della merce al controllo doganale.
In linea generale l’art. 38 del D.P.R. 43/1973 pone le obbligazioni doganali (che, ai sensi dell’art. 4, n. 9 del Regolamento Comunitario n. 2913/1992, consistono nell’obbligo di corrispondere l’importo dei dazi all’importazione o all’esportazione applicabili ad una determinata merce in virtù delle disposizioni comunitarie in vigore), a carico del proprietario delle merci ai sensi dell’art. 56, in solido con tutti coloro per conto dei quali la merce sia stata importata od esportata.
Ai sensi del art. 56, comma secondo, nel testo anteriore alle modifiche apportate con L. 146/1998, era considerato proprietario agli effetti di cui si discute, chi avesse presentato la merce alla dogana o la detenesse al momento dell’entrata nel territorio doganale o dell’uscita dal territorio stesso, fatta salvo il diverso esito degli accertamenti svolti in proposito dall’amministrazione.
In caso di merci affidate in deposito doganale gestito da un privato autorizzato dall’amministrazione doganale, il depositario ha, però,
la responsabilità: a) di garantire che le merci non siano sottratte alla sorveglianza doganale durante la loro permanenza nel deposito doganale; b) di rispettare gli obblighi risultanti dall’immagazzinamento delle merci che si trovano in regime di deposito doganale; c) di osservare talune condizioni particolari fissate nell’autorizzazione. Egli, in particolare, deve tenere, nella forma approvata da detta autorità, una contabilità di magazzino di tutte le merci vincolate al regime del deposito doganale.
L’art. 203 del Codice doganale comunitario di cui al Regolamento CEE n. 2913/1992 (nella formulazione applicabile ratione temporis), prevede, inoltre, che l’obbligazione doganale nasca anche a seguito e all’atto della sottrazione della merce al controllo doganale.
La nozione di «sottrazione alla vigilanza doganale» va intesa come comprendente qualsiasi azione o omissione che abbia come risultato d’impedire, anche solo momentaneamente, all’autorità doganale competente di accedere ad una merce sotto vigilanza doganale e di effettuare i controlli previsti dalla normativa doganale (cfr., con riferimento all’art. 203, nelle formulazione in tutto analoga a quella applicabile al caso in esame, CGUE, sentenza del 22 novembre 2017, C224/16; CGUE, sentenza dell’11 luglio 2002, C-371/99; CGUE 29 aprile 2004, C-222/01, Racc. pag. CGUE sentenza del 20 gennaio 2005, C-300/03).
A tal fine è sufficiente l’assenza fisica della merce dal luogo di custodia autorizzato nel momento in cui l’autorità doganale intenda procedere all’ispezione al suo esame (CGUE sentenza del 12 giugno 2014, C-75/13), consentendo di presumere, anche in caso di furto, che le merci siano state immesse nel mercato unico senza essere state sdoganate (art. 36, comma quinto, D.P.R. 43/1973; in tal senso anche Corte cost. 373/1988, secondo cui l’obbligazione
tributaria doganale per le merci è indissolubilmente collegata all’ingresso delle medesime nel mercato nazionale e proprio in ciò trova il suo fondamento e la sua ragion d’essere. La distruzione od il completo deterioramento dei beni rendono impossibile tale ingresso e perciò impediscono il sorgere dell’obbligazione tributaria, a differenza della sottrazione, rispetto al quale la perdita della soggettiva disponibilità non rende il bene inutilizzabile, trasferendosi soltanto ad altra persona la concreta possibilità di disporne e di effettuarne così l’immissione nel circuito commerciale).
Si configura allora una responsabilità del titolare dell’autorizzazione per il deposito doganale che ha natura oggettiva e che è indipendente anche dal comportamento di terzi (cfr. CGUE 4 marzo 2020, C-655/2018; CGUE, 12 giugno 2014, C-75/13).
