Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19186 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19186 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18125/2023 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l ‘avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
CONFINTESA FUNZIONE PUBBLICA, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 1275/2023 depositata il 20/02/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME:
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 19/9/2023 NOME COGNOME ricorre per cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1275/2023, pubblicata il 20/2/2023, con la quale è stata confermata, in reiezione del suo appello, la sentenza del Tribunale di Roma che l ‘ aveva condannata al risarcimento del danno, pari a € 40.000,00 oltre interessi , e alla restituzione di una tessera bancomat, sino ad allora detenuta, all’ente RAGIONE_SOCIALE, già Federazione Intesa Funzione Pubblica e Federazione Sindacale Ugl – Intesa Funzione Pubblica), che si è difesa con controricorso.
La Corte d’Appello, per quanto ancora di interesse, respingeva il gravame della COGNOME, odierna ricorrente, avverso la sentenza con cui era stata accolta l’azione di responsabilità ex art. 22 c.c. promossa nei confronti della ricorrente dall’associazione controricorrente per avere sottratto risorse all’associazione e non avere restituito appunto il bancomat dopo la revoca delle deleghe, confermando integralmente la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato fondata l’azione di responsabilità. Nell’impugnata sentenza la Corte di merito assumeva che la rendicontazione inviata dalla COGNOME senza i giustificativi di spesa fosse avvenuta dopo il ritiro delle deleghe inerenti a ll’incarico di coordinatore nazionale avvenuto il 16 giugno 2012 e finanche dopo la comunicazione del 13 luglio 2012 con cui la COGNOME aveva dichiara to all’associazione di voler recedere e di aver contestualmente ricostituito RAGIONE_SOCIALE (ovvero un altro sindacato aderente ad altra
federazione di cui era segretaria e legale rappresentante), e così ritenendo tardiva, o comunque irrilevante, la rendicontazione inviata ai sensi dell’art. 14 dello Statuto/Regolamento, alla luce dell’ azione di responsabilità attivata ex art. 22 c.c.
Motivi della decisione
Con un unico e articolato motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 360 , primo comma, n. 3, 4 e 5 cod. proc. civ., per motivazione inesistente o meramente apparente, in quanto la sentenza non offrirebbe alcuna risposta alle censure già svolte in primo grado e poi riproposte in fase di gravame, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 22, 24, co. 2, e 1703 e segg. c.c. e la v iolazione dell’art. 116 c.p.c. per omessa valutazione di una prova documentale e/o comunque errata interpretazione del materiale probatorio -difetto di motivazione.
Il motivo è inammissibile o infondato sotto ogni profilo che viene ora evidenziato.
La censura, innanzitutto, sostiene la decisività dell’omesso esame dei documenti giustificativi delle spese. In merito alla deduzione de qua va preliminarmente rilevato che il vizio di cui all’art. 360 , primo comma, n. 5 c.p.c. risulta inammissibile ex art. 348 ter , co. 4 e 5 c.p.c., in caso di doppia sentenza conforme, ove, come nel caso di specie, non risulti assolto l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello dimostrando ne la diversità (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. 28/02/2023, n. 5947). Sul punto la Corte di merito ha ritenuto, in ciò confermando il rilievo del primo giudice, che i giustificativi dei versamenti non erano mai stati prodotti dalla convenuta appellante sin dal primo grado di giudizio.
Sotto il diverso profilo dell’assunta inesistenza della motivazione, va rilevata l’infondatezza del motivo. La motivazione non risulta astratta nelle argomentazioni o internamente contradittoria, rispettando il c.d. minimo costituzionale come, tra i molteplici arresti, insegna Cass. SU 8053/2014. Nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale, che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. La decisione assunta, come si sottolineerà in prosieguo, non presenta deficit argomentativi.
Inoltre, con riferimento all’art. 116 c.p.c., in sede di giudizio di legittimità l’errata applicazione della norma è configurabile solo nei casi in cui si applichi il libero apprezzamento in riferimento a una prova che per legge sia vincolata a determinati criteri di valutazione. Per il resto non vi è spazio per ottenere una diversa valutazione della prova dal giudice di legittimità, il quale è tenuto solo a verificare la corretta applicazione della norma e dei principi in essa racchiusi (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; Cass. sez. VI, 09/12/2020, n.28105, che espressamente richiama Cass. Sez.3, 05.03.2019, n. 6303; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020; Cass. Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020). Il vizio, peraltro, nel caso in esame non è in tali termini dedotto, mirandosi solo a
censurare la valutazione probatoria di mancata allegazione dei giustificativi di spesa effettuata con motivazione doppiamente conforme.
Quanto alla dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 22, 24, co. 2, e 1703 e segg. c.c., correlati alla responsabilità all’interno delle associazioni e all’efficacia del recesso dell’associat a, i giudici di merito, in corretta linea con i principi sulla responsabilità degli associati verso l’associazione ex art. 22 c.c., hanno preso atto della delibera associativa con cui è stata assunta la decisione di avviare l’azione di responsabilità nei confronti dell’associata per avere mancato di giustificare gli incassi ricevuti nell’interesse dell’associazione e per non avere di conseguenza restituito il bancomat alla data di cessazione dell’incarico, ritenendo pertanto violati gli obblighi inerenti al mandato ricevuto dall’odierna ricorrente e ben spiegando perché non può ritenersi validamente attivata dalla ricorrente, a mandato già revocato, la più agile procedura di rendicontazione prevista nell’art. 14 dello Statuto associativo.
Oltretutto, la censura collegata alla denunciata erronea applicazione della normativa sul recesso dell’associato – e ciò anche con riferimento allo Statuto che prevede una forma più agile di rendicontazione degli incassi delle quote sindacali da parte dei delegati – è inammissibile per un ‘ ulteriore ragione. Viene dedotto che la Corte abbia errato nel ritenere invalida e tardiva l ‘approvazione del rendiconto effettuata ex art. 14 dello Statuto, e che sarebbe incorsa ‘nei vizi denunciati’ laddove non avrebbe dato rilevanza ai documenti prodotti dalla COGNOME nel giudizio di appello. Tuttavia, nel motivo si fa riferimento a documenti che la ricorrente avrebbe prodotto nel giudizio di appello, ma che non sono individuati quanto alla loro rilevanza ai fini del decidere, in violazione del principio di autosufficienza di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c. L’omissione di un fatto o di una
circostanza allegata e discussa, oltre a dovere essere specificamente addotta in sede di giudizio di legittimità, in ottemperanza del principio di autosufficienza ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c., per essere rilevante ai sensi dell’ art. 360 n. 5 c.p.c., deve anche rivelarsi in grado di compromettere radicalmente la tenuta logico -giuridica della motivazione (Cass. SU n.34469/2019; Cass.8053/2014).
Sotto altro, non meno rilevante, profilo, alcuna idonea censura viene mossa al rilievo, fatto proprio dalla Corte di merito con una prima ratio decidendi , di per sé esaustiva, secondo cui il giudizio di responsabilità di cui è causa, attivato dall’associazione con successiva valida delibera del 26.09.2013 proprio in riferimento a tale vicenda, toglie ogni rilievo all ‘attivazione, da parte della odierna ricorrente, d i più celeri modalità di rendicontazione e revisione dei conti previste nello Statuto, rilevando piuttosto che la ricorrente non abbia mai depositato, sebbene richiesta, i giustificativi di spesa all’associazione , al fine di comprovare le somme indicate nei consuntivi e dimostrare l’attinenza dei pretesi versamenti dei contributi sindacali all’esercizio delle funzioni di coordinat rice del coordinamento nazionale presso il MEF.
La censura, infatti, laddove si limita a sostenere che la procedura ex art. 14 del Regolamento di Statuto sarebbe stata, contrariamente a quanto indicato in motivazione, regolarmente intrapresa dalla COGNOME con l’invio del primo rendiconto il 18 luglio 2012 e del secondo rendiconto il 18 settembre 2012, posto che il suo recesso sarebbe divenuto efficace solo alla fine dell’anno solare ex art.24 , comma 2, c.c., non coglie che la Corte di merito ha ritenuto essenzialmente rilevante che a quella data la convenuta appellata non aveva più le deleghe come coordinatrice nazionale, essendole state per giusta causa revocate fin dal 16 giugno 2012 e che, pertanto, la medesima
non era più in grado di rappresentare legittimamente la federazione in quella veste. Secondo tale assunto, pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto che a nulla rilevano la successiva attivazione della procedura interna di rendicontazione e l’ efficacia differita del recesso comunicato dall’associata , posto che l’azione di responsabilità successivamente intrapresa, intesa a ottenere il risarcimento del danno, è risultata fondata in ragione della mancata consegna dei giustificativi di spesa e del bancomat da parte dell’associata anche in seguito al suo recesso.
In particolare, la Corte di merito ha correttamente inteso tenere ben distinti e separati i due piani della dimostrazione della corretta esecuzione del mandato e della valida attivazione della procedura di rendicontazione statutariamente prevista.
A livello di sistema è, infatti, del tutto ammissibile, ai fini del controllo dell’operato del soggetto addetto, in base al mandato ricevuto, alla gestione e alla contabilità di un’associazione, la scissione del controllo gestionale da quello contabile (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18438 del 08/09/2011; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16019 del 13/06/2008), con la conseguente legittimità dell’ azione di responsabilità promossa ex art. 22 c.c. dall’associazione nei confronti dell’associato, ove detta azione sia intesa a dimostrare che quest’ultimo, nell’esecuzione del mandato ricevuto per la gestione e amministrazione di fondi e di beni di competenza dell’associazione, nonché nella loro corretta rendicontazione, ha compiuto atti contrari ai doveri di correttezza e diligenza inerenti al mandato, non rilevando a tal fine la formale adesione dell’associato alla procedura interna di rendicontazione prevista statutariamente, che presuppone che questi non sia venuto meno agli obblighi di diligenza del buon padre di famiglia insiti nel mandato ex art. 1710 c.c.
Ne consegue che la mancata impugnazione di tale prima ratio decidendi rende persino irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma ratio non toccata da alcuna censura (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 15399 del 13/06/2018; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 5102 del 26/02/2024).
Conclusivamente il ricorso va rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese , che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2025