In tali ipotesi sono debitori dell’obbligazione doganale non il proprietario, ma la persona che abbia sottratto la merce al controllo doganale; chi abbia partecipato a tale sottrazione sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che si trattava di una sottrazione di merce al controllo doganale; le persone che abbiano acquisito o detenuto tale merce e sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere allorquando l’hanno acquisita o ricevuta che si trattava di merce sottratta al controllo doganale e, se del caso, la persona che deve adempiere agli obblighi che comporta la permanenza della merce in custodia temporanea o l’utilizzazione del regime doganale al quale la merce è stata vincolata (cfr., art. 203, n. 3 del Codice doganale comunitario).
Anche ai sensi dell’art. 525, comma secondo, lettera c), del Regolamento CEE 2454/93, contenente le disposizioni di applicazione del Codice comunitario doganale, nei magazzini privati di tipo C, quale quello di cui si discute, la responsabilità del
contro
llo ricade sul depositario, che si identifica con il depositante; parimenti, l’art. 159, comma secondo, D.P.R. 43/1973 stabilisce che nei magazzini di proprietà privata il concessionario deve custodire le merci nelle forme indicate dal regolamento e che fino a che le merci non escano dal deposito egli è considerato proprietario di esse a tutti gli effetti del testo unico ; nei suoi confronti sono applicate anche le sanzioni contemplate dall’art. 308 del D.P.R. 43/1973, restando in ogni caso esclusa la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE verso l’Amministrazione.
In conclusione, come accertato in sentenza, l’applicazione dei dazi doganali e delle sanzioni, con superamento del regime di sospensione, aveva determinato a carico del concessionario della gestione del magazzino privato l’obbligazione doganale sorta a causa della sottrazione delle merci al controllo e la responsabilità personale per il pagamento dei diritti e delle sanzioni, tanto che entrambe le somme dovute a tale titolo sono state richieste alla RAGIONE_SOCIALE in solido con l’amministratore Valentino Caviglia e con l’autore materiale della sottrazione (NOME COGNOME; cfr. sentenza, pag. 53).
6. Il decimo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., esponendo che, sia in comparsa conclusionale che nelle note di replica, la ricorrente aveva evidenziato come la RAGIONE_SOCIALE, pur essendosi obbligata, disattendendo gli impegni assunti, non avesse assicurato le merci contro il rischio di furto, né sottoscritto una polizza che escludesse l’azione di rivalsa nei confronti della depositaria, condotta che aveva aggravato il danno ai sensi dell’art. 1227 c.c., con l’effetto di escludere o limitare la responsabilità della depositaria.
L’undicesimo motivo denuncia la violazione degli articoli 111 Cost. e 132, comma primo, n. 4 c.p.c., per aver la sentenza omesso di dar conto delle ragioni per cui ha ritenuto irrilevante la mancata stipula del contratto assicurativo per il rischio di furto delle merci depositate.
I due motivi non meritano accoglimento.
In primo luogo il ricorso non specifica dove e quando il fatto storico della sussistenza dell’obbligo contrattuale di assicurare le merci sia stato discusso ed accertato in corso di causa, né da quali elementi risultasse provata la descritta circostanza di fatto, non essendo sufficiente la mera allegazione in comparsa conclusionale e nelle memorie di replica.
Si è già detto che la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c. non deriva dall’omessa considerazione di un’allegazione difensiva, ma investe i soli fatti storici la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali (Cass. s.u. 8053/2014).
Per altro verso, la violazione dell’obbligo di cooperazione del creditore per attenuare, tramite l’assicurazione, le conseguenze dell’illecito, essendo riconducibile all’art. 1277, come secondo, c.c. (cfr., per talune applicazioni, Cass. 4873/1995; Cass. 14338/1999), era oggetto di un’eccezione in senso stretto che la ricorrente ha ammesso di aver proposto solo nella comparsa conclusionale e nelle note di replica di primo grado e quindi tardivamente, non essendo il giudice tenuta ad esaminarla (Cass. 12714/2010; Cass. 3240/2012; Cass. 19218/2018).
Per giunta, la norma richiede al danneggiato un obbligo di cooperazione mediante comportamenti con cui, con certezza, il danno possa essere evitato o ridotto, ma non impone attività gravose e comportanti rischi e spese, specie se di particolare entità, quali quelle che prevedibilmente sarebbero
occorse per la polizza riguardante l’intera partita di merci (Cass. 14338/1999).
Il dodicesimo motivo deduce la violazione degli artt. 2043 c.c., 95, 96, 97, 98, 159 D.P.R. 43/1973, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105,106, 107, 108, 109,110, 111, 112, 113 del Codice doganale comunitario, addebitando alla Corte di merito di aver liquidato il danno anche per la perdita delle merci già sdoganate, fondando il giudizio di responsabilità sulla violazione delle norme in tema di deposito doganale e di corretto immagazzinamento, anziché sull’accertamento di specifici profili di colpa, peraltro insussistenti, avendo la ricorrente consegnato la merce al titolare del diritto alla restituzione.
Il tredicesimo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., censurando la pronuncia per aver trascurato che parte delle merci per la cui perdita la ricorrente è stata condannata al risarcimento del danno, era già stata sdoganata.
Il quattordicesimo motivo deduce la violazione degli artt. 111 Cost e 132 n. 4 c.p.c., lamentando una carenza assoluta di motivazione in ordine alla rilevanza del fatto che parte delle merci asseritamente sottratte erano già state sdoganate.
I tre motivi sono infondati.
La Corte ha ritenuto risarcibile anche la perdita delle merci sdoganate, circostanza quest’ultima specificamente valutata ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e ciò sull’assunto che talune partite risultavano registrate ma non erano state rinvenute al controllo doganale ed altre erano state riconsegnate su presentazione di documenti attestanti, falsamente, il pagamento dei diritti doganali, o, ancora, utilizzando modelli TARGA_VEICOLO riferibili a merci diverse da quelle uscite dai depositi, violazioni integranti un concorso del
depositario nell’indebita appropriazione consumata ai danni della RAGIONE_SOCIALE.
Risultano sufficientemente circostanziate, per quanto in modo sintetico, le ragioni della liquidazione del danno anche con riferimento ai beni sdoganati, di cui non si è accertata la restituzione alla società titolare, con motivazione che supera il vaglio di legittimità secondo le istruzioni di Cass. s.u. 8053/2014.
8. Il quindicesimo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., sostenendo che la sentenza, nel quantificare il danno per sottrazione delle merci, non abbia considerato che parte dei filati erano stati recuperati dalle forze dell’ordine.
Il sedicesimo motivo denuncia la violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma primo, n. 4 c.p.c., per carenza di motivazione della sentenza in merito alla rilevanza, ai fini della quantificazione del risarcimento, del parziale recupero delle merci sottratte dal deposito doganale.
I due motivi sono infondati.
Il rinvenimento di parte del filato è nuovamente circostanza solo allegata ed enunciata, senza che risulti accertata o sia stata oggetto di dibattito processuale (essendo irrilevante che se ne dia conto anche nel controricorso), restando esclusa, per quanto già detto, la violazione dell’art. 360, n. 5 c.p.c. anche per difetto di decisività.
Tale rinvenimento, disgiunto dal riscontro dell’avvenuta riconsegna e dalla verifica dello stato di conservazione dei beni in modo che fosse ancora possibile la commercializzazione o recuperare quantomeno il costo di acquisto e le spese sostenute (riconsegna di cui neppure il ricorso dà riscontro), non era circostanza suscettibile di determinare, con sufficiente grado certezza, una qualche
riduzione dell’ammontare del risarcimento che la Corte avrebbe dovuto conteggiare.
In conclusione, il ricorso è respinto, con addebito delle spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in €. 8000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